N° 2 - Marzo 2003 – Tradizione Romana

Witold Wołodkiewicz

Università di Varsavia

 

 

Il favor debitoris nel diritto e nella giurisprudenza della Polonia*

 

 

La regola interpretativa favor debitoris non si trova nelle fonti del diritto romano, nelle quali appaiono abbastanza spesso le locuzioni in cui il sostantivo favor viene accompagnato alle descrizioni libertatis oppure testamenti[1].

Nonostante l’assenza di una locuzione favor debitoris nelle fonti del diritto romano ci sono diversi passi in cui la situazione del reo nel processo e descritta come più favorevole dell’attore. Si possono notare alcune regole processuali come:

 

Favorabiliores rei potius quam actores habentur (D. 50.17.125);

Ei incumbit probatio qui dicit, non qui negat (D. 22.3.2);

Reus in exceptione actor est (D. 44.1.1)[2].

 

Le regole citate illustrano in modo chiaro che nel processo (tanto privato che penale) il reo (cioè il debitore nel processo in personam) dovrebbe essere trattato più favorevolmente dell’attore, dal punto di vista dell’onere della prova. Tale soluzione si basa sulla presunzione che nel processo il reo è la parte più debole e perciò dovrebbe essere protetta in modo più efficace. Questo modo di pensare era già sostenuto da Aristotele[3]. Il brocardo medioevale in dubio pro reo mostra l’idea chiamata favor debitoris.

Simili problemi sono anche trattati negli odierni sistemi del diritto e della procedura civile. L’articolo 6 del Codice civile polacco del 1964 (che stabilisce la regola sull’onere della prova) e l’articolo 5 (che si occupa dell’abuso del diritto) possono essere interpretati come l’esposizione odierna della regola favor debitoris[4].

L’unificazione del diritto civile in Polonia si effettuò solo dopo la seconda guerra mondiale, negli anni 1945-1946. Le basi di quest’opera furono i lavori della Commissione per la codificazione creata in Polonia nel 1919, i cui lavori non vennero effettuati in modo integrale prima della seconda guerra mondiale. Negli anni della Seconda Repubblica, nel campo del diritto privato, furono unificati il codice delle obbligazioni (1933), il codice commerciale (1934) ed alcune altre leggi (ad es. sulle lettere di cambio e sulla procedura civile). L’unificazione del diritto civile in Polonia si effettuò negli anni 1945-1946, sulle basi dei lavori della Commissione per la Codificazione della seconda Repubblica. L’unificazione del diritto civile fu portata a termine il 1 gennaio 1947[5]

I successivi lavori di codificazione vennero effettuati negli anni ‘50 (nuova versione della parte generale del diritto civile e del diritto di famiglia, i quali unirono i vari decreti in materia di matrimonio, famiglia e tutela). L’ultima tappa della codificazione del diritto civile in Polonia fu la promulgazione nel 1964 dei due codici: il Codice civile e quello relativo alla famiglia ed alla tutela, che entrarono in vigore dal 1 gennaio 1965. Il codice del 1964 abolì anche in gran parte il Codice commerciale del 1934.

Il periodo in cui fu effettuata la codificazione del 1964 non era tanto favorevole per gli studi di diritto romano e per i concetti provenienti da questo diritto[6]. Ma il Codice civile polacco del 1964 fu abbastanza tradizionale tanto dal punto di vista delle sue strutture che dei singoli istituti. Molti istituti giuridici accolti nel Codice civile polacco del 1964 si sono basati su soluzioni formatesi sulla base della dottrina romanistica, anche se molti istituti presentavano i segni particolari di un regime totalitario, basato sull’economia pianificata del socialismo reale[7].

La caduta del socialismo reale (avvenuta in Polonia nel 1989) provocò dei nuovi problemi sociali, etici ed anche giuridici. In questo processo concorrono le idee dell’economia di mercato, trattata dal punto di vista puramente liberale, le reminiscenze dello Stato protettivo di tipo socialista, l’ideologia giusnaturalistica, nonché la dottrina sociale della Chiesa. Emersero nuovi problemi sociali e giuridici, dovuti anche alle aspirazioni d’appartenenza alle strutture europee.

Il processo della caduta e trasferimento del regime politico, spinto nel 1980 dal movimento “Solidarność”, ed interrotto nel dicembre 1981 per l’introduzione della legge marziale, condusse in fine, all’inizio del 1989, ad una specie di contratto sociale: la così detta “Tavola rotonda”. Le prime elezioni libere nel giugno 1989 abolirono il regime politico del socialismo reale. Il processo dei cambiamenti strutturali e costituzionali fu iniziato dal primo parlamento della III Repubblica, la così detta “Dieta contrattuale” e dal governo di Tadeusz Mazowiecki.

Dopo la caduta del socialismo reale, nella nuova situazione politico economica dello Stato democratico liberale, c’erano due possibilità di eseguire il processo di adattamento codice civile proveniente dall’altra realtà politico sociale ed economica:

1° la formazione di un nuovo codice civile (cosa necessaria in alcuni paesi ex socialisti, in cui il legislatore socialista si era distaccato in modo totale dalla tradizione civilistica europea, basata sui concetti provenienti dal diritto romano (ad esempio l’ex DDR e l’ex Cecoslovacchia).

2° attraverso gli emendamenti del codice esistente, eliminare alcuni regolamenti non adatti al nuovo sistema economico, politico e giuridico.

La Polonia scelse la seconda strada. Questo modo di procedere era possibile perché le strutture del Codice civile del 1964 erano abbastanza tradizionali, tali cioè da permettere di adeguare il codice alle esigenze di una nuova società in transizione dal sistema regolamentato del socialismo reale verso il sistema del mercato libero, senza doverlo abrogare. Diversi emendamenti del Codice civile del 1964, che furono effettuati a partire dal 1990 (negli anni 1990-2001 si possono contare 26 emendamenti al Codice civile[8]), cambiarono la sostanza di questo codice. Basterà citare alcuni esempi che hanno attinenza con la situazione dei debitori e dei creditori:

1º Una particolarità del diritto dei Paesi socialisti furono le clausole generali, volte a proteggere l’economia e il sistema socialista. Le clausole tradizionali, conosciute nel diritto romano, e poi recepite nel diritto civile moderno, come bona fides, aequitas, boni mores, erano presenti nel diritto polacco, codificato prima della seconda guerra. Il codice delle obbligazioni del 1933 stabilì all’articolo 135 (a proposito dell’abuso di diritto):

«Chi deliberatamente, o per negligenza, ha arrecato un danno ad altri, nell’esercizio di un suo diritto, è obbligato a risarcirlo se ha superato i limiti riconosciuti dalla buona fede o dallo scopo per il quale gli è stato attribuito il diritto».

Nella parte generale del diritto civile del 1950, l’art. 3 fu formulato così:

«Non si può fare di un proprio diritto un uso che danneggia i principi della convivenza sociale nello Stato popolare».

Nel Codice civile del 1964, nell’articolo 5, fu utilizzata invece (a proposito dell’abuso di diritto) una formula diversa:

«Non si può fare, di un proprio diritto, un uso che sia in contrasto con la sua funzione socioeconomica o con i principi della convivenza sociale nella Repubblica Popolare Polacca. Una simile azione (od omissione) del titolare non è da considerarsi esercizio del diritto e non è meritevole di tutela».

Il codice del 1964 conservò però la nozione della buona fede nell’articolo 7, che introduce la presunzione di buona fede. La nozione di buona fede appare anche nei diversi articoli dei singoli istituti giuridici, in cui si evoca la “buona fede” in modo diretto, oppure come divieto di “mala fede”. La cancellazione nel 1990 delle parole «propri della Repubblica Popolare Polacca», equiparò i “principi della convivenza sociale” ai principi generali dei moderni sistemi di diritto civile. Si discute, però, se non bisognerebbe tornare ad una formula tradizionale della “buona fede”. L’idea di tornare alla formula di bona fides, espressa tanto spesso nel diritto romano, potrebbe significare un segnale di ritorno alla tradizione romanistica. Ma in questa tradizione si potrebbe anche mettere la formulazione “principi della convivenza sociale”, dopo la cancellazione delle parole «propri della Repubblica Popolare Polacca». Nella giurisprudenza della Corte Suprema di Polonia, art. 5 del Codice civile serviva per proteggere il reo che in conformità a quest’articolo poteva opporre l’exceptio (anche ex officio da parte della corte) e non servire per costruire una azione da parte dell’attore.

2º Il Codice civile polacco del 1964 definisce l’obligatio in modo tradizionale, basandosi sulla tradizione romanistica. L’articolo 353 § 1 e 2 nota i seguenti elementi dell’obligatio:

Art. 353: «[§1] Nell’obbligazione il creditore può chiedere al debitore la prestazione, cui il debitore deve adempiere. [§2] La prestazione può consistere nel fare, oppure nel non fare».

Questo codice, seguendo le moderne tendenze della legislazione, non precisava le fonti delle obbligazioni in un articolo separato, come ad esempio aveva fatto il codice polacco delle obbligazioni del 1933[9].

3º Il Codice civile del 1964 – diversamente dal codice delle obbligazioni del 1933 – non ha introdotto il principio della libertà contrattuale. Questo era dovuto al fatto che gli enti dell’economia socialista furono costretti a stipulare i contratti in conformità alla pianificazione economica centrale[10]. Le parti furono anche costrette ad accettare il contenuto del contratto secondo le prescrizioni stabilite dagli organi dell’amministrazione statale[11]. Però la dottrina civilistica polacca evocava questo principio, in modo limitato[12]. Nel Codice civile del 1964, che proteggeva il sistema economico basato sulla regolamentazione dettagliata della vita economica, introdurre il principio della libertà contrattuale sarebbe stato contrario ai dogmi politici ed economici del socialismo reale.

Gli emendamenti al Codice civile del 1990 introdussero il principio della libertà contrattuale:

Art. 353: «Le parti concludendo il contratto possono regolare il loro rapporto giuridico secondo la propria volontà, finché il contenuto e lo scopo di questo rapporto non siano contrari alla natura del rapporto, alla legge ed ai principi della convivenza sociale».

Si potrebbe discutere se questa soluzione costituisca un ritorno al diritto romano. Le obbligazioni da contratto nel diritto romano classico si basavano proprio sul concetto del nominalismo contrattuale. Ma la formazione del moderno principio della libertà contrattuale si basa proprio sull’enunciazione dell’editto di pretore: pacta conventa servabo.

Nel sistema dell’economia pianificata della Polonia Popolare, fondamentalmente nel campo delle obbligazioni pecuniarie, era obbligatorio il principio nominalistico, inteso quale ius cogens (art. 358 §2 del Codice civile). Questo principio permetteva di contenere, nonostante la perdita di valore che la moneta nazionale subiva in continuazione, lo scontento sociale dei cittadini oberati da debiti (anzitutto edili). D’altronde era favorevole anche allo Stato, creditore per quanto riguarda le numerose forme di risparmio a fine predeterminato, anch’esse soggette a svalutazione. Pertanto il Codice civile del 1964 non si richiamò alla clausola rebus sic stantibus, conclamata  prima dall’art. 269 del codice delle obbligazioni.

La trasformazione del sistema politico ed economico produsse varie modifiche del diritto civile polacco, avviate sin dall’inizio del 1989. Però una svolta radicale arrivò soltanto con l’emanazione della legge 28 luglio 1990, che rivoluzionò la struttura e i principi del diritto civile vigente in Polonia. Alcune fra le varie modifiche, allora varate, si riferivano alle obbligazioni pecuniarie. Particolarmente importante è stata l’introduzione della rivalutazione, che limitò in sostanza l’impatto del principio nominalistico nell’esecuzione delle obbligazioni pecuniarie. Il principio fino ad allora in vigore, era espresso nell’articolo 358 § 2 del Codice civile che statuiva: «la prestazione pecuniaria viene eseguito per il tramite del pagamento della somma nominale». Questa soluzione si ricollegava al principio nominalistico, radicatosi nel codice delle obbligazioni del 1933.

Il nuovo articolo 358 del Codice civile (novella del 1990)[13] introdusse i principi seguenti:

«[§1.] Se oggetto dell’obbligazione nel momento del suo costituirsi è una somma di denaro, la prestazione viene eseguita a seguito del pagamento della somma nominale, a meno che le norme non statuiscano diversamente. [§2.] Le parti possono stipulare nel contratto che l’ammontare della prestazione in denaro verrà definita secondo un metro di valore diverso dal denaro. [§3.] In caso di un importante modifica del potere d’acquisto dopo il costituirsi dell’obbligazione, la corte può, ponderati gli interessi di ambo le parti, rispettando i principi della convivenza sociale, modificare l’ammontare o il modo di eseguire la prestazione in denaro, anche se questi fossero state definiti per sentenza o contratto. [§4.] L’esigenza di modificare l’ammontare o il modo di eseguire una prestazione pecuniaria non può essere avanzata dalla parte che gestisce un’impresa, se tale prestazione è legata alla gestione di tale impresa. [§5.] Le norme di cui al §§ 1, 2 e 3 non contrastano con le norme che regolamentano l’ammontare di prezzi e altre prestazioni pecuniarie».

La possibilità di rivalutare le prestazioni pecuniarie, introdotta con il nuovo art. 358 <1> del Codice civile, fece largamente breccia nel principio nominalistico. Tale possibilità può interpretarsi, a seconda delle circostanze, come manifestazione del favor debitoris ovvero del favor creditoris. In presenza di un’inflazione altissima nella prima metà degli anni 80, la rivalutazione imponeva per forza di aumentare le prestazioni che gravavano sul debitore. Fu quindi un esempio inequivocabile del favor creditoris. Per quanto attiene alla rivalutazione delle prestazioni, le competenze della magistratura sono tanto estese da permetterle di sottoporre a modifica ogni tipo delle obbligazioni, non soltanto quelle contrattuali. La giurisprudenza della Corte Suprema dal 1992 (peraltro diffusamente criticata nella dottrina) è favorevole a rivalutare persino le prestazioni già eseguite[14]. Alla luce di un’interpretazione del genere, il principio nominalistico, non cancellato dal codice, è lettera morta. Contraria a una interpretazione così estensiva della clausola che istituisce il principio di rivalutazione è tuttavia l’art. 12 c. 2 della legge del 28 luglio 1990 sulla modifica del codice civile. Si esprimeva, inoltre, il timore che la prassi liberale e antinominalistica della magistratura, tendente a rivalutare le prestazioni pecuniarie, contribuisse a mantenere alta l’inflazione e portasse a conseguenze sfavorevoli anzitutto per i debitori.

Il principio della rivalutazione nell’interesse del creditore venne attenuato dall’art. 358 § 4 del Codice civile, che vietò di rivalutare le obbligazioni pecuniarie a chi svolgeva un’attività economica in relazione alle prestazioni legate allo svolgimento di tale attività. All’origine di questa soluzione v’era un ragionamento prettamente politico: l’enorme indebitamento degli enti economici socializzati (nella maggioranza di proprietà statale) doveva portare, attraverso un peggioramento delle loro condizioni economiche, alla privatizzazione forzata degli enti in parola, impossibiliti a ricorrere alla rivalutazione.

5° La trasformazione delle obbligazioni contrattuali già esistenti può effettuarsi inoltre in virtù della clausola rebus sic stantibus, introdotta nel Codice civile con la novella del 1990. L’articolo 357 recita:

«[§ 1] Se a seguito di una straordinaria modifica di rapporti, l’esecuzione della prestazione fosse eccessivamente complicata ovvero gravida di perdite esorbitanti per una delle parti, senza che le parti l’avessero prevista nel momento della stipulazione del contratto, la corte può, considerati gli interessi delle parti, in conformità con i principi della convivenza sociale, determinare il modo in cui l’obbligazione debba essere eseguita, l’ammontare della prestazione ed anche dichiarare sciolto il contratto. Sciogliendo un contratto, la corte può, se necessario, pronunciarsi sulle prestazioni reciproche, in conformità ai principi suddetti. [§ 2] La richiesta di determinare il modo in cui la prestazione debba eseguirsi ovvero l’ammontare della stessa, non può essere avanzata dalla parte che dirige un’impresa, se la prestazione in parola è connessa con la gestione di tale impresa».

 

Il § 2 dell’articolo 357 è stato abolito in 1996[15]. Nella dottrina polacca l’introduzione della clausola rebus sic stantibus indusse a formulare dubbi se la possibilità di ricorrere a tale clausola non costituisse una violazione del principio fondamentale del diritto delle obbligazioni: pacta sunt servanda. Si invoca oggi questa regola come proveniente dal diritto romano. Le basi di questa regola provengono dall’editto di pretore che annunciava la protezione dei pacta conventa. Nel diritto romano classico la tutela dei patti (attraverso exceptio pacti) era diretta a proteggere i patti giusti dalla severità dello ius civile[16].

6° L’ultimo esempio in cui si può osservare la concorrenza fra favor debitoris e favor creditoris rispetto alle obbligazioni pecuniarie, è l’articolo 359 del Codice civile. Questo articolo contempla la possibilità di fissare gli interessi su base contrattuale. Il compito di fissare gli interessi legali e gli interessi massimi viene affidato al Consiglio dei Ministri, chiamato a varare norme esecutive in materia.

Fino al marzo 1989 si osservava una prassi, risalente ancora al periodo prebellico, che fissava gli interessi legali all’ 8% e quelli massimi al 12%. La liberalizzazione dell’economia, accompagnata da una fortissima inflazione e aumento degli interessi legali, portò nella prima metà degli anni 90 ad uno spettacolare aumento dei tassi. Nella seconda metà degli anni 90 e all’inizio del nostro secolo i tassi d’interesse legali sono stati abbassati[17]. Dall’anno 1989 il Governo cessò di stabilire il limite massimo degli interessi contrattuali. La piena libertà di fissare gli interessi massimi aveva lo scopo, fra altro, di indurre gli enti dell’economia socializzata a trasformare il proprio assetto organizzativo. Tali enti, essendo obbligati a contrarre prestiti ad alti tassi d’interesse, per le spese correnti e le retribuzioni dei dipendenti, andavano incontro ad un indebitamento sempre più insostenibile. Il fenomeno si rivelò tuttavia pericoloso anche per i singoli che intraprendevano in proprio un’attività economica. Ne è scaturito uno sviluppo, al di fuori di ogni controllo, di casse di prestito private e di agenzie di pegno, a volte legate a strutture mafiose e malavitose. Anche il diritto penale si rivela per ora incapace di affrontare il fenomeno in parola. La responsabilità penale degli usurai è praticamente nulla, indipendentemente dalla difficoltà di raccogliere prove convincenti[18].

È difficile dare una risposta univoca alo fine di stabilire se le regole interpretative del diritto civile polacco siano più favorevoli al debitore oppure al creditore. D’altronde il debitore non può essere ritenuto sempre la parte più debole rispetto al creditore. Lo schema di ragionamento che nel vincolo obbligatorio il debitore è più debole, è vero su scala macroeconomica. Questo si riferisce soprattutto ai debiti dei paesi poveri nei confronti dei paesi ricchi. La realizzazione della clausola favor debitoris nel trattamento dei paesi debitori da parte dei creditori potenti (Stati o corporazioni finanziarie) è condizionata però non dalle normative interne, bensì dai trattati internazionali e dagli accordi bilaterali. Diversamente su scala microeconomica. La tesi che la clausola favor debitoris sia più giusta del favor creditoris non sarà qui sempre vera.

Per supportare questa tesi ci possiamo servire degli esempi di sentenze delle corti e dei tribunali polacchi in riferimento ai regolamenti pecuniari tra creditori e debitori (nelle motivazioni di queste sentenze vengono citate talvolta le regole interpretative latine: pacta sunt servanda, favor debitoris, rebus sic stantibus).

Nella motivazione della sentenza della Corte Suprema (di Cassazione) del 1994[19], la Corte scrive: «Nella legge del 28 luglio 1990 che ha modificato il Codice civile in riferimento al problema dell’influsso del cambiamento di circostanze sull’obbligazione, il legislatore ha notevolmente attutito la severità del principio non scritto pacta sunt servanda, ripristinando nei rapporti obbligazionari la possibilità di applicare la clausola generale rebus sic stantibus. Inoltre, è stato limitato notevolmente il principio di nominalismo, perché le obbligazioni pecuniarie sensu stricto (nate sia dal contratto che da altre fonti) possono essere soggette alla valorizzazione in caso di un forte cambiamento del potere d’acquisto del denaro dopo la conclusione dell’obbligazione».

In un’altra sentenza del 1991[20] la Corte Suprema (di Cassazione) ha espresso il parere, che «la clausola rebus sic stantibus può stare alla base dell’azione dell’articolo 189 del Codice di procedura civile e per esempio ognuna delle parti del contratto d’affitto può esercitare un’azione, grazie a cui il contratto stipulato a tempo determinato sarà sciolto, prolungato o accorciato». Nella giurisprudenza della Corte di Cassazione il vigore della clausola rebus sic stantibus nel Codice civile, prima della modifica del 28 luglio 1990 non è mai stato univocamente riconosciuto. Si possono rilevare, però delle sentenze che tengono conto dell’impatto del cambiamento di circostanze sull’obbligazione. Da esempio può servire la sentenza del 3 febbraio 1984 in cui la Corte Suprema ha constatato che «l’azione per la riduzione delle prestazioni in arretrato è ammissibile».

In un’altra sentenza la Corte Suprema[21] dichiara che l’assicurante corre il rischio di assicurazione, e quindi la quota deve essere condizionata dalla sua valutazione del rischio. La Corte ha concluso che l’articolo 816 §1 del Codice civile costituisce una eccezione al principio pacta sunt servanda, e quindi non può essere interpretato in maniera estensiva. La Corte d’Appello ha constatato che l’aumento della quota può essere considerato giustificato sia se l’assicurante dimostrerà che ha preso atto delle circostanze che generano rischio più elevato in queste condizioni, che sono previste dall’articolo 816 del codice civile. La Corte della seconda istanza è giunta alla conclusione che l’attore non l’aveva dimostrato e non ha accettato l’opinione dell’attore che il tribunale non fosse abilitato a determinare se l’aumento della quota fosse stato giustificato o meno.

Nella sentenza della Corte Costituzionale del 1996[22] viene espresso il pensiero che «nelle situazioni dubbie – conformemente alla tradizione del pensiero giuridico europeo – occorre applicare l’interpretazione più favorevole al debitore (favor debitoris). Solo una tale interpretazione può, nel periodo di transizione, giovare alla costruzione della società civile, basata sulla solidarietà dei cittadini».

 

 

 



 

* Relazione presentata al “Colloquio dei romanisti dell’Europa Centro-Orientale e dell’Asia: La persona nel sistema del diritto romano. La difesa dei debitori. Lo studio e l’insegnamento del diritto romano”, tenutosi a Novi Sad (24-26 ottobre 2002) per iniziativa dei professori Antun Malenica (Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Novi Sad) e Pierangelo Catalano (Centro per gli studi su Diritto romano e Sistemi giuridici del CNR, Università di Roma “La Sapienza”).

 

[1] Cfr. BIA.

 

[2] Queste regole sono presenti fra le iscrizioni sulle colonne della Corte Suprema di Varsavia (colonne nr. 86, 80, 72).

 

[3] Problemata XXIX. 950b. 13.

 

[4] Art. 6 c.c. polacco del 1964: «L’onere di provare il fatto è a carico della persona che da questo fatto deduce gli effetti giuridici». Art. 5 c.c. polacco (con modifiche del 1990): «Non si può fare di un proprio diritto un uso che sia in contrasto con la sua funzione socio-economica o con i princìpi della convivenza sociale. Una simile azione (od omissione) del titolare non è da considerarsi esercizio del diritto e non è meritevole di tutela».

 

[5] Il primo atto dell’unificazione dopo la seconda guerra mondiale fu il decreto-legge del 29 agosto 1945, sulle persone. Poi sono state emanate le leggi sul matrimonio, sulla famiglia, sulla tutela, sui rapporti patrimoniali tra coniugi, sulle successioni, sui diritti reali e sui registri fondiari. Ultimo atto dell’unificazione fu il decreto-legge del 12 novembre 1946 sulle disposizioni generali del diritto civile.

 

[6] In Polonia le critiche all’insegnamento di diritto romano, prese dal punto di vista ideologico, non furono mai trattate in modo troppo serio (diversamente da quanto accade nell’ex DDR e nell’ex Cecoslovacchia). I civilisti polacchi (con qualche eccezione) hanno sentito la necessità della conoscenza delle radici romanistiche del moderno diritto civile. L’insegnamento del diritto romano si svolgeva nelle Università polacche in tutti gli anni del socialismo reale. Però in alcuni anni (1975-1981) quest’insegnamento fu molto ristretto. Questa limitazione ha suscitato le critiche, in particolare dei giuristi pratici. Cfr W. Wolodkiewicz, Il diritto romano nella cultura giuridica polacca, in Sodalitas. Scritti in onore di Antonio Guarino, vol 7, Napoli 1984, pp. 3389 ss.

           

[7] Cfr. W Wolodkiewicz, Il diritto romano quale fattore d’integrazione dei diversi sistemi europei (osservazioni sulla classificazione delle famiglie del diritto proposta da Réné David), in L’Europa e le sue regioni, a cura di Enzo Sciacca, Palermo 1993, pp. 305 ss.

 

[8] Negli anni 1964-1989 si possono enumerare invece solamente nove emendamenti.

 

[9] Codice delle obbligazioni del 1933, art. 1: «Le obbligazioni derivano da una dichiarazione di volontà, di fatti o da altri avvenimenti dai quali la legge fa derivare le obbligazioni». I legislatori polacchi del Codice civile polacco del 1964 furono contrari alla presentazione della classificazione delle fonti delle obbligazioni in un articolo a parte, mentre nel progetto del Codice civile del 1960, art. 308, optava per tale sistemazione. Ciò non significa, tuttavia, che il codice del 1964 non s’interessi di questo problema: il legislatore si era dovuto occupare del problema delle fonti delle obbligazioni nel trattare dei singoli gruppi di fatti giuridici da cui derivano le obbligazioni (libro III, titoli 3, 4, 5 e 6).

 

[10] Da vedere gli articoli 397-404 del c.c. (nella versione del 1964). Questi articoli sono aboliti nel 1990

 

[11] L’articolo 384 del Codice civile statuì che il Consiglio dei Ministri o altro organo dell’amministrazione centrale poteva eliminare i contratti tipici per gli enti dell’economia socializzata e nei rapporti fra questi enti e le altre persone (versione del 1964). Questo articolo fu abolito nel 1990.

 

[12] Cfr Z. Radwański, Prawo cywilne – część ogólna, 4 ed., Warszawa 1999, p. 242 nn.

 

[13] Novella al Codice civile del 28 luglio 1990 - Dziennik Ustaw (Gazzetta Ufficiale) 1990, N° 55, posizione 321. Le altre novelle, negli anni successivi, hanno cambiato profondamente il Codice civile del 1964.

 

[14] Cfr ad esempio la sentenza della Corte Suprema della Polonia del 20 marzo 1992, con una glossa di A. Szpunar, in OSP, 1992, posizione 118.

 

[15] La legge del 23 agosto 1996, Dz.U. nr 114, pos. 542.

 

[16] Cfr. O. Lenel, Edictum perpetum, 3 ed., Leipzig 1927, p. 64 ss.

 

[17] I tassi degli interessi legali e limite massimo degli interessi in Polonia

[Dal giorno]      [Interessi legali all’anno]      [Limite massimo degli interessi all’anno]

prima del 65                8%                                           12%

1.01.65                       8%                                           12%

22.03.89                   55%                                            66%

15.07.89                   99%                                          120%

1.11.89                               120%                                             -

1.01.90                   720%                                             -

1.02.90                   480%                                             -

1.03.90                               216%                                             -

1.05.90                               144%                                             -

1.07.90                     60%                                             -

1.12.90                                 90%                                             -

1.03.91                               140%                                             -

15.09.91                   80%                                             -

15.08.92                   60%                                             -

15.05.93                   54%                                             -

15.12.95                   46%                                             -

1.01.97                                 33%                                             -

1.02.99                                 24%                                             -

15.05.99                   21%                                             -

1.11.01                                 30%                                             -

15.12.01                   20%                                             -

15.07.02                   16%                                             -

 

[18] Art. 268 del Codice penale polacco del 1969: «Chi, approfittando dello stato di coazione di un’altra persona, stipula con essa un contratto che l’obbliga a una prestazione palesemente impari alla prestazione reciproca, e soggetta alla pena di privazione della libertà per un periodo di 6 mesi a 5 anni». Cfr. art. 304 del Codice penale del 1997. La privazione della libertà – fino a 3 anni.

 

[19] SN - III CZP 120/94 - OSNC 1995/4/55.

 

[20] SN - III CZP 115/91 - OSNC 1992/6/95.

 

[21] SN - II CKN 505/97 - OSNC 1998/6/103.

 

[22] La sentenza della Corte Costituzionale polacca del 19.XI.1996 (Nr K.7/95 –OTK 1996/6/49).