N° 2 - Marzo 2003 – Tradizione Romana

BRONISŁAW SITEK

Università di Varmia e Masuria

Olsztyn

 

 

Si creditor sine auctoritate iudicis res debitoris occupet. Un contribuito alla ricerca sul favor debitoris(*)

 

 

 

Sommario: 1. Premessa. – 2. Fattispecie descritte in Nov. 60. – 3. Stato giuridico. – 4. Soluzione. – 5. Soluzioni contemporanee del favor debitoris.

 

 

 

1. – Premessa

 

Uno dei temi del Colloquio è: La difesa dei debitori. Nell’argomento si tratta dunque dei regolamenti giuridici e delle iniziative legislative che servono per la difesa del debitore contro le alcune azioni del creditore. Favor debitoris, perché così erano definiti nel diritto romano i regolamenti giuridici che proteggono il debitore, fu il fenomeno tipico nel periodo post-classico. Nel diritto romano classico esisteva un equilibrio discreto tra la pretesa del creditore e la pietà verso il debitore. Secondo B. Biondi «Il diritto della obbligazione si sviluppa secondo una linea di protezione del debitore; ma per tutta l’epoca classica rappresenta un sapiente equilibrio tra la pretesa del creditore e la pietà verso il debitore»[1].

I rapporti tra il debitore e il creditore furono incrinati nel periodo post-classico al favore del primo. Al tale stato delle cose influirono i due fattori: l’economico e l’ideologico[2]. Secondo G. Pugliese «Questo favor per il debitore, da un lato, dipese con ogni probabilità da ragioni economiche inerenti al generale impoverimento, specie nelle province occidentali, onde la condizione dei debitori veniva resa dura, da un altro lato è ragionevolmente da mettere in rapporto col Cristianesimo e la sua diffusione»[3]. La dura sorte dei debitori nel periodo post-classico è stata documentata nella ricerca condotta da L. Mitteis[4]. L’autore ha segnalato dei casi di comportamento disumano dei creditori verso i debitori, che si manifestava anche nella prassi di vendere i figli del debitore o nel sequestro della sua tomba.

         Favor debitoris è un problema che comprende vari fili tematici che possono essere trattati da diversi punti di vista[5]. Per cui nella mia comunicazione desidero concentrarmi sull’analisi di un piccolo frammento della Novella 60 di Giustiniano, che include un regolamento giuridico riguardante le azioni abusive del creditore verso il debitore morente o verso la sua famiglia.

 

2. – Fattispecie descritte in Nov. 60

 

Il rapporto giuridico esistente tra il creditore e debitore nonostante tutta la sua semplicità, per via della drammaticità di una situazione concreta del debitore, può essere uno dei più complicati vincoli giuridici, come si vede dall’esempio mostrato nella Novella 60.

 

Nov. 60.1.pr. (Imp. Iustinianus Aug. Iohanni pp. Orientis secundo): Sancimus igitur, si quis illo superstite adhuc quem putat debere sibi ascendat domum eius et molestus sit superstiti homini aut qui eius sunt, uxori forte vel filiis aut domui omnio, aut etiam signacula per priopriam potestatem imponere praesumat non prius decreto et officio legali servato post eius, qui dicitur debere, mortem, actione quidem modis omnibus cadat, sive iustam habeat hanc sive non, quantum vero deberi sibi dicit, tantum aliud superexigatur et detur iniuriati heredibus; cofiscationem quoque in tertiam sunstantiae sustineat (sicut et Marcus philosophissimus imperatorum in suis conscripsit legibus) et infamia feriatur. Qui enim hominis naturam non erubuit, dignus est et pecuniis et gloria et aliis omnibus condemnari. …. (Dat. Kal. Decemb. CP. Imp. Dn. Iustiniani pp. Aug anno XI., p.c. Belisari v.c. anno secundo.)

 

Nella Novella 60 dell’anno 537, intitolata «Ut defuncti seu funera eorum non iniurientur a creditoribus. Et ut consiliari non suscipiant cognitions absque iudicibus», Giustiniano incluse disposizioni riguardanti il creditore che preme sul debitore morente. Un creditore dopo aver saputo che la morte si sta avvicinando al suo debitore decide di intraprendere le azioni per conto proprio. Con questo scopo si recò a casa del morente. Le azioni intraprese dal creditore si possono dividere in due gruppi: il primo fu definito con il verbo molestus sit.

Molestare significa tormentare, incomodare o importunare[6]. Si può allora immaginare che il debitore si sia messo accanto al letto del morente e abbia fatto ricorso a forme verbali di per mezzo di minacce o urla.

Il secondo tipo di azioni del creditore è rappresentato dal ricorso a mezzi simili verso i familiari, specialmente la moglie e i figli, del morente. L’inefficacia di tali mezzi determinò il fatto che il creditore si sia avvalso di altre azioni: cioè, sigillare gli oggetti che si trovavano nella casa del morente.

         Dal frammento citato non risulta una chiarezza assoluta negli altri elementi dello stato di fatto. Non si sa se, ad esempio, il debitore morente fosse moroso, o se il creditore abbia intrapreso le sue azioni nonostante che il credito non fosse ancora esigibile. In fine non si può definire l’ammontare del credito in relazione alle capacità finanzierie del debitore e se questo fosse il suo unico debito.

Il fatto che il creditore abbia sigillato beni del debitore lascia intendere che il debitore fosse proprietario di un patrimonio. Se ne può dedurre la conclusione che il debito non fosse esigibile e che lo scopo delle azioni del creditore fosse quello di mettere al sicuro i singoli elementi costitutivi del patrimonio prima che gli eredi subentrerebbero al morente nel possesso di questi elementi.

Tuttavia la situazione potrebbe essere diversa: cioè il debitore aveva debiti verso più creditori e nonostante il patrimonio che possedeva non fosse in grado di pagare per intero il suo debito. In questo caso, il creditore, di cui tratta Giustiniano, potrebbe essere il primo dei creditori ad avere informazioni sulla prossimità della morte del debitore, e volendo anticipare gli altri intraprese quelle azioni abusive.

A prescindere da quale supposizione risultasse esatta, le azioni del creditore furono abusive; come dice Giustiniano: non prius decreto et officio legali.

         La fattispecie sopra presentata mostra il dramma delle parti del conflitto. Da un lato, infatti, si trovava il debitore che, obbligato a restituire il debito, non adempì al suo dovere fino alla fine della sua vita. Dall’altra parte stava il creditore, che chiedeva soltanto ciò che gli spettava giustamente. Purtroppo, circostanze indipendenti dal creditore e dal debitore causarono che ambedue parti diventassero vittime della stessa situazione.

 

3. – Stato giuridico

 

Il ricorso alla forza da parte del creditore verso il debitore era stato regolato già nel periodo classico, come accenna Giustiniano: sicut et Marcus philosophissimus imperatorum in suis conscripsit legibus. Il frammento di Marco Aurelio è stato conservato negli scritti di Callistrato.

 

D. 48.7.7 (Call. 5 de cogn.): Creditores si adversus debitores suos agant, per iudicem id, quod deberi sibi putant, reposcere debent: alioquin si in rem debitoris sui intraverint id nullo concedente, divus Marcus decrevit ius crediti eos non habere. verba decreti haec sunt. " Optimum est, ut, si quas putas te habere petitiones, actionibus experiaris: interim ille in possessione debet morari, tu petitor es". et cum Marcianus diceret: " vim nullam feci": Caesar dixit: "tu vim putas esse solum, si homines vulnerentur? vis est et tunc, quotiens quis id, quod deberi sibi putat, non per iudicem reposcit. non puto autem nec verecundiae nec dignitati nec pietati tuae convenire quicquam non iure facere. quisquis igitur probatus mihi fuerit rem ullam debitoris non ab ipso sibi traditam sine ullo iudice temere possidere, eumque sibi ius in eam rem dixisse, ius crediti non habebit".

 

Nel frammento citato Marco Aurelio decide che l’unica via per rivendicare i propri crediti è la via legale: Creditores si adversus debitores suos agant, per iudicem id, quod deberi sibi putant, reposcere debent. Non è invece legittimo il ricorso agli altri modi di rivendicare i crediti da parte del creditore, e in particolare il ricorso alla forza: vim nullam feci.

         La soluzione proposta da Marco Aurelio si riferiva alle decisioni di prima: lex Julia de vi privata. Secondo Th. Mommsen[7] in origine vi furono le due leggi Giulie[8] la cui data non può essere stabilita in modo inequivocabile[9]. Con W. Vitzthum[10] si ammette che lex Julia de vi publica fu pubblicata da Giulio Cesare e quella de vi privata da Ottaviano Augusto.

La prima legge riguardava i delitti commessi contro l’ordine pubblico[11] come: l’impedimento agli ufficiali nell’adempire i loro doveri; la non ammissione del querelante davanti al giudice; il disturbare nell’esecuzione di una pena[12]; il suscitare torbidi sociali[13]; l’occupazione delle piazze pubbliche[14]; il convocare assemblee armate[15]; l’invadere con le armi pubblici edifici[16].

La lex Julia de vi privata riguardava le fattispecie seguenti: il ferire una persona[17]; il sequestro di una persona libera[18]; l’impendimento nella realizzazione in ius vocatio[19]; l’appiccare fuoco[20].

Secondo B. Santalucia[21] la base della separazione in due gruppi degli atti delittuosi suddetti riguardava soprattutto le modalità di attuazione degli atti delittuosi; vale a dire, vis publica è relativa ai delitti commessi con l’uso delle armi, vis armata, invece nel caso di vis privata si trattava di atti delittuosi commessi senza l’uso delle armi, sine armis.

         Nel testo di Callistrato, come nel testo della Novella 60, il creditore non applica la forza fisica, ma minaccia e intimorisce il debitore e i suoi familiari. Ecco perché nel testo di Callistrato si trova una spiegazione del concetto “ricorso alla forza”. Vis si verifica non solo quando il creditore usa la forza fisica, col risultato che il debitore ne risulta ferito: tu vim putas esse solum si homines vulnerentur? Alla categoria concettuale “ricorso alla forza” si riferiscono anche tutti gli altri modi del rivendicare i crediti da parte del creditore, tralasciando il giudice. Per cui sotto Marco Aurelio la via legale diventò l’unico modo di rivendicare i crediti: vis est et tunc, quotiens quis id, quod deberi sibi putat, non per iudicem reposcit.

         Secondo Marco Aurelio intraprendere azioni abusive da parte del creditore è un segno di disonestà, di mancanza del rispetto per la dignità del debitore o di assenza di pietà: non puto autem nec verecundiae nec dignitati nec pietati tuae convenire quicquam non iure facere. Non a caso, Marco Antonio fu un grande filosofo della corrente della filosofia stoica che professava tra altro l’aiuto per i deboli.

 

4. – Soluzione

 

La posizione del creditore verso il debitore morente è sempre difficile, poiché il creditore si trova davanti all’impossibilità di rivendicare ciò che gli spetta a ragione. Non sembra che la soluzione di Marco Aurelio, e tanto meno quella di Giustiniano, tendesse a privare il creditore del diritto giusto. Giustiniano nelle Istituzioni con tutta la fermezza ricorda una verità evidente: il dovere del debitore di restituire o di prestare ciò per cui si è obbligato; nello stesso tempo si tratta del diritto del creditore a rivendicare ciò che gli spetta giustamente.

 

I. 3.13.pr.: Obligatio est iuris vinculum, quo necessitate adstringimur alicuius solvendae rei secundum nostrae civitatis iura.

 

         La decisione di Marco Aurelio e Giustiniano tende però a privilegiare una via legale per la rivendicazione del diritto del creditore. Fu allora esclusa ogni possibilità di ricorso all’esecuzione forzata da parte del creditore, pure al cospetto della morte del debitore[22]. Questa soluzione radicale giustifica il tipo di punizione comminata da Marco Aurelio e in seguito recepita da Giustiniano.

 

D. 48.7.8 (Mod. 2 de poen.) Si creditor sine auctoritate iudicis res debitoris occupet, hac lege tenetur et tertia parte bonorum multatur et infamis fit.

 

         Marco Aurelio decise che il creditore che ricorre a una via fuori legge per rivendicare i crediti e che sequestra gli oggetti del debitore, senza un procedimento legale, deve essere punito con la confisca della terza parte del suo patrimonio e con una pena infamante. Giustiniano aggiunse la pena della perdita del diritto a presentare  querela contro gli eredi.

         La pena infamante sembra essere una pena aggiuntiva; Giustiniano la giustifica in questo modo: Qui enim hominis naturam non erubuit, dignus est et pecuniis et gloria et aliis omnibus condemnari. Anche se l’infamia del creditore fu imposta con una sanzione di legge, aveva le suoe radici nella mancanza di rispetto verso la natura umana da parte dello stesso creditore; poiché la morte del debitore è legata integralmente con la sua persona, gli si deve stima e rispetto per la sua dignità. Nessuna ragione autorizza il creditore a intraprendere azioni non solo abusive ma che attentano al “bene” di un essere umano, o usando parole moderne, ai diritti umani. Queste sono le ragioni che hanno ispirato la decisione di punire il creditore con pene che toccano la sua dignità, il suo buon nome e inoltre con pene patrimoniali o altre pene adeguate al peso del delitto, stabilite a discrezione del giudice.

 

5. – Soluzioni contemporanee del favor debitoris

 

La tendenza di Giustiniano all’osservanza della via legale nelle rivendicazioni, comprese le rivendicazioni dei crediti, ha resistito fino ai nostri tempi ed è diventata una caratteristica importante della cultura giuridica contemporanea. Tale stato legale, infatti, si verifica negli odierni sistemi legali europei. Per via delle limitazioni formali della comunicazione mi limito soltanto alla presentazione dell’applicazione del principio del legalismo nelle rivendicazioni dei crediti sulla base delle due legislazioni: quella polacca e quella italiana.

         Il legislatore polacco ha aderito alla concezione che la rivendicazione possa esperirsi solo per vie legali e non ammette la possibilità di ricorrere in questo campo all’esecuzione privata. Nell’art. 758 C.P.C. sta scritto chiaramente che i procedimenti esecutivi sono di competenza dei tribunali regionali e dei loro ufficiali giudiziari. Un ricorso ad altra via di rivendicazione è sottoposto alle sanzioni del Codice penale. Nell’art. 191 § 1. C.P. il legislatore ha stabilito che «chi ricorre alla forza verso una persona o a una minacca abusiva per constringe una persona fare, tollerare od ommettere qualcosa è punito con una reclusione fino a 3 anni». Nel § 2 del medesimo articolo il legislatore polacco ha stabilito che «se l’autore del delitto agisce nel modo definito nel § 1 per l’estorsione del pagamento del credito è punito con una reclusione da 3 fino a 5 anni».

         Il legislatore italiano ha regolato la questione del ricorso all’esecuzione privata nella rivendicazione in modo un poco diverso da come ha fatto il legislatore polacco. Nell’art. 474 C.P.C. scrive: «L’esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per diritto certo, liquido ed esigibile». Nell’art. 475 il legislatore italiano indica che forma può prendere un titolo esecutivo: «Le sentenze e gli altri provvedimenti dell’autorità giudiziaria e gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale». Tuttavia il titolo esecutivo deve essere indicato in una forma definita per cui nel seguito dell’articolo è stato stabilito: «per valere come titolo per l’esecuzione forzata, debbono essere muniti della formula esecutiva, salvo che la legge disponga altrimenti». Nel Codice Penale italiano non si trova una forma esplicita che proibisca di costringere alla restituzione dei crediti. Ma tale divieto risulta dall’art. 610 C.P. in cui il legislatore ha stabilito che: «chiunque, con violenza o minaccia, constringe altro o fare, tollerare od ommettere qualunque cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni». Allora la normativa è simile all’art. 191 § 1. C.P. polacco.

 

 

 

 

 



           

            (*) Comunicazione presentata al IX Colloquio dei romanisti dell’Europa Centro-Orientale e dell’Asia «La persona nel sistema del diritto romano. La difesa dei debitori. Studio e insegnamento del diritto romano» (Novi Sad 24-26 ottobre 2002), organizzato da: Pravni Fakultet u Novom Sadu (Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Novi Sad); Centro per gli studi su Diritto romano e sistemi giuridici del Consiglio Nazionale delle Ricerche; Gruppo di ricerche sulla diffusione del Diritto Romano.

           

[1] Istituzioni di diritto romano, Milano 1972, p. 341.

 

[2] I tempi di Giustiniano furono un periodo caratterizzato dal processo di pauperizzazione della società, specie in provincia. Una delle conseguenze di questo processo fu l’indebitarsi dei poveri a favore dei ricchi e il sorgere di parecchi abusi da parte di questi ultimi. Nel insegnamento cristiano il problema della disposizione dei beni nella società fu l’oggetto dei dibattiti già negli Atti degli Apostoli e, dopo, anche in numerose opere dei Padri della Chiesa. Uno degli aspetti significativi di questa corrente fu la liberalizzazione del contenuto del diritto di proprietà, in particolare per quanto riguardava l’utilizzo della stessa: ius utendi. I beni in proprietà dovevano essere utilizzate non escusivamente per le necessità del proprietario, ma questi doveva condividerli con i più bisognosi. Talia concezioni influirono anche nella liberalizzazione del contenuto del rapporto giuridico che esisteva tra il creditore e il debitore. Più in generale su quest’argomento vedi M.G. Mara, Proposte relative alla giustizia sociale: ricchezza e povertà nel cristianesimo antico. in Lo studio dei Padri della Chiesa nella ricerca attuale, Roma 1991, p. 564.

 

[3] Istituzioni di diritto romano, III. II periodo postclassico e giustinaneo, Padova 1988, p. 975

 

[4] Reichsrecht und Volksrecht in den östlichen Provinzen des römischen Kaiserreichs, Leipzig 1891, p. 456.

 

[5] Le risoluzioni giuridiche a favore del debitore si verificavano già nella repubblica. Tali possiamo considerarne: l’abolizione dell’esecuzione capitale del debitore a favore dell’esecuzione patrimoniale; l’introduzione del divieto di rivendicazioni da parte del creditore per il risarcimento danni ultra duplum; l’istituzione del beneficium competentiae, grazie a cui si poteva lasciare al debitore gli oggetti indispensabili al sopravivere od obbligare il creditore ad assumere una prestazione parziale. Costantino Magno vietò l’applicazione della lex commisoria o delle carcerazioni private nei confronti dei debitori. Giustiniano prolungò il tempus iudicati, cioè il periodo in cui il debitore doveva realizzare le decisioni del tribunale, fino ai quattro mesi. Più in generale su questo argomento vedi M. Marrone, Istituzioni di diritto romano, Palermo 1989, p. 192; B. Biondi, op. cit., pag. 342.

 

[6] Vedi J. Sondel, Słownik Łacińsko-Polski dla prawników (Il vocabolario latino-polacco per giuristi), Kraków 2001, p. 633.

 

[7] Römisches Staatrechts, pp. 128 e 645.

 

[8] La prova sono due diversi titoli dei Digesta: D 48.6 Ad legem Juliam de vi publica e D. 48.7 Ad legem Juliam de vi privata.

 

[9] Dio Cass. 54.10.1 e 6 si dichiara a favore della data del 10-16 p.C. La raccolta del materiale sotto unico titolo è databile all’inizio del periodo post-classico; ne è prova un frammento che si trova nel Collatio 9.2.1. Su questo argomento vedi C. Ferrini, Diritto penale romano. Esposizione storica e dottrinale, Roma 1976, p. 372.

 

[10] Untersuchungen zum materiellen Inhalt der lex Plautia und lex Iulia de vi, Diss. München 1966, p. 127.

 

[11] D. 48.6.7 (Ulp. 8 de off. Procon.).

 

[12] D. 48.6.10.pr. (Upl. 68 ad ed.); D. 48.6.8 (Maec. 5 public.); Paul. Sent. 5.26.3.

 

[13] D. 48.6.3.pr. (Marc. 14 inst.).

 

[14] Paul. Sent. 5.26.3.

 

[15] D. 48.6.3.pr. (Marc. 14 inst.), D. 48.6.1.pr. (Marc. 14 inst.)

 

[16] D. 48.6.3.pr. (Marc. 14 inst.); 48.6.10.pr. (Ulp. 68 ad. ed.)

 

[17] D. 48.6.10.1(Ulp. 68 ad ed.); 48.7.2.

 

[18] D. 48.6.5.pr. (Marc. 14 inst.).

 

[19] D. 48.7.4.pr. (Paul. 55 ad ed.).

 

[20] D. 48.6.5.pr. (Marc. 14 inst.).

 

[21] Diritto e processo penale nel’antica Roma, Milano 1998, pag. 198.

 

[22] L’esecuzione forzata fu vietata definitivamente nella legislazione imperiale C.Th. 9.10.3 = C. 9.12.7; C.Th. 2.26.2 = C. 3.39.4;  C.Th. 4.22.2 = C. 8.4.6; C.Th. 2.29.2.3 = C. 4.3.1. Vedi M. Kaser, Römisches Privatrecht, II, p. 41 nota 8; G.I. Luzzatto, Procedura civile romana, I, Bologna 1945/46, p. 133; G. Pugliese,  Il processo formulare, I, Roma 1947/48, p. 31.