N° 2 - Marzo 2003 – Tradizione Romana 

 

Digesty òstiniana, tom 1(knigi 1-4)

 = Digesta Iustiniani, volumen primum, libri I-IV.

Moskva 2002, 583 s.

 

 

Introduzione

 

L’edizione in più volumi della prima traduzione completa in russo del Digesto di Giustiniano, offerta all’attenzione del lettore, rappresenta la continuazione dell’edizione dal Centro di Studi di Diritto Romano della famosa codificazione romana (Corpus iuris civilis) – raccolta di diritto romano creata nel VI secolo nella parte orientale dell’Impero Romano (Costantinopoli), sotto il governo dell’imperatore Giustiniano.

Il Digesto è la seconda, più cospicua per la mole e per l’importanza, parte della codificazione di Giustiniano. Il 15 dicembre 530 Giustiniano emanò il decreto (la costituzione “Deo auctore”) sulla creazione della commissione di 15 persone con a capo Triboniano, questore del sacro palazzo imperiale, che aveva rivelato il suo particolare talento giuridico già nel lavoro della commissione per la compilazione del Codice. Messosi a capo della commissione, Triboniano assunse due professori dall’Accademia di Costantinopoli (Doroteo ed Anatolio), della commissione entrarono a far parte anche 11 avvocati. Triboniano pose a disposizione della commissione la sua biblioteca giuridica personale, che conteneva un gran numero di edizioni rare e poco accessibili dei giuristi romani. Il compito principale della commissione era la compilazione della raccolta degli estratti dalle opere dei giuristi romani classici. Se leggiamo attentamente la premessa di Giustiniano al Digesto, capiremo che esso non fu creato per mancanza di documenti giuridici a partire dall’epoca di Romolo ma, al contrario, per una eccessiva abbondanza di essi, per l’onere dei numerosi commenti giuridici al diritto civile che superava le capacità umane. Infatti Giustiniano scrive letteralmente quanto segue: «Cum...concludatur». Però questo compito che sembrava insuperabile fu eseguito dalla commissione in tempi da record. Non a caso Giustiniano dice che il Signore stesso aveva aiutato i giuristi in questa impresa gigantesca. Il brillante giurista Triboniano, che già disponeva di un’ottima biblioteca giuridica, raccolse da tutte le parti più di duemila opere di diversi giuristi romani delle varie epoche (Const. Tanta, 1). La commissione dovette esaminare tutte queste opere dal volume complessivo di 3 milioni di righe, il che costituisce più di 3mila fogli di stampa attuali, o più di 100 volumi pesanti. Da tutta questa abbondanza di opere bisognava estrarre il meglio e riunirlo in modo tale da compilare una raccolta armoniosa e logica, comoda per l’usa da parte di giudici ed avvocati. Si tratta di un lavoro colossale per fino per i parametri dei giuristi moderni. Alcuni ricercatori, come per esempio lo studioso austriaco Franz Hoffman, avevano messo in dubbio la possibilità della compilazione del Digesto in tre anni. Ciononostante il lavoro fu completato già per il 16 dicembre del 533.

Il Digesto è composto di 50 libri, divisi in titoli, frammenti e paragrafi. Ogni frammento è preceduto dall’indicazione, da quale giurista e da quale libro di sua composizione è estratto il dato frammento. Il Digesto ha assorbito citazioni da 1625 opere di 39 giuristi. Il volume complessivo del Digesto è di 150.000 righe. La struttura del Digesto è la seguente: il 1° libro tratta le questioni generali di diritto, contiene un breve saggio di storia di diritto e il diritto pubblico. dal 2° al 46° libro viene esposto il diritto privato; i libri 47-48 e in parte 49 espongono questioni relative al diritto e processo penale. Nel libro 49 vengono esaminati alcuni istituti di diritto pubblico: diritto fiscale e militare. Infine nel libro 50 sono considerati alcuni istituti di diritto pubblico: il diritto amministrativo, il diritto dell’immunità, dell’ambasceria ecc. La perla del libro 50 è il XVI titolo «Del significato delle parole»: una specie di dizionario dei termini giuridici romani. Non è meno interessante l’ultimo, XVII titolo «Delle varie regole di diritto antico» in cui vengono spiegati molti concetti e termini (già dimenticati nel VI secolo) dell’epoca della vigenza delle Leggi delle XII Tavole e dell’Editto del Pretore.

Lo stesso Giustiniano espone la struttura del Digesto. Va detto che nel VI secolo, nonostante l’opposizione della Chiesa cristiana, molti si appassionavano delle dottrine astrologiche, per esempio sulla parata dei pianeti e sulla musica delle sfere. Non fu da meno l’imperatore Giustiniano, il quali assimilava le sette parti del Digesto ai sette pianeti del sistema solare la cui ascensione sulla volta celeste era osservata dagli astrologi antichi. Così, per esempio, Giustiniano nel descrivere una delle sette parti del Digesto (Const. Tanta, 7) usa il verbo exoriri (ascendere sulla volta celeste). In genere egli cerca di presentare il suo Digesto proprio come la musica delle sfere, cioè come la perfezione.

La prima parte del Digesto di Giustiniano è chiamata “Prota”, che in greco significa “principi”. Questa parte comprende i libri 1-4 contenenti le posizioni generali del diritto e del processo studiati dagli studenti del primo anno insieme alle Istituzioni di Giustiniano (Const. Omnem, 2). La seconda parte “Dei giudizi” (“De iudiciis”) comprende i libri 5-11 del Digesto; la terza parte “Delle cose” (“De rebus”) è composta dei libri 12-19. Questi libri erano studiati dagli studenti del secondo e terzo anno (Const. Omnem, 3-4). La quarta parte, chiamata “Umbilicus”, che significa “mezzo” o “ombelico”, include i libri 20-27. La quinta parte “Dei testamenti” (“De testamentis”) è composta dei libri 28-36 del Digesto. Le parti quarta e quinta del Digesto erano studiati dagli studenti nel quarto anno di studio (Const. Omnem, 5). Infine, la sesta parte, contenente i libri 37-44, e la settima, composta dei libri 45-50, non avevano un nome particolare ed erano studiate dagli studenti in modo autonomo nel quinto anno di studio (Const. Omnem, 5). Vediamo in tal modo che il Digesto aveva un’importanza non solo pratica ed applicata come principale prontuario per giuristi praticanti – esso serviva anche da manuale obbligatorio per gli studenti delle accademie giuridiche dell’impero bizantino.

All’interno di ogni titolo del libro (tranne i libri 30-32) le citazioni sono sistemate nell’ordine seguente: a) citazioni dalle opere che commentano il diritto civile. Siccome ancora nel periodo classico i migliori commenti alle Leggi delle XII Tavole erano considerati quelli di Sabino, dopo la loro pubblicazione i giuristi di regola commentarono non più le leggi stesse ma i commenti ad esse fatte da Sabino e tali opere erano chiamate “Commenti a Sabino” (“Ad Sabinum”). Proprio per questo gli studiosi moderni hanno chiamato la prima parte di ogni titolo “la massa sabiniana”; b) poi seguono le raccolte delle citazioni dalle opere che commentano l’Editto del Pretore donde il nome della seconda parte del titolo – “massa edittale”; c) seguono le estrazioni dalle opere tipo le risposte giuridiche (responsa). Siccome il più delle volte erano i responsa di Papiniano, tale parte ha avuto il nome “massa papinianea”; d) a volta apparivano citazioni supplementari. Tali citazioni sono state denominate dagli studiosi appendix.

Notate tali particolarità nella struttura di ogni titolo del Digesto gli studiosi hanno formulato una seconda supposizione, del tutto, ragionevole: cioè, che alla compilazione del Digesto nella commissione di Triboniano lavorarono in modo autonomo tre sottocommissioni, ognuna con un proprio tipo di opere; da qui la rilevata divisione in tre masse principali.

Parlando del contenuto del Digesto di Giustiniano va ricordato che esso è il monumento unico della letteratura giuridica non tanto del VI, quanto dei secoli I-III d. Cr., epoca del diritto classico, quando ebbe uno sviluppo particolare la giurisprudenza, un settore assolutamente straordinario del diritto romano. Ora siamo abituati al fatto che fungono da fonte del diritto le leggi e gli altri atti normativi. Nel nostro ordinamento giuridico la dottrina scientifica non è fonte diretta di diritto. A Roma invece l’autorità di un giurista dotto era affine all’autorità della legge o del magistrato, come scrive Gaio nelle sue Istituzioni: “Responsa...optinet...” (Gai. Inst. I.7).

In generale la giurisprudenza viene intesa come attività dei giuristi non necessariamente aventi lo status di magistrato, cioè loro potevano essere anche delle persone private. Le loro opere, essendo opere di privati, avevano importanza nel diritto solo in virtù della loro autorità come esperti di diritto. Tali opere esistevano già nell’epoca della Repubblica, però una vera fioritura di questa fonte del diritto si riscontra proprio nell’epoca del Principato (I-III secolo d.Cr.). All’epoca del Principato a tali giuristi spesso era concesso dall’imperatore il diritto di dare le risposte alle richieste giuridiche – ius respondendi - il che significava la possibilità per i giudici di basarsi sull’opinione dei giuristi nell’emettere la sentenza giudiziaria.

Tutte le opere dei giuristi romani si possono suddividere in quattro tipi essenziali:

1) institutiones: manuali di diritto romano per studenti. Vi si possono riportare anche le cosiddette regulae e definitiones; le regole e le definizioni generali degli istituti giuridici romani;

2) i commenti alle Leggi delle XII Tavole o all’Editto del Pretore. Il commento generale ad entrambe le fonti di diritto era denominato, come avevamo già notato sopra, col termine digesta. Vi entrano anche i commenti alle opere degli altri giuristi;

3) responsa – le raccolte delle risposte e decisioni orali e scritte dei giuristi. Ne facevano parte anche opere come “Questioni” (quaestiones) e “Disputazioni” (disputationes), in cui erano esaminate le questioni giuridiche incerte e discutibili, nonché la corrispondenza dei giuristi – epistolae;

4) le opere monografiche dedicate allo studio di un singolo istituto di diritto (per esempio, “Del diritto pontificale”, “Degli obblighi del pretore”, “Dell’usufrutto” ecc.).

Le citazioni dalle opere di tutti e quattro i tipi sono frequenti nel Digesto di Giustiniano. Del resto, noi conosciamo la maggior parte di queste opere, e perfino i loro titoli, proprio grazie alla raccolta giustinianea.

Nel diritto classico ebbero fama due scuole giuridiche. La prima fu fondata all’inizio del I sec. d.Cr. da M. Antistio Labeone, autore di più di 400 libri (morto tra il 10 e il 22 d. Cr.). A suo tempo, egli aveva rifiutato la carriera politica offertagli da Augusto e aveva preferito, stando in opposizione, occuparsi della scienza pura. Questo giurista è noto per il suo approccio innovatore nei confronti del diritto. I sostenitori della sua dottrina dal nome del suo allievo Proculo ebbero il nome di proculiani.

Il fondatore della seconda scuola è considerato C. Ateio Capitone, il giurista che aveva fatto una brillante carriera politica sotto Augusto (era stato console e pontefice), il quale si atteneva apparentemente alle vedute conservatrici, tradizionali. Tuttavia, evidentemente, fu proprio lui a contribuire allo svolgimento di molte riforme giuridiche augustee che modificarono radicalmente il diritto pubblico ed introdussero non poche correzioni in quello privato, per esempio, nel diritto di famiglia e nel diritto di successione. I suoi sostenitori anche loro dal nome di un suo allievo – Sabino – ebbero il nome di sabiniani.

Dei giuristi dell’epoca classica vanno nominati i più noti e più frequentemente citati nel Digesto di Giustiniano:

1. Un’attenzione a parte merita il già menzionato allievo di Capitone, Masurio Sabino, che aveva fatto carriera sotto l’imperatore Tiberio e aveva scritto la maggior parte delle sue opere sotto Nerone. Proveniente da una modesta famiglia plebea si guadagnava da vivere proprio con la sua pratica giuridica. Sabino è il primo cui era stato dato il ius respondendi (D.1.2.2.50). Solo sul declinare della vita egli era stato trasferito nell’ordine equestre; ma essendo povero era sostenuto economicamente dai suoi numerosi discepoli. La sua opera più nota, e la più citata nel Digesto, è un piccolo (in tre libri) lavoro “Diritto civile” (“Ius civile”) basato sul sistema dei commenti di Mucio Scevola alle leggi delle XII Tavole.

2. Publio Giuvenzio Celso: partecipe del complotto contro l’imperatore Domiziano nel 95 d. Cr. Sotto Adriano occupò una serie di cariche statali (pretore, console nel 129 d.Cr.), fu membro del consiglio imperiale. Autore di un digesto in 39 libri. Era ritenuto uno dei più spiritosi tra i giuristi romani. Gli appartiene la famosa risposta alla stupida domanda di un funzionario: «O sono io a non capire niente nella tua domanda, o è la domanda stessa ad essere stupida».

3. Salvio Giuliano, oriundo dell’Africa Settentrionale (la città di Adrumeto nell’odierna Tunisia). Sotto Adriano occupò una serie di cariche statali e fu anche membro del consiglio imperiale. Autore di un digesto in 90 libri e di “Quaestiones”; morì intorno al 169 d. Cr. Gli appartiene l’onore dell’edizione dell’“Editto perpetuo”.

4. Sesto Pomponio, autore del famoso saggio di storia del diritto romano, il numero delle sue opere è enorme. Pomponio visse al II s. d.Cr. sotto gli imperatori Adriano ed Antonino Pio. Le sue opere più importanti: a) commenti all’editto in 150 libri; b) commenti a Sabino in 35 libri; c) “Enchyridium”, manuale in un libro comprendente anche il famoso saggio di storia di diritto.

5. Gaio – probabilmente, come ritengono alcuni studiosi, da identificare con Gaio Cassio Longino – sabiniano, proveniente dall’Asia Minore, contemporaneo degli imperatori Adriano ed Antonino Pio, autore del famoso manuale di diritto romano, Istituzioni, ritrovato all’inizio del XIX secolo nella biblioteca del Duomo di Verona sul manoscritto con le lettere di San Gerolamo.

6. Emilio Papiniano, nato in Siria sotto Settimio Severo, fu prefetto del pretorio, aveva un’enorme influenza e autorità tra i giuristi. Giustiziato dall’imperatore Caracalla nel 212 per aver risposto all’ordine di compilare un discorso di assoluzione per l’imperatore che aveva ucciso il proprio fratello Geta: «È ben più difficile assolvere un assassino che diventarlo».

7. Giulio Paolo, prefetto del pretorio sotto l’imperatore Alessandro Severo (inizio del  III sec. d.  Cr.), scrisse più di 300 libri di cui in parte sono giunte a noi le cosiddette “Sentenze al figlio”.

8. Domizio Ulpiano, nato a Tiro in Fenicia. Autore dei commenti all’editto in 83 libri e dei commeti a Sabino in 51 libri. Ucciso nel 228 dagli infuriati soldati pretoriani nel tentare di stabilire la disciplina militare.

9. A terminare questa pleiade di giuristi classici sta Erennio Modestino, allievo di Ulpiano, greco di origine, che occupò la carica di prefetto dei vigili notturni; la sua attività si colloca nel periodo tra il 226 e il 244 d.Cr. Tra le sue opere vanno citati i 19 libri dei “Responsa”, i 12 libri delle “Pandette”, le “Regole” in 10 libri e “Distinzioni” in nove libri. Per primo tra i giuristi scrisse alcuni trattati in lingua greca.

Sono le opere di questi giuristi ad essere le più citate nel Digesto di Giustiniano. Come nota I. S. Pereterskij, gli studiosi hanno calcolato che le citazioni dalle opere di Giuliano, Pomponio, Gaio, Papiniano, Ulpiano, Paolo e Modestino occupano il 78% del volume complessivo dei testi del Digesto.

Il Digesto di Giustiniano è un indubbio monumento giuridico del VI secolo. Lo sta ad indicare il fatto stesso del lavoro della commissione di Triboniano per la selezione dei frammenti delle opere dei giuristi classici e per la loro unificazione in un testo sistematico generale. Va notato che spesso i frammenti dei giuristi, e perfino frammenti di giuristi diversi, sono riuniti in una sola frase, il che attesta come minimo una correzione stilistica e grammaticale dei testi dei giuristi classici da parte dei membri della commissione presieduta da Triboniano. Inoltre, molto spesso troviamo delle inserzioni fatte per chiarire alcuni termini ad uso di lettori poco istruiti, evidentemente studenti. Infine, va ricordato che il Digesto di Giustiniano è una raccolta giuridica che vigeva proprio nei ss. VI-VII d.Cr.; quindi i compilatori dovettero eseguire le necessarie correzioni. Gli studiosi trovarono nei testi delle citazioni dei giuristi classici numerose interpolazioni, cioè correzioni inserite dalla commissione per avvicinare le posizioni dei giuristi classici al diritto giustinianeo vigente. Per esempio, in tutti i testi la parola mancipatio fu sostituita con traditio, in ragione del fatto che l’istituto della mancipazione era stato sostituito da Giustiniano con la traditio (trasferimento). Siccome i giuristi classici erano pagani, mentre ormai l’impero era cristiano, è ovvio che il nome di Giove e le menzioni di qualsiasi altra divinità furono o cancellati o sostituiti con la parola “Dio”. Nel corso di molti secoli generazioni di studiosi, a cominciare da Cuiacio per finire con Mommsen, Krüger, Bonfante e molti altri, si sono occupate attivamente del rilevamento di interpolazioni di questo genere. Alcuni di loro avevano passato il limite dichiarando come interpolazioni molti testi degli stessi giuristi classici, il che è legato, in particolare, con lo sviluppo dell’ipercriticismo scientifico tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX. Nonostante questo, molte interpolazioni sono indubbie; le più significative sono annotate nelle edizioni di Mommsen, nonché nel libro di Otto Lenel sulla palingenesi del diritto civile.

L’originario manoscritto del Digesto non si è conservato; però disponiamo per fortuna del manoscritto quasi contemporaneo a Giustiniano databile nei secoli VI-VII. Questo manoscritto è noto sotto il nome di Codice Fiorentino (codex Florentinus). Evidentemente esso fu scritto da greci che vivevano in Italia. È noto che già all’inizio del XII sec. il manoscritto era conservato a Pisa. Il rinvio più antico a questo manoscritto è datato nel 1076, esso viene menzionato nel documento giudiziario della Lombardia. Tra gli altri manoscritti conservati solo quattro gruppo di frammenti dei testi del Digesto sono databili in tempo anteriore al IX secolo. Sono quattro brani del palinsesto Napoletano, sette frammenti su papiro della biblioteca di Pommersfeld a Bamberg, un papiro dalla collezione di Heidelberg e il papiro di Riland № 479[1]. Altri manoscritti hanno un’origine secondaria e sono datati nei secoli XI-XII e sono molto meno attendibili. Essi di solito vengono chiamati Vulgata o Littera Vulgata. La maggior parte di questi manoscritti, di regola, dividono il Digesto di Giustiniano in tre parti: la prima parte era chiamata “Digesto Vecchio” (“Digestum vetus”) ed abbracciava i libri 1-24 del Digesto; la seconda era chiamata “Infortiatum” e conteneva i libri 25-38; la terza aveva il nome “Digesto Nuovo” (“Digestum novum”) e includeva i libri 39-50. Secondo la regola generale dei glossatori i testi greci in questi manoscritti sono omessi, mancano anche i riferimenti al titolo dell’opera del giurista. La prima edizione a stampa del Digesto fu effettuata in tre libri separati: il “Digesto Vecchio” fu stampato da G. Klein a Perugia nel 1476, l’“Infortiatum” a Roma da Vito Puecher (Vitus Puecher) nel 1475 e il “Digesto Nuovo” sempre a Roma e dallo stesso Puecher nel 1477. Da allora è uscito un numero enorme delle varie edizioni dei testi del Digesto, però la migliore edizione scientifica è universalmente riconosciuta quella di Mommsen, che ha avuto 10 ristampe dal 1870 al 1908.

Per volume il testo latino del Digesto conta più di 160 fogli di stampa. La prima traduzione completa in russo è prevista in otto volumi nel corso degli anni 2001-2003. Sette volumi conterranno il testo latino con la traduzione russa a fronte delle sette parti del Digesto di Giustiniano. Nell’ottavo volume saranno raccolti articoli scientifici, commenti e diversi indici al testo del Digesto.

Nel presente volume sono pubblicate le Costituzioni introduttive e i primi quattro libri del Digesto di Giustiniano. Sono stati i soli testi non tradotti da Pereterskij. La traduzione di Pereterskij corrisponde a circa il 30% del volume ed è stata sottoposta ad una certa revisione: per esempio, la traduzione inadeguata del termine pactum con la parola russa “dogovor” (contratto) è stata dappertutto sostituita con la parola “soglašenije” (accordo) per evitare un ovvio nonsenso nelle frasi tipo ne ex pacto actio nascatur, che nella versione di I. S. Pereterskij suonerebbe come «dal contratto non nasce l’azione» (D.2.14.7.5). Inoltre molti termini latini lasciati senza traduzione da I. S. Pereterskij sono sostituiti con equivalenti russi. Il restante 70% del testo latino è stato tradotto dal gruppo di traduttori (storici e filologi classici): le Costituzioni di Giustinianoda L. L. Kofanov; il libro 1, titoli I-IX,da L. L. Kofanov; titoli X-XXII da A. L. Smyšliajev; il libro 2, titoli I-XV, da A. V. Ščogolev; il libro 3, titoli I-IV, da E. V. Liapustina; titoli V-VI da D. V. Afinoghenov; il libro 4, titoli I-IV e IX, da L. L. Kofanov; titoli V-VII da A. L. Smyšliajev; titolo VIII da D. A. Litvinov.

Il testo latino è quello dell’edizione: Corpus iuris civilis. Digesta. Rec. Th. Mommsen. Vol. I. Berolini 1908.

Nella traduzione russa le parentesi tonde sono usate per indicare le parole mancanti nell’originale latino ed aggiunte dal traduttore o dal redattore per una migliore comprensione del significato della frase; nelle parentesi quadrate sono incluse le interpolazioni introdotte, secondo gli editori del testo latino e di I. S. Pereterskij, nei testi dei giuristi classici dei secoli I-III d.Cr. dalla commissione giustinianea con a capo Triboniano. Nel testo latino la grafia delle lettere minuscole u e v e di quelle maiuscole U e V segue quella dell’edizione mommseniana, cioè com’era d’uso nel Medioevo. Allo stesso tempo viene osservata la grafia i e non j, nelle parole tipo ius, iubere ecc., com’era d’uso nell’antichità. Una gran parte delle note di Pereterskij alle sue traduzioni del Digesto è stata mantenuta anche se sottoposta e una certa revisione. Le minime note necessarie vengono fornite dagli autori della nuova traduzione del Digesto.

 

Ora vanno dette alcune parole sul contenuto del primo volume. Si inizia con la costituzione di Giustiniano “Deo auctore”, approvata il 15 dicembre 530, in cui l’imperatore si rivolge al questore Triboniano e parla della necessità della creazione di una raccolta di frammenti dalle opere dei giuristi romani. Questa raccolte in 50 libri, secondo Giustiniano, doveva diventare “il tempio della Giustizia” (Const. Deo, 5). In seguito l’imperatore istruisce Triboniano sul cosa e sul come si deve fare nel compilare questa raccolta. La seconda costituzione, datata 16 dicembre 533 d.Cr., chiamata “Omnem” è rivolto ai professori di diritto. In essa viene già constatato il fatto della creazione del Digesto e viene indicato che esso, insieme alle Istituzioni e al Codice giustinianeo, deve diventare il manuale principale per gli studenti di giurisprudenza. Dopo aver criticato il carattere caotico e sconnesso del manuale preesistente, Giustiniano spiega ai professori, quando e quali parti del Digesto devono essere presentate agli studenti. La prima parte in quattro libri andava insegnata agli studenti del primo anno, subito dopo le Istituzioni; l’imperatore propone di chiamare questi studenti “nuovi giustiniani”. Al secondo e terzo anno gli studenti dovevano studiare la seconda e terza parte del Digesto, intitolate rispettivamente “Dei giudizi” e “Delle cose”. Al secondo anno venivano anche studiati i singoli libri: “Della tutela e patronato”, “Dei testamenti” e “Dei legati e fedecommessi”. Sempre al terzo anno una speciale attenzione era rivolta allo studio delle opere di Papiniano, per cui gli studenti di quest’anno a volte venivano chiamati “seguaci di Papiniano”. Gli studenti del quarto anno, chiamati “liberati”, insieme ai “Responsa” di Paolo studiavano la quarta e la quinta parte del Digesto. Le parti sesta e settima erano destinate allo studio autonomo dagli studenti del quinto anno. Infine, nella costituzione “Tanta” approvato anch’esso il 16 dicembre del 533, l’imperatore si rivolge al senato e al popolo. Qui Giustiniano sottolinea l’enorme significato per la procedura giudiziaria della sistemazione di tutto il diritto romano e rivela il contenuto essenziale delle sette parti del Digesto; quindi loda Triboniano e indica i nomi di tutti i giuristi che avevano preso parte alla creazione del Digesto. In seguito vieta di utilizzare nei giudizi le edizioni dei giuristi antichi diverse dal Digesto, nonché di commentare e interpretare il Digesto in modo estensivo.

Parlando della lingua di queste costituzioni, va notata una certa enfasi e perfino ampollosità. Le frasi sono assai ingombranti e non prive di millanteria. Al contempo la grandiosità dell’opera di Giustiniano spiega pienamente l’esultanza dell’imperatore. Inoltre per il lettore contemporaneo può suonare insolita la denominazione che era in uso a quei tempi della sacra persona dell’imperatore con il pronome “noi”.

Il contenuto dei primi quattro libri che costituiscono la prima parte del Digesto chiamata da Giustiniano “Prota”, cioè “Principi”, è seguente.

Dapprima i compilatori del Digesto danno l’elenco di quasi tutti i giuristi romani e delle loro opere, citati nel Digesto. Indi segue il primo libro dedicato alle basi generali di diritto romano, alla sua storia e al diritto dei magistrati, composto di 22 titoli. Il I titolo contiene una serie di famose definizioni di diritto e giustizia, di diritto privato e pubblico. Vi si dà anche una breve caratteristica di diritto naturale (ius naturale), di diritto internazionale (ius gentium), dei particolari del diritto civile e di quello del pretore. Sono particolarmente famose la definizione del concetto “giustizia” (iustitia) e la spiegazione dei diversi significati del termine “diritto” (ius). Nel II titolo, contenente principalmente il famoso frammento dell’“Enchyridion” (“Manuale”) di Pomponio, viene esposta la storia dell’origine e dello sviluppo di diritto romano e degli istituti statali nel periodo da Romolo alla fine del I sec. d.Cr. Pomponio espone dettagliatamente anche la storia dell’insegnamento e dello studio del diritto romano. Molti famosi giuristi romani ci sono noti solo grazie alla sua descrizione. È un vero peccato che i compilatori del Digesto non continuarono questo saggio della storia del diritto romano di Pomponio, cosicché la sua descrizione si interrompe ai tempi di governo dell’imperatore Vespasiano, cioè l’81 d.Cr. In parte ciò attesta il carattere frettoloso del lavoro della commissione per la compilazione del Digesto.

I titoli III e IV del primo libro danno una generale caratteristica delle principali fonti del diritto ai tempi di Giustiniano: leggi, senatusconsulta, usi e costituzioni (decreti) imperiali. Qui vengono esposte delle riflessioni generali assai preziose sulle proprietà delle leggi, sulla loro distinzione dagli usi. Nei titoli V-VII si dà una caratteristica generale del diritto delle persone, si descrive la condizione giuridica degli schiavi, dei liberti, delle persone sui e alieni iuris. Nel VII titolo vengono considerati i modi e le conseguenze giuridiche dell’adozione. Nel titolo VIII si dà la caratteristica generale delle cose, delle loro diverse categorie e proprietà.

I titoli IX-XXII espongono in modo sintetico i diritti dei magistrati romani. Il contenuto dei titoli IX e X sui senatori e consoli attesta in pratica una estinzione dei poteri un tempo assai ampi di questi istituti statali. Nel titolo “Dei senatori” non si dice neanche una parola circa i loro obblighi, si tratta solo di diversi privilegi privati dei senatori e dei loro familiari. Degli obblighi dei consoli viene menzionata solo la procedura di rendere liberi gli schiavi. Con la stessa concisione vengono esposti gli obblighi dei pretori (XIV titolo). Ben più dettagliata è la descrizione degli obblighi del prefetto dell’Urbe (XII titolo) e nel modo ancor più completo si descrive la giurisdizione dei governatori delle provincie (proconsoli, legati e presidi: XVI-XVIII titoli). Sembra che proprio nelle mani di questi magistrati si sia concentrato l’effettivo potere giudiziario che integrava il potere giudiziario supremo dell’imperatore. Nel XXI titolo si tratta della possibilità di delegare i poteri di magistrato ai privati, e nel XXII dei poteri degli assessori (assistenti) dei magistrati.

Il secondo libro è dedicato per intero alle questioni della procedura giudiziaria romana. Nei primi tre titoli si esamina il carattere della giurisdizione dei magistrati giudiziari romani, della loro responsabilità per le decisioni giudiziarie adottate, nonché la responsabilità delle persone che non si siano sottoposte alla loro decisione. In seguito i titoli III-IX trattano la procedura del chiamare in giudizio, uno degli istituti più elaborati del diritto romano. Qui viene descritto dettagliatamente quali persone possono chiamare in giudizio, quali persone e in quali casi è proibito chiamare in giudizio. Poi si parla della responsabilità nel caso della mancata presentazione in giudizio, dei mezzi per garantire tale presentazione e così via. Successivamente, nel XII titolo, vengono indicati i giorni in cui non possono essere svolte le sedute giudiziarie, e nel XIII titolo si tratta del presentare la formula dell’azione al convenuto e della richiesta ai banchieri di presentare al querelante i conti riguardanti la sua causa. Il più voluminoso nel secondo libro è il XIV titolo “Dei consensi”, in cui vengono esaminati i casi in cui dal consenso è possibile presentare una querela. Nell’ultimo, XV titolo del secondo libro, sono esaminati vari casi degli accomodamenti effettuati sia prima, sia dopo l’emissione della sentenza giudiziaria, nonché il grado della loro influenza sulla sentenza e sulla sua esecuzione.

Anche il terzo libro è interamente dedicato alle questioni della procedura giudiziaria romana. Nel I titolo si tratta delle limitazioni nei diritti di muovere causa a nome proprio o altrui. Tali limitazioni riguardavano i minori, le donne, i sordi, i ciechi, i condannati, i disonorati, quelli che praticano un mestiere indegno ecc. Nel II titolo sono elencate le categorie delle persone riconosciute disoneste e perciò limitate nel diritto di presentarsi in giudizio. I titoli III-IV enumerano i diritti e gli obblighi, nonché le varie categorie dei causidici che difendono nel giudizio gli interessi delle corporazioni. Nel V titolo sono esposti diversi casi di trattaziona in giudizio di cause altrui senza un incarico. Infine l’ultimo, VI titolo del terzo libro, parla della responsabilità degli attaccabrighe i quali per una ricompensa inducono in inganno il giudizio a scapito di una delle parti.

Il quarto e ultimo libro di questo primo volume riguarda ugualmente la procedura giudiziaria romana e il diritto delle persone. Nel I titolo si tratta in generale della possibilità di una cassazione della sentenza giudiziaria e della restituzione della condizione di prima (restitutio). Il II titolo elenca i vari casi della cassazione della sentenza giudiziaria e della restituzione per la ragione che una delle parti agiva in giudizio o fuori di esso a proprio scapito per effetto della paura. Nel III titolo si tratta dei casi di una completa restituzione e della cassazione della sentenza giudiziaria dopo aver colto in dolo una delle parti. Il IV titolo parla dei numerosi casi dell’applicazione del diritto di cassazione della sentenza giudiziaria emessa contro i giovani all’età tra 14 e 25 anni e del riesame del caso a compimento di 25 anni di età. Il titolo successivo esamina i vari casi di diminuzione della capacità giuridica e le sue conseguenze per gli obblighi conclusi in precedenza da tali persone. I giuristi romani notano, in particolare, che di regola tutti gli obblighi precedenti perdono valore giuridico. In tal modo nei confronti dei minorati in capacità giuridica l’istituto della restituzione non veniva applicato. Nel VI titolo sono elencati i principali casi dell’applicazione della restituzione nei confronti delle persone al di sopra dei 25 anni, se loro al momento dell’adozione della sentenza giudiziaria sfavorevole mancassero perché svolgevano degli incarichi statali, o sotto l’influsso della paura, o perché imprigionati dal nemico. È considerata a parte la possibilità della restituzione in via giudiziaria della prescrizione del possesso della persona assente per ragioni giustificate. Nel VII titolo è esaminato tale caso dell’abuso di una delle parti della lite, come l’espropriazione malintenzionata della cosa oggetto della lite a favore del terzo. Di regola il pretore condannava in tale caso il colpevole o alla restituzione della cosa, o, se ciò non era possibile, alla responsabilità patrimoniale. Nel VIII titolo sono esposti gli obblighi dell’arbitro che poteva essere qualsiasi persona con capacità giuridica, compreso lo schiavo. Al contempo i giuristi romani notano che la sentenza dell’arbitro per le cause di competenza esclusiva dei giudici di Stato (per esempio, le cause penali) non aveva valore giuridico. Si nota inoltre che nel caso di rifiuto da parte dell’arbitro di emettere una sentenza il pretore può costringerlo a farlo. Nell’ultimo titolo viene esaminata la responsabilità dei padroni delle navi, degli alberghi e delle locande per il danno ai beni appartenenti ai loro clienti lasciati in deposito.

A conclusione di questa piccola rassegna va notato che se il primo libro ha un carattere generale, introduttivo, e considera anche i problemi del diritto dei magistrati, i successivi tre riguardano i problemi generali e particolari della procedura giudiziaria romana. Va notato che questi tre libri sono sistemati secondo il principio del commento, svolto dai giuristi romani, dell’Editto perpetuo, composto di singoli editti del pretore che stabilivano i principi generali delle sentenze giudiziarie nei vari casi tipici. Di regola ad ognuno di tali editti corrisponde un titolo dei libri 2-4 del Digesto.

 

 

Leonid L. Kofanov

Presidente del

Centro per gli studi di diritto romano

candidato a dottore in storia (PhD)

 

 

 

[Traduzione dal russo di Maria Celintseva, Università Statale di Mosca “Lomonosov”]