Testatina-Contributi2013

 

 

1318850340078ULTIMA RATIO: ALLA RICERCA DI LIMITI ALL’ESPANSIONE DEL DIRITTO PENALE  

 

GIAN PAOLO DEMURO

Università di Sassari

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SOMMARIO: 1. Ultima ratio regum. – 2. I fondamenti della riduzione al minimo dell'intervento penale. – 3. Il meta-principio del diritto penale come ultima ratio. 4. Meritevolezza e bisogno di pena. 5. L'operatività del principio: il controllo della Corte costituzionale. – 6. Una prospettiva sovranazionale: il principio di necessità della pena nel diritto dell’Unione europea. 7. La crisi del principio di ultima ratio. La "overcriminalization" in particolare negli ordinamenti di Common law. 8. La spinta alla criminalizzazione: a) l'ampliamento della gamma dei beni tutelati; b) la prevenzione quale paradigma penale dominante. – 9. Alcune possibili risposte: l'ancoramento dei beni giuridici alla realtà; il collegamento con le scienze empiriche; l'affermazione dell'offensività nella tipicità; la particolare tenuità del fatto. – 10. Per una riduzione dell’intervento penale: a) scelte di sistema; b) ripensamenti legislativi: modifiche, depenalizzazioni e abrogazioni; c) normativizzazione di categorie penalistiche; d) assetti amministrativi preventivi; e) riforma del sistema sanzionatorio; f) riparazione come alternativa alla pena.Abstract.

 

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1. – Ultima ratio regum

 

Quasi certamente ispirata da una frase del commediografo spagnolo Calderón de la Barca (1600-1681) che in una sua commedia definì le artiglierie belliche ultima razón de Reyes, l'espressione «ultima ratio regum» è storicamente legata all'incisione che recavano i cannoni francesi ai tempi del Cardinale Richelieu e di Luigi XIV; essa, volta al singolare «ultima ratio regis», fu poi fatta scolpire sui cannoni prussiani da Federico II.

In quel periodo il riferimento era alla forza delle armi come risorsa finale nei conflitti tra Stati: comunemente utilizzata oggi con il significato di "estremo rimedio" a cui si ricorre quando non vi siano altre vie, e dunque a voler indicare spesso la soluzione più dolorosa o più violenta, la formula "ultima ratio" ben si presta a essere affiancata al diritto penale, caratterizzato dall’impiego della sanzione più dura e distruttiva, la pena detentiva (o la pena di morte dove ancora esiste).

Fin dall’illuminismo, infatti, per il principio di ultima ratio il diritto penale deve rappresentare la soluzione estrema per la tutela degli interessi individuali e collettivi.

Una volta superato il fondamento teocratico del diritto penale – e spezzata conseguentemente l’identità tra reato e peccato – si aprì il varco per la ricerca di una legittimazione allo jus puniendi[1]. Se per Montesquieu ogni pena che non derivi dall’assoluta necessità è tirannica, Beccaria – coerente con la sua visione contrattualistica, che faceva da argine alle tendenze spiritualistiche e al retribuzionismo etico – nel Dei delitti e delle pene conferma il concetto affermando che «ogni atto di autorità da uomo a uomo che non derivi dall’assoluta necessità è tirannico», e fondando il diritto del sovrano di punire «sulla necessità di difendere il deposito della salute pubblica dalle usurpazioni particolari; e tanto più giuste sono le pene, quanto più sacra e inviolabile è la sicurezza, e maggiore è la libertà che il sovrano conserva ai sudditi». Il limite oltre il quale le pene cessano di essere giuste è dato dal vincolo necessario per tenere uniti gli interessi particolari[2]. Il postulato illuministico per il quale il di più di libertà soppressa costituisce abuso è ancora oggi – secondo la Corte costituzionale – un pilastro del nostro sistema penalistico: tutto sta a precisare questo di più in relazione alle misure limitative della libertà strettamente necessarie ad assicurare libertà, uguaglianza e reciproco rispetto tra i soggetti; nelle scelte criminalizzatrici, si tratta cioè  di limitare la libertà solo per quel tanto strettamente necessario a garantirla[3].

Beccaria approfondisce e allarga l'idea di Montesquieu secondo la quale la tolleranza diminuirebbe il numero dei delitti[4]. La dolcezza delle pene costituiva la migliore delle cure preventive: «Perché una pena ottenga il suo effetto basta che il male della pena ecceda il bene che nasce dal delitto, e in questo eccesso di male deve essere calcolata l'infallibilità della pena e la perdita del bene che il delitto produrrebbe. Tutto il di più è dunque superfluo e perciò tirannico»[5].

Ieri come oggi, quella che investe il diritto penale è però una scelta non solo di garanzia ma anche di razionalità. Beccaria indica l’opzione razionale del sistema nella proporzione tra i delitti e le pene: «Dunque più forti debbono essere gli ostacoli che risospingono gli uomini dai delitti a misura che sono contrari al ben pubblico, ed a misura delle spinte che gli portano ai delitti», con la precisazione dell’impossibilità «di prevenire tutti i disordini nell’universal combattimento delle passioni umane»[6]. E l’avviso al contenimento nella scelta del diritto penale come strumento di prevenzione dei delitti è contenuto in termini ancora attuali nella parte finale dell’opera di Beccaria. Tra le “false idee di utilità” rientra anche quella che la miglior risposta alla richiesta di sicurezza sia sempre l’opzione penalistica: il risultato è alla fine la creazione di «leggi non prevenitrici ma paurose dei delitti, che nascono dalla tumultuosa impressione di alcuni fatti particolari, non dalla ragionata meditazione degl’inconvenienti ed avantaggi di un decreto universale». Quando poi si anticipa troppo la soglia dell’intervento penale il rischio è la proibizione di «una moltitudine di azioni indifferenti», il che non solo non serve a prevenire delitti, «ma egli è un crearne dei nuovi, egli è un definire a piacere la virtù ed il vizio, che ci vengono predicati eterni ed immutabili». La vera prevenzione si realizza dunque – per Beccaria – con leggi “semplici  e “chiare”, che ottengano il massimo consenso nella popolazione e siano indirizzate a favorire gli uomini stessi piuttosto che le "classi" degli uomini. L’incertezza delle leggi provoca infine effetti diversi a seconda della società in cui cade: «se cade su una nazione indolente per clima, ella mantiene ed aumenta la di lei indolenza e stupidità»; se si cala poi «in una nazione voluttuosa, ma attiva, ella ne disperde l’attività in un infinito numero di piccole cabale ed intrighi, che spargono la diffidenza in ogni cuore e che fanno del tradimento e della dissimulazione la base della prudenza»; se cade infine «su di una nazione coraggiosa e forte, l’incertezza vien tolta alla fine, formando prima molte oscillazioni dalla libertà alla schiavitù, e dalla schiavitù alla libertà»[7].

Il significato garantistico del principio di ultima ratio come espressione della lotta all’Ancien Règime si ritrova poi nel Plan de législation criminelle di Jean Paul Marat, quando tra i principi fondamentali di una buona legislazione afferma che non basta che le leggi siano giuste, chiare e precise, ma è necessario ricercare anche il mezzo migliore per farle osservare, e qui il principio di proporzione impone di punire le condotte che minacciano di distruggere la società e non quelle che semplicemente la disturbano[8]. Nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 il principio di stretta necessità dell’intervento penale viene posto accanto e prima dei principi di legalità e di irretroattività (art. 8): «La Loi ne doit établir que des peines strictement et évidemment nécessaires, et nul ne peut être puni qu'en vertu d'une Loi établie et promulguée antérieurement au délit, et légalement appliquée».

Il significato utilitaristico del principio del diritto penale come ultima ratio si rinviene in Bentham, secondo il quale la pena, come mezzo di compensazione negativa della proficuità del delitto, trova esclusiva legittimazione nella sua utilità e nella sua economicità, con i corollari per cui la pena non deve essere inflitta quando sarebbe a) inefficace, b) superflua, c) troppo costosa[9].

Una sorta di sintesi di questi postulati e una espressa menzione del principio di necessità della pena sarà ancora tentata da Gian Domenico Romagnosi, che «Volendo quindi raccogliere le condizioni essenziali onde effettuare il legittimo magistero penale», sostiene che «la pena debb'essere giusta nel suo oggetto; necessaria nel suo motivo; moderata nella sua azione; prudente nella sua economia; e per quanto si può certa nella sua esecuzione»; e chiarisce che la necessità va intesa nel senso che «non se ne possa far di meno atteso che ogni altro mezzo non penoso riescirebbe frustraneo»[10].

L’idea della riduzione al minimo del diritto penale rientrerà infine tra i principi della moderna scienza penalistica in Carrara e Von Liszt.

Nel § 17 del capitolo primo del Programma del corso di diritto criminale si legge che «La crescente civiltà di un popolo e la allargata sua libertà dovrebbero essere potente ragione di diminuire gradatamente il numero delle azioni dichiarate delitti». E descrivendo un fenomeno anche di oggi, Francesco Carrara aggiunge: «Ma invece cresce tra noi la manìa di moltiplicarne il numero per ricorrere al periglioso rimedio del magistero penale contro azioni che i veri caratteri di delitto non avrebbero; e avverso le quali i padri nostri si appagarono di altri modi di prevenzione»[11]. Carrara dichiara di accettare completamente la formula di Ellero: «Doversi punire solo quelle azioni che violano o tendono a violare gli altrui diritti, allorché questi non si possono in altro modo assicurare, e la punizione non implichi maggior danno della impunità»[12].

Nella ricerca di alternative la spinta più forte e originale venne dall'indirizzo positivista e in particolare dalla teoria dei "sostitutivi penali" di Enrico Ferri, che, partendo dal presupposto della quasi totale indipendenza dei reati dalle pene, parlava di «mancata previdenza e provvidenza dei legislatori, che si addormentano nella comoda illusione che basti il codice penale contro la fiumana dei delitti, come credono che basti una commissione d'inchiesta per rimediare ad altre piaghe sociali»; proponeva pertanto di intervenire sui "fattori del crimine", in particolare sociali, per influire in modo indiretto sull'andamento della criminalità. Accanto a rimedi pratici – che oggi parrebbero singolari – come la sostituzione della "moneta metallica" alla "carta monetata" o l'aumento delle retribuzioni dei funzionari pubblici per disincentivare le corruzioni, nel lunghissimo elenco di sostitutivi penali rientravano riforme più profonde, come un assetto economico improntato al libero scambio o  un sistema tributario davvero proporzionato. D'altro canto Ferri riconosceva al diritto penale il ruolo di ultimo ma essenziale strumento di tutela[13].

Infine, nel paradigma lisztiano «la pena è una spada a doppio taglio: tutela di beni giuridici attraverso la lesione di beni giuridici» il diritto penale è un mezzo lesivo (dei beni del delinquente) finalizzato a uno scopo di tutela (dei beni della collettività). In questa prospettiva, l’idea dello scopo esige: «a) l’adeguamento del mezzo al fine e b) la massima economia nella sua utilizzazione»[14], e von Liszt dichiara fedeltà all'ideale illuministico: «il diritto penale è il potere punitivo dello Stato delimitato giuridicamente. Delimitato giuridicamente nei presupposti e nei contenuti: delimitato giuridicamente nell'interesse della libertà individuale».

 

 

2. – I fondamenti della riduzione al minimo dell’intervento penale

 

Il principio di ultima ratio del diritto penale esprime l’esigenza che la pena, l’arma più forte a disposizione dell’ordinamento e quella che più pesa sui diritti fondamentali della persona, rappresenti solo la misura estrema di controllo sociale[15]: la sua applicazione, infatti, comporta conseguenze e costi tali, sia per i singoli che per la società, da richiedere speciali garanzie giuridiche[16]. Il legislatore penale, pertanto, può minacciare di pena solo quei comportamenti la cui punizione è strettamente necessaria affinché non vengano messi in pericolo o non siano violati interessi fondamentali del singolo o della collettività[17]. 

La riduzione al minimo dell’intervento penale una sorta di “stato di necessità”, quando lo Stato o la società non sanno aiutarsi altrimenti[18] è imposta da una serie di argomenti, normativi ed empirici[19].

Dal punto di vista normativo, l’idea di limitazione è legata all’esigenza che in uno Stato di diritto i divieti penali siano contenuti in provvedimenti formali (legislativi)[20]: oltre al principio di legalità formale, anche gli altri principi garantistici (colpevolezza e offensività) vanno nella direzione di una riduzione al minimo dell’intervento penale. Così come analoga esigenza viene in luce sia dalla prospettiva di uno Stato liberale (“in dubio pro libertate”), che da quella dello Stato sociale (che innanzitutto aiuta, e poi reprime)[21].

Sotto il profilo empirico, si osserva innanzitutto che l’efficacia della reazione alla criminalità è dettata soprattutto dall’apparato di controllo, uomini e mezzi, ancor più che dall’introduzione di nuove e più gravi fattispecie[22]. L’inserimento nel sistema penale di nuovi reati richiederebbe peraltro un’analisi dei costi necessari per rendere effettiva ed efficace la loro applicazione. Un altro argomento empirico che parla per una limitazione dell’intervento penale muove dal paragone del diritto penale con una spada, il cui filo si deteriora per l’uso eccessivo: così l’impiego eccessivo del diritto penale determinerebbe un’usura che lo indebolirebbe poi nei casi nei quali è davvero necessario[23]; inoltre un uso sproporzionato (e magari confuso) ne diluirebbe di molto la stessa forza "morale". La criminologia infatti insegna che un effetto collaterale al processo di iper-criminalizzazione è proprio la minaccia alla funzione sociale del processo di criminalizzazione, cioè al riconoscimento sociale del disvalore di alcune condotte[24]: più che a un'intensificazione della repressione, l'eccesso di criminalizzazione può portare a un intorbidamento generalizzato della normazione penale, con la possibile confusione tra le sfere del lecito e dell'illecito[25]. Ancora: la criminalizzazione rappresenta spesso una promessa non mantenibile, per la mancanza di mezzi per la sua applicazione; il diritto penale aumenta così quantitativamente, si deteriora qualitativamente e perde infine in credibilità.

Il principio di ultima ratio trova dunque giustificazione anche dal punto di vista socio-economico, perché, a partire dalla minaccia della pena, proseguendo con le modalità processuali per l’accertamento della responsabilità, e poi ancora con la fase dell’esecuzione, l’utilizzo dello strumento penale comporta costi economici e sociali tali da dover essere limitato a fatti dannosi assolutamente non contrastabili altrimenti[26]. Inoltre la ipercriminalizzazione comporta una divisione delle risorse e dei mezzi che potrebbe andare a scapito del perseguimento dei reati più gravi[27].

Infine, sempre sotto un profilo sostanziale, affermare e difendere il principio di ultima ratio significa anche evitare la confusione tra finalità del diritto penale e finalità delle sue conseguenze giuridiche, cioè le pene: significa evitare l'irrigidimento sul fine preventivo e valorizzare invece la complessa trama di interessi, della comunità, della vittima e dell'autore, di cui deve tener conto il diritto penale[28].

Individuata l’origine storica del principio di ultima ratio nell’illuminismo riformatore e nella filosofia utilitaristica, e inserito nella prospettiva liberale del diritto penale[29], al principio viene assegnato oggi anche un fondamento costituzionale. Esso è ravvisabile nell’art. 13, dove si afferma che la libertà personale è inviolabile e può essere limitata solo nei casi e modi previsti dalla legge (una riserva dunque assai più rigorosa di quella espressa in tante altre disposizioni costituzionali, che semplicemente richiamano la legge senza ulteriori specificazioni). E un’indicazione si può trarre anche dal principio di legalità, espresso nell’art. 25 comma 2, visto che a esso non è estraneo il tentativo di riduzione degli illeciti penali attraverso la formalizzazione della loro previsione, secondo il principio appunto che considera il sistema penale extrema ratio di tutela di beni giuridici[30]. Più in generale il fondamento costituzionale del principio è intrinseco nella natura pluralistica e nel carattere di tolleranza che permeano tutto il quadro delineato dalla nostra carta fondamentale.

 

 

3. – Il meta-principio del diritto penale come ultima ratio

 

L'idea del diritto penale come ultima ratio rappresenta un meta-principio, che riceve alimento e vigore dall'esistenza e dal rispetto di altri principi fondamentali del nostro ramo del diritto.

Innanzitutto il principio di ultima ratio resterebbe mera (seppur vitale) aspirazione garantista e razionale se non fosse collegato con il principio di proporzione[31].

Il principio di proporzione – nella filosofia del diritto elemento imprescindibile dell’idea di giustizia – si specifica in campo penale nella proposizione per cui una reazione per essere legittima deve essere proporzionata alla condotta offensiva. Nella logica costi-benefici, il principio esprime l’esigenza che i vantaggi che la società si attende dalla comminatoria penale (prevenzione di fatti socialmente dannosi) siano idealmente confrontati con i costi immanenti alla previsione della pena, in termini sociali, economici e individuali, di sacrificio per i beni della libertà personale, del patrimonio, dell’onore, ecc.[32]. Il principio di proporzione trova a sua volta specificazione nel principio di meritevolezza: essendo il bene colpito dalla sanzione penale, la libertà personale, un bene di rango primario, anche il bene offeso dal crimine deve essere ugualmente un bene costituzionale primario[33]; o ancora – al di là della prospettiva costituzionale, che potrebbe non essere più esauriente – solo offese abbastanza gravi arrecate a un bene giuridico sufficientemente importante meritano il ricorso alla pena[34].

Se anche poi una condotta venisse ritenuta penalmente rilevante, ciò non significa automaticamente scelta dello strumento penale. È bene infatti compiere tre ulteriori valutazioni: di efficacia, di effettività e di necessarietà.

La prima valutazione è il rispetto del principio di efficacia della tutela: occorre cioè che la pena sia in grado di produrre un effetto reale di prevenzione generale, che possa trovare dunque conferma la massima di esperienza secondo cui la previsione di un fatto come reato comporta di per sé un’automatica diminuzione numerica di quel fatto nel mondo degli accadimenti sociali[35].

La seconda considerazione è ispirata al principio di effettività del diritto penale. Nell’accezione della nostra dottrina, esso varrebbe come «idoneità, ‘scientificamente’ prognosticata ex ante - empiricamente verificata ex post, del mezzo-pena a inibire comportamenti socialmente disfunzionali realizzando un utile sociale apprezzabilmente superiore al danno sociale che produce (emarginazione, diseconomie produttive, costi economici stricto sensu[36].

Il terzo vaglio è una verifica aggiuntiva (una sorta di condizione sospensiva[37]): che cioè non esistano altri mezzi che raggiungano la medesima o prossima efficacia della sanzione penale, vale a dire sanzioni giuridiche (civili o amministrative[38]), sanzioni sociali, e perfino la difesa privata. Oltre che “proporzionata”, cioè “meritata”, la pena deve dunque rispondere al principio di necessarietà: e tale necessità va valutata anche rispetto a fatti di notevole gravità (dunque di per sé “meritevoli” di pena), perché potrebbe accadere che l’effetto dissuasivo possa essere raggiunto con interventi di politica sociale o con sanzioni meno invasive della pena[39]. In questo senso l’intervento penale è anche sussidiario, proprio perché richiama l’idea di un "aiuto" quando altri mezzi non siano in grado da soli di raggiungere l’obiettivo di tutela[40].

Oltre che in questa accezione per così dire “esterna”, la sussidiarietà può essere intesa da un punto di vista "interno" alla sfera penale, intendendo l’esecuzione effettiva della sanzione privativa della libertà personale (la detenzione) come rimedio estremo, accanto ad altre sanzioni penali egualmente disponibili[41]. Anche recentemente si è osservato come appaia problematico fissare requisiti che rendano la pena detentiva rispondente, senza riserve, alla salvaguardia della dignità umana, poiché la detenzione comprime pur sempre (nonostante ogni opportunità rieducativa) un aspetto intimamente connesso all'umano, vale a dire la possibilità che è propria di ogni individuo di coltivare le sue potenzialità esistenziali. Dalla problematicità strutturale del rapporto fra reclusione e rispetto della dignità umana – non superabile nemmeno evitando il sovraffollamento penitenziario, che pure renderebbe almeno più credibile la finalità rieducativa[42] – deriva l'esigenza di una verifica circa l'ambito in cui il ricorso alla pena detentiva risulti davvero necessario, come pure circa i limiti politico-criminali di una strategia penalistica che continua a essere fondata, in Italia, sul carattere pressoché egemone del ricorso al carcere tra le pene «principali», ai sensi dell'art. 17 c.p.[43].

In altre parole, si tratta di ripensare le modalità della risposta edittale ai reati delineando strategie preventive meno simboliche e più efficaci rispetto a quelle tipiche del diritto penale tradizionale[44]. Sarebbe dunque necessario non trascurare che i sistemi penali contemporanei si servono di strumenti sanzionatori a diverso grado di invasività: fermo lo stigma della condanna e dello stesso percorso giudiziale, è evidente che una certa flessibilità del sistema va tenuta in conto nel tracciare le concrete dimensioni dell’intervento penalistico[45].

All’idea di ultima ratio si perviene dunque seguendo un percorso lastricato di altri principi.

Corre parallelo all’idea base di ultima ratio anche il c.d. principio di frammentarietà[46]. Esso opera sotto tre profili: a) alcune fattispecie di reato tutelano il bene non contro ogni aggressione proveniente da terzi, ma soltanto contro specifiche forme di aggressione (così avviene per esempio nei delitti contro il patrimonio); b) l’area di ciò che rileva penalmente è molto più limitata rispetto all’area di ciò che è qualificato antigiuridico alla stregua dell’intero ordinamento; c) infine, la sfera di ciò che rileva penalmente non coincide con ciò che è moralmente riprovevole. Sotto tutti i profili, la frammentarietà, contrapposta a un sistema chiuso e totalizzante di tutela, contribuisce a esaltare l’ispirazione liberale del moderno diritto penale[47].

L’idea di fondo che traspare da tutti questi principi è che mentre in passato la limitazione del diritto penale era strumento di difesa contro poteri forti, e dunque nasceva con un significato di garanzia, oggi a questo si aggiunge un’esigenza interna allo stesso sistema penalistico, quella di razionalizzare e così magari rivitalizzare i propri spazi di intervento: limitazione significa maggiore efficacia, superiore chance di rendimento.

Di fronte a una realtà normativa che – come subito vedremo – va in senso opposto, il concetto di ultima ratio è talora inteso in misura più ampia[48]. Si dovrebbe optare per la sanzione penale non solo nei casi di stretta necessità, ma anche tutte le volte che la funzione stigmatizzante (disapprovante) propria della pena nelle fasi della minaccia e della applicazione serva per una più forte riprovazione della condotta criminale, e dunque per una più energica riaffermazione della rilevanza del bene tutelato; in altre parole, nei confronti dei destinatari misure extrapenali potrebbero rivelarsi sì idonee ma meno “screditanti” di fronte alla pubblica opinione, e dunque inefficaci a rafforzare nei consociati il rispetto di beni particolarmente bisognosi di protezione.

Questo punto di vista ben descrive come oggi è nella pratica inteso il ruolo del diritto penale. Ma una concezione estensiva del principio di ultima ratio è una contraddizione in termini: il suo allargamento è null’altro che il subentrare di altri principi, estranei alla sua logica. Ben si giustifica dunque la critica dottrinale[49], che pur non sottovalutando la funzione di orientamento culturale connessa alla minaccia della sanzione penale né il suo ruolo simbolico nella riaffermazione del bene tutelato, mantiene ferma la concezione ristretta. Un eccessivo insistere sul ruolo simbolico del diritto penale potrebbe infatti portare a una corrispondenza necessaria tra rango del bene e risposta penale, ribaltando il tradizionale assunto che non sempre il rilievo costituzionale del bene si traduce in obbligo di penalizzazione[50]. Inoltre la concezione originaria e ristretta rende impellente la ricerca di alternative tecniche extrapenali, consentendo un raffronto esente da pregiudizi sulle effettive chances di tutela offerte dai diversi rami dell’ordinamento giuridico.

Vanno sottolineati infine due profili: la spinta all'ultima ratio proveniente dagli stessi principi fondamentali di garanzia; la derivazione dell'eccesso di diritto penale sia dalla c.d. criminalizzazione primaria (quella posta in opera dal legislatore) sia dalla c.d. criminalizzazione secondaria (l'applicazione giurisprudenziale).

Già si è detto del contributo dello stesso principio di legalità – con la sua necessaria formalizzazione dei precetti – per la riduzione al minimo dell'intervento penale. E nell'ambito del principio di legalità, un ruolo fondamentale per questa limitazione spetta a un suo corollario, il principio di precisione (o determinatezza): esso infatti pone a carico del legislatore l'obbligo di formulare nella maniera più precisa possibile la norma incriminatrice, allo scopo anche di limitare gli spazi di discrezionalità dell'autorità giudiziaria, che il principio della divisione dei poteri vuole preposta alla sola applicazione della legge[51]. La funzione selettiva del principio di precisione si rivolge poi all'interprete, precludendogli di attribuire alla norma significati sì compatibili con il tenore letterale del divieto o del comando, ma che gli conferirebbero contorni inguaribilmente imprecisi[52]. La funzione di limite al sistema penale del principio di precisione è stata sottolineata dalla stessa Corte costituzionale, che gli ha assegnato il ruolo di «presidio della libertà e della sicurezza» del cittadino, il quale solo in «leggi chiare e precise, contenenti riconoscibili direttive di comportamento» può «trovare, in ogni momento, cosa gli è lecito e cosa gli è vietato»[53].

Il rispetto del principio di ultima ratio e la connessa riduzione dell’intervento penale potrebbero, e dovrebbero, semplicemente risultare un effetto riflesso dell’applicazione, sul piano legislativo e giurisprudenziale, di altri principi fondamentali oltre a quello di legalità, quali in particolare quelli di offensività e colpevolezza. Tali principi svolgeranno quest'opera di riduzione innanzitutto quali criteri guida nella selezione dei fatti penalmente rilevanti e successivamente nell'applicazione giurisprudenziale, concretizzando una sorta di principio di ultima ratio in action, con l'autorevole avallo della stessa Corte costituzionale.

La doppia incidenza del principio di offensività rappresenta infatti un assunto comune nelle pronunce della Consulta: «il principio di offensività opera su due piani, rispettivamente della previsione normativa, sotto forma di precetto rivolto al legislatore di prevedere fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo o, comunque la messa in pericolo, di un bene o interesse oggetto della tutela penale ('offensività in astratto'), e dell'applicazione giurisprudenziale ('offensività in concreto'), quale criterio interpretativo applicativo affidato al giudice, tenuto ad accertare che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l'interesse tutelato»[54].

Quanto al principio di colpevolezza, il significato di garanzia e di connessa riduzione dell'intervento penale si realizzeranno appieno ove si dia seguito a quanto affermato dalla Corte costituzionale in una sentenza relativa all'art. 609-sexies c.p., che cioè il giudice dovrebbe interpretare le norme che prevedono ipotesi di responsabilità oggettiva in conformità alla Costituzione, leggendole e applicandole come se già contenessero il limite della colpa. Al giudice spetta il compito di «verificare la praticabilità di una interpretazione secundum Constitutionem … e ciò perché il principio di colpevolezza - quale delineato dalle sentenze n. 364 e n. 1085 del 1988 - si pone non soltanto quale vincolo per il legislatore, nella conformazione degli istituti penalistici e delle singole norme incriminatrici; ma anche come canone ermeneutico per il giudice, nella lettura e nella applicazione delle disposizioni vigenti»[55].

 

 

4. – Meritevolezza e bisogno di pena

 

La "meritevolezza" e il "bisogno" di pena sono le categorie dottrinali nelle quali si riversano i postulati del principio di ultima ratio[56].

“Meritevolezza” e “bisogno” di pena descrivono stadi successivi nelle finalità della pena[57]. La meritevolezza esprime la scelta politico-criminale in un diritto penale retributivo: la pena ha una funzione stigmatizzante e di riaffermazione del valore tutelato e al diritto penale compete il ruolo di spartiacque tra il giusto e l’ingiusto. Se si abbandona il mero paradigma retribuzionistico, e si concepisce la pena come mezzo per scopi di prevenzione generale e speciale, al giudizio sulla meritevolezza segue quello sul bisogno di pena. Non basta cioè che un determinato bene possieda un rango tale da essere meritevole di pena, ma anche in presenza di una grave offesa a un bene di eminente rilievo è necessario interrogarsi sulle ragioni che possono opporsi al ricorso alla pena da parte del legislatore[58]. Entra qui in gioco innanzitutto la valutazione se altri strumenti di controllo sociale e giuridico siano egualmente idonei a conseguire gli scopi di prevenzione; inoltre, se anche fosse dubbia tale idoneità, la rinuncia alla pena potrebbe essere suggerita dall’analisi empirica costi-benefici: l’incondizionata tutela di un bene non solo può comportare il sacrificio di altri beni altrettanto importanti, ma potrebbe addirittura avere effetti criminogeni, innescando comportamenti illegali, lesivi magari di bene ancor più rilevanti[59].

La meritevolezza di pena è categoria incerta. Essa può essere innanzitutto intesa come criterio di selezione dei beni penalmente rilevanti, e qui confondersi con la teoria del bene giuridico e viverne la crisi della sua funzione di selezione appunto e delimitazione degli interessi penalmente tutelabili. Rivelatosi “aperto” e non “chiuso” il catalogo costituzionale dei beni giuridici[60], e irrealizzabile l’idea di un “diritto penale minimo” attestato sui diritti umani fondamentali[61], da tempo il criterio della meritevolezza della tutela viene ritenuto mostrare la corda per l’assenza di una solida tavola di valori generalmente condivisi[62]. E anzi è proprio l'ampliarsi della gamma dei beni tutelati uno dei fattori di incremento della produzione penale.

La meritevolezza può poi cercare un ruolo nella sistematica del reato: si stenta però a trovargli uno spazio, di significato e di valore, che già non sia coperto da tipicità, antigiuridicità e colpevolezza. E allora il modo per dargli un senso è stato sottolineare che l’illecito penale rispetto agli altri illeciti deve esprimere qualcosa in più, che sia in grado di legittimare questo particolare tipo di reazione, appunto penale, segnando un autonomo contenuto di disvalore etico-sociale (la meritevolezza di pena), che tipicità, antigiuridicità e colpevolezza da sole non riuscirebbero a esprimere compiutamente[63]. La categoria in questione scoprirebbe così la sua origine recondita, ma più caratteristica, l’ancoramento al piano dell’etica sociale. Una volta però che si eviti la confusione tra i piani della riprovevolezza etico-sociale e della riprovevolezza giuridico-penale, è più semplice ricondurre la riprovevolezza-meritevolezza penale nei confini segnati dalle singole fattispecie. Per esemplificare, è il pericolo di malattia che rende definitivamente e compiutamente meritevole di pena (agli occhi del legislatore) l’abuso dei mezzi di correzione, nel quale abuso si concentrerebbe il fatto moralmente e socialmente biasimevole[64].

È sull’altro capo del binomio, il “bisogno di pena”, che più agevolmente si sono espresse le istanze del principio di ultima ratio[65].

Il concetto di bisogno di pena comprenderebbe tutte le più svariate ragioni di opportunità e convenienza che, aggiunte alla meritevolezza di base, renderebbero un fatto, appunto, bisognoso di pena.

Da un punto di vista assiologico, si sostiene che accanto ad antigiuridicità e colpevolezza (significativi della meritevolezza di pena) esisterebbero in alcune fattispecie degli elementi aggiuntivi (significativi del bisogno di pena) che aumenterebbero il disvalore dell’accadimento concreto (c.d. Wertungsmoment, il riferimento è in particolare alle condizioni oggettive di punibilità)[66]. Va però subito avvertito che il grado dell’offesa non serve a connotare il solo bisogno di pena, ma al contrario proprio il reato nella sua essenza[67]. E nella dottrina tedesca è stato affermato che il reato si distingue dagli altri illeciti per essere un “Gesteigertes Unrecht”, un illecito più intenso[68]; l’offesa ulteriore qualifica il disvalore etico-sociale del comportamento illecito e colpevole in maniera così grave da divenire intollerabile per la comunità giuridica[69].

Una diversa impostazione fa leva sul profilo “economico” della fattispecie, dando risalto al danno che la società (o l’ordinamento) subirebbe in seguito alla effettiva punizione del fatto pur meritevole di pena. La “penalizzazione” sarebbe cioè il risultato positivo di un giudizio comparativo tra il rendimento e il costo della punizione del fatto come reato (c.d.  Zweckmoment)[70]. Ancora con attenzione alle conseguenze dell'opzione penalistica, si ritiene che affinché il fatto meritevole di pena (cioè antigiuridico e colpevole) diventi bisognoso di pena, occorre un ulteriore e autonomo presupposto materiale del reato, vale a dire che la tutela penale sia idonea e necessaria e che l’intervento penale non arrechi alcuna conseguenza collaterale sproporzionatamente dannosa[71].

Quel qualcosa in più che queste tesi assegnano alle categorie meritevolezza e bisogno di pena si ritrova – secondo la nostra dottrina – già all’interno dell’illecito criminale. Sin dalla creazione delle fattispecie il nucleo del reato è pensabile soltanto come “robustamente” costituito da un contenuto di disvalore colpevole meritevole e bisognoso di pena. L’idoneità, la necessarietà e la proporzionalità rappresentano istanze – lo abbiamo visto nell’analizzare il principio di ultima ratio – di cui il legislatore tiene conto nell’assegnare rilevanza penale a tipi di fatti concreti. La meritevolezza e il bisogno di pena rappresentano dunque – si osserva – la legittimazione ultima del tipo astratto di reato (e pertanto della natura penale del divieto) e la sostanza di cui il reato si nutre[72].

La conclusione che se ne trae è che la meritevolezza e il bisogno di pena costituiscono al tempo stesso «criteri di interpretazione e verifica della legittimazione dei tipi di reato dei sistemi penali esistenti e categorie euristiche di politica criminale, di essenziale ausilio nella creazione legislativa di nuove fattispecie»[73].

Pertanto un legislatore accorto, consapevole che il ricorso alla sanzione penale promette di essere più dissuasivo di altri a disposizione, ma anche più drastico e limitativo della sfera di libertà dei cittadini, dovrebbe optare per la criminalizzazione solo se il comportamento è tale da meritare realmente la pena e soltanto se la pena che venga scelta risulti rigorosamente necessaria. È il valore costituzionale della libertà personale a imporre che sia considerato meritevole di pena solo un comportamento per prevenire il quale vi sia un effettivo bisogno della pena medesima[74].

La sintesi – e il contributo delle categorie dottrinali "meritevolezza" e "bisogno" di pena al concetto di ultima ratio – potrebbe pertanto essere rappresentata dalla seguente serie logico-analitica[75]:

a)          La meritevolezza accerta la legittimità dell’uso della pena individuando il comportamento lesivo del bene giuridico: è questo il nucleo forte della scelta di criminalizzazione, base e oggetto delle successive valutazioni politico-criminali.

b)          Il bisogno di pena verifica la necessità della pena calata nella dinamica del conflitto sociale: si sceglie la pena, dunque, se altri strumenti di controllo sociale sono inadeguati o sproporzionati.

c)           Infine il postulato di effettività esprime l’esigenza che l’opzione penale (comunque costosa) riveli chances razionalmente accettabili (tali cioè da compensare i costi) ed empiricamente verificabili di raggiungere lo scopo di tutela.

 

 

5. – L'operatività del principio: il controllo della Corte costituzionale

 

Così come è comune il riconoscimento del principio del diritto penale come ultima ratio, altrettanto lo è la conclusione della sua operatività ridotta o piuttosto da realizzare su un piano differente da quello tecnico penale. Lo spostamento di piano è affermato esplicitamente nella dottrina tedesca, dove il principio di ultima ratio è ritenuto una direttiva politico-criminale più che un dovere cogente[76]; nella dottrina del nord Europa esso viene definito addirittura un principio di etica legislativa[77]. In Italia egualmente si afferma che il tema si pone in termini di mera rilevanza politica, non sottoponibile al controllo della Corte costituzionale: si tratterebbe infatti di un principio “non giustiziabile”, di mero valore argomentativo ma non cogente, salvo che si converta in violazione di altri principi (ritenuti) di maggiore concretezza, come quello di ragionevolezza[78].

La Corte costituzionale ha tenuto nei confronti dell'idea di ultima ratio un atteggiamento assai prudente, in fondo anche perché la sua natura di meta-principio con difficoltà ne ammette contestazioni dirette.

a) In rare occasioni ne ha in effetti riconosciuto la forza per eliminare fattispecie anacronistiche, quale quella (prevista dagli artt. 1 e 3 della legge 24 giugno 1929 n. 1085) che faceva divieto alle minoranze etniche esistenti nel territorio italiano di esporre le proprie bandiere, corrispondenti a quelle di stati esteri, senza la preventiva autorizzazione dell’autorità politica locale. Qui la Corte ha espressamente affermato che «il diritto penale costituisce, rispetto agli altri rami dell’ordinamento giuridico dello Stato, l’extrema ratio, il momento nel quale soltanto nell’impossibilità o nell’insufficienza dei rimedi previsti dagli altri rami è concesso al legislatore ordinario di negativamente incidere, a fini sanzionatori, sui più importanti beni del privato»[79].

La forza del principio di ultima ratio di condizionare l’esistenza di fattispecie penali è stata poi ammessa dalla Corte anche quando lo ha incluso tra quelli in grado di giustificare l’ammissibilità di un referendum abrogativo, come nel 1993 a proposito di alcune disposizioni del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 in tema di stupefacenti[80].

b) In altre pronunce la suprema Corte ha lasciato sullo sfondo il principio e ha preferito salvare le fattispecie impugnate determinandone il bene tutelato in senso differente rispetto al remittente. Così è avvenuto a proposito della norma (art. 10 regio decreto-legge 15 marzo 1927 n. 436) che prevede la reclusione sino a sei mesi e la multa per chi, possedendo o detenendo un autoveicolo oggetto di privilegio debitamente iscritto, lo distrugga, lo guasti, lo deteriori, lo occulti ovvero lo sottragga alla garanzia del creditore privilegiato. A fronte della contestazione che reputava tale fattispecie una stravagante e anomala ipotesi di responsabilità penale per il pericolo di inadempimento di obbligazioni civilistiche, in violazione dei principi di offensività e di extrema ratio, la Corte ha salvato la norma, ravvisando un intreccio inestricabile tra aspetti privatistici e funzione pubblicistica del registro per la pubblicità automobilistica, e sottolineando gli aspetti fraudolenti della condotta delittuosa[81].

c) Talora poi il principio di ultima ratio viene affermato in modo nitido ma per fini diversi dalla dichiarazione di illegittimità di una fattispecie di reato. Si parte dalla considerazione che il sistema penale delineato dalla Costituzione tende ancor oggi a ridurre la quantità delle norme penali, e, così, a concentrare queste ultime nella sola tutela necessaria (ultima ratio) di pochi beni, significativi od almeno "importanti", per l'ordinato vivere sociale. Dunque per negare alle Regioni competenza in materia penale, si afferma spesso che le valutazioni proprie del principio di ultima ratio (così come di quelle di proporzione e frammentarietà) non possono prescindere da una visione d’insieme dei valori tutelati e del sistema sanzionatorio, che evidentemente le singole Regioni non sono in grado di possedere. In particolare, il principio di sussidiarietà implica programmi di politica criminale nonché giudizi prognostici (sull’adeguatezza di tutela offerta da altri rami dell’ordinamento) che solo lo Stato può formulare[82].

d) L’atteggiamento comune della Corte costituzionale riguardo al principio di ultima ratio lo si ritrova però chiaramente espresso in una sentenza in tema di obiezione di coscienza e servizio militare[83]. Le ordinanze di rimessione facevano riferimento agli artt. 2, 3, 13, 25 comma secondo, 27 commi primo e terzo, quale complesso di parametri che consentono di qualificare il diritto penale come extrema ratio di tutela della società. L’incriminazione penale – sostenevano le ordinanze – sarebbe consentita soltanto a tutela di beni di rilevanza costituzionale, secondo un principio di proporzionalità fra beni tutelati e interessi sacrificati dalla sanzione penale, allorché sia accertata l’insufficienza degli altri strumenti di tutela civile o amministrativa. Ma al riguardo la Corte ritiene che vadano distinti tre separati principi: il primo, principio della rilevanza, per il quale non sono legittime incriminazioni penali a tutela di beni non espressivi di valori costituzionalmente rilevanti (o significativi); il secondo, principio di proporzionalità (o razionalità rispetto ai valori), che equivale a negare legittimità a incriminazioni le quali, pur presumibilmente idonee a raggiungere finalità statuali di prevenzione, producano attraverso la pena danni agli interessi individuali e sociali sproporzionatamente maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) con la tutela dei beni e valori offesi dalle predette incriminazioni; il terzo, infine, è proprio il principio di sussidiarietà (o di extrema ratio) per il quale è legittimo ricorrere alla sanzione penale solo quando gli altri rami dell’ordinamento non offrano adeguata tutela ai beni che si intendono garantire.

Il canone dell’extrema ratio sarebbe – secondo la Corte – collegato ma autonomo rispetto agli altri due: collegato perché la mancata incriminazione di fatti non lesivi di beni non costituzionalmente significativi equivale a riduzione dell’ambito del penalmente rilevante; autonomo perché l'attenere l'illecito a un bene costituzionalmente rilevante non basta a giustificare l'intervento penale, giacché il fatto che altri rami dell’ordinamento siano in grado di offrire adeguata tutela rende l’intervento stesso illegittimo. Alla fine, però, le valutazioni dalle quali dipende la riduzione del numero delle incriminazioni attengono – conclude la Corte – a considerazioni generali (sulle funzioni statali, sul sistema penale, sulle sanzioni penali) e particolari (sui danni sociali contingentemente provocati dalla stessa esistenza delle incriminazioni, dal concreto svolgimento dei processi e dal modo di applicazione delle sanzioni penali) «che per loro natura sono autenticamente ideologiche e politiche, e pertanto non formalmente controllabili in questa sede». Le sole possibilità per rendere controllabile dalla Corte questo principio sono dunque o che si contesti l’indebita compressione di un diritto fondamentale di libertà costituzionalmente riconosciuto o che in sede interpretativa esso si converta o si confonda, verrebbe da dire in quello di ragionevolezza[84].

È significativo, sotto quest’ultimo profilo, quanto avvenuto a proposito del c.d. reato di clandestinità (art. 10 bis T.u. imm.)[85]. Nelle numerose ordinanze di rimessione la fattispecie veniva censurata sotto vari profili di ragionevolezza, tra i quali due investivano anche il principio di ultima ratio. Infatti il fine perseguito (allontanare lo straniero “clandestino” dal territorio nazionale) sarebbe stato già conseguibile tramite l’istituto dell’espulsione amministrativa e dunque l’intervento penale sarebbe risultato sostanzialmente inutile. Inoltre condizione imprescindibile perché possa irrogarsi una sanzione di natura penale è la commissione di un “fatto”, come richiede l’art. 25 comma 2 Cost., mentre nel caso in questione il mancato possesso di un titolo valido per il soggiorno nello Stato non sarebbe stato di per sé nemmeno sintomo di una particolare pericolosità sociale[86]. 

Va messo in evidenza, peraltro, che il principio di ragionevolezza non può essere la sede ove traslare automaticamente le istanze del principio di ultima ratio[87]. Il principio di ragionevolezza rappresenta espressione immediata in ambito penale del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.[88], col fondamentale divieto di trattare in modo eguale situazioni diverse: in una recente sentenza della Corte costituzionale (68/2012) esso è stato definito come obbligo per il legislatore di differenziare il trattamento punitivo a seconda della gravità dei diversi fatti criminosi, non solo tramite la previsione di plurimi tipi di reato, caratterizzati da differenti risposte sanzionatorie, ma anche all’interno della singola figura criminosa, permettendo al giudice di graduare opportunamente la pena in rapporto alla specificità del singolo fatto.

Alle contestazioni in vario modo intreccianti i principi di ragionevolezza e ultima ratio, la Corte ha comunque replicato richiamando quale punto fermo quanto già affermato nella sentenza n. 250 del 2010 [89]: le valutazioni sulla utilità e sul contenuto di una disposizione penale – al pari di quella attinente, più in generale, al rapporto fra “costi e benefici” connessi all’introduzione della nuova figura criminosa – attengono all’opportunità della scelta legislativa su un piano di politica criminale e giudiziaria; un piano di per sé estraneo al sindacato di costituzionalità. Difatti, concludono i giudici costituzionali, citando un’altra pronuncia (sentenza n. 236 del 2008), «non spetta a questa Corte esprimere valutazioni sull’efficacia della risposta repressiva penale rispetto a comportamenti antigiuridici che si manifestino nell’ambito del fenomeno imponente dei flussi migratori dell’epoca presente, che pone gravi problemi di natura sociale, umanitaria e di sicurezza».

Un mutamento di prospettiva sarà possibile solo se sarà dato corso a un orientamento che si è profilato nella stessa materia, questa volta a proposito della dichiarazione di illegittimità della c.d. aggravante di clandestinità (di cui all’art. 61 n. 11 bis c.p., introdotta con il «pacchetto sicurezza» del 2008)[90]. La Consulta ha manifestato immediatamente in questa sentenza il proposito di volere sottoporre la norma censurata a un «vaglio positivo di ragionevolezza, non essendo sufficiente, ai fini del controllo del rispetto dell’art. 3 Cost., l’accertamento della sua non manifesta irragionevolezza»[91]. In dottrina si è osservato però che non è chiaro se ai fini del superamento del «vaglio positivo di ragionevolezza» sia sufficiente dimostrare la particolare rilevanza costituzionale dell’interesse tutelato dalla norma impugnata, ovvero se occorra altresì dimostrare l’idoneità, necessità e proporzione della norma impugnata rispetto alle esigenze di tutela di quell’interesse sociale primario[92]. Mentre la prima opzione rimane troppo generica, con la seconda si renderebbe effettivamente giustiziabile il principio di sussidiarietà (ultima ratio) del diritto penale rispetto agli altri strumenti della politica sociale.

Rimane il dubbio se effettivamente questa apertura possa riverberarsi in altri settori, al di là di quello specifico e attuale dell’immigrazione. Una prospettiva di più ampio respiro viene colta in alcuni passi della sentenza, quando la Corte sottolinea la dimensione di necessaria interferenza del diritto penale in quanto tale rispetto ai diritti fondamentali. Ciò potrebbe e dovrebbe sollecitare un ripensamento generale dello standard negativo della non manifesta irragionevolezza delle scelte legislative. Proprio perché la pena detentiva incide su uno dei diritti massimi e fondamentali riconosciuti dalla Costituzione – la libertà personale, assistita dalla qualifica di inviolabilità – sembrerebbe naturale e doveroso pretendere dallo Stato una motivazione forte e in positivo delle ragioni che possano giustificare una simile drammatica interferenza con altri diritti fondamentali[93].

 

 

6. – Una prospettiva sovranazionale: il principio di necessità della pena nel diritto dell’Unione europea

 

La competenza penale dell’Unione europea è oggi definita nell’articolo 83, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che autorizza il Parlamento europeo e il Consiglio, su proposta della Commissione, a stabilire “norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni”, «allorché il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri in materia penale si rivela indispensabile per garantire l’attuazione efficace di una politica dell’Unione in un settore che è stato oggetto di misure di armonizzazione».

A differenza del paragrafo precedente, che si riferisce a reati specifici (i c.d “eurocrimini”) per contrastare i quali vigono apposite decisioni quadro e direttive[94], la norma del par. 2 detta una competenza generale di diritto penale orientata da principi specificati nella comunicazione 573/2011 della Commissione europea.

Data la significativa incidenza sui diritti individuali (fino alla privazione della libertà personale), la Commissione suggerisce cautela nell’uso del diritto penale, assegnandogli il ruolo di ultima ratio, nel rispetto di alcuni principi fondamentali. È innanzitutto da valutare attentamente il rispetto del generale principio di sussidiarietà, per il quale l'Unione europea può legiferare solo se l'obiettivo non può essere conseguito più efficacemente mediante misure di livello nazionale o regionale e locale[95].

Compiuta questa valutazione, l’approccio alla normativa penale da parte dell’Unione europea deve avvenire – per la Commissione – in due fasi.

a) La “Fase 1” sta nel decidere se adottare o meno misure di diritto penale. L’incidenza del diritto penale su diritti fondamentali e il suo effetto stigmatizzante impongono in questa scelta il rispetto del principio di ultima ratio. Esso trova fondamento già nel principio di proporzionalità, quale sancito nel Trattato dell’Unione europea (art. 5 par. 4) e specificamente per le pene dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (art. 49 par. 3); è menzionato poi nel prima citato art. 83 par. 2 TFUE, quando si prevede la verifica dell'indispensabilità delle misure di diritto penale per garantire l'attuazione efficace delle politiche dell’Unione. Il legislatore europeo dovrà dunque analizzare se misure diverse da quelle di diritto penale, ad esempio di natura amministrativa o civile, possano garantire a sufficienza l'attuazione delle politiche, o se invece proprio il diritto penale possa essere la risposta più efficace. Ed è importante qui che la Commissione suggerisca preliminari valutazioni d'impatto delle proposte legislative, come per esempio l’attitudine dei regimi sanzionatori degli Stati membri a raggiungere i risultati auspicati, così come le difficoltà riscontrate dalle autorità nazionali chiamate ad applicare sul campo il diritto dell'Unione.

Secondo la Commissione, pertanto, a una valutazione di proporzionalità tra interesse tutelato e reazione sanzionatoria, segue un vaglio sull’idoneità dello strumento. Queste valutazioni hanno portato finora a riconoscere necessarie misure di diritto penale per combattere pratiche gravemente lesive e profitti illegali in alcuni settori economici, come il settore finanziario (es. manipolazioni del mercato o abuso di informazioni privilegiate), la lotta alla frode ai danni degli interessi finanziari dell’Unione europea e la tutela dell’euro contro la contraffazione. Con riferimento a quest’ultimo settore si riconosce al diritto penale il compito di rafforzare la fiducia dell’opinione pubblica nella sicurezza dei mezzi di pagamento, e più in generale la Commissione si propone di studiare i modi in cui il diritto penale possa addirittura contribuire alla ripresa economica, sostenendo l’azione di contrasto all’economia illegale e alla criminalità finanziaria.

Per altri settori (trasporti su strada, protezione dei dati personali, normativa doganale, tutela dell’ambiente, politica della pesca, politiche del mercato interno) la valutazione è in fieri e terrà conto sostanzialmente di due dati. Innanzitutto la gravità della violazione: la sanzione penale dovrebbe essere preferita – ad avviso della Commissione – per segnalare la forte riprovevolezza e dunque per perseguire un particolare effetto deterrente (dato anche dalla registrazione delle condanne nel casellario giudiziale). La scelta poi dovrebbe investire il tipo di sanzione più appropriato per conseguire il risultato complessivo in termini di efficacia, proporzionalità e dissuasività. E qui la sanzione amministrativa potrebbe essere preferita in virtù della sua maggiore “agilità”, potendo essere irrogata ed eseguita in breve tempo, e anche per la maggiore gamma dei suoi tipi, meglio adattabili alle peculiarità dei casi, andando dalle ammende e sospensioni di licenze fino all’esclusione da pubblici benefici.

b) La “Fase 2” contiene i principi che devono ispirare la decisione sul tipo di misure penali da adottare. La definizione di reati e sanzioni da parte dell’Unione europea è limitata – secondo l’art. 83 del Trattato – a “norme minime”. Indicazioni generiche vengono fornite dalla commissione quanto al contenuto dei reati. Più interessante (nella prospettiva dell'ultima ratio) è la spinta ad adattare le sanzioni ai reati, per ricercare nell’intervento penale effettività, proporzionalità e dissuasività: l’effettività implica che la sanzione sia adeguata all’ottenimento del risultato sperato; la proporzionalità che la sanzione sia commisurata alla gravità della condotta e che i suoi effetti non vadano oltre quanto è necessario al conseguimento dello scopo; la dissuasività richiede infine che le sanzioni costituiscano un adeguato deterrente per i potenziali futuri autori. La conseguenza di questi tre requisiti potrebbero essere tipologie di sanzioni diverse da reclusione e ammenda, da adattare magari alla responsabilità delle persone giuridiche, e misure aggiuntive come la confisca dei beni.

Lo stretto legame tra proporzione e necessità (ultima ratio) trova conferma anche nella giurisprudenza della Corte di giustizia[96], quando una norma penale interna contrasta con una libertà comunitaria.  Come recentemente osservato[97], lo schema decisorio della Corte di giustizia ricalca quello della giurisprudenza costituzionale tedesca, secondo cui il giudizio di proporzione si articola nei tre canoni della idoneità, necessità e proporzionalità in senso stretto. Il giudizio può innanzitutto svilupparsi nella verifica della proporzionalità in senso stretto (e/o della non discriminazione), fondata sul bilanciamento degli interessi contrapposti. La violazione del principio di proporzione può poi derivare dalla inidoneità della norma penale nazionale a tutelare l’obiettivo dichiarato[98]. Ma se anche la norma penale restrittiva della libertà comunitaria apparisse di per sé idonea a tutelare un legittimo controinteresse, essa potrebbe però risultare sproporzionata perché non necessaria, in contrasto cioè col principio di ultima ratio. Ed è assai istruttivo che per giudicare della necessità di penalizzazione, la Corte di giustizia si avvalga – secondo quanto si vorrebbe anche per il nostro diritto interno – di verifiche empiriche e di apporti di altre scienze[99].

 

 

7. – La crisi del principio di ultima ratio. La "overcriminalization" in particolare negli ordinamenti di Common law

 

Oggi la realtà normativa procede in senso ben diverso rispetto al principio del diritto penale come ultima ratio.

Già alla fine del Novecento il numero di fattispecie penali nel nostro Paese era elevatissimo: più di 5.400 reati al di fuori del codice penale[100]; ed è scontato che oggi il dato possa solo essere aumentato. Non solo: molti di questi reati non vengono di fatto perseguiti (nonostante l’obbligatorietà dell’azione penale), contribuendo ad aggravare il grado di incertezza e di ineffettività del nostro sistema penale. Lo iato tra i reati effettivamente perseguiti e non (con il poco commendevole effetto delle c.d. punizioni a sorteggio, cioè selezionate in base a criteri casuali) è sottolineato nella relazione della Commissione Fiorella per la revisione del sistema penale, e tra le considerazioni generali si osserva che il flusso dei reati "in entrata" continua a superare di gran lunga le capacità di risposta del sistema penale[101]. Per valutare con precisione questo andamento, la Commissione suggerisce l'introduzione di una "anagrafe delle fattispecie penali", che finalmente consenta di stabilire esattamente il numero di fattispecie penali del nostro ordinamento: una tale iniziativa permetterebbe innanzitutto di calibrare in modo razionale gli interventi di depenalizzazione; e potrebbe costituire uno strumento fondamentale per realizzare efficacemente la funzione di orientamento della norma.

Al di là dei numeri, una sensazione pervade: che nella realtà l'affermazione di un valore passa necessariamente per la criminalizzazione della sua offesa. Come l'araba fenice, il diritto penale si rigenera continuamente. Da un lato si decriminalizza (o comunque almeno si decarcerizza); dall'altro l'allarme sociale finisce per imporre sempre la stessa risposta: nuove incriminazioni!

L'espansione del diritto penale[102] è fenomeno comune negli altri ordinamenti vicini al nostro: in Germania già da tempo si è posta in rilievo la crisi dei principi di frammentarietà, sussidiarietà e ultima ratio[103]. Analogamente in Spagna e in America Latina il fenomeno del dilagare del diritto penale è preoccupante: il principio de intervención mínima del derecho penal si ritiene a tal punto compromesso da far pensare al diritto penale non più come ultima quanto piuttosto come prima o unica ratio[104]. Anche in Francia il principio è in profonda crisi, tanto da aver fatto affermare che «la criminalizzazione è una rivoluzione silenziosa che fa tremare la nostra vita collettiva»[105].

Un approfondimento merita poi la straordinaria espansione del diritto penale in ordinamenti lontani dal nostro.

Negli Stati Uniti al principio del diritto penale come "last resort"[106], si contrappone una autentica “explosion of Criminal Law” e si sottolinea come questa esplosione, nella misura e negli scopi, si accompagni a un deterioramento nella qualità[107].

La overcriminalization rappresenta un fenomeno politico-sociale studiato nelle sue cause, nelle sue conseguenze e nei suoi correttivi[108]. L'analisi critica si è in particolare sviluppata a partire dalle spiegazioni dell'ipercriminalizzazione fornite da Kadish, con l'indicazione di tre principali fattori di influenza: il primo è l'uso del diritto penale per sorreggere regole di moralità privata (es. in campo sessuale); il secondo è il voler assicurare servizi sociali che l'amministrazione non è in grado di garantire (es. la lotta all'ubriachezza); il terzo è mettere le forze dell'ordine nella condizione di fare indirettamente ciò che a esse sarebbe vietato (es. le leggi sulla mendicità o sulle disorderly conducts)[109]. Nella scelta dello strumento penale andrebbero soppesati attentamente costi e benefici: con la complicazione che è sì relativamente semplice classificare costi e benefici ma è invece assai difficile la loro esatta quantificazione. E ciò comporterà l'inevitabile rischio che la quantificazione delle variabili sia condizionata dal punto di vista (dalla specifica filosofia morale) di chi propone la criminalizzazione: l'aspetto distintivo centrale della sanzione penale è dato infatti – sostiene Kadish – dalla stigmatizzazione di ciò che viene ritenuto moralmente riprovevole[110].

Il dibattito si è sviluppato in negativo – ritiene Ashworth – senza cioè che prima sia stato fissato il fondamento positivo: quale dovrebbe essere la giusta quantità di criminalizzazione[111]. Oggi nel mondo anglosassone sono particolarmente tre le funzioni che, assegnate al diritto penale, hanno portato al fenomeno della overcriminalization: la funzione dichiarativa (Declaratory Function), cioè l'affermazione che determinate violazioni sono abbastanza serie da giustificare la pubblica censura nella forma della condanna e della punizione; la funzione preventiva (Preventive Function), l'affermazione cioè che determinate condotte (attive od omissive) sono da proibire per la loro significativa pericolosità (risk or danger) per i beni tutelati; infine la funzione regolatoria (Regulatory Function), vale a dire il rafforzamento di regole attraverso la criminalizzazione – spesso senza richiedere la prova della colpevolezza (fault) – di forme di condotta che sono difformi dallo schema regolativo.

In particolare la Regulatory Function incide profondamente sull'overcriminalization, ma almeno è quella sulla quale è più facile intervenire (almeno astrattamente, perché in concreto si tratterà di vincere un atteggiamento giurisprudenziale assai frenante), limitando l'intervento penale ai casi più gravi, che giustifichino cioè strettamente la limitazione dei diritti dei cittadini (principio del substantive due process) e richiedendo la presenza di un quid di colpevolezza (fault principle) e trasferendo al diritto civile o a quello amministrativo le altre violazioni.

Quanto alle Declaratory e Preventive Functions, l'overcriminalization può essere limitata attraverso il rispetto dei principi garantistici a essi inerenti. Propriamente associati alla Declaratory Function sono il fault principle (principio di colpevolezza), il principle of fair and representative labelling (in forza del quale gli elementi di un reato dovrebbero essere definiti in modo tale da riflettere la natura e la gravità del nomen iuris attribuito al reato[112]) e il principle of correspondence (il quale stabilisce che un reato deve essere definito dal legislatore e interpretato dalla giurisprudenza in modo tale che ciascun elemento oggettivo del reato possieda un corrispondente elemento psicologico[113]). La mancata operatività di questi principi si traduce in overcriminalization quando per esempio si prevedono condanne e punizioni senza un requisito di colpevolezza, o allorché si attribuisce l'etichetta di serietà a offese che tali effettivamente non sono, o quando si ricostruiscono forme di responsabilità penale basate su inferenze (constructive), anche laddove tali inferenze sono solo relative (e quasi divengono illazioni). Con riferimento alla Preventive Function il rispetto del principio del last resort dovrebbe comportare l'esistenza effettiva dei requisiti che strettamente si legano a tale funzione preventiva: nei preparatory crimes, dunque, la sussistenza della finalità e la significatività della condotta (substantial commitment); egualmente, l'accertamento della specifica finalità illecita quando venga incriminato il possesso di determinate cose; infine la chiarezza dei segnali di pericolo (fair warning)  nei delitti che puniscono la messa a rischio di determinati beni giuridici.

 

 

8. – La spinta alla criminalizzazione: a) l'ampliamento della gamma dei beni tutelati; b) la prevenzione quale paradigma penale dominante

 

La generalizzata evoluzione in senso contrario porta a chiedersi se l’affermazione del principio di ultima ratio sia una stanca ripetizione o se meriti una rivitalizzazione o se piuttosto sia venuto il momento della presa d'atto di un mutamento dei compiti del diritto penale. Il dubbio si lega alle stesse trasformazioni che ha subito e subisce il diritto penale, giunto a essere utilizzato oggi spesso dal legislatore come arma politica, strumento di comunicazione quasi disinteressato agli effetti pratici[114]. Come è stato affermato, estremizzando, la criminalizzazione esprime una modifica del linguaggio della democrazia; il diritto penale è divenuto chiave di comprensione dei rapporti sociali: «se il diritto è la nuova formalizzazione della convivenza umana, il diritto penale è diventato la sua ultima messa in scena»[115].

Come accennato all'inizio, l’ambiente ideale nel quale si sviluppa il principio di ultima ratio è il liberalismo penale, che ebbe negli illuministi (soprattutto in Beccaria e Romagnosi) i precursori, e nella scuola classica (Carrara, Carmignani e Rossi) la più matura e organica espressione. Per coniugare efficacemente la tutela delle fondamentali condizioni di vita sociale col minore sacrificio della libertà individuale, il liberalismo penale subordinava lo jus puniendi a precisi limiti. E il primo di essi era proprio la necessità della criminalizzazione, il suo porsi come extrema ratio, dato che la funzione del diritto penale veniva ravvisata non nel trionfo della virtù morale, ma nel divieto solo di ciò che è strettamente essenziale per assicurare la vita in comune, cioè il pacifico e sicuro godimento del proprio diritto[116].

 

A) Oggi è necessario calare il principio di ultima ratio in un contesto mutato, dove la gamma dei beni tutelati è ben più ampia e le tecniche di tutela assai più variegate.

Soprattutto in Germania la difesa del principio di ultima ratio è stata spesso funzionale alla concezione personalistica del bene giuridico, secondo la quale meriterebbe la qualifica di bene giuridico ciò che rappresenta una condizione per lo sviluppo della personalità umana.

In direzione opposta a questa prospettiva di arretramento muove invece da tempo la politica criminale, che sempre più spesso significa criminalizzazione[117]. E ciò anche perché – si sostiene – il diritto penale ha iniziato a concentrare l’attenzione su settori che solo indirettamente hanno a che fare con il singolo cittadino, con l’individuo. Il processo di spersonalizzazione si attua non solo verso beni istituzionali, ma anche in direzione di beni appartenenti alla collettività indifferenziata (p. es. l'ambiente)[118], beni universali cioè, la cui tutela – e qui sta il punto critico – allontana il diritto penale dalle sue tradizioni e rischia di far perdere concretezza e precisione agli oggetti di tutela[119].

La conseguenza è che la protezione del bene giuridico si è trasformata da criterio negativo di criminalizzazione in criterio positivo: ciò che veniva formulato come limite al legislatore, diviene ora piuttosto un invito alla punizione. La nozione di bene giuridico e la sua funzione di selezione e delimitazione degli interessi penalmente tutelabili vivono dunque – si conclude – una fase critica, dovuta a un’evoluzione legislativa ipertrofica e instabile, che cede continuamente alle spinte settoriali che portano a una specie di nuovo “feudalesimo penale”[120], e dunque a un moto in senso inverso rispetto al principio di ultima ratio.

Alla concezione personalistica del bene giuridico sono state mosse fondate critiche[121].

In realtà, proprio beni di grande attualità e rilevanza come quelli ambientali ed economici non possono essere estromessi dagli oggetti di tutela nemmeno da un punto di vista personalistico. Si è infatti osservato che quei beni «si rifanno a situazioni che costituiscono la premessa indispensabile per il benessere e lo svolgimento della personalità di ciascuno dei consociati: situazioni ampie, estese, non riferibili a soggetti determinati, ma per ciascuno necessarie come condizioni essenziali della vita individuale e sociale»[122]. Quanto alla necessità di tutela, basti pensare ai beni economici: abbandonata l’idea che la criminalità economica sia un fenomeno dannoso solo per il ristretto mondo dell’industria e della finanza, essendone vittima sempre più spesso proprio il piccolo risparmiatore, l’alto grado di disvalore è ormai comunemente colto nell’opinione pubblica. Queste “nuove” tipologie di beni hanno dunque piena cittadinanza nel nostro sistema penale[123].

Il ruolo oggi dei beni giuridici può pertanto essere quello di orientare la politica penale, sulla base dei valori costituzionali. Ma il principio di ultima ratio non può essere difeso facendo leva sulla tipologia dei beni: non è possibile cioè escludere a priori la tutelabilità (meritevolezza) di questo o quel bene. Però il legislatore penale non gode di una libertà illimitata: egli infatti, dato l’indiscusso valore primario della libertà personale, ha il dovere morale e politico di circoscrivere per quanto possibile l’area del penalmente rilevante, con un limite positivo e uno negativo. Il limite positivo è dato dalla presenza nel reato di un essenziale quid di comprensibile, significativa dannosità, che unita al disvalore del comportamento dia conto della ragionevolezza dell’intervento punitivo. Il limite negativo è costituito invece dal rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo[124]. Tra questi due limiti si esercita l’ampia discrezionalità del legislatore penale.

Il concetto di bene giuridico può riacquistare maggiore centralità in un altro senso, studiandone cioè le caratteristiche e adattandone con flessibilità le tecniche di tutela, tenendo primariamente in conto il valore fondamentale del bene giuridico-libertà personale, ma avendo altresì ben presente la varietà di reazioni possibili da parte dell’ordinamento e la vastità di sanzioni irrogabili nei diversi rami di esso. Nel perseguire l'idea dell'ultima ratio andrebbero dunque abbandonate prospettive generalizzanti e semplificatorie[125]: proprio fissando con la maggiore precisione possibile i caratteri del bene e studiando il cammino che porta alla sua lesione in un determinato contesto storico-sociale, si potranno capire le modalità di aggressione e adattare le tecniche di tutela, fissando le sanzioni adeguate (sotto il profilo della prevenzione, della retribuzione ma anche della reintegrazione) per le offese recate a esso[126].

L’esigenza di tutela di un bene giuridico è innanzitutto sentita perché nei suoi confronti si ripetono comportamenti aggressivi: la ripetitività innesca una valutazione sociale che ravvisa un contenuto omogeneo di disvalore. Diviene così compito del legislatore saper cogliere tali indicazioni e tramutare questi comportamenti aggressivi ripetuti in fattispecie penali. È proprio attraverso questo rapporto di corrispondenza che la parte speciale del diritto penale riflette l’opinione sui valori vigenti in un determinato contesto sociale e culturale[127].

Il legislatore deve poi allargare il proprio campo di osservazione. Anche quell’interesse individuato come meritevole di tutela penale non vive da solo ma è di regola connesso ad altri interessi contigui o addirittura contrastanti con esso. È vero che il luogo deputato (nel diritto penale) a risolvere i conflitti di interessi è la categoria delle scriminanti, ma viene ritenuto indubbio che il legislatore al momento dell’introduzione di una fattispecie penale debba valutarne l’impatto, la coesistenza e l’armonia con altri interessi, mediante un’idonea delimitazione e descrizione del tipo[128]. La visuale del legislatore deve infine ulteriormente allargarsi nel valutare tutte le possibili implicazioni collaterali, anche sul piano sociale, dell’introduzione della norma penale[129].

Nel percorso di valutazione del legislatore si alza progressivamente il tasso di politicità della scelta di criminalizzazione. Il passaggio decisivo è l’individuazione del tipo. Se tale identificazione non è possibile magari perché non è matura il principio di ultima ratio imporrebbe di soprassedere alla penalizzazione. Invece spesso, per la pressione del contingente la risposta penalistica interviene ugualmente, incidendo negativamente anche sul principio di determinatezza. Le conseguenze sono o norme che originate da episodi clamorosi della cronaca sono improntate a una tecnica casistica o, all’opposto, norme che allestiscono una tutela “totalitaria” (da ogni lato), attraverso fattispecie onnicomprensive e quindi non in grado di identificare un tipo preciso, dai contorni determinati[130].

 

B) Oltre alla nuove tipologie di beni, un altro fattore che incide sul principio di ultima ratio è il ruolo della prevenzione quale paradigma penale dominante.

Innanzitutto l'esigenza preventiva è dovuta all'affermarsi del concetto di rischio. La fisionomia della società moderna, con il moltiplicarsi delle situazioni di rischio, pare aver posto in crisi – forse irreversibilmente – il modello classico dell’intervento penale[131]. Nonostante le resistenze, il concetto di “rischio” costituisce spesso “fulcro d’azione” e la responsabilità viene imputata non più per la realizzazione di un evento lesivo, ma per l’accollo di un rischio di lesione: «l’esito definitivo di un “diritto penale del rischio” potrebbe essere facilmente pronosticabile: una crescente ‘smaterializzazione’ del disvalore penale, che lasciato il fondamento dell’offesa si affida al criterio soggettivo dell’atteggiamento personale nei confronti del rischio»[132].

Il concetto di rischio si traduce oggi anche nel principio di precauzione, menzionato nell’art. 174 par. 2 del Trattato della Comunità europea (e richiamato nell’art. 301 del Codice dell’ambiente, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152) a proposito delle politiche ambientali[133]. Tale principio trova oggi numerosi campi di attrazione: dagli ogm alle onde elettromagnetiche, dagli alimenti all’inquinamento e alle malattie professionali da produzione industriale. La precauzione si sostanzia in un criterio metodologico che, in contesti di incertezza scientifica seria sulla reale pericolosità di sostanze e comportamenti, pone esigenze di valutazione, confronto e scelta tra possibili opzioni: in virtù comunque del principio di ultima ratio, l’opzione penalistica dovrebbe  esercitarsi solo nel caso in cui si ponga seriamente il problema di un eventuale grave nocumento per interessi importanti, altrimenti varrà l’indicazione di preferenza per l’illecito amministrativo.

In questa prospettiva di anticipazione di tutela rientra poi il concetto di sicurezza.

Si è osservato che fino a poco tempo fa sarebbe stato naturale discutere di sicurezza e diritto penale con riferimento a leggi speciali o all’ordine pubblico: oggi invece quasi ogni argomento può essere visto dall’angolo visuale della sicurezza, vale a dire della garanzia che determinati beni giuridici siano preservati, prima che da eventi lesivi, da attacchi e aggressioni. Si parla perciò non più e solo di sicurezza pubblica o dello Stato, ma di sicurezza del lavoro, dei prodotti, dei mercati, di sicurezza urbana, informatica, alimentare, ecc.[134].

La ricerca di sicurezza si rivolge poi non solo nei confronti degli altri ma anche di se stessi. Sotto il primo profilo ritorna – secondo parte della dottrina – lo schema del c.d. diritto penale del nemico, un diritto penale fondato cioè sull'esigenza di neutralizzare categorie di soggetti socialmente pericolosi (p. es. il terrorista o il clandestino)[135]; da parte di altri si nega la riconducibilità verso un diritto penale d'autore e si sottolinea comunque il carattere di "lotta" o di "emergenza" che assume il diritto penale in determinati contesti storici, con la possibile tensione coi principi fondamentali di garanzia[136]. Sotto il secondo profilo, la protezione da se stessi, si adotta – p. es. in materia di biodiritto – un criterio di legittimazione dell'intervento penale di chiaro stampo paternalistico[137]. Due fenomeni apparentemente eterogenei, eppure estremamente simili, che producono parallelismi: da un lato la connessione cruciale tra scelte di politica criminale e modelli di democrazia; dall'altro il rischio crescente per fondamentali diritti di libertà[138].

Vi è poi la tendenza all’autonomizzarsi del senso di sicurezza collettiva, per cui ciò che conta, alla fine, è l’affermazione della tutela penale in sé, prima ancora di una netta definizione dei suoi oggetti[139]. In altre parole, ciò che preoccupa è voler perseguire non la sicurezza in senso oggettivo, quanto piuttosto la percezione soggettiva di essa[140], con il rischio per il diritto penale di volgersi alla protezione di un inafferrabile sentimento di sicurezza, anziché di diritti, situazioni, interessi, o condizioni di sicurezza allocate in procedure, regole, cautele o strumenti[141].

Il punto di approdo della ricerca di “sicurezza mediante il diritto penale” viene così descritto: «Il paradigma preventivo inserisce il diritto penale in un sistema di produzione e conservazione della sicurezza, rendendolo così uno strumento di lotta ai problemi e di dominio dei rischi. Questa funzionalizzazione sfuma i confini ed elimina le differenze tra colpevolezza e pericolosità e tra il diritto sostanziale e quello processuale. Il sistema penale acquista in termini di disponibilità per la politica interna e di forza d’azione»[142]. Con la prevenzione quale paradigma penale dominante risulta infine sempre più difficile assicurare i principi di proporzione e di eguaglianza[143].

In molti settori giuridici, sia tradizionali che nuovi, il diritto penale viene dunque invocato e utilizzato non come mezzo di risoluzione preventiva di conflitti sociali specifici, ma come «sistema di prevenzione (generalizzata) della conflittualità sociale», come strumento di socializzazione, «vettore di stabilizzazione sociale»[144]. La tendenza a considerare il diritto penale come mezzo pedagogico per la popolazione, come mezzo di “sensibilizzazione” o di “promozione” produce l’esito di invadere sfere e compiti dello Stato sociale, che sono propri di altri rami del diritto e dell’organizzazione sociale[145].

In un siffatto contesto, il diritto penale finisce per rivestire un ruolo non più di extrema, ma di sola o unica ratio per la soluzione dei problemi sociali[146].

Lo strumento tecnico congeniale a questo nuovo ruolo è la forma di reato del pericolo astratto[147] – “figliastro della dogmatica penalistica”[148] – mai completamente accettato per il suo riecheggiare un diritto penale del comportamento, con il giudice che rischia di divenire una sorta di “automa di sussunzione” e l'illecito penale che perde in visibilità e tangibilità[149].

 

 

9. – Alcune possibili risposte: l'ancoramento dei beni giuridici alla realtà; il collegamento con le scienze empiriche; l'affermazione dell'offensività nella tipicità; la particolare tenuità del fatto

 

Il risultato ultimo della veste spiccatamente preventiva assunta oggi dal diritto penale è il suo utilizzo come mezzo di rafforzamento del governo della società[150], con accettazione quasi supina del rischio di realizzazione deficitaria e del conseguente declino del diritto penale verso una funzione simbolica[151].

Le risposte della dottrina penalistica a questo tipo di politica criminale sono in atto da tempo. Federico Stella ha posto in guardia da questa forma di diritto penale orientato esclusivamente alla prevenzione, giacché «l’infiltrazione e l’espansione dei concetti di rischio e pericolo porrebbero il diritto penale di fronte a problemi molto seri di effettività e di legittimità». Non solo poi il diritto penale del comportamento e del pericolo astratto si rivela carico di effetti perversi, ma si appalesa con schiacciante evidenza impotente di fronte ai rischi catastrofici. Dunque è «un diritto penale inutile, dannoso, ingiusto, irrazionale rispetto allo scopo»[152]. Nel nostro Paese, per di più, la situazione è aggravata dalla crisi del sistema sanzionatorio. Nella norma incriminatrice il legislatore penale mantiene ferma, in nome di esigenze di prevenzione generale, di regola, la minaccia della pena detentiva. Nel contempo crea meccanismi per effetto dei quali tale pena si riduce o si trasforma in qualcos'altro (spesso nel nulla) in sede di commisurazione o in un momento successivo: il che crea una divaricazione vistosa tra pena minacciata, pena inflitta e pena eseguita, minando così alla radice la credibilità del sistema sanzionatorio e annientando di fatto quella finalità di prevenzione generale che pure si voleva perseguire[153].

Di fronte a un diritto penale a tal punto mutato nel senso della prevenzione, è necessario perlomeno tentare di conciliare questo sviluppo con le garanzie dello Stato di diritto, non consentendo che la finalità preventiva prevarichi i principi di offensività e di colpevolezza, e che la tecnica del pericolo astratto celi mere presunzioni.

Ritorna dunque l'esigenza di collegare gli elementi empirici e normativi della valutazione giuridica.

Una prima via è quella di ancorare maggiormente i beni giuridici alla realtà: quanto più il bene tutelato è formulato in modo nebuloso, astratto e lontano dalla realtà, tanto più difficile risulta controllare l'impiego della fattispecie[154].

Un altro sistema per sfuggire a logiche presuntive è il collegamento con le scienze empiriche. Questo collegamento deve compiersi già al momento della scelta di penalizzazione, cioè della verifica preliminare dell’attitudine dello strumento-pena a conseguire nella realtà gli obiettivi di tutela[155]; ma «una tale esigenza di fondare empiricamente il se e il come della protezione di beni giuridici dovrà poi informare tanto più intensamente le scelte di penalizzazione laddove esse realizzino “un’anticipazione di tutela”, ad esempio nella forma di una previsione di reati di pericolo astratto o presunto»[156]. Il giudizio di pericolo cristallizzato nella norma non dovrà apparire dunque né irrazionale né arbitrario, ma frutto di apprezzamenti rigorosi basati sull’esperienza[157]. I dati empirici aiuteranno dunque nell’individuazione, o quanto meno nell’impostazione, del se e del come dell’offensività di una certa condotta e poi ancora nel congegnare la tecnica di tutela più adeguata per contrastare tale condotta[158].

Il principio di ultima ratio del diritto penale potrà trovare attuazione anche così, costruendo le fattispecie di pericolo astratto su solide basi verificabili sul piano empirico-criminologico. Si tratta semplicemente di superare, e non solo in questo contesto, il ben noto canone logico di ogni normazione – additato già molti anni fa dalla nostra dottrina sulla scia di Feuerbach - per cui il legislatore, nella sua opera di strutturazione della fattispecie, dovrebbe «utilizzare i risultati di rilevazioni criminologiche in ordine a comportamenti che nell'ambiente sociale si svolgono secondo una certa trama e con certe caratteristiche»; ciò anche per evitare l'introduzione nell'ordinamento di fattispecie "emblematiche", inapplicabili e inapplicate dalla giurisprudenza[159]. Sarebbe così salvaguardato il principio di ultima ratio, se è vero che solo un'adeguata ponderazione dei fattori criminogeni localizzabili nella società può permettere di prospettare delle alternative alla pena, credibili come alternative proprio in quanto in grado di inibire fattori le cui dinamiche causali siano state previamente oggetto di un'adeguata conoscenza socio-criminologica[160].

Pure sul piano applicativo la spinta criminalizzatrice dei reati di pericolo astratto può essere depotenziata, salvaguardando l'offensività nella tipicità.  Anche sulla base di una serie di pronunce della Corte costituzionale[161], la Corte di cassazione ricostruisce ormai le fattispecie di pericolo cercando di rinvenire nel tessuto normativo della fattispecie tipica elementi che consentano di dare concreta attitudine offensiva alla condotta, sostituendo cioè il pericolo presunto con il pericolo astratto, e valutando tale attitudine alla luce del criterio della «contestualizzazione dell’evento»: cioè il pericolo non può essere insindacabilmente ritenuto solo che si realizzi il fatto conforme al tipo, ma è conforme al tipo solo il fatto che esprima davvero una potenzialità offensiva dei beni tutelati[162]. Quando questa potenzialità offensiva non sia rinvenibile nella fattispecie astratta si apre la strada della censura costituzionale; allorché invece la fattispecie astratta non proponga profili di incompatibilità con il canone di offensività, dovrà essere il giudice ordinario a garantire che il fatto concreto esprima almeno una minima offensività.  Un ruolo limitativo anche al di là della categoria dei reati di pericolo astratto potrebbe dunque svolgere l’‘esiguità’ come indice di inoffensività del fatto[163]. La lettera della legge – si sostiene in dottrina – rappresenta soltanto il limite esterno imposto all’opera dell’interprete: «entro questo limite, è il bene giuridico che rappresenta il criterio selettivo indispensabile per individuare i fatti vietati, determinando l’espulsione dal tipo legale della classe dei fatti che, per la loro oggettiva esiguità, sono inidonei a offendere il bene o i beni tutelati»[164]. Questa tesi è avallata dalla Corte costituzionale e dalla Cassazione, in tema di detenzione di esplosivi  e di sostanze stupefacenti, e in materia di interventi non autorizzati su beni culturali[165].

La previsione legislativa espressa dell’irrilevanza penale di classi di comportamenti solo apparentemente compresi entro reati di pericolo astratto, ma così esigui da risultare inidonei a offendere il bene, è presente in altri ordinamenti; e in dottrina si auspica che il legislatore italiano segua l’esempio di questi correttivi intesi a eliminare il possibile scarto tra pericolo reale e pericolo presunto[166]. L'introduzione in via generale dell'istituto della c.d. irrilevanza del fatto per particolare tenuità è certamente prospettiva non priva di interesse sia per la sua portata deflattiva sia per la sottostante logica costituzionale e sistematica di ultima ratio: d'altro canto non vanno sottaciute le perplessità, sia perché l'istituto ha sempre scontato una specie di contraddizione o sproporzione tra i limitati vantaggi pratici che è lecito attendersi e i problemi di principio, sia per le difficoltà di formulazione che esso comporta[167].

Una definizione dell'istituto della 'particolare tenuità del fatto' è stata recentemente formulata dalla Commissione per la riforma del sistema penale (nominata con decreto 14 dicembre 2012)[168]. La Commissione ha inquadrato la tenuità del fatto tra le cause di improcedibilità, in modo da rafforzare l'effetto di "sbarramento" e dunque anticiparne la carica deflattiva. Si propone un nuovo art. 131 bis nel codice penale con la previsione che non si proceda quando il fatto è di particolare tenuità per le modalità della condotta, l'esiguità del danno o del pericolo, il grado di colpevolezza e l'occasionalità. I primi tre criteri fanno riferimento agli elementi della gravità del reato previsti nel primo comma dell'art. 133 c.p.; sotto il profilo della colpevolezza importante elemento di novità è dato dalla valutazione di tutti gli elementi che fondano il giudizio di rimproverabilità, dato che all'intensità del dolo e al grado della colpa si aggiungono la presenza di "semi-scusanti": l'eventuale riduzione della capacità di intendere e di volere e la scarsa conoscibilità del precetto penale. L'ultimo criterio (l'occasionalità) pone in risalto uno degli elementi di valutazione della capacità a delinquere (comma 2 dell'art. 133) e ne trae un giudizio prognostico, anche sulla base dell'interpretazione invalsa per l'analogo istituto di competenza del giudice di pace: è da ritenersi occasionale la condotta che appaia destinata a non ripetersi a opera dell'imputato, ossia la condotta che appaia estranea al modus vivendi dello stesso. Sotto il profilo applicativo, la Commissione propone di limitare l'ambito della clausola di irrilevanza del fatto alle contravvenzioni e ai delitti puniti con la pena della reclusione non superiore nel minimo a tre anni. Si tratta di una soluzione condivisibile,  proprio per evitare – come ammette la Commissione – la contraddizione di considerare in concreto 'esigui' fatti che nella valutazione legislativa (per come risulta dalle comminatorie di pena elevate) sono intrinsecamente ritenuti assai gravi, e dunque in definitiva per mantenere un giusto equilibrio tra i poteri legislativo e giudiziario.

 

 

10. – Per una riduzione dell’intervento penale: a) scelte di sistema; b) ripensamenti legislativi: modifiche, depenalizzazioni e abrogazioni; c) normativizzazione di categorie penalistiche; d) assetti amministrativi preventivi; e) riforma del sistema sanzionatorio; f) riparazione come alternativa alla pena

 

Le tecniche per la razionalizzazione dell’intervento penale e per recuperare il principio di ultima ratio possono essere di diverso tipo. Abbiamo già indicato quale passaggio decisivo il depotenziamento significativo che si otterrebbe dall'interno stesso delle fattispecie vigenti, semplicemente applicando in fase interpretativa principi fondamentali quali quelli di colpevolezza e di offensività. Indicheremo altre alternative, ben coscienti che si tratta solo di esemplificazioni e che la riduzione dell'intervento penale passa per un ripensamento della politica legislativa e della conseguente percezione nella collettività del diritto penale. Partiremo da vere e proprie (difficili) opzioni sistematiche, passando poi a soluzioni deflattive che interrompono o accompagnano la vigenza delle fattispecie penali.

 

A) Scelte di sistema

Rappresentano un ideale alcune possibili scelte di sistema, quali:

a) L’introduzione di maggioranze qualificate per la creazione di norme penali.

b) La previsione che le norme penali, o alcune di esse, restino in vigore solo per un certo periodo di tempo, con successivo riesame per l’eventuale ulteriore efficacia[169].

c) Una fase istruttoria particolarmente accurata quando siano in discussione leggi penali. Si potrebbe pensare di rendere in qualche modo obbligatorie le tre verifiche proposte per il diritto penale americano come premessa a ogni decisione di criminalizzazione[170]: la concreta applicabilità della norma (enforceability of the law); le conseguenze empiriche favorevoli e sfavorevoli derivanti dalla sua introduzione (effects of the law); l'assenza di mezzi alternativi (es. civili o amministrativi) per proteggere la società da comportamenti indesiderabili. La mancata osservanza di questi tre dettami comporterebbe infatti una perdita di credibilità dei precetti normativi e il prodursi di svantaggi sociali superiori ai vantaggi della criminalizzazione. Insomma, non è più appagante si osserva nella nostra dottrina la pur significativa identificazione di limiti garantistici esterni all'utilizzo dell'arma della pena, ma si impone piuttosto un'opera ben più penetrante e radicale, che ne selezioni dall'interno gli ambiti di intervento: per arrivare a chiarire cioè non solo ciò che la pena è legittimata a tutelare, ma soprattutto ciò che essa è concretamente in grado di fare[171].

d) Gli esiti della fase istruttoria dovrebbero poi riversarsi nella motivazione della legge penale, da rendere obbligatoria[172]: il legislatore dovrebbe spiegare perché la situazione rende necessario l'impiego di strumenti del diritto penale, e offrire dimostrazione che questi mezzi miglioreranno la situazione, esplicandone magari anche il modo.

e) L’introduzione del principio di ultima ratio come prima norma della parte speciale di un futuro codice penale, o addirittura una sua esplicita enunciazione in Costituzione come principio fondamentale dell’intera normativa penale[173].

 

B) Ripensamenti legislativi: modifiche, depenalizzazioni e abrogazioni

Le istanze del principio di ultima ratio possono manifestarsi e affermarsi anche in seguito, successivamente all'opzione per la rilevanza penale. Vi possono infatti essere numerose e plausibili ragioni per le quali, in un diritto penale razionale di scopo, appaia conveniente rinunciare alla punizione. La riduzione dell’intervento penale può legarsi a ripensamenti sulle istanze politico-criminali che avevano giustificato la scelta penale. Il legislatore innanzitutto può scegliere una via radicale escludendo puramente e semplicemente certe fattispecie dal novero dei reati (abrogazione). Può adeguarsi poi all’idea dell’ultima ratio restringendo fattispecie in vigore mediante sostituzione o modifica di elementi (come è avvenuto con la riformulazione dell’art. 323 c.p. intervenendo sul fatto tipico e sul dolo) o aggiunta di nuovi (es. una condizione di punibilità) che ne arricchiscano il tipo, o abolendo fattispecie autonome qualificate (come accaduto con l’oltraggio, salvi i ripensamenti successivi). Non sempre però riduzione significa liceizzazione del fatto (o di porzioni di fatto), potendosi realizzare un declassamento interno al sistema penale (da delitto a contravvenzione) o il trasferimento del fatto nel campo dell’illecito amministrativo[174]. E la depenalizzazione è avvenuta o perché il legislatore ha giudicato sproporzionato l’intervento stesso del diritto penale (come nella depenalizzazione del 1967 in materia di circolazione stradale) o perché lo ha reputato non necessario, sussistendo infatti strumenti di prevenzione con un’efficacia almeno pari a quella dimostrata fino a quel momento dalla sanzione penale (così quando, nel 1999, si è rinunciato alla pena per gli abusi in assegno)[175].

Sulla via della riduzione dell'area penale, la depenalizzazione appare il percorso più semplice. In realtà esso è però tutt'altro che privo di rischi, non solo nella scelta dei reati da depenalizzare. Il problema è in particolare quello dei "vasi comunicanti"[176]. Il travaso cioè di materia dall'area del penale e della corrispondente giurisdizione a quella dell'illecito amministrativo e delle corrispondenti autorità (seppur facilitato dai principi garantistici posti nella legge 689/1981 affinché non si risolva concretamente in una perdita secca di tutela) presuppone almeno due condizioni strutturali non facili da realizzare. Innanzitutto, proprio perché di travaso si tratta, all'alleggerimento sul versante penalistico corrisponde l'aggravio su quello amministrativo, e pertanto dovrebbe essere preliminarmente accertata la capacità di risposta del settore amministrativo, in termini di mezzi, personale e organizzazione. Inoltre, le autorità amministrative investite della nuova competenza dovrebbero presentare un grado di indipendenza e imparzialità tale da procurare insieme effettività della tutela e garanzia per il responsabile.

Sia la soluzione dell'abrogazione che quella della depenalizzazione sono accolte dalla recente Commissione ministeriale per la revisione del sistema penale[177]. La trasformazione di reati in illeciti amministrativi, motivata dall'impatto deflazionante che potrebbe avere sul carico giudiziario, viene fondata sulla necessità di espungere dal sistema penale fattispecie desuete o non più conformi ai principi di laicità e pluralismo del nostro ordinamento costituzionale. Si adotta dunque una tecnica di depenalizzazione fondata su un criterio quantitativo (la natura bagatellare della fattispecie per come indiziata dal livello sanzionatorio), e insieme qualitativo, operando un vaglio della meritevolezza e del bisogno di pena (e dunque sulla base dei principi di proporzione, sussidiarietà ed efficacia della sanzione penale) in alcuni settori particolarmente delicati (es. i reati in materia di edilizia e urbanistica). Le abrogazioni proposte hanno fondamento vario: si va per esempio da fattispecie di fatto disapplicate (istigazione a disobbedire alle leggi, art. 415 c.p.), a fattispecie troppo ampie e indeterminate (istigazione di militari a disobbedire alle leggi in riunione non privata, art. 266 comma 4 n. 3 c.p.), a previsioni ormai inutili (es. associazioni sovversive, art. 270 c.p., ormai definitivamente assorbita dall'art. 270 bis, associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico), a reati con eccessiva anticipazione dell'intervento penale (art. 707 c.p., possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli), a nuovi interventi in tema di oltraggio (ancora l'abrogazione delle fattispecie degli artt. 341 bis e 342 c.p.), etc. Sempre nella prospettiva dell'ultima ratio, si prevedono infine modificazioni nel codice penale, in particolare in materia di "osceno", non intervenendo sulla nozione (in quanto il "diritto vivente" garantisce sufficiente determinatezza al concetto) ma delimitandone fortemente la sfera applicativa, nella sostanza alla sola tutela dei minori. E infine abrogazioni e modifiche sono previste a proposito del testo unico di pubblica sicurezza (r.d. 18 giugno 1931, n. 773).

 

C) Normativizzazione di categorie penalistiche

Potrebbe essere funzionale a una riduzione dell’intervento penale, e insieme ai principi di precisione e tassatività, uno sforzo di normativizzazione in alcune fondamentali categorie penalistiche[178]. Un tentativo in questo senso coerente con un’impostazione di fondo segnata dal principio di ultima ratio era stato compiuto dal c.d. Progetto Grosso a proposito della colpa e del reato omissivo improprio[179].

Quanto alla colpa nella Relazione si affermava che «il rispetto delle regole cautelari specifiche... esclude la colpa relativamente agli aspetti disciplinati da dette regole, salvo che il progresso scientifico o tecnologico, nel periodo successivo alla loro emanazione, non le abbia rese palesemente inadeguate» (art. 31, comma 2). L'idea era dunque che le esigenze di tassatività ed effettività della tutela dei beni giuridici potessero essere soddisfatte basando il discrimine tra responsabilità e rischio consentito su regole cautelari-preventive di natura prevalentemente extrapenale[180].

Un esempio di riduzione dell’intervento penale che sembra agire proprio in questo senso è dato da una recente disposizione (art. 3 comma 1 della legge 189/2012) in tema di responsabilità penale medica, che così recita: «l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve» (fermo restando l’obbligo di risarcimento del danno, con riferimento ovviamente a eventi di morte o di lesioni).

La norma ridisegna i confini dell’area del penalmente rilevante attraverso una restrizione dell’area di responsabilità penale per colpa, ritagliata su particolari situazioni relative all’attività sanitaria[181]. La disposizione è stata immediatamente oggetto di forti critiche, sostanziatesi anche in una eccezione di legittimità costituzionale da parte del Tribunale di Milano[182]. Il senso di fondo di tale eccezione emerge nella censura (§ 7) di avere aperto un vuoto di tutela penale della persona offesa, rispetto alla quale «non può considerarsi fungibile la possibilità di ricorrere al giudice civile». Taluno ha osservato come questo assunto scopra il nucleo assiologico dell’approccio del tribunale: una valutazione negativa della nuova norma in quanto restrizione della tutela penale, di per sé censurabile indipendentemente dagli asseriti difetti tecnici del modo in cui è articolata, per contrasto con l’idea non dichiarata – di un livello costituzionalmente necessario di tutela penale[183]. Affidando al legislatore le scelte di penalizzazione, il principio di legalità considera invece quello penale un problema aperto politicamente e razionalmente: la tutela di beni giuridici è condizione necessaria di legittimazione dello strumento penale, ma non è sufficiente a fondare obblighi di penalizzazione[184]. Rappresenta ormai un assunto condiviso sia in dottrina che nella giurisprudenza della Cassazione che, in assenza di obblighi costituzionali espressi di incriminazione, il legislatore non può ritenersi vincolato dalla sola importanza del bene a tutelarlo penalmente: spetta sempre al legislatore la scelta del tipo di tutela, riservando alla pena il ruolo di extrema ratio[185]. Qui peraltro non si tratta nemmeno di scelta quanto piuttosto di livello di tutela interno al diritto penale: infatti il legislatore è intervenuto sulla colpa, un criterio di imputazione non generale, di base, come il dolo, ma una scelta solo possibile, affidata alle previsioni espresse di parte speciale (art. 42 comma 2 c.p.); inoltre, all’interno di questo tipo di imputazione soggettiva, il legislatore è intervenuto su un suo grado, quello minimo, la colpa lieve.

I confini della imputazione per colpa, del resto, sono un problema aperto non unicamente nel campo della responsabilità medica. L’estensione, quanto più possibile, dei casi di punizione solo per colpa grave è un indirizzo utile non solamente in vista dell’ultima ratio, ma potrebbe anche rappresentare l’orientamento di politica legislativa più efficace per un effettivo superamento della responsabilità oggettiva, evitando (per il rispetto del principio di colpevolezza) che la sufficienza  della colpa lieve rischi di essere un mero maquillage di facciata[186].

È pertanto condivisibile la difesa di questa norma, come apertura allo studio dei limiti dell’imputazione per colpa ai fini penali e contro l’idea che identifica tout court la tutela dei diritti della persona con il diritto penale; e dunque e infine di salvaguardia del principio di ultima ratio almeno sul piano della politica del diritto quale idea regolativa fondamentale dell’approccio liberale alla materia penale[187].

Ispirata al principio di ultima ratio è anche la ricerca di una maggiore precisione nell’individuazione delle posizioni di garanzia. A proposito del reato omissivo di evento – ancora nella Relazione al Progetto Grosso – si sottolineava come il modello vigente, che comporta un rinvio del diritto penale ad altri settori dell’ordinamento mediante una disposizione costruita come clausola generale, tende ad assicurare coerenza e completezza del sistema di tutela, a prezzo però di un deficit di determinatezza e di (conseguente) rinuncia a selezionare le posizioni di garanzia rilevanti da un punto di vista prettamente penalistico. L’indirizzo di fondo a cui si ispirava questo progetto di riforma era invece quello di una forte selezione delle figure di reato omissivo, per la più penetrante incidenza dei comandi di agire nella sfera di libertà dei destinatari. In questa prospettiva, prima ancora della definizione di formule normative, era apparsa opportuna una selezione di posizioni di garanzia.

 

D) Assetti amministrativi preventivi

Non è contraddittorio inoltre pensare che anche con l'introduzione di nuove fattispecie penali si possano perseguire le istanze del principio di ultima ratio. Ciò avviene in particolare quando alla previsione di nuove fattispecie si affianca un sistema organizzativo che possa relegare sullo sfondo la sanzione penale.

In questo senso, segnali di apertura al principio di ultima ratio sono contenuti in alcune disposizioni della recente legge anticorruzione (legge 6 novembre 2012, n. 190)[188]. È vero, appunto, che questa legge (intitolata alla prevenzione e repressione della corruzione dell’illegalità nella pubblica amministrazione) si caratterizza per un ampliamento della responsabilità penale[189], ma al contempo vengono previsti rimedi che vanno proprio nel senso della possibile riduzione dell’intervento penale.

Il modello pare essere quello vigente in tema di responsabilità da reato degli enti collettivi (d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231), ispirato a sua volta al sistema dei compliance programs di origine nordamericana, modelli organizzativi strutturati per prevenire i reati all’interno dell’ente, con la individuazione di aree di rischio della commissione di reati e assegnazione di compiti di vigilanza sul rispetto degli standard di comportamento e delle procedure da seguire. Il riferimento nel nostro sistema è in particolare alla c.d. colpa di organizzazione, che risiede proprio nella mancata adozione o inefficace attuazione di modelli di organizzazione e di gestione specificamente calibrati sul rischio-reato, volti cioè a prevenire, attraverso la fissazione di regole di condotta, la commissione di reati del tipo di quello verificatosi. Così nella legge n. 190/2012 vi sono disposizioni volte a delineare modelli organizzativi dell’azione amministrativa idonei a prevenire fatti di corruzione e di sfruttamento della funzione pubblica per fini personali. Ne sono esempi nell'art. 1 la previsione di piani di prevenzione della corruzione da parte delle pubbliche amministrazioni, ispirati a modelli di risk management (comma 5), l’istituzione di dirigenti responsabili della prevenzione della corruzione (commi 7 e 8), la previsione di codici di comportamento (comma 44)[190].

L'apprezzamento per tali espressioni organizzative motiva una riflessione più generale: il diritto penale, per poter svolgere davvero il ruolo di ultima ratio, ha necessità di un contesto in cui operino altre forme di responsabilità, giuridiche e non, e di un’etica della responsabilità che assicuri sufficienti livelli di osservanza. Nella storia recente, proprio l’espansione del diritto penale svolge un ruolo di supplenza a fronte di una questione morale (e criminale) ingigantita dalla debolezza di forme di accountability diverse dal penale. Ed è significativo il richiamo di Pulitanò allo scenario descritto da Tacito negli Annales (liber III.27): corruptissima republica plurimae leges[191].

Lo schema utilizzato nella recente legge anticorruzione dimostra come la prevenzione mediante sistemi organizzativi amministrativi non sia comunque autosufficiente, necessitando dell’intervento di rinforzo del diritto penale. Medesima esigenza – e pare dunque un modello generalizzato – si pone in molti altri settori.

Emblematico è quanto avvenuto in tema di regolazione dei mercati. Qui la vocazione fisiologica del diritto penale dovrebbe essere quella di strumento sussidiario, secondo l’ispirazione dell’ultima ratio: invece la presenza del diritto penale nella regolazione dei mercati è una costante dell’intervento legislativo un po’ in tutti gli ordinamenti giuridici[192]. Il ruolo del diritto penale si esercita soprattutto nella salvaguardia delle funzioni dello strumento chiave utilizzato dal legislatore, quello cioè delle autorità amministrative indipendenti.

Il processo di riduzione, coordinamento e razionalizzazione della disciplina societaria ha portato alla creazione (d. lgs. 11 aprile 2002, n. 61) di una fattispecie unitaria e onnicomprensiva di “Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza” (art. 2638 c.c.). Si tratta di una fattispecie a lungo criticata sotto i profili della determinatezza, ragionevolezza e proporzione dell’intervento penale, che qui però viene in rilievo sul piano dei limiti di operatività del principio di ultima ratio in un settore oggi di enorme importanza quale il diritto penale dell’economia. Ci si è posti cioè il dubbio se la diffusione di autorità amministrative di vigilanza sull’attività economica privata possa rappresentare un valido strumento tecnico di prevenzione dei comportamenti illeciti degli operatori economici, tale da consentire o imporre a un legislatore razionale la rinuncia all’opzione penale. Ma come insegna quanto avvenuto per le società di revisione in rapporto al fenomeno del falso in bilancio[193], il meccanismo preventivo amministrativo può funzionare solo quando ha la “copertura” dello strumento repressivo penale.

Dunque il ricorso a modelli organizzativi e di controllo interni al sistema amministrativo, con la specifica funzione di prevenire illeciti nei settori coinvolti, e qui in specie quello economico, finisce per portare con sé non meno ma più diritto penale, nel senso di una maggiore produzione di fattispecie incriminatrici. Tuttavia se tali nuove fattispecie sono razionalmente formulate e soprattutto il sistema amministrativo preventivo di controlli fosse davvero efficiente il quadro finale si risolverebbe in una riduzione dell’intervento penale: alla maggiore quantità di diritto penale dal punto di vista normativo astratto corrisponderebbe una minore quantità di diritto penale dal punto di vista applicativo concreto, e a un'affermazione per così dire in action del principio di ultima ratio[194].

 

E) Riforma del sistema sanzionatorio

Cesare Beccaria concludeva la sua opera fondamentale con questo "teorema generale": «perché ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, dev'essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata a' delitti, dettata dalle leggi»[195].

A questi dettami, ancora oggi, dovrebbe ispirarsi il Legislatore in una riforma complessiva del sistema sanzionatorio penale, che realizzi finalmente la sussidiarietà "interna", cioè con la pena detentiva ultima ratio[196]. Oltre a costituire un dovere per il rispetto della dignità umana, una tale riforma è essenziale per mettere in grado il sistema penale di mantenere ciò che promette (o meglio che minaccia) e per assegnare dunque credibilità al sistema.

Il percorso è iniziato da tempo[197]. Un indirizzo (anche magari alla commissione ministeriale di studio del sistema sanzionatorio nominata – decreto 10 giugno 2013 – con la presidenza del prof. Palazzo) potrebbe essere fornito dai lavori della c.d. Commissione Pagliaro, che agli inizi degli anni novanta elaborò un progetto di riforma del codice penale ispirando espressamente le conseguenze del reato al principio di ultima ratio[198]. Dato che tale principio dovrebbe guidare già la selezione dei fatti penalmente rilevanti, non si era ritenuto di introdurre una diversa tipologia di sanzioni perché «quando l'offesa penalmente rilevante è selezionata secondo corretti criteri di politica criminale e quindi nel rispetto sia del principio di proporzione che di quello di sussidiarietà, non può escludersi a priori la necessità di ricorrere alla pena criminale più grave e significativa senza con ciò tradire il senso stesso del canone di ultima ratio». Le istanze del principio di ultima ratio dovevano poi secondo il senso del progetto accompagnare l'intero percorso penale. La fase di commisurazione assumeva infatti come proprio baricentro questo principio, prevedendosi, tra l'altro, per il giudice: la possibilità di astenersi dall'inflizione della pena allorché il reo abbia subito una poena naturalis tale da rendere ingiustificata sia dal punto di vista della colpevolezza che della specialprevenzione la sanzione; la facoltà di escludere l'applicazione o della pena accessoria o della pena principale, quando le finalità del trattamento sanzionatorio possono essere compiutamente raggiunte con una sola di esse. E sempre in funzione dell'ultima ratio era concepito lo schema dinamico del trattamento sanzionatorio, con l'effetto coordinato di un rafforzamento della sospensione condizionale e di un utilizzo delle sanzioni sostitutive come trattamento sanzionatorio della criminalità minore recidivante.

 

F) Riparazione come alternativa alla pena

Volgendo infine lo sguardo al di là della punizione, e dunque davvero in direzione del diritto penale come ultima ratio, di fronte all'onnipresenza della pena (specie detentiva) quale costante storica, appare un'alternativa credibile la riparazione, come ulteriore strumento di cui avvalersi anche per ricollocare così la vittima al centro dell'attenzione[199]. Questo orientamento pare seguito pure dalla recente commissione ministeriale per la revisione del sistema penale[200], che tra le sue proposte inserisce una ipotesi generale di causa di estinzione del reato in presenza di condotte riparatorie, estendendo dunque a livello di giustizia ordinaria la previsione già esistente nel sistema del giudice di pace. Il nuovo art. 162-ter c.p. dovrebbe riguardare tutti i delitti procedibili a querela (del quale ambito, tra l'altro, e sempre in ottica deflattiva, si propone una significativa estensione comprendendovi alcuni reati contro la persona e contro il patrimonio): il giudice, insomma, potrebbe vincere l'eventuale persistenza punitiva del querelante, in presenza di condotte idonee a riparare l'offesa agli interessi tutelati. Il terreno privilegiato di applicazione di questa nuova causa estintiva è rappresentato dai reati contro il patrimonio, e il suo impiego viene aiutato anche dalla proposta di inserimento di un nuovo art. 649-bis, che consente appunto l'applicazione del neo art. 162-ter per tutti i delitti, anche procedibili d'ufficio, contenuti nel titolo XIII del libro II del codice penale, con l'eccezione dei delitti patrimoniali contraddistinti da violenza alle persone.

 

 

Abstract

 

Since the Enlightenment, criminal law, characterized by the use of the harshest and most disruptive sanctions, should represent the last resort (ultima ratio)  for the defense of individual and collective interests. Posed this historical premise, the essay studies theorical and normative foundation of this principle and then proves the effectiveness of the principle in the context of the present criminal policy. It results clearly the crisis of the principle in presence of an uncontrolled drift to criminalization and some of the causes are studied, causes such as the expansion of the scale of interests protected and the dominance of prevention as criminal paradigm. However only reaffirming criminal law in its role of ultima ratio it will be possible to restore esteem and effectiveness of criminal law, and, with this aim, the essay proposes some corrective solutions, before on the interpretative level and then on the legislative one, in order to reduce the intervention of criminal law.

 

Fin dall’Illuminismo, il diritto penale, caratterizzato dall’impiego delle sanzioni più dure e distruttive, dovrebbe rappresentare la soluzione estrema (ultima ratio) per la tutela degli interessi individuali e collettivi. Data questa premessa storica, il lavoro studia i fondamenti teorici e normativi del principio per poi verificarne l'operatività nell'attuale contesto politico-criminale. Emerge chiara la crisi del principio di fronte a una incontrollata spinta alla criminalizzazione e ne vengono studiate alcune cause, come l'ampliamento della gamma dei beni tutelati e il dominio della prevenzione quale paradigma penale. Solo però riaffermandone il ruolo di ultima ratio sarà possibile restituire al diritto penale prestigio ed efficacia, e con questa finalità il lavoro prospetta alcuni correttivi, già sul piano interpretativo e poi su quello legislativo, per una riduzione dell'intervento penale.

 

 



 

[Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Contributi” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind].

 

[1] CATTANEO, Illuminismo e legislazione, Milano 1966.

 

[2] BECCARIA, Dei delitti e delle pene, 5ª ed., Harlem 1766, riprodotta a cura di F. Venturi, Milano 1991 e Torino 2007, § II dell’Introduzione. E in Germania FEUERBACH, Lehrbuch des gemeinen in Deutschland geltenden peinlichen Rechts, 5. Aufl., Giessen 1812.

 

[3] Tra le altre, Corte cost. 23 ottobre 1989, n. 487, in ItalGiureWeb.

 

[4] MONTESQUIEU, De l'esprit des lois, Ginevra 1748, trad. it. Lo spirito delle leggi, Milano 1999, 231 ss.: «La severità delle pene conviene di più al governo dispotico il cui principio è il terrore»; e poco dopo a proposito dell'efficacia: «l'esperienza ha fatto osservare che nei paesi in cui le pene sono miti, lo spirito del cittadino ne è impressionato come altrove lo è delle pene gravi»; e infine quanto all'ineffettività: «La severità delle leggi ne impedisce l'esecuzione. Quando la pena è senza misura, si è spesso obbligati a preferire l'impunità».

 

[5] BECCARIA, Dei delitti e delle pene, cit., § XXVII. Analogamente FEUERBACH, Anti-Hobbes ovvero i limiti del potere supremo e il diritto coattivo dei cittadini contro il sovrano, trad. it. a cura di Cattaneo, Milano 1972, 108 ss. I postulati di Beccaria trovarono pronta e positiva applicazione nella Riforma della legislazione criminale toscana del 1786, primo codice in Europa ad abolire la pena di morte e a riconoscere che pene sproporzionate alle trasgressioni producono alla fine solamente un incremento del numero dei delitti. Vedi anche in seguito ROMAGNOSI, Genesi del diritto penale, quinta edizione, Prato 1833 (ripr. Milano 2003, con introduzione di Palombi), 409-410: secondo Romagnosi «Consta in fatti che l'eccesso della pena provoca molte volte maggiori delitti, e rivolta l'animo dei magistrati e del popolo».

 

[6] BECCARIA, Dei delitti e delle pene, cit., § VI. Vedi NEPPI MODONA, L’utile sociale nella concezione penalistica di Cesare Beccaria, in Riv. it. dir. proc. pen., 1989, 494 ss., e MARINUCCI, Beccaria penalista, nostro contemporaneo, in AA.VV., Diritti dell'uomo e sistema penale, a cura di S. Moccia, Napoli 2002, 15 ss.

La "proporzione" rientra tra i "Principii generali" della "criminale legislazione" nella Scienza della Legislazione di Gaetano FILANGIERI (188-189 dell'edizione di Parigi 1853, riprodotta con introduzione di Palombi, Napoli 2003). La giusta proporzione produce un effetto di limitazione: «Il legislatore, nel determinare dunque le pene alle diverse specie de' delitti, non deve permettersi che quel grado di severità necessaria per reprimere l'affezion viziosa che li produce». La stessa opera di costruzione sistematica compiuta da Filangieri nella Scienza della Legislazione ha l'intento di provocare l'uscita dalla confusione normativa, rapportando le pene ai diversi reati, ripartiti per classi sulla base dell'oggetto di tutela: «Se ogni delitto deve avere la sua pena proporzionata all'influenza che ha sull'ordine sociale il patto, che si viola, ed al gradi di malvagità che si mostra, nel violarlo; le leggi debbono dunque ben distinguere i delitti, per ben distinguere le pene». Il concetto di proporzione e soprattutto la necessità di definizione sistematica del diritto penale rientrerà tra i principi fondamentali dell'opera di Mario PAGANO, Principii del codice penale, Milano 1803 (ristampa Milano 1998, con introduzione di Palombi).

 

[7] BECCARIA, Dei delitti e delle pene, cit., §§ XL-XLI.

 

[8] MARAT, Plan de législation criminelle, Paris 1790, 29.

 

[9] BENTHAM, Théorie des peines et des récompenses, 1811, in Ouvres, Bruxelles 1829, a cura di Dumont e Laroche, rist. anast. Aalen 1969, II, 4 ss., e ID., Traité de législation civile et pénale, 1802, ivi, I, 9 ss.

Bentham nell’Essay on Logic (in The Works of Jeremy Bentham, Edinburgh, 1838-43; rist. New York 1962, vol. VIII, 247; anche A Fragment on Ontology, ivi, 206) dice che «un obbligo (di comportarsi in un certo modo) pende su un uomo […] nella misura in cui, nel caso in cui egli non si comporti in quel modo, si può considerare che egli sperimenti dolore o perdita di piacere»; e, poco dopo, tra le fonti o "sanzioni" di piacere e dolore, Bentham menziona non solo quelle legali ma anche, per esempio, quelle fisiche, morali e religiose. Quello giuridico dunque è solo uno dei tipi di obbligo, dato che l'obbligo ha per causa efficiente il piacere e il dolore, i quali possono provenire «a partire da qualsiasi delle cinque sanzioni o fonti di piacere e di dolore […] cioè: 1) la sanzione fisica; 2) la sanzione simpatetica; 3) la sanzione popolare o morale; 4) la sanzione politica, inclusa quella legale; 5) la sanzione religiosa». Vedi SAMEK LODOVICI, L’utilità del bene. Jeremy Bentham, l’utilitarismo e il consequenzialismo, Milano 2004.

Per un richiamo  al paradigma utilitaristico di stampo illuministico quale modello di diritto penale orientato alle conseguenze, PALIERO, Il principio di effettività del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, 436-437, e sul peso dell'utilitarianism sull'overcriminalization, HUSAK, Overcriminalization. The Limits of the Criminal Law, Oxford 2008, 188 ss.

 

[10] ROMAGNOSI, Genesi del diritto penale, cit., 103.

 

[11] CARRARA, Programma del corso di diritto criminale. Del delitto, della pena, 5ª ed., ripr. anast. Bologna 1993 (con introduzione di Franco Bricola), 64-65. BRICOLA, nell’introduzione, sottolinea il richiamo di Carrara ai principi di extrema ratio e sussidiarietà, vessilli intorno ai quali ancora oggi si svolge una battaglia, purtroppo senza esito positivo, per una riduzione dell’area del penalmente rilevante. Sempre Bricola osserva che la prospettiva di riduzione dell’intervento penale si lega, nell’impostazione di Carrara, anche alla difesa, come oggetto di tutela, del diritto soggettivo rispetto al bene giuridico, garanzia di stampo liberale ma più suscettibile di dilatare l’ambito della sfera punibile. Ancora ai tempi di Carrara la barriera imperniata sul diritto soggettivo riesce: più difficile sarà (ed è) – conclude Bricola – l’attuazione del monito di Carrara col sopravvenire delle nuove istanze dello Stato sociale, che amplia i settori di intervento, volge la tutela verso i doveri di solidarietà, le regole di organizzazione o le funzioni, con la progressiva creazione e sviluppo di reati artificiali.

 

[12] ELLERO, Scritti minori, Bologna 1875, 78.

 

[13] FERRI, Dei sostitutivi penali, Torino 1880, 12, 42, 44-45, 61.

 

[14] Von LISZT, Der Zweckgedanke im Strafrecht, 1882, in Strafrechtliche Aufsätze und Vorträge, Berlin 1905, rist. anast. Berlin 1970, I, 161, e ID., Kriminalpolitische Aufgaben (1889-1892), ivi, I, 291. Vedi anche ROXIN, Franz von Liszt, in ID., Strafrechtliche Grundlagenprobleme, Berlin – New York 1973, 40 ss. Sul tema di un diritto penale fondamentalmente ispirato all’idea dello scopo, MONACO, Prospettive dell’idea dello ‘scopo’ nella teoria della pena, Napoli 1984.

 

[15] Il richiamo al principio è un assunto comune nei nostri manuali di diritto penale. Secondo ANGIONI, Contenuto e funzioni del concetto di bene giuridico, Milano 1983, 215 ss., «Non c’è oggi autore che si interessi al tema della dimensione dell’ambito penale che non renda omaggio esplicito al principio dell’extrema ratio». Fra gli altri, FIANDACA-MUSCO, Diritto penale. Parte generale, 6ª ed., Bologna 2009, 29 ss.; MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, 7ª ed., Padova 2011, XLII; MARINUCCI-DOLCINI, Manuale di Diritto Penale. Parte generale, 4ª ed., Milano 2012, 13 s.; PULITANÒ, Diritto penale, 5ª ed., Torino 2013, 50; GROSSO-PELISSERO-PETRINI-PISA, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano 2013, 5 e sull'evoluzione storica 14-15. Analoghe osservazioni per la manualistica nordeuropea da parte di JAREBORG, Criminalization as Last Resort (Ultima Ratio), in Ohio State Journal of Criminal Law, 2, 2004, 521, per quella spagnola e latino americana da CARNEVALI RODRÍGUEZ, Derecho penal como ultima ratio. Hacia una política criminal racional, in Revista Ius et Praxis, 1, 2008, 13 ss., e per quella tedesca da PRITTWITZ, Das deutsche Strafrecht: Fragmentarisch? Subsidiär? Ultima ratio? Gedanken zu Grund und Grenzen gängiger Strafrechtsbeschränkungspostulate, in Institut für Kriminalwissenschaften (Hrsg.). Vom unmöglichen Zustand des Strafrechts, Frankfurt am Main 1995, 387.

 

[16] LÜDERSSEN, Einleitung, in LÜDERSSEN / NESTLER-TREMEL / WEIGEND (Hrsg.), Modernes Strafrecht und ultima-ratio-Prinzip, Frankfurt am Main 1990, 11.

 

[17] HASSEMER, Perché punire è necessario, Bologna 2012, 153 (tit. orig. Warum Strafe sein muss. Ein Plädoyer,  Berlin 2009, trad. it. D. Siciliano).

 

[18] LÜDERSSEN, Kriminologie. Einführung in die Problematik von Kriminalität und Kriminalisierung, Baden-Baden 1984, 167. «In casi estremi, estremi rimedi», semplifica NAUCKE, Strafrecht. Eine Einführung, 6. Aufl., Neuwied 1991, 53.

 

[19] ARZT, Probleme der Kriminalisierung und Entkriminalisierung sozialschädlichen Verhaltens, in Kriminalistik, 1981, 117 ss.; PRITTWITZ, Das deutsche Strafrecht: Fragmentarisch? Subsidiär? Ultima ratio?, cit., 393 ss.

 

[20] Vedi PALAZZO, Sistema delle fonti e legalità penale, in Cass. pen., 2005, 283, e M. ROMANO, Complessità delle fonti e sistema penale. Leggi regionali, ordinamento comunitario, Corte costituzionale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 538 ss.

 

[21] Cfr. MAIWALD, Zum fragmentarischen Charakter des Strafrechts, in Festschrift für R. Maurach, Karlsruhe 1972, 9 ss., 22-23; JESCHECK, Strafrecht. Allgemeiner Teil, 5. Aufl., 1996, 21 ss.; JAKOBS, Strafrecht. Allgemeiner Teil, 2. Aufl., Berlin - New York 1993, 49; JAREBORG, Criminalization as Last Resort, cit., 531 e 534; YOON, Strafrecht als ultima ratio und Bestrafung von Unternehmen, Frankfurt am Main 2001, 89 ss.

 

[22] ARZT, Probleme der Kriminalisierung und Entkriminalisierung, cit., 122.

 

[23] PRITTWITZ, Das deutsche Strafrecht: Fragmentarisch? Subsidiär? Ultima ratio?, cit., 409 ss. Cfr. anche, dal punto di vista delle argomentazioni empiriche, la nota opinione di DURKHEIM, Kriminalität als normales Phänomen, in SACK-KÖNIG, Kriminalsoziologie, Frankfurt am Main 1968, 3 ss., secondo il quale una certa quantità di criminalità occulta è non solo normale ma addirittura utile.

 

[24] PAVARINI, Sicurezza dalla criminalità e governo democratico della città, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, tomo 1, Milano 2006, 1022.

 

[25] GARAPON-SALAS, La République pénalisée, Paris 1996 (trad. it. S. Sinibaldi, La Repubblica penale, Macerata 1997, con prefazione di A. Panebianco), 73 (della traduzione). Sui meccanismi attraverso i quali l'eccesso di criminalizzazione alla fine genera ingiustizia, HUSAK, Overcriminalization, cit., 17 ss.

 

[26] ANGIONI, Bene giuridico, cit., 216-217. Per un'analisi economica del diritto penale, PALIERO, L'economia della pena (un work in progress), in Studi in onore di Giorgio Marinucci, tomo 1, cit., 2006, 543 ss. Su questo tipo di approccio, fondamentale BECKER, Crime and Punishment. An Economic Approach, in Journal of Political Economy, 76, 1968, 169 ss. A proposito delle alternative alla overcriminalization basate su un'analisi economica del diritto, HUSAK, Overcriminalization, cit., 180 ss., e ancor prima POSNER, An Economic Theory of the Criminal Law, in Columbia Law Review, 85, 1985, 1193 ss.

 

[27] Vedi nel sistema nordamericano, per i rischi di dispersione dell'impegno da parte degli organi deputati a garantire la sicurezza, già SCHWARTZ, Moral Offense and the Model Penal Code, in Columbia Law Review, 63, 1963, 669 ss., e poi LUNA, The Overcriminalization Phenomenon, in American University Law Review, 54, 2005, 726 ss. Anche in Germania, il rischio di dispersione di risorse a scapito del perseguimento dei reati più gravi era tra i presupposti della proposta di riforma avanzata da una commissione presieduta dal prof. Albrecht all'inizio degli anni '90: AA.VV., Strafrecht - ultima ratio. Empfehlungen der Niedersächsischen Kommission zur Reform des Strafrechts und des Strafverfahrensrechts, Baden-Baden 1992, 14.

 

[28] Vedi SCHÜNEMANN, Grund und Grenzen der unechten Unterlassungsdelikte. Zugleich ein Beitrag zur strafrechtlichen Methodenlehre, Göttingen 1971, 365, e inoltre SILVA SÁNCHEZ, Aproximación al Derecho penal contemporáneo, Barcelona 1992, 180 ss.

 

[29] D’altro canto – osserva FORTI, La riforma del codice penale nella spirale dell’insicurezza: i difficili equilibri tra parte generale e parte speciale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, 69-70 – proprio la consapevole assunzione, come asse portante del sistema penale, di questo principio, nel quale si compendia e amplifica il concetto fondamentale della relatività e del relativismo della pena, costituisce la migliore garanzia che sia fugato o almeno tenuto a freno il tenace retaggio retributivo che si annida tra le pieghe di altri pur rispettabili principi di matrice liberale. Anzi, il dettame dell'extrema ratio dovrebbe divenire – propone Forti – il principio regolatore centrale, sovraordinato anche rispetto a principi come la legalità-tassatività e l'offensività, tradizionalmente associati alla fisionomia del c.d. diritto penale classico. È infatti, di per sé, la coerente adesione a questo principio a indirizzare il sistema penale verso un serrato confronto con la realtà empirica, sotto forma di un'attenzione verso la genesi e gli effetti delle varie fenomenologie criminose, e di una concreta verifica delle potenzialità di tutela ascrivibili alle diverse risorse sanzionatorie complessivamente a disposizione dell'ordinamento giuridico.

 

[30] Corte cost., 11 giugno 1990 n. 282, in ItalGiureWeb. Per il collegamento con l'art. 13 Cost., vedi DE VERO, Corso di Diritto penale, I, Torino 2004, 52-53. Cfr., per il rapporto tra legalità e ultima ratio, PRITTWITZ, Das deutsche Strafrecht: Fragmentarisch? Subsidiär? Ultima ratio?, cit., 394 ss. e NAUCKE, Der Zustand des Legalitätsprinzips, in AA.VV., Modernes Strafrecht und ultima-ratio-Prinzip, cit., 149 ss.

 

[31] Per un collegamento tra teoria del bene giuridico, principio di proporzionalità e principio di stretta necessarietà dell'intervento penale, HASSEMER, Perché punire è necessario, cit., 152 ss. Sul principio di proporzione nella logica del sistema penale, G. DE FRANCESCO, Diritto penale. I fondamenti, Torino 2008, 11 ss.

 

[32] MARINUCCI - DOLCINI, Manuale, cit., 11-12.

 

[33] ANGIONI, Bene giuridico, cit., 163 ss.

 

[34] MARINUCCI - DOLCINI, Manuale, cit., 12.

 

[35] ANGIONI, Bene giuridico, cit., 215 ss., il quale ritiene questo un principio con base normativa (c.d. principio di idoneità della pena), se si suppone che la Costituzione abbia fatta propria, in forma esclusiva o no, la funzione generalpreventiva della pena (in base agli artt. 25 e 27). Talora la sanzione penale produce addirittura l’esito opposto, può cioè risultare alla fine criminogena: è quanto è accaduto per l’aborto, dove, ridotto il ruolo della pena nel suo contrasto, ne è seguito un calo nel numero complessivo; cfr. L’aborto nelle sentenze delle Corti costituzionali: USA, Austria, Francia e Repubblica federale tedesca, Milano 1976, 238 e 304.

 

[36] PALIERO, Il principio di effettività, cit., 447, e poi in particolare 461 ss.

 

[37] GÜNTHER, Die Genese eines Straftatbestandes. Eine Einführung in Fragen der Strafgesetzgebungslehre, in Jus, 1978, 11. Vedi anche PALIERO, Il principio di effettività, cit., 450.

 

[38] Al proposito, DOLCINI, Sanzione penale o sanzione amministrativa: problemi di scienza della legislazione, in MARINUCCI - DOLCINI, Diritto penale in trasformazione, Milano 1985, 371 ss.

 

[39] MARINUCCI - DOLCINI, Manuale, cit., 13. Vedi anche PADOVANI, Diritto penale, 10ª ed., Milano 2012, 3.

 

[40] PRITTWITZ, Das deutsche Strafrecht: Fragmentarisch? Subsidiär? Ultima ratio?, cit., 391 ss.: in questo senso – secondo Prittwitz – la sussidiarietà è una questione di competenza. Cfr. Arth. KAUFMANN, Subsidiaritätsprinzip und Strafrecht, in Festschrift Henkel, Berlin 1974, 89 ss., e BRANDT, Die Bedeutung des Subsidiaritätsprinzip für Entpoenalisierungen im Kriminalrecht, Hamburg 1988, 135 ss. E già SAUER, Grundlagen des Strafrecht, nebst Umriß einer Rechts- und Sozialphilosophie, Berlin-Leipzig 1921, 13.

 

[41] JESCHECK, Grundsätze der Kriminalpolitik in rechtsvergleichender Sicht, 1995, in ID., Beiträge zum Strafrecht 1980-1998, Berlin 1998, 414, e DONINI, Il volto attuale dell’illecito penale. La democrazia penale tra differenziazione e sussidiarietà, Milano 2004, 85.

 

[42] Cfr., GARGANI, Sovraffollamento carcerario e violazione dei diritti umani: un circolo vizioso per la legalità dell'esecuzione penale, in Studi in onore di Franco Coppi, II, Torino 2011, 1037 ss.

 

[43] Così EUSEBI, Ripensare le modalità della risposta ai reati traendo spunto da C. eur. dir. uomo 19 giugno 2009, Sulejmanovic c. Italie, nota a Corte europea diritti uomo, 16/07/2009, n. 22635, sez. II, in Cass. pen., 2009, 4939, e più in generale da parte dello stesso Autore, La riforma ineludibile del sistema sanzionatorio penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 1307 ss. Vedi PADOVANI, Alla ricerca di una razionalità penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 1087 ss., sui limiti dell'offerta penale.

 

[44] GARAPON-SALAS, La République pénalisée, cit., 80 ss., propongono di sviluppare maggiormente le sanzioni che si pongono sullo stesso registro del male causato (traendo magari ispirazione – potremmo aggiungere – dalle pene accessorie interdittive del nostro sistema penale). MONTESQUIEU, in De l'esprit de lois, cit., libro XII capitolo quarto, affermava: «È il trionfo della libertà , quando le leggi penali fanno derivare la pena dalla specifica natura del reato. Cessa qualunque arbitrio; la pena non dipende dal capriccio del legislatore ma dalla natura delle cose; e non è l'uomo a far violenza all'uomo».

 

[45] M. ROMANO, Danno a sé stessi, paternalismo legale e limiti del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 993, ed EUSEBI, Ripensare le modalità della risposta ai reati, cit., 4952 ss. Eusebi propone di recuperare il sistema delle sanzioni penali alla progettazione politico-criminale, operando scelte che comunque non risulteranno mai argomentabili come un teorema matematico, né mai potranno essere totalmente desumibili da una logica solo interna all'ambito delle discipline penalistiche. Lo stesso tasso di prevenzione dei reati è riconducibile essenzialmente non già al timore per l'entità delle conseguenze negative per il caso di trasgressione delle norme penali, ma al livello di consenso che tali norme riescono a ottenere per libera scelta dei singoli individui, per l'autorevolezza che esse sono in grado di guadagnarsi nel contesto sociale.

 

[46] MAIWALD, Zum fragmentarischen Charakter des Strafrechts, in Festschrift Maurach, Karlsruhe 1972, 9 ss., e HEFENDEHL, Der fragmentarische Charakter des Strafrechts, in Juristische Arbeitsblätter, 6, 2011, 401 ss. Per questa descrizione nella dottrina italiana, FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., 32 ss.; PADOVANI, Diritto penale, cit., 3-4; MANNA, Corso di diritto penale. Parte generale, 2ª ed., Padova 2012, 26 s. Vedi PALIERO, Minima non curat praetor. Ipertrofia del diritto penale e decriminalizzazione dei reati bagatellari, Padova 1985, 159-160; PALAZZO, Principi costituzionali, beni giuridici e scelte di criminalizzazione, Firenze 1990, 12-13; MUSCO, L'illusione penalistica, Milano 2004, 3. Cfr. PULITANÒ, Diritto penale, cit., 49, che nega al carattere frammentario del diritto penale valenza di principio, ritenendolo piuttosto un riflesso formale del principio di legalità e ne segnala anzi il possibile contrasto col principio di uguaglianza. Per un'applicazione specifica del rapporto tra frammentarietà ed extrema ratio in tema di protezione dell'integrità psichica, VITARELLI, Manipolazione psicologica e diritto penale, Roma 2013, 17 s.

 

[47] FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., 35. L’idea iniziale di Binding – a cui il principio risale – era invece diversa, visto che ravvisava nel carattere frammentario, per il suo contenuto di arbitrarietà, un grande difetto del codice penale di allora: BINDING, Lehrbuch des Gemeinen Deutschen Strafrechts, I, 2. Aufl., Leipzig 1902, 20. Abbandonata presto questa visione, la dottrina tedesca ravvisa nel carattere frammentario del diritto penale addirittura “il segno distintivo di uno Stato di Diritto”, per il suo significato di limitazione dell’intervento penale a quelle condotte che, per la loro pericolosità o riprovevolezza, meritano in maniera univoca una pena pubblica per la protezione della società stessa (JESCHECK, Strafrecht. Allgemeiner Teil, cit., 52 ss.), e ponendo in definitiva un obbligo di contenimento della legislazione penale (NAUCKE, Strafrecht, cit., 78).

 

[48] FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., 30-31, fanno presente l’esistenza di una concezione “ristretta” del principio di ultima ratio e di una concezione, appunto, più “ampia”. Cfr. MANTOVANI, Diritto penale, cit., XLII.

 

[49] FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., 31.

 

[50] Sul ruolo simbolico della normativa penale, cfr. HAFFKE, Die Legitimation des staatlichen Strafrechts zwischen Effizienz, Freiheitsverbürgung und Symbolik, in Festschrift Roxin, 2001, 955 ss., che ritiene tale ruolo agli antipodi di un diritto penale razionale ed efficiente; HASSEMER, Das Symbolische am simbolischen Strafrecht, ivi, 1001 ss.; ROXIN, Was darf der Staat unter Strafe stellen? Zur Legitimation von Strafdrohungen, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, tomo 1, cit., 728 ss. Per un'applicazione specifica nel nostro Paese, ALESSANDRI, Un esercizio di diritto penale simbolico: la c.d. tutela penale del risparmio, in Scritti per Federico Stella, Napoli 2007, 943 ss.

 

[51] Su tale principio, MARINUCCI - DOLCINI, Corso di diritto penale, vol. 1, Milano 2001, 119 ss., e sul suo fondamento costituzionale, PALAZZO, Il principio di determinatezza nel diritto penale, Milano 1979, 104 ss. Parla di scadimento del Parlamento quale tutore della legalità, nella crescente produzione legislativa di leggi vuote (simboliche), compromissorie, o semplicemente sciatte, MANTOVANI, Diritto penale, cit., 68-69.

 

[52] MARINUCCI-DOLCINI, Manuale, cit., 82-83.

 

[53] Corte cost. 22 aprile 1992 n. 185, in Giur. cost., 1992, 1333 ss. Il principio è stato sempre più valorizzato dalla Corte costituzionale, che ha accolto diverse eccezioni di costituzionalità sollevate dai giudici ordinari: MARINUCCI - DOLCINI, Corso, cit., 143 ss.

 

[54] Tra le tante Corte cost. 7 luglio 2005, n. 265, in Giur. cost., 2005, 2432 s. Il principio potrà poi operare la sua funzione delimitativa non solo riguardo agli elementi costitutivi del fatto ma pure alle circostanze aggravanti, che non potranno in nessun caso essere espressione di una «generale e presunta qualità negativa dell'autore» della condotta illecita (Corte cost. 5-8 luglio 2010, n. 249, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, 1349 ss.).

 

[55] Corte cost. 24 luglio 2007 n. 322, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 1350. Per una precisa e coerente applicazione di questa pronuncia della Corte costituzionale, vedi Cass. S.U. 22 gennaio 2009, n. 22676, in ItalGiureWeb,  a proposito di una tradizionale ipotesi di responsabilità oggettiva quale l'art. 586 c.p.

 

[56] Per un’analisi delle due categorie nella nostra dottrina, M. ROMANO, «Meritevolezza di pena», «bisogno di pena» e teoria del reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 39 ss. Su meritevolezza (Strafwürdigkeit) e bisogno di pena (Strafbedürftigkeit) nella dottrina tedesca, tra gli altri, BLOY, Die dogmatische Bedeutung der Strafausschließungs- und Strafaufhebungsgründe, Berlin 1976, 227 ss.; GÜNTHER, Strafrechtswidrigkeit und Strafunrechtsausscluß, Köln 1983, 236 ss.; VOLK, Entkriminalisierung durch Strafwürdigkeitskriterien jenseits des Deliktsaufbaus, in ZStW, 97, 1985, 871 ss.

 

[57] MARINUCCI-DOLCINI, Corso, cit., 512 ss.

 

[58] Al di là del rango del bene, la scelta del tipo di tutela – riservando al diritto penale il ruolo di extrema ratio spetta sempre al legislatore. E la stessa Corte costituzionale, già dal 1969 (3 dicembre 1969, n. 147, in Giur cost., 1969, 2244), ha chiarito che «appartiene alla politica legislativa il potere di stabilire, in relazione a un determinato contesto storico, se siano sufficienti le sanzioni di natura civile o se sia necessario disporre anche misure penali». L'opzione per la via amministrativa è invece affermata in Corte cost. 21 luglio 1983, n. 226, in Giur cost., 1983, 1395 ss.: qui la Corte ha ritenuto giustificata la scelta legislativa di privilegiare il ricorso al controllo amministrativo invece che alla repressione penale, dato che un’articolata disciplina amministrativa dell’inquinamento idrico appare ragionevolmente capace di un’efficacia protettiva maggiore rispetto a un controllo penale già sperimentato con esiti negativi.

 

[59] MARINUCCI-DOLCINI, Corso, cit., 513.

 

[60] Cfr. ANGIONI, Bene giuridico, cit., 161 ss.; PULITANÒ, La teoria del bene giuridico fra codice e Costituzione, in Quest. crim., 1981, 111 ss.; PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte generale, 8ª ed., Milano 2003, 234 ss.

 

[61] MARINUCCI-DOLCINI, Diritto penale ‘minimo’ e nuove forme di criminalità, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, 776 ss. Cfr. BARATTA, Principi del diritto penale minimo. Per una teoria dei diritti umani come oggetti e limiti della legge penale, in Dei delitti e delle pene, 1985, 443 ss.; RESTA, La dismisura dei sistemi penali, ivi, 475 ss.; FERRAJOLI, Il diritto penale minimo, ivi, 493 ss.; PAVARINI, Per un diritto penale minimo: “in the books” o “in the facts”? Discutendo con Luigi Ferrajoli, in Dei delitti e delle pene, 1998, 125 ss.

 

[62] PALAZZO, I confini della tutela penale: selezione dei beni e criteri di criminalizzazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 459.

 

[63] LANGER, Das Sonderverbrechen,  Berlin 1972, 275 ss. e 327 ss.

 

[64] ANGIONI, Condizioni di punibilità e principio di colpevolezza, in Riv. it. dir. proc. pen., 1989, 1492-1493, per il quale il pericolo di malattia costituisce condizione di punibilità.

 

[65] GÜNTHER, Die Genese eines Straftatbestandes, cit., 11-12.

 

[66] SCHMIDHÄUSER, Strafrecht. Allgemeiner Teil, 2. Aufl., Tübingen 1975, 2/10 ss.

 

[67] ANGIONI, Condizioni di punibilità, cit., 1494.

 

[68] GALLAS, Beiträge zur Verbrechenslehre, Berlin 1968, 7 ss.

 

[69] LANGER, Das Sonderverbrechen, cit., 327 ss.

 

[70] SCHMIDHÄUSER, Objektive Strafbarkeitsbedingungen, in ZStW, 71, 1959, 561 ss.

 

[71] SCHÜNEMANN, Besondere persönliche Verhältnisse und Vertreterhaftung im Strafrecht, in ZSchwR, 1978, 146-148.

 

[72] M. ROMANO, «Meritevolezza di pena», «bisogno di pena», cit., 50.

 

[73] M. ROMANO, «Meritevolezza di pena», «bisogno di pena», cit., 51. ANGIONI, Condizioni di punibilità, cit., 1496, ritiene possibile un salvataggio delle due figure, con significato però diverso da quello consueto, ossia accoppiando insieme reato-fattispecie, punibilità e meritevolezza penale, come tre aspetti della medesima entità giuridica; e dall’altra parte procedibilità e bisogno penale (in senso stretto) come aspetti di altra entità giuridica, ormai fuori ed esterna rispetto alla fattispecie di reato. PALAZZO, Principi costituzionali, beni giuridici e scelte di criminalizzazione, cit., 15 ss., collega la meritevolezza e il bisogno di pena al diverso rango dei beni tutelati. La meritevolezza è certa per i c.d. beni primari, ma permane comunque un margine di incertezza su quali possano davvero ritenersi tali, essendo l’individuazione di questi  pur sempre soggetta a condizionamenti storici, inclusi quelli di carattere socio-culturale. La meritevolezza può invece mancare nei beni identificabili con valori e orientamenti culturali, come per esempio il buon costume o la “naturalezza” della procreazione umana: oltre alla forte componente ideologica e all’assenza di un immediato danno sociale, qui è difficilmente provabile il nesso causale tra la caduta di quegli orientamenti socio-culturali e la diffusione di comportamenti antisociali. Meglio dunque l’eventuale ricorso a strumenti di controllo sociale diversi dal diritto penale. Rimane la fascia intermedia dei beni strumentali, in particolare delle c.d. funzioni («concretizzazioni normative di modelli di organizzazione e di controllo», così definisce questi beni PADOVANI, Tutela di beni e tutela di funzioni nella scelta fra delitto, contravvenzione e illecito amministrativo, in Cass. pen., 1987, 670). Per questi beni, il principio di ultima ratio impone innanzitutto di verificare la meritevolezza dell’interesse finale e la relazione di effettiva e stretta strumentalità tra questo e la funzione; poi di selezionare all’interno delle tipologie aggressive quelle che possono vantare un sufficiente grado di Strafwürdigkeit.

 

[74] M. ROMANO, «Meritevolezza di pena», «bisogno di pena», cit., 41-42.

 

[75] PALIERO, Il principio di effettività, cit., 461 ss. Vedi anche OTTO, Strafwürdigkeit und Strafbedürftigkeit als eigenständige Deliktskategorien?, in Gedächtnisschrift Horst Schröder, München 1978, 54-55.

 

[76] Cfr. ROXIN, Strafrecht. Allgemeiner Teil. Band I, Grundlagen. Der Aufbau der Verbrechenslehre, 4. Aufl., München 2006, 45 ss.

 

[77] JAREBORG, Criminalization as Last Resort, cit., 521.

 

[78] DONINI, Principi costituzionali e sistema penale. Modello e programma, in ius17@unibo.it. Studi e materiali di diritto penale, 2, 2009, 430; ID., Il volto attuale dell’illecito penale, cit., 85-86.

 

[79] Corte cost., 21 maggio 1987, n. 189, in ItalGiureWeb. E la Corte arricchisce il senso del principio di ultima ratio affermando la sproporzione del ricorso alla sanzione penale nel clima politico mutato rispetto a quello originario del 1929. In altri casi è forte l’intreccio col parametro della ragionevolezza, che porta comunque a salvare le fattispecie impugnate dall’incostituzionalità: es. Corte cost., 18 luglio 1996, n. 317, in ItalGiureWeb, e Corte cost., 16 dicembre 1998, n. 455, ivi.

 

[80] Corte cost., 16 gennaio 1993, n. 28, in ItalGiureWeb.

 

[81] Corte cost., 4 giugno 1992, n. 291, in ItalGiureWeb. Analogamente, in tema di violata consegna (art. 120 del codice penale militare di pace), sulla base dell’assunto che il bene tutelato non era da ritenere quello indicato nell’ordinanza di rimessione, Corte cost., 6 luglio 2000, n. 263, in ItalGiureWeb. 

 

[82] Tra le tante Corte cost., 23 ottobre 1989, n. 487, in ItalGiureWeb. Cfr. anche Corte cost., 21 giugno 2004, n. 185, in ItalGiureWeb.

 

[83] Corte cost., 6 luglio 1989, n. 409, rel. Dell’Andro, in ItalGiureWeb.

 

[84] Tra le ultime, Corte cost., 7 luglio 2010, n. 273, in ItalGiureWeb, la quale richiama le sentenze n. 313 del 1995 e n. 364 del 2004, e ancora le ordinanze n. 317 del 1996, n. 58 del 1999, n. 144 del 2001, e n. 110 del 2003. 

 

[85] Si tratta della fattispecie contenuta nell’art. 10 bis del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) aggiunto dall’art. 1 comma 16 lett. a) della legge 15 luglio 2009 n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica). Trae spunto anche da questa vicenda, a proposito del limitato controllo da parte della Corte costituzionale su contenuto e struttura delle fattispecie penali, MANES, I recenti tracciati della giurisprudenza costituzionale in materia di offensività e ragionevolezza, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 1, 2012, 100 ss. In generale sul tema, PALAZZO, Offensività e ragionevolezza nel controllo di costituzionalità sul contenuto delle leggi penali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, 350 ss.; AA.VV., Diritto penale e giurisprudenza costituzionale, a cura di G. Vassalli, Napoli 2006; RIONDATO, Un diritto penale detto “ragionevole”. Raccontando Giuseppe Bettiol, Padova 2006.

 

[86] Così sostanzialmente in tutta la serie di ordinanze con cui è stata sollevata la questione di costituzionalità, decisa poi nel medesimo senso della manifesta inammissibilità dalla Corte costituzionale con le ordinanze, tra le tante, nn. 3, 84, 144, 149, 154, 193 del 2011, in ItalGiureWeb.

Sulla compatibilità invece con il diritto dell’UE (in particolare con la “Direttiva rimpatri” 2008/115/CE) del c.d. reato di clandestinità (art. 10 bis t.u. imm.), GATTA,  Il ‘reato di clandestinità’ (art. 10 bis t.u. imm.) e la ‘Direttiva rimpatri’, in Dir. pen. cont., 8 febbraio 2012.

 

[87] Sull'affinamento e delle tecniche decisorie della Corte costituzionale e sulla loro moltiplicazione, BELFIORE, Giudice delle leggi e diritto penale. Il diverso contributo delle Corti costituzionali italiana e tedesca, Milano 2005, in particolare 334, e BERTOLINO, Dalla mera interpretazione alla «manipolazione»: creatività e tecniche decisorie della Corte costituzionale tra diritto penale vigente e diritto vivente, in Studi in onore di Mario Romano, vol. I, Napoli 2011, 55 ss. Cfr. anche BIN, Ragionevolezza e divisione dei poteri, in Diritto&questioni pubbliche, 2, 2002, 115 ss. 

 

[88] INSOLERA, Principio di eguaglianza e controllo di ragionevolezza sulle norme penali, in AA.VV., Introduzione al sistema penale, Torino 1997, 264 ss.

 

[89] Corte cost., 5 luglio 2010, n. 20, in ItalGiureWeb. In senso critico dell’impostazione della Corte costituzionale, MASERA, Corte costituzionale e immigrazione: le ragioni di una scelta compromissoria, nota a Corte cost. nn. 249 e 250 del 2010, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, 1373 ss.

 

[90] VIGANÒ, Nuove prospettive per il controllo di costituzionalità in materia penale?, in Giur. cost., 4, 2010, 3017 ss. In dottrina (MANES, I recenti tracciati della giurisprudenza costituzionale, cit., 106 ss.) si osserva che nelle giurisprudenza più recente non si registrano decisioni di accoglimento fondate sul principio di ragionevolezza o sul principio di proporzione, almeno per quanto riguarda il sindacato concernente l’equilibrio sanzionatorio di singole fattispecie punitive. Un significato di sollecitazione deve però essere riconosciuto a recenti applicazioni in tema di ammontare della confisca in materia di illeciti amministrativi previsti dal T.U.F. (Corte cost. n. 186 del 2011), a proposito poi della pena edittale del sequestro di persona a scopo di estorsione (Corte cost. n. 22 del 2007), e infine riguardo alle attenuanti generiche e alla recidiva (Corte cost. n. 183 del 2011).

 

[91] Corte cost., 8 luglio 2010, n. 249, in ItalGiureWeb. Nella prospettiva del vaglio positivo di ragionevolezza, vedi Corte cost., 2006, n. 393, e 2008, n. 72.

 

[92] Cfr. VIGANÒ, Nuove prospettive, cit., 3020, e PULITANÒ, Giudizi di fatto nel controllo di costituzionalità di norme penali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 1027.

 

[93] Così VIGANÒ, Nuove prospettive, cit., 3021.

 

[94] Si tratta di illeciti di natura particolarmente grave e di dimensione transnazionale: terrorismo, tratta degli esseri umani e sfruttamento sessuale delle donne e dei minori, traffico illecito di stupefacenti, traffico illecito di armi, riciclaggio di denaro, corruzione, contraffazione di mezzi di pagamento, criminalità informatica e criminalità organizzata.

 

[95] In generale, DONINI, Sussidiarietà penale e sussidiarietà comunitaria, in Riv. it. dir. proc. pen., 2003, 141 ss.; BERNARDI, La competenza penale accessoria dell’Unione europea: problemi e prospettive, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 1, 2012, 43 ss.

 

[96] SOTIS, I principi di necessità e proporzionalità della pena nel diritto dell’Unione europea dopo Lisbona, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 1, 2012, 111 ss.

 

[97] SOTIS, I principi di necessità e proporzionalità della pena, cit., 115.

 

[98] Vedi esemplificazioni in SOTIS, I principi di necessità e proporzionalità della pena, cit., 115-118.

 

[99] Esemplare quanto riportato da BERNARDI, La difficile integrazione tra diritto comunitario e diritto penale, in Cass. pen., 1996, 1005 ss., e ancora da SOTIS, I principi di necessità e proporzionalità della pena, cit., 116-117. Il caso era quello della fattispecie italiana che sanzionava penalmente l’importazione di pasta di grano tenero, in asserita violazione del principio comunitario di libera circolazione delle merci. La Corte di giustizia (14 luglio 1988, Proc. pén. c/Zoni, C-90-86) aveva riconosciuto la legittimità dello scopo (la tutela dei coltivatori di grano duro in una zona economicamente depressa come il sud Italia), ma ne aveva contestato il mezzo di tutela (la sanzione penale), potendosi perseguire tale fine con mezzi meno invasivi, come per esempio con etichettature che chiariscano al consumatore la natura del prodotto. Estremamente interessante sul piano del metodo è dunque l’argomento decisorio della Corte: «Occorre osservare infine che l’andamento della situazione sui mercati d’esportazione dimostra che la concorrenza attraverso la qualità va a vantaggio del grano duro. Infatti, dai dati statistici forniti alla Corte risulta che la quota di mercato occupata dalla pasta prodotta esclusivamente con grano duro in altri Stati membri, dove subisce sin d’ora la concorrenza delle paste prodotte con grano tenero o con miscele di grano tenero e di grano duro, aumenta continuamente. I timori del governo italiano quanto alla scomparsa della coltura del grano duro sono pertanto infondati». E SOTIS (op. cit., 117) sottolinea come fondare su saperi extrapenali, su valutazioni di impatto, il giudizio di necessità di pena, è il vero modo di rendere giustiziabile il giudizio di necessità di pena, è la vera concretizzazione dell’idea della scienza penale integrata da saperi extrapenali.

 

[100] DONINI, Principi costituzionali e sistema penale, cit., 431.

 

[101] Con decreto del 14 dicembre 2012 è stato costituito presso l'Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia un Gruppo di Studio per elaborare una proposta di revisione del sistema penale attraverso l’introduzione di norme di depenalizzazione. Vedi relazione e articolato a conclusione dei lavori della Commissione, presieduta dal Prof. Fiorella, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 1587 ss.

 

[102] Vedi MOCCIA, Il volto attuale del sistema penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 1093 ss., il quale lega al fenomeno dell'efficientismo la crescita inarrestabile del diritto penale. L'efficientismo penale cerca di rendere più rapida ed efficace la risposta punitiva limitando o sopprimendo garanzie sostanziali e processuali; esso rappresenta un denominatore comune della conflittualità legata (in tutti i Paesi) a una crisi profonda e di grande portata: la crisi del sistema economico-sociale prodotto dalla globalizzazione e dalle politiche neoliberiste dominanti il mercato e le conseguenti diseguaglianze e profondi squilibri. In un tale contesto, il diritto penale cessa di essere sussidiario e - afferma Moccia - torna a essere la prima ratio della politica sociale, una sorta di illusoria panacea con la quale si vogliono affrontare, e risolvere, i più diversi problemi.

 

[103] Per tutti, PRITTWITZ, Das deutsche Strafrecht: Fragmentarisch? Subsidiär? Ultima ratio?, cit., 387 ss.

Un recente dibattito si è sviluppato in Germania a seguito della decisione della Corte costituzionale tedesca (BverfG, 2 NvR 392/07 del 26 febbraio 2008) di confermare la legittimità della punizione dell’incesto (§ 173, abs. 2 StGB), contro l’opinione dissenziente che poneva il dubbio se davvero il diritto penale (in quanto ultima ratio) fosse lo strumento adeguato per trattare il tema. Investita del ricorso, la Corte europea dei diritti dell’uomo si è espressa ugualmente nel senso della legittimità del divieto di incesto tra fratello e sorella (in Der Spiegel del 12 aprile 2012). Dell'opportunità di abrogare il delitto di incesto (art. 564 c.p.) - sulla base del canone dell'extrema ratio - si è trattato anche in Italia da parte della recente Commissione ministeriale per la revisione del sistema penale (in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 1591): non si è arrivati però a una conclusione giacché l'opinione che la fattispecie incrimini condotte immorali, non offensive di beni giuridici meritevoli di tutela penale in uno Stato laico, non ha trovato d'accordo l'intera commissione. Sempre in Germania, altro recente tema di discussione è l'incriminazione della corruzione medica: BRAUN, Ärztekorruption und Strafrecht - steht das ultima-ratio-Prinzip der Schaffung eines neuen Strafrechtstatbestands entgegen?, in MedR, 31, 2013, 277 ss.

 

[104] BUSTOS RAMÍREZ, Manual de Derecho penal, 3ª ed., Madrid 1989, 43-44; PORTILLA CONTRERAS, Principio de intervención mínima y bienes jurídicos colectivos, in Cuad. de pol. Crim., 1989, 723 ss.; GARCÍA-PABLOS DE MOLIN, Sobre el principio de intervención mínima del Derecho penal como límite del «ius puniendi», in Estudios penales y jurídicos. Homenaje a Enrique Casas Barquero, coord. Gonzales Rus, Córdoba 1996, 253; COBO DEL ROSAL - VIVES ANTÓN, Derecho penal. Parte general, 5ª ed., Valencia 1999, 81 ss.; SILVA SÁNCHEZ, La expansión del derecho penal. Aspectos de la política criminal en la sociedades postindustriales, 2ª ed., Madrid 2011, e in particolare CARNEVALI RODRÍGUEZ, Derecho penal como ultima ratio. Hacia una política criminal racional, cit., 13 ss. Così come negli Stati Uniti, anche in America Latina e più precisamente in Brasile esiste una rivista on line sul tema dell’ultima ratio (www.ipan.org.br), curata dall’Instituto Panamericano de Politica Criminal.

 

[105] Così nel  pamphlet (opera di due magistrati), GARAPON-SALAS, La République pénalisée, cit., 31.

 

[106] ASHWORTH, Principles of criminal law, 5th. ed., Oxford 2006, 64-65 (l'Autore parla in realtà di principle of minimum criminalization), e più in particolare dello stesso Autore, Is the Criminal Law a Lost Cause?, in Law Quarterly Review, 116, 2000, 225 ss., e Conceptions of Overcriminalization, in Ohio State Journal of Criminal Law, 5, 2008, 407 ss. Sempre in generale sul principio, SIMESTER - SULLIVAN, Criminal law: theory and doctrine, Oxford - Portland 2001, 6 ss. Più approfonditamente, HUSAK, The Criminal Law as last Resort, in Oxford Journal of Legal Studies, 24, 2004, 207 ss. (e sulla applicabilità del principio in tema di lotta alla droga, ID. Applying Ultima Ratio: a Skeptical Assessment, in Ohio State Journal of Criminal Law, 2, 2005, 535 ss.), e la monografia Overcriminalization. The Limits of the Criminal Law, Oxford 2008.

 

[107] Un quadro completo di questa evoluzione in LUNA, The Overcriminalization Phenomenon, in American University Law Review (vol. 54), 2005, 703 ss. Qualche caso ritenuto estremo: in Delaware si punisce con sei mesi di imprisonment la vendita di profumi o lozioni come bevande; in Alabama rappresenta felony menomare se stessi per suscitare compassione; in Virginia costituisce misdemeanor sputare in luoghi pubblici; in Massachusetts si sanziona penalmente chi spaventa i piccioni nei loro nidi; in South Carolina è punito con tre anni di imprisonment inviare anonimamente messaggi indecenti o "suggestivi"; per non essere da meno in ambito federale si criminalizza l'uso a fini pubblicitari della bandiera americana nel District of Columbia; infine innumerevoli ordinanze locali prevedono conseguenze penali, come a Salt Lake City dove si prevede come crimine la mancata restituzione di libri a una biblioteca!

Esiste un sito internet, http://www.heritage.org/issues/legal/overcriminalization (prodotto da The Heritage Foundation, forse il più influente think tank statunitense), che fornisce dati aggiornati e contiene importanti contributi dottrinali sul tema.

 

[108] ASHWORTH, Principles of criminal law, 5th. ed., Oxford 2006, 64-65 (l'Autore parla in realtà di principle of minimum criminalization), e più in particolare dello stesso Autore, Is the Criminal Law a Lost Cause?, in Law Quarterly Review, 116, 2000, 225 ss., e Conceptions of Overcriminalization, in Ohio State Journal of Criminal Law, 5, 2008, 407 ss. Sempre in generale sul principio, SIMESTER - SULLIVAN, Criminal law: theory and doctrine, Oxford - Portland 2001, 6 ss. Più approfonditamente, HUSAK, The Criminal Law as last Resort, in Oxford Journal of Legal Studies, 24, 2004, 207 ss. (e sulla applicabilità del principio in tema di lotta alla droga, ID. Applying Ultima Ratio: a Skeptical Assessment, in Ohio State Journal of Criminal Law, 2, 2005, 535 ss.), e la monografia Overcriminalization. The Limits of the Criminal Law, Oxford 2008.

 

[109] KADISH, The Crisis of Overcriminalization; More on Overcriminalization; e The Use of Criminal Sanctions in Enforcing Economic Regulations, in Blame and Punishment: Essays in the Criminal Law, New York 1987, 21 ss.

 

[110] KADISH, Blame and Punishment, cit., 51. Vedine i richiami in FORTI, Per una discussione sui limiti morali del diritto penale, cit., 299 ss. Cfr. anche, per i riflessi sulla dignità sociale, DUBBER, Toward a Constitutional Law of Crime and Punishment, in Hastings Law Journal, 55, 2004, 546 ss.

 

[111] ASHWORTH, Conceptions of Overcriminalization, in Ohio State Journal of Criminal Law, 5, 2008, 423.

 

[112] Il principio viene in rilievo quando l'elemento psicologico viene ridotto a un livello inferiore (es. colpa anziché dolo), ma il nomen iuris rimane lo stesso. Vedi ASHWORTH, Principles of Criminal Law, cit., 88 ss., e più specificamente CHALMERS-LEVERICK, Fair labelling in criminal law, in Modern Law Review, 71, 2008, 217 ss.

 

[113] Secondo questo principio, dunque, quando l'actus reus e la mens rea non corrispondono, la responsabilità dell'imputato non dovrebbe eccedere l'offesa attualmente arrecata dalla sua mens rea. O ancora: quando il reato è definito in relazione a determinate conseguenze e circostanze, l'elemento mentale dovrebbe riferirsi anche a queste; se fosse ammessa una rappresentazione mentale su di una conseguenza minore, ciò determinerebbe una constructive liability (alla lettera, "ricostruita", "inferita"). Ancora ASHWORTH, Principles of Criminal Law, cit., 87, che qui richiama espressamente la formula latina del versari in re illicita.

 

[114] ALBRECHT, Das Strafrecht im Zugriff populistischer Politik, in NJ, 1994, 193 ss.

 

[115] GARAPON-SALAS, La République pénalisée, cit., 10-11. Precisa poi GARAPON, Le Gardien des promesses. Justice et démocratie, Paris 1996, 103, che «Il diritto amministrativo – come il diritto civile – non fa più da filtro per situare le responsabilità al livello in cui devono stare: occorrono non solo dei responsabili, ma anche dei colpevoli … Si passa da una logica civilistica o amministrativa a una logica penale, cioè da logiche della riparazione  e della continuità a una logica contraria, dell'espulsione  e della discontinuità».

 

[116] MANTOVANI, Diritto penale, cit., XXXVI.

 

[117] Già PACKER, I limiti della sanzione penale, Milano 1978 (titolo originale The Limits of the Criminal Sanction, Stanford 1968, traduzione italiana di F. Ferracuti - M. Ferracuti Garuti - Scardaccione e presentazione di Vassalli), 254, osservava che «il dichiarare che una condotta indesiderabile è criminale è la linea legislativa di minore resistenza, per affrontare i dibattuti problemi di una società complessa e interdipendente in continua crescita». Il risultato di tale scelta è «una strana congerie di proibizioni penali, concernenti, da un lato, la condotta che determina le più gravi minacce per importanti interessi sociali e, d’altro lato, la condotta la cui potenzialità di danno è insignificante o non esiste». In Italia, già nel 1987 (e dunque con riferimento agli anni immediatamente seguenti all’emanazione della legge 689/81, che ha introdotto un tipo di illecito amministrativo connotato quale illecito para-penale, fornendo al legislatore uno strumento alternativo di tutela), DOLCINI, Sui rapporti tra tecnica sanzionatoria penale e amministrativa, in Riv. it. dir. proc. pen., 1987, 797, segnalava la persistente inclinazione del legislatore statale a fare indiscriminato uso della sanzione penale, ignorando l’alternativa offerta dalla sanzione amministrativa.

 

[118] Per una interessante ricerca sulle tecniche di tutela dell'ambiente, con riferimenti statistici, e dal punto di vista del diritto penale come ultima ratio, HÜMBS KRUSCHE - KRUSCHE, Die strafrechtliche Erfassung von Umweltbelastungen. Strafrecht als ultima ratio der Umweltpolitik? Eine empirische Untersuchung, Stuttgart 1982.

 

[119] HASSEMER, Produktverantwortung im modernen Strafrecht, Heidelberg 1996, 10 ss. Per raggiungere gli obiettivi di tutela, le riforme del diritto sostanziale devono trovare appoggio in quelle del diritto processuale, consistenti in accelerazioni e alleggerimenti processuali e nel rafforzamento degli strumenti di indagine. Il diritto penale estende pertanto le sue capacità di criminalizzazione e al contempo – rileva NAUCKE, Schwerpunktverlagerungen im Strafrecht, in KritV, 1993, 136 – cerca di liberarsi della “zavorra” garantistica dello stato di diritto (rechtsstaatlichen Ballast) che è di ostacolo all’attuazione dei suoi nuovi compiti. PALIERO, L’autunno del patriarca. Rinnovamento o trasmutazione del diritto penale dei codici?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, 1231, osserva come le regole procedurali siano sempre più spesso ancorate al “principio di opportunità”. Il diritto penale “moderno”, “della prevenzione generalizzata” e “del rischio” necessita di reti elastiche di principi, «consegnate alle manovre orientatrici che solo un’ampia discrezionalità giudiziale può regolare sull’opportunità punitiva del “contingente”». Sul significato o meglio sul "mito" del diritto penale "moderno", HERZOG, Nullum Crimen Sine Periculo Sociali oder Strafrecht als Fortsetzung der Sozialpolitik mit anderen Mitteln, in AA.VV., Modernes Strafrecht und ultima-ratio-Prinzip, cit., 105 ss.

 

[120] PALAZZO, I confini della tutela penale, cit., 457 s. L’Autore parla di «sfavorevolissima esperienza legislativa» che ha portato a una rara concreta applicazione sul piano legislativo della teoria del bene giuridico. Cfr. KINDHÄUSER, Strafe, Strafrechtsgut und Rechtsgüterschutz, in AA.VV., Modernes Strafrecht und ultima-ratio-Prinzip, cit., 29 ss. Sull’ipertrofia del diritto penale, già PALIERO, Minima non curat praetor, cit., 3 ss. e sugli effetti distorsivi di tale espansione ipertrofica, FIANDACA-MUSCO, Perdita di legittimazione del diritto penale?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, 36 s. Si afferma inoltre in ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte generale, 15ª ed. aggiornata e integrata da Conti, Milano 2000, 177, che la generalizzazione della mera difesa di principi e valori astratti attraverso i reati di pericolo astratto e presunto, generata dalla complessità delle situazioni di rischio nella convulsa società moderna e dalla propensione alla c.d. politica dell’emergenza, ha a sua volta tolto chiarezza ai beni da tutelare.

 

[121] Secondo FIANDACA-MUSCO, Perdita di legittimazione, cit., 28, una tendenza al superamento del modello classico esisteva già al momento della codificazione del codice Rocco e il processo di “volatilizzazione” o “spiritualizzazione” del bene giuridico, con la conseguente tendenziale degradazione del reato a illecito di mera disobbedienza, era in corso nella legislazione complementare coeva alla codificazione. Già allora dunque il modello classico del diritto penale del bene giuridico, con i principi a esso legati - tra cui fondamentale quello di ultima ratio - rappresentava una costruzione teorica poco confacente alla realtà normativa. Oggi però le contraddizioni di un sistema posto per una determinata tipologia di reati dominante in epoca storica emergono in maniera più evidente, soprattutto per lo svilupparsi della legislazione di tutela in campo ambientale ed economico.

 

[122] ALESSANDRI, in PEDRAZZI-ALESSANDRI-FOFFANI-SEMINARA-SPAGNOLO, Manuale di diritto penale dell’impresa, 2ª ed., Bologna 1999, 25-26.

 

[123] MARINUCCI-DOLCINI, Corso, cit., 551 ss. Gli Autori sono fortemente critici nei confronti della concezione personalistica, ritenendola da un lato ritagliata su di una idealizzata visione ottocentesca del diritto penale (strumento di tutela dei soli beni classici), dall’altro strumentale a una depenalizzazione dei reati contro i beni economici collettivi (con ciò rischiano di assecondare l’aspirazione dei “colletti bianchi” a liberarsi dagli impacci del diritto penale). Vedi anche COCCO, Beni giuridici funzionali versus bene giuridico personalistico, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, tomo 1, cit., 166 ss.

Il punto di vista originario della concezione personalistica del bene giuridico si è peraltro assai attenuato nel tempo. Oggi HASSEMER, Perché punire è necessario, cit., 152, afferma che il messaggio fornitoci dalla concezione del bene giuridico sia la raccomandazione che il legislatore penale rimanga legato a principi che svolgano la funzione di apporre limiti, che rispettino la libertà e impediscano che si abusi del diritto penale. Rimane la convinzione nell'Autore che il vincolo "riesca meglio" quanto più concreti e vicini alla realtà risultino gli oggetti di tutela, cioè i beni giuridici; e ancora l'idea che in uno stato di diritto, per cui la dignità umana è tutto, i beni giuridici individuali costituiscano ancora il cuore della tutela, cuore dal quale possono essere dedotti i beni giuridici universali, in quanto condizioni della tutela dei beni giuridici della persona nelle società complesse.

 

[124] M. ROMANO, Danno a sé stessi, paternalismo legale e limiti del diritto penale, cit., 990.

 

[125] SCHÜNEMANN, ¡El derecho penal es la ultima ratio para la protección de bienes jurídicos! Sobre los límites inviolables del derecho penal en un Estado liberal de derecho, trad. Á. de la Torre Benítez, Bogotá 2007, 56 ss.

 

[126] Un buon esempio di progressione di tutela, attenta alle peculiarità dell'oggetto, è ancora oggi quella in tema di beni culturali, il cui impianto originario (della legge 1089/1939, trasfuso nel codice dei beni culturali e del paesaggio, d. lgs. 42/2004) tuttora regge saldamente, e nel quale alle sanzioni amministrative (pecuniarie e ripristinatorie) e civili, si accompagnano vari gradi di illecito penale. Sia consentito il rinvio a DEMURO, Beni culturali e tecniche di tutela penale, Milano 2002, 281 ss.

 

[127] GÜNTHER, Die Genese eines Straftatbestandes, cit., 11. Nella nostra dottrina vedi PALAZZO, Principi costituzionali, beni giuridici e scelte di criminalizzazione, cit., 18. Un interessante tentativo di indicazione sistematica delle ragioni di criminalizzazione in un diverso contesto giuridico (la Svezia) è quello di JAREBORG, Criminalization as last resort, cit., 527 ss. L'Autore propone sei argomenti per valutare la scelta di criminalizzazione: a) Blameworthiness (Penal Value), la riprovevolezza della condotta secondo la valutazione penale (meritevolezza di pena, secondo il nostro linguaggio); b) Need, l'effettivo bisogno della sanzione penale, dopo aver valutato misure meno intrusive e costose; c) Moderation, l'esigenza di proporzionalità nella risposta sanzionatoria; d) Inefficiency, la valutazione del rischio di inefficienza della misura penale, p. es. perché la condotta offensiva è difficilmente tipizzabile, o perché il fatto descritto è quasi impossibile da provare, o perché il tasso di scoperta del reato è molto basso; e) Control Costs, la comparazione dei costi, potendo accadere che la sanzione alternativa sia troppo costosa, o che al contrario sia proprio la criminalizzazione a gettare sulla giustizia penale un peso che non è in grado di reggere; f) The Victim's Interests,  una conseguenza della criminalizzazione è che l'affermazione pubblica di responsabilità rende più semplice per la vittima la soddisfazione dell'interesse leso (anche sotto un profilo risarcitorio). Dai sei argomenti è possibile trarre tre principi-guida nella scelta di criminalizzazione: 1) The penal value principle (lett. a); 2) The utility principle (lett. b, d, ed e); 3) The humanity principle (lett. c ed f). Cfr. anche dal contesto finnico, LAHTI, Das moderne Strafrecht und das ultima-ratio-Prinzip, in Festschrift Hassemer, Heidelberg 2010, 439 ss., e per il diritto penale polacco, già da tempo, GARDOCKI, Das Problem des Umfangs der Strafbarkeit in der polnischen Gesetzgebung, Rechtsprechung und Strafrechtslehre, in AA.VV., Modernes Strafrecht und ultima-ratio-Prinzip, cit., 17 ss.

 

[128] PALAZZO, Principi costituzionali, beni giuridici e scelte di criminalizzazione, cit., 18.

 

[129] Sempre PALAZZO, Principi costituzionali, beni giuridici e scelte di criminalizzazione, cit., 19-20, cita le conseguenze di tipo economico, economico-sociale o politico-sociale, di pressoché tutte le norme che disciplinano attività produttive o commerciali.

 

[130] E qui PALAZZO, Principi costituzionali, beni giuridici e scelte di criminalizzazione, cit., 20-21, fa l’esempio, per il primo gruppo, dei reati associativi, e per il secondo delle disposizioni a tutela della Consob (art. 3 comma 2 legge 216/74).

 

[131] Un segnale di questa modificazione si poteva già cogliere in quanto sosteneva ROXIN (Strafrecht, A.T., cit., 382 ss.) a proposito dell’esistenza di un’area di rischio consentito (erlaubtes Risiko) in seguito alla quale l’imputazione oggettiva sarebbe stata possibile solo quando il comportamento del soggetto agente avesse creato un pericolo al di fuori di quest’area di rischio consentito. In senso critico, MARINUCCI, Non c’è dolo senza colpa, in Riv. it. dir. proc. pen., 1991, 3 ss., e poi HIRSCH, Sulla dottrina dell’imputazione oggettiva dell’evento, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, 745 ss. Sulla delimitazione del c.d. «rischio giuridicamente rilevante», CASTALDO, La concretizzazione del «rischio giuridicamente rilevante», in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, 1096 ss.

 

[132] PALIERO, L’autunno del patriarca, cit., 1228 ss. Sul piano soggettivo – osserva infatti l’Autore – a tale tipo di approccio consegue, in tema di responsabilità dolosa, che nel fuoco della volontà non rientra più e tanto l’evento nella sua dimensione statica di lesione del bene giuridico, quanto piuttosto “la situazione comportamentale” nella sua proiezione dinamica, di assunzione e gestione dei rischi che essa comporta.

Sul concetto di rischio, nella nostra dottrina, a livello monografico, MILITELLO, Rischio e responsabilità penale, Milano 1988; DONINI, Imputazione oggettiva dell'evento. "Nesso di rischio" e responsabilità per fatto proprio, Torino 2006; e PERINI, Il concetto di rischio nel diritto penale moderno, Milano 2010. Il concetto di rischio porta poi a un'anticipazione maggiore rispetto al pericolo: osserva infatti DONINI, Sicurezza e diritto penale, in Cass. pen., 2008, 3566, che il rischio a differenza del pericolo riguarda contesti che spesso si trovano a monte dell’organizzazione sociale, e dunque prima del sorgere di situazioni concretamente pericolose.

 

[133] Sul principio di precauzione, PIERGALLINI, Danno da prodotto e responsabilità penale. Profili dommatici e politico-criminali, Milano 2004; FORTI, “Accesso" alle informazioni sul rischio e responsabilità: una lettura del principio di precauzione, in Criminalia, 2006, 155 ss.; GIUNTA, Il diritto penale e le suggestioni del principio di precauzione, in Criminalia, 2006, 227 ss.; RUGA RIVA, Principio di precauzione e diritto penale. Genesi e contenuto della colpa in contesti di incertezza scientifica, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, 2, Milano 2006, 1743 ss.; MASSARO, Principio di precauzione e diritto penale: nihil novi sub sole?, in Dir. pen. cont., 9 maggio 2011;  CASTRONUOVO, Principio di precauzione e beni legati alla sicurezza, in Dir. pen. cont., 21 luglio 2011; CORN, Il principio di precauzione nel diritto penale. Studio sui limiti all'anticipazione della tutela penale, Torino 2013.

 

[134] DONINI, Sicurezza e diritto penale, cit., 3561 ss. Vedi anche MANTOVANI, Insicurezza e controllo della criminalità, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, 1003 ss. In campo economico, FOFFANI, «Sicurezza» dei mercati e del risparmio: il diritto penale dell'economia di fronte alle tensioni della «modernità», in Studi in onore di Mario Romano, vol. III, Napoli 2011, 1921 ss. Sulle nuove figure dell'insicurezza nel contesto francese, GARAPON-SALAS, La République pénalisée, cit., 53 ss.

 

[135] A partire da JAKOBS, Kriminalisierung im Vorfeld einer Rechtsgutverletzung, in ZStW, 97, 1985, 753 ss., poi, in una vastissima bibliografia, ZAFFARONI, Alla ricerca del nemico: da Satana al diritto penale cool, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, tomo 1, cit., 757 ss.; MANTOVANI, Il diritto penale del nemico, il diritto penale dell'amico, il nemico del diritto penale e l'amico del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, 470 ss.; RISICATO, Verso un diritto penale illiberale? La crisi di senso del diritto penale tra derive securitarie e paternalistiche, in Studi in onore di Mario Romano, vol. I, cit., 527 ss.

 

[136] PAGLIARO, «Diritto penale del nemico»: una costruzione illogica e pericolosa, in Studi in onore di Mario Romano, vol. I, cit., 435 ss. Vedi anche PALAZZO, Contrasto al terrorismo, diritto penale del nemico e principi fondamentali, in Questione giustizia, 2006, 666 ss.; DONINI, Diritto penale di lotta. Ciò che il dibattito sul diritto penale del nemico non deve limitarsi a esorcizzare, in Studi sulla questione criminale, 2, 2007, 39 ss.; VASSALLI, I diritti fondamentali della persona alla prova dell'emergenza, in AA.VV., I diritti fondamentali della persona alla prova dell'emergenza, a cura di S. Moccia, Napoli 2009, 34 ss.

 

[137] A partire da FEINBERG, The moral limits of criminal law, vol. 3°: Harm to Self, New York - Oxford 1986, e anche qui in una vastissima bibliografia, M. ROMANO, Danno a sé stessi, paternalismo legale e limiti del diritto penale, cit., 984 ss.; PULITANÒ, Paternalismo penale, in Studi in onore di Mario Romano, tomo 1, cit., 489 ss.

 

[138] Così RISICATO, Verso un diritto penale illiberale?, cit., 527 ss.

 

[139] Cfr. FORTI, La riforma del codice penale, cit., 40-41, e ALBRECHT, Kriminologie, München 1999, 3. Vedi anche BARATTA, Diritto alla sicurezza o sicurezza dei diritti, in Dem. Dir., 2000, 19 ss., e PAVARINI, Sicurezza dalla criminalità e governo democratico della città, cit., 1028 ss.

 

[140] Sull'uso politico-elettorale della promessa di sicurezza attraverso il diritto penale, LUNA, The Overcriminalization Phenomenon, cit., 718-719.

 

[141] DONINI, Sicurezza e diritto penale, cit., 3567, secondo cui anche in chiave oggettiva il concetto di sicurezza presenta un valore giuridico modesto, in quanto bene “di categoria”, etichetta inutile, se non concretizzata. Sulla tutela penale dei sentimenti (e dei tabù), ancora DONINI, “Danno” e “offesa” nella c.d. tutela penale dei sentimenti. Note su morale e sicurezza come beni giuridici, a margine della categoria dell’“offense” di Joel Feinberg, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 1546 ss.

 

[142] HASSEMER, Sicherheit durch Strafrecht, in Strafverteidiger, 2006, 325-326.

 

[143] Sul contesto sociale nel quale trova origine questa tendenza legislativa spiccatamente preventiva, PRITTWITZ, Strafrecht und Risiko, Frankfurt am Main 1993. Cfr. sul tema, LÜDERSSEN, Neuere Tendenzen der deutschen Kriminalpolitik, in StV, 1987, 163 ss.; HERZOG, Gesellschaftliche Unsicherheit und strafrechtliche Daseinsvorsorge. Studien zur Vorlegung des Strafrechtsschutzes in den Gefährdungsbereich, Heidelberg 1991, 54 ss.; HOHMANN, Das Rechtsgut der Umweltdelikte, Frankfurt am Main 1991, 154 ss., e BECK, Weltrisikogesellschaft. Auf der Suche nach der Verlorenen Sicherheit, Frankfurt am Main 2007 (trad. it. di Sandrelli, Conditio humana. Il rischio nell’età globale, Bari 2008).  

 

[144] PALIERO, L’autunno del patriarca, cit., 1228. Cfr. HASSEMER, La prevenzione nel diritto penale, in Dei delitti e delle pene, 1986, 438 ss., e ZACZYK, Der Begriff “Gesellschaftsgefährlichkeit" im deutschen Strafrecht, in AA.VV., Modernes Strafrecht und ultima-ratio-Prinzip, cit., 113 ss.

 

[145] BRICOLA, Tecniche di tutela penale e tecniche alternative di tutela, in AA.VV., Funzioni e limiti del diritto penale, Padova 1984, 46.

 

[146] HASSEMER, Produktverantwortung, cit., 8. Cfr. SILVA SÁNCHEZ, La expansión del Derecho penal. Aspectos de política criminal en las sociedades postindustriales, cit., 25 ss. Vedi anche MANTOVANI, Criminalità sommergente e cecità politico-criminale (segni anch’essi di una civiltà decadente?), in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, 1201 ss., sul venir meno degli altri sistemi sociali di controllo, e sulla conseguente trasformazione del diritto penale da extrema a unica ratio: un diritto dunque della “perenne emergenza”, che si estende in quantità e peggiora in qualità.

 

[147] Sulla tendenza al continuo incremento delle fattispecie di pericolo, e in particolare di pericolo astratto nel sistema italiano e sui problemi che tale incremento solleva non solo sul piano dogmatico e politico-criminale ma anche su quello costituzionale, FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., 179 ss., e MARINUCCI-DOLCINI, Corso, cit., 560 ss. Dopo una fase, negli anni ’70, caratterizzata da un rigetto indiscriminato delle fattispecie di pericolo astratto, ne è iniziata da tempo un'altra non pregiudizialmente contraria alla categoria dei reati di pericolo astratto e a favore di una valutazione critica e politico-criminale diversificata all’interno di essi: così già ANGIONI, Bene giuridico, cit., 114.

 

[148] SCHÜNEMANN, Moderne Tendenzen in der Dogmatik der Fahrlässigkeits- und Gefährdungsdelikte, in Juristische Arbeitsblätter, 1975, 435. Cfr. HERZOG, Gesellschaftliche Unsicherheit und Strafrechtliche Daseinvorsorge, cit., 45. Nella dottrina italiana, da ultimo, D’ALESSANDRO, Pericolo astratto e limiti-soglia. Le promesse non mantenute del diritto penale, Milano 2012, 143 ss.

 

[149] HASSEMER, Produktverantwortung, cit., 11 s.

 

[150] PALAZZO, I confini della tutela penale, cit., 461. Cfr. HASSEMER, Il bene giuridico nel rapporto di tensione tra costituzione e diritto naturale, in Dei delitti e delle pene, 1984, 110; PULITANÒ, voce Politica criminale, in Enc. dir., vol. XXXIV, Milano 1985, 81; VOSS, Symbolische Gesetzgebung. Fragen zur Rationalität von Strafgesetzgebungsakten, Ebelsbach 1989, 139 ss.

 

[151] HASSEMER, Produktverantwortung, cit., 13 ss. Sul deficit di efficacia (Vollzugdefizite) quale indice della crisi del “moderno” diritto penale, P.A. ALBRECHT, Erosionen des rechtsstaatlichen Strafrechts, in KritV, 1993, 163 ss.; NESTLER, Grundlagen und Kritik des Betäubungsmittelstrafrecht, in Handbuch des Betäubungsmittelstrafrecht, hrsg. von Kreuzer, München 1998, 285. Sull’insidia posta al bene giuridico dall’utilizzazione spesso simbolica della sanzione penale, PALAZZO, I confini della tutela penale, cit., 457 s. Sul tema, nella dottrina italiana, BARATTA, Funzioni strumentali e funzioni simboliche del diritto penale. Lineamenti di una teoria del bene giuridico, in Studi in memoria di Giovanni Tarello, Milano 1990, vol. II, 43 ss. e nella dottrina tedesca, ancora HASSEMER, Symbolisches Strafrecht und Rechtsgüterschutz, in NStZ, 1989, 553 ss.

 

[152] STELLA, Giustizia e modernità, Milano 2001, 387 ss. e 415.

 

[153] DOLCINI, La pena in Italia, oggi, tra diritto scritto e prassi applicativa, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, tomo 2, Milano 2006, 1106-1107.

 

[154] Così HASSEMER, Perché punire è necessario, cit., 154-155. Per questa esigenza di concretizzazione, vedi SCHÜNEMANN, ¡El derecho penal es la ultima ratio para la protección de bienes jurídicos!, cit., 57 ss. L'Autore va oltre la tradizionale distinzione tra beni giuridici individuali e collettivi, e ne individua un'altra che taglia in un certo modo orizzontalmente la prima distinzione. Egli separa i beni giuridici che consistono in oggetti fisicamente individuabili da quelli istituzionali, che si riferiscono cioè a un insieme di condizioni generali la cui osservanza è in via di principio indispensabile per la convivenza sociale: la prima categoria è preponderante tra i beni individuali e la seconda tra quelli collettivi; esistono però beni giuridici istituzionali nell'ambito individuale, come p. es. l'onore, e beni giuridici fisicamente individuabili nell'ambito collettivo, come a proposito p. es. della custodia di oggetti sequestrati. Questa distinzione potrebbe essere utilizzata per conseguire un effetto di riduzione dell'intervento penale: p. es. in tema di ambiente, ove si considerasse che esso è costituito da una infinita profusione di oggetti fisicamente individuabili e di processi fisico-chimici; ciò potrebbe portare a privilegiare la tecnica del pericolo concreto rispetto a quella del pericolo astratto.

 

[155] Per HASSEMER, Perché punire è necessario, cit., 156, l'adeguatezza della minaccia di una sanzione penale finalizzata a migliorare la società può essere provata solo se il presente (nella diagnosi della sua imperfezione) come anche il futuro (nella prognosi della sua capacità di miglioramento) divengono oggetto di studio criminologico e vengono posti in visibile collegamento con la prevista minaccia di sanzione penale.

 

[156] FORTI, L’immane concretezza. Metamorfosi del crimine e controllo penale, Milano 2000, 147.

 

[157] FORTI, L’immane concretezza, cit., 143 ss. L’Autore aggiunge che, per la ricostruzione delle reali regole di esperienza nelle quali si rispecchia il giudizio di pericolo, il giurista si sarà dovuto fare “consumatore” di leggi scientifiche, come in molteplici altre situazioni in cui esso è chiamato a “risolvere problemi”. Sottolineano che il reato di pericolo astratto, per essere pienamente conforme alla Costituzione, deve rispecchiare una effettiva regola di esperienza, MARINUCCI - DOLCINI, Corso, cit., 569.

 

[158] FORTI, L’immane concretezza, cit., 147. Cfr. sulla necessità di sottoporre le valutazioni di opportunità politico-criminale a un vaglio di credibilità e razionalità, MUSCO, L'illusione penalistica, cit., 5.

 

[159] Vedi BRICOLA, voce Teoria generale del reato, in Noviss., dig. it., XIX, Torino 1965, 21; MOLARI, La tutela penale della condanna civile, Padova 1960, 102 ss.; MARINUCCI, Fatto e scriminanti. Note dommatiche e politico-criminali, in Il diritto penale in trasformazione, cit., 196; FORTI, L'immane concretezza, cit., 42 ss., 101 ss.; CANESTRARI, Nuove problematiche del diritto penale, in Quaderni di Nuovamente: Dei Diritti e delle Pene.

 

[160] Così FORTI, La riforma del codice penale, cit., 72.

 

[161] Tra le ultime, Corte cost. 23 giugno 2005, n. 265, e Corte cost. 11 giugno 2008, n. 225, in www.cortecostituzionale.it.

 

[162] Vedi, in tema di c.d. disastro innominato, la recente Cass. pen., sez. IV, 19 giugno 2012, n. 36639, in ItalGiureWeb , dove si afferma che in sostanza, rispetto al delitto di disastro aviatorio colposo (come disciplinato dagli artt. 428, comma 1, e 449, comma 2, c.p.)  il pericolo astratto comporta un giudizio di verosimiglianza della presenza di un numero indeterminato di persone nella sfera di esplicazione del fatto.

 

[163] Sul problema, per il legislatore e per l’interprete, della disciplina dei fatti “tenui” o “esigui”, già PALIERO, Minima non curat praetor, cit., 653 ss. Vedi anche CADOPPI-VENEZIANI, Elementi di diritto penale. Parte generale, 5ª ed., Padova 2012, 101-102.

 

[164] MARINUCCI-DOLCINI, Corso, cit., 572.

 

[165] Corte cost. 26 marzo 1986, n. 62, in Giur. cost., 1986, I, 408 ss. e Corte cost. 11 luglio 1991, n. 333, in Giur. cost., 1991, 2646 ss. Per esemplificare si può citare una sentenza della Corte di Cassazione (Cass. 7 marzo 2000, in Dir. pen. proc., 2000, 723) che ha confermato la decisione di un pretore che aveva mandato assolti gli imputati osservando tra l’altro che la modestia dell’intervento (apertura di due piccole nicchie per contatori sul muro di cinta di un immobile vincolato) era tale da escludere in concreto qualsiasi idoneità della condotta a ledere il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice (il patrimonio culturale).

 

[166] FIANDACA, La tipizzazione del pericolo, in AA.VV., Beni e tecniche della tutela penale, a cura del Crs, Milano 1987, 63 s. Vedi anche ALBRECHT e AA.VV., Strafrecht - ultima ratio. Empfehlungen der Niedersächsischen Kommission zur Reform des Strafrechts und des Strafverfahrensrechts, cit., 15 ss.

 

[167] PALAZZO, Segni di svolta nella politica criminale italiana, tra ritorni al passato e anticipazioni del futuro, in Dir. pen. cont., 19 dicembre 2011. Cfr. VINCIGUERRA, Appunti sull'inoffensività, la tenuità dell'offesa e la tenuità del reato in Italia nel secondo Novecento, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, tomo 2, cit., 2077 ss., e ancor prima NEPPI MODONA, Il lungo cammino del principio di offensività, in Studi in onore di Marcello Gallo, Padova 2004, 89 ss.

 

[168] In Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 1596 ss.

 

[169] Per queste due prime proposte, vedi M. ROMANO, Danno a sé stessi, paternalismo legale e limiti del diritto penale, cit., 991-992.

 

[170] KLOTTER, Criminal Law, 6th. ed., Cincinnati 2000, 6, richiamato da FORTI, Per una discussione sui limiti morali del diritto penale, tra visioni «liberali» e paternalismi giuridici, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, tomo 1, cit., 298 ss. Cfr. anche, per la partecipazione di esperti nella fase di formazione delle leggi penali, in modo da "depoliticizzare" questa fase, STUNTZ, Pathological Politics, cit., 582 ss.

 

[171] FORTI, Per una discussione sui limiti morali del diritto penale, cit., 299.

 

[172] DONINI, Il volto attuale dell’illecito penale, cit., 89-90. L’Autore cita come esempio quanto avviene in sede di emanazione di regolamenti e direttive CE, e quanto avviene in parte anche nel nostro ordinamento, almeno cioè nella fase di formazione del testo; infatti i regolamenti ministeriali sono sottoposti a un duplice test di impatto della regolamentazione (c.d. Air) e di analisi tecnico-normativa (c.d. Atn); e in sede di formazione delle leggi, un comitato parlamentare per la legislazione è deputato a esprimere alle commissioni un parere sulla qualità dei testi e sulla loro efficacia. Secondo Donini, solo seguendo siffatti modelli sarà possibile costringere il legislatore a una verifica della scientificità del suo progetto, «rendendo falsificabili i programmi di criminalizzazione sulla base dei dati utilizzati in input e delle risultanze emergenti in output».

 

[173] FORTI, La riforma del codice penale, cit., 71.

La costituzionalizzazione del principio di ultima ratio e di altri principi garantistici del diritto penale sostanziale – nel quadro di una più generale rivalutazione dei valori trascendenti della dignità umana – è vista anche nel contesto nordamericano come un possibile rimedio alla overcriminalization. Tra le varie proposte: l'obbligo della presenza di un minimo di mens rea nelle nuove fattispecie e l'affermazione del ruolo della desuetudine come causa di estinzione dei reati (STUNTZ, Pathological Politics, cit., 579 ss., e in particolare sulla costituzionalizzazione del principio della mens rea come limite alla discrezionalità giudiziaria, DUBBER, Toward a Constitutional Law of Crime and Punishment, cit., 529 ss.); la nozione di danno (Harm) come necessario oggetto di tutela (FINKELSTEIN, Positivism and the Notion of an Offense, in California Law Review, 88, 2000, 335 ss.). Scettico su questi progetti LUNA, The Overcriminalization Phenomenon, cit., 728, perché la loro attuazione presupporrebbe un cambiamento "sismico" nella mentalità della giurisprudenza statunitense.

 

[174] In alternativa (ma forse anche in aggiunta) alla depenalizzazione si pone l’abolizione del principio di obbligatorietà dell’azione penale, come strumento per ridurre la congestione degli affari giudiziari penale, causa prima, se non esclusiva, della realizzazione rovesciata del principio “minima non curat praetor”: accenna al dibattito su questa alternativa, BRICOLA, Introduzione alla riproduzione di CARRARA, Programma del corso di diritto criminale. Del delitto, della pena, cit., 16. Sul tema, PALAZZO, I confini della tutela penale, cit., 465, ritiene che l’efficienza del sistema vada perseguita con strumenti di diritto sostanziale, prima di smantellare principi processuali, quale quello dell’obbligatorietà dell’azione penale.

 

[175] MARINUCCI-DOLCINI, Manuale, cit., 13.

 

[176] Così PALAZZO, Segni di svolta nella politica criminale italiana, cit., 5 dell'estratto. Vedi anche, su ipotesi nelle quali le sanzioni amministrative sono più gravi di quelle penali, CARACCIOLI, «Marginalità» della pena e politica criminale: due crisi parallele, in Studi in onore di Mario Romano, vol. I, cit., 151 ss.

 

[177] In Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 1588 ss.

 

[178] FORTI, La riforma del codice penale, cit., 66.

D'altro canto la normativizzazione in altri settori significa piuttosto ampliamento dell'area punitiva: così in tema di dolo, soprattutto eventuale, la riaffermazione del suo genuino contenuto psicologico, contro i tentativi di riferimento a modelli precostituiti, comporterebbe una limitazione dell'intervento penale in fase applicativa. Sia consentito il richiamo a DEMURO, Il dolo, II: L'accertamento, Milano 2010, in particolare 397 ss.

 

[179] Per un nuovo codice penale, II, Relazione della Commissione Grosso, a cura di C.F. Grosso, Padova 2000.

 

[180] FORTI, La riforma del codice penale, cit., 67.

 

[181] Per una immediata analisi, VALBONESI, Linee guida e protocolli per una nuova tipicità dell'illecito colposo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 253 ss. In senso critico, PIRAS, In culpa sine culpa, in Dir. pen. cont., 26 novembre 2012.

 

[182] Trib. Milano, sez IX (ord.), 21 marzo 2013, in Dir. pen. cont., 29 marzo 2013, con nota di SCOLETTA, Rispetto delle linee-guida e non punibilità della colpa lieve dell'operatore sanitario: la "norma penale di favore" al giudizio della Corte costituzionale.

 

[183] PULITANÒ, Responsabilità medica: letture e valutazioni divergenti del novum legislativo, in Dir. pen. cont., 5 maggio 2013. Vedi anche ID., Fra giustizia penale e gestione amministrativa. Riflessioni a margine del caso ILVA, in Dir. pen. cont - Riv. trim., 1, 2013, 44 ss.).

 

[184] PULITANÒ, Responsabilità medica, cit., 4-5; più in generale, ID., Obblighi costituzionali di tutela penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1983, 484 ss. Recentemente MANACORDA, Dovere di punire? Gli obblighi di tutela penale nell’era dell’internazionalizzazione del diritto, in Riv. it. dir. proc. pen., 1364 ss.

 

[185] MARINUCCI-DOLCINI, Corso, cit., 514, e Corte cost. 3 dicembre 1969 n. 147, cit., 2244.

 

[186] DONINI, L’elemento soggettivo della colpa. Garanzie e sistematica, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 154.

 

[187] PULITANÒ, Responsabilità medica, cit., 16-17.

 

[188] PULITANÒ, La novella in materia di corruzione. Commento alla legge anticorruzione (L. 6 novembre 2012, n. 190), in Cass. pen., suppl. vol. 11, 2012. Vedi anche sulla riforma, GAROFOLI, Il contrasto alla corruzione: il percorso intrapreso con la L. 6 novembre 2012, n. 190, e le politiche ancora necessarie, in Dir. pen. cont., 22 febbraio 2013 e VIGANÒ, La riforma dei delitti di corruzione, in GAROFOLI-TREU (a cura di), Libro dell’anno del diritto, Treccani, 2013. Tra i più recenti contributi monografici, DAVIGO-MANNOZZI, La corruzione in Italia. Percezione sociale e controllo penale, Roma-Bari 2007, e CINGARI, Repressione e prevenzione della corruzione pubblica in Italia, Torino 2012.

 

[189] Costituiscono espressione di tale ampliamento l’espressa codificazione della corruzione per l’esercizio della funzione, sganciata dal riferimento a un atto specifico; l'introduzione o l'ampliamento della responsabilità di soggetti privati nella nuova disciplina dei casi di induzione indebita (art. 319-quater), del traffico di influenze (art. 346 bis) e della corruzione tra privati (art. 2635 c.c.). Inoltre la legge ridisegna il sistema sanzionatorio con aumenti di pena e con lo scorporo della sottofattispecie di induzione dalla fattispecie di concussione.

 

[190] Vedi ora il D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, sul quale BENUSSI, Il codice di comportamento dei dipendenti pubblici ha ora natura regolamentare, in Dir. pen. cont., 18 giugno 2013.

 

[191] PULITANÒ, La novella in materia di corruzione, cit., 20.

 

[192] FOFFANI, La tutela delle funzioni delle autorità amministrative indipendenti: il ruolo dello strumento penale, relazione tenuta all’incontro di studi organizzato dal CSM su: Il rapporto tra giudici e autorità indipendenti nella regolazione dei mercati (Roma 9-11 maggio 2005), 1 dell’estratto. A proposito del dibattito sulla sussidiarietà del diritto penale dell'economia, ID., «Sicurezza» dei mercati e del risparmio, cit., 1030 ss.; cfr. poi TIEDEMANN, Wirtschaftsstrafrecht. Einführung und Allgemeiner Teil mit wichtigen Rechtstexten, 2. Aufl., Köln-München 2007, 33, e PEDRAZZI, Diritto penale, vol. III: Scritti di diritto penale dell'economia: problemi generali, diritto penale societario, Milano 2003, 285 (già Le droit pénal des sociétés et le droit pénal général, in Jus, 1964, 453 s.

 

[193] FOFFANI, La tutela delle funzioni delle autorità amministrative indipendenti, cit., 8 dell’estratto. A questo proposito si chiede infatti l’Autore: «è possibile ritenere che l’introduzione dello strumento preventivo della revisione contabile dei bilanci ad opera di soggetti indipendenti dagli amministratori di società possa rappresentare una alternativa credibile alla previsione di sanzioni penali per il falso in bilancio?». Ed è sufficiente pensare per il nostro Paese ai casi Cirio e Parmalat per dare una risposta scontata. 

 

[194] Così FOFFANI, La tutela delle funzioni delle autorità amministrative indipendenti, cit., 9 dell’estratto. Aggiunge Foffani che in realtà questo tipo di modello integrato di intervento amministrativo e penale è certamente preferibile rispetto a una rinuncia generalizzata dello strumento penale con correlato incremento dei poteri sanzionatori autonomi delle autorità indipendenti: una quota di “eterotutela” penale (con le garanzie del processo e del sindacato di costituzionalità) serve a evitare il rischio di attribuire a tali autorità un potere eccessivo, che certo non preluderebbe a un aumento delle garanzie di libertà per il cittadino e per l’operatore economico. Sul ruolo fondamentale del diritto penale, in considerazione delle peculiari garanzie offerte dal potere giudiziario e degli stessi strumenti di indagine che gli sono propri, come pure del particolare rilievo sociale di determinate materie, EUSEBI, Ripensare le modalità della risposta ai reati, cit., 4955.

 

[195] BECCARIA, Dei delitti e delle pene, cit., § XLVII.

 

[196] Fondamentali già le osservazioni di MARINUCCI, Politica criminale e riforma del diritto penale, in Jus, 1974, 463 ss., e poi in MARINUCCI-DOLCINI, Studi di diritto penale, 1991, 45 ss., e di PADOVANI, L’utopia punitiva. Il problema delle alternative alla detenzione nella sua dimensione storica, Milano 1981. Ancora DOLCINI, La pena in Italia, oggi, tra diritto scritto e prassi applicativa, cit., 1073 ss.

 

[197] GIUNTA, Oltre la logica della punizione: linee evolutive e ruolo del diritto penale, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, tomo 1, cit., 343-344. Anche recentemente sono stati emanati provvedimenti legislativi imposti dall'inaccettabile sovraffollamento carcerario, per esempio in tema di carcerazione preventiva, di benefici carcerari anche per i recidivi,  di conteggio delle detrazioni di pena, di lavoro all'esterno, di ampliamento dei presupposti per la concessione della misura alternativa dell'esecuzione della pena presso il proprio domicilio.

 

[198] La riforma del codice penale. Schema di delega legislativa per l'emanazione di un nuovo codice penale, in Documenti Giustizia, 3, 1992, cc. 327 ss. Vedi anche la serie di interventi al Convegno, dell'Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale, «Il diritto penale nella realtà contemporanea: prospettive e alternative» (Firenze 16-17 novembre 2012), pubblicati nel n. 3, 2013 di Riv. it. dir. proc. pen.: in particolare DONINI, Per una concezione post-riparatoria della pena. Contro la pena come raddoppio del male, 1162 ss. Cfr. anche AA.VV., Verso una riforma del sistema sanzionatorio?, Atti del convegno in ricordo di Laura Fioravanti (Genova 15 novembre 2006), a cura di P. Pisa, Torino 2008.

 

[199] GIUNTA, Oltre la logica della punizione, cit., 345. Per una “teoria generale” della mediazione penale, MANNOZZI, La giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale, Milano 2003, 339 ss. Vedi anche EUSEBI, Profili della finalità conciliativa nel diritto penale, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, 2, Milano 2006, 1109 ss., e MAZZUCATO, Mediazione e giustizia riparativa in ambito penale. Fondamenti teorici, implicazioni politico-criminali e profili giuridici, in AA.VV., Lo spazio della mediazione, a cura di Cosi e Foddai, Milano 2003, 151 ss.

 

[200] In Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 1598-1599.