Testatina-internaseconda-tradizione

 

 

Alzati-Foto -1CESARE ALZATI

Università Cattolica di Milano

 

Beatus Constantinus nel ricordo di sant’Ambrogio a Milano*

open in pdf

 

ABSTRACT: February 25, A.D. 395, Ambrose expressed his thoughts on Constantine in a solemn funeral oration, in which he took leave from the mortal remains of Theodosius. That oration was the official speech of the prestigious bishop of the western sedes Imperii, but it was also the speech of a former imperial magistrate, who intended to indicate the Christian faith as the principle able to orient according to justice the government of the Roman Empire. At the beginning of the fifth century in the Christian liturgy of the Holy City just two emperors enjoyed commemoration: Constantine and Theodosius. In Milan, the Ambrosian Church, guarding through the centuries – as living tradition – the teachings of its bishop Ambrose, preserved also – until today – the memory of those times, when in Milan was present beatus Constantinus and there died perfectus Theodosius.

 

 

Non soltanto dalla documentazione di cui possiamo disporre in merito a Costanzo I, ma pure da quanto ci viene attestato in merito a Massenzio dopo la sua ascesa alla dignità augustale nel 306, possiamo evincere chiaramente come in Occidente dal 305 si fosse esaurita qualsiasi, pur blanda, forma persecutoria contro i cristiani[1]. Con l’editto, formulato a Serdica e promulgato a Nicomedia il 30 Aprile 311, Galerio tentò d’imporre anche nella pars Orientis (seppure con limitato successo) la ricostituzione delle comunità cultuali cristiane[2]. Risulta pertanto improprio configurare, come fa Ambrogio, i predecessori di Costantino quali imperatori «qui persecutores esse consueverant»[3]. Al riguardo basterebbero le parole piene di ammirazione con cui la figura di Costanzo è delineata nel De vita Constantini[4], e quanto di lui scrisse lo stesso Costantino indirizzandosi agli Orientali nel 324: «Si è comportato con la più grande mitezza, invocando in ogni sua azione il Dio salvatore con ammirevole devozione»[5].

 

 

Un quadro assai meno sereno rispetto all’Occidente presentava, anche dopo l’abdicazione del 305, la pars Orientis dell’Impero. Là fino a quella data aveva direttamente operato Diocleziano; e quanti gli erano succeduti così vennero delineati da Costantino nella citata lettera del 324: «Ho considerato gli imperatori che mi hanno preceduto crudeli oltre misura per la ferocia dei loro comportamenti»[6]. In effetti, nell’immediato, il menzionato editto di Galerio del 311 era rimasto inapplicato nei territori facenti capo a Massimino Daia, proclamato anch’egli augusto dai suoi eserciti nel 310 [7]. Massimino, tuttavia, nel 313 fu sconfitto da Licinio, si piegò ad applicare l’Editto di Galerio e morì poco dopo, sicché da allora pure in tutto l’Oriente i cristiani poterono godere – come i fratelli occidentali – di una piena libertà religiosa, che peraltro non si rivelò definitiva. Vi fu, infatti, qualche anno più tardi una ripresa delle vessazioni anticristiane ad opera di Licinio stesso, fino a quando nel 324 anche quest’ultimo dovette lasciare la scena, e Costantino rimase unico vertice dell’Impero ecumenico[8].

 

 

Sia i dati ricordati relativi alla pars Occidentis, sia quanto ora segnalato in merito alla pars Orientis, pur nella diversità delle situazioni convergono, dunque, nell’indicare come l’anno 313 difficilmente possa essere configurabile quale data epocale in rapporto all’affermarsi della libertà religiosa nell’ecumene romana: già prima di quell’anno in Occidente tale libertà era stata assicurata ai cristiani da imperatori seguaci – come Costanzo Cloro e il ‘primo’ Costantino – di un enoteismo d’ispirazione solare, o – si pensi a Massenzio – d’orientamento pagano; mentre in Oriente fu dopo il 324 che la pace religiosa risultò, non soltanto definitivamente garantita ai cristiani, ma pure espressamente confermata ai pagani, da un Costantino, ormai caratterizzato da un deciso orientamento cristiano[9].

 

 

Questa complessa realtà, oltremodo variegata nelle sue articolazioni, che grazie a Costantino venne progressivamente assumendo lineamenti sempre più stabilmente unitari, alla fine di quello stesso IV secolo appare già percepita a Milano da Ambrogio in un quadro interpretativo semplificato, che lega esclusivamente a Costantino la fine delle persecuzioni e ne fa il discrimen tra la tirannide dei persecutori pagani e la compiuta realizzazione – nella fede cristiana – dell’ideale istituzionale romano di una potestas che si esercita in conformità alla iusta moderatio[10]. Tale schema interpretativo del momento costantiniano godette ampia e durevole fortuna[11], ed è stato il fondamento della scelta del mondo cattolico (italiano in particolare) di celebrare solennemente l’anno 1913 quale XVI Centenario dell’atto (in verità, estremamente problematico) con cui Costantino avrebbe assicurato alla Chiesa cristiana la piena libertà all’interno dell’Impero, ossia l’Editto di Milano[12].

Non diversa rispetto allo schema interpretativo soggiacente alle celebrazioni del 1913 risulta la prospettiva secondo cui si sono venute sviluppando non poche tra le iniziative proposte nel corso dell’anno 2013, nuovamente configurato quale anno celebrativo (il XVII Centenario) di quel medesimo (affermato, ma sempre sfuggente) Editto milanese[13].

 

 

Ambrogio formulò le proprie considerazioni in merito a Costantino il 25 Febbraio dell’anno 395, di Domenica, a Milano, sedes imperii della pars Occidentis[14].

Alla presenza del giovane imperatore Onorio, nel 40° giorno dalla morte di Teodosio (avvenuta il 17 Gennaio), il presule tenne una solenne orazione funebre, che costituì il congedo ufficiale della allora città imperiale dalla salma dell’augusto, che a Milano si era spento e che iniziava il suo lungo viaggio verso Costantinopoli, dove avrebbe trovato definitiva dimora nel mausoleo imperiale connesso alla Basilica degli Apostoli. Merita ascoltare le parole conclusive di quel congedo:

 

«Costantinopoli ... attendeva le celebrazioni trionfali e i titoli delle sue vittorie, attendeva l’imperatore di tutto l’orbe, circondato in fitta schiera dall’esercito della Gallia e sostenuto dalle milizie del mondo intero. Ma Teodosio ora ritorna a essa ben più potente, ritorna ancor più glorioso, perché sua scorta sono le schiere degli angeli, e lo accompagna la folla dei santi. Veramente beata, tu che accogli un cittadino del Paradiso e che nell’augusta dimora, dov’è sepolto il suo corpo, custodisci un abitante della città celeste»[15].

 

In questo approdo ultimo di Teodosio sembra di poter veder delineato, nell’orazione di Ambrogio, il frutto compiuto della realtà posta in essere da Costantino. Di costui lo stesso Ambrogio aveva affermato che

 

«sebbene la grazia del Battesimo avesse rimesso tutti i peccati solo in punto di morte, tuttavia siccome fu il primo imperatore a credere e lasciò dopo di sé ai suoi successori l’eredità della fede, ottenne un posto degno dell’insigne suo merito»[16].

 

Ma – per Ambrogio, presule della città residenza degli augusti d’Occidente – l’anima di Teodosio, che da battezzato aveva esercitato la funzione imperiale, poteva rivendicare un merito del tutto particolare: poteva dire di sé «Ho amato»[17], e agli angeli, che lo interrogavano su cosa avesse fatto, rispondere: «Ho amato»[18]:

 

«E – commenta Ambrogio – egli ha veramente amato, perché ha adempiuto i doveri di uno che ama, ha risparmiato i nemici, ha voluto bene agli avversari, ha perdonato a coloro che gli avevano teso insidie, non ha permesso che fossero uccisi coloro che aspiravano al trono. È di un uomo non mediocre, ma anzi perfetto nell’osservanza della Legge, questa voce che può dire “Ho amato”»[19].

 

Ma, oltre all’amore, Teodosio ha testimoniato la più profonda umiltà: «sottopose il suo regno a Dio, fece penitenza e, confessando il proprio peccato, chiese perdono»[20].

 

 

L’orazione funebre divenne così per il presule milanese l’occasione per una rilettura della funzione imperiale. Era l’autorevole vescovo della sedes imperii a parlare, ma era ad un tempo l’antico magistrato romano, che veniva mostrando nell’ispirazione religiosa cristiana la forza in grado di orientare adeguatamente il corretto governo del Romanum imperium[21]. È singolare come in tale prospettiva colui che un tempo aveva servito la Respublica quale consularis, sia venuto sviluppando un’ermeneutica dei Chiodi della Passione che, assumendone il carattere di reliquia imperiale, faceva di essi la tutela e il riferimento ideale per un corretto esercizio dell’autorità da parte dell’imperatore romano.

Al riguardo va ricordato che questa orazione di Ambrogio è la prima testimonianza in merito al decisivo contributo di Elena per il recupero della Croce. La Vita Constantini e analogamente l’Itinerarium Burdigalense (a. 333 c.)[22] ancora ignorano tale reliquia, che mezzo secolo più tardi si presenta quale elemento centrale nella devozionalità aghiopolita, come ci viene testimoniata dal geronimiano Epitaphium sanctae Paulae, che riferisce vicende relative all’anno 385 [23], e dall’Itinerarium di Egeria, che attesta la vita cultuale dei santuari gerosolimitani in quello stesso volger d’anni[24]. Terminus ante quem per l’inventio Crucis è comunque una lettera di Cirillo di Gerusalemme a Costanzo II del 351, che attribuisce l’evento all’età di Costantino e lo lega «τ καλς ζητοντι τν εσέβειαν»[25]. L’uso della forma maschile sembrerebbe escludere il riferimento a Elena, riferimento che – in anni di poco posteriori all’orazione di Ambrogio – si ritrova invece nella Lettera 31 di Paolino di Nola a Sulpicio Severo[26] e nella Historia Ecclesiastica di Rufino (testi forse entrambi collocabili negli anni iniziali del V secolo)[27]. Tali consonanze sono state variamente spiegate; si è pensato in particolare a una comune fonte antecedente[28], fors’anche di origine gerosolimitana e, in tal caso, posteriore al 351 [29].

 

 

Le narrazioni di Ambrogio e di Rufino, pur dichiarando entrambi l’inventio dei Chiodi ad opera di Elena, divergono in merito alle modalità con cui tali reliquie furono riutilizzate. Rufino afferma che la madre recò i Chiodi all’imperatore e che questi ne ricavò oggetti, quibus uteretur ad bellum: i morsi per la propria cavalcatura e un ornamento per il proprio elmo[30]. In Ambrogio, invece, è Elena che prepara per il figlio con un Chiodo il morso del cavallo, con l’altro il simbolo stesso della dignità imperiale: il diadema tempestato di gemme[31].

Anche dal testo santambrosiano sembra di poter evincere che elmo e morso siano parte della versione originaria: afferma Ambrogio che Elena cercò le sante reliquie della Passione quale sicuro auxilium per il figlio, «quo inter proelia quoque tutus assisteret et periculum non timeret»[32]. Peraltro, nella variante attestata in Ambrogio (e in lui solo), dalla protezione nella guerra l’attenzione viene consapevolmente spostata sulla maestà imperiale e sull’abituale esercizio della connessa autorità. La Sordi ha pensato che tale variante presupponga un concreto manufatto in uso presso la Corte di Milano[33].

 

 

In ogni caso è assolutamente evidente che la versione utilizzata da Ambrogio permette all’antico magistrato di sviluppare un preciso discorso sui caratteri dell’imperium Romanum e sulle modalità secondo cui deve operare l’imperatore:

 

«Sul capo la corona, nelle mani le briglie: la corona è formata dalla Croce, perché risplenda la fede; anche le briglie sono formate dalla Croce, affinché l’autorità governi usando una giusta moderazione, non un’imposizione ingiusta ... Per quale motivo una cosa santa sul morso, se non perché frenasse l’arroganza degli imperatori, reprimesse la dissolutezza dei tiranni?»[34].

 

In questo trovano realizzazione per Ambrogio le più alte idealità istituzionali romane, ripensate nella prospettiva della suprema signoria del Cristo. È questo un punto particolarmente avvertito da Ambrogio, che trova ai suoi occhi una significativa espressione anche sul piano cerimoniale:

 

«Agì con saggezza Elena, che ha posto la Croce sulla testa dei re, affinché nei re sia adorata la Croce di Cristo. Questa non è insolentia, ma pietas, perché si rende omaggio alla redenzione santa»[35].

 

Tale connotazione confessionale dell’Impero è elemento che Ambrogio avvertiva fortemente e nei cui confronti appare aver operato con rigorosa determinazione.

Se il rifiuto di concedere l’uso delle basiliche milanesi alla locale comunità non nicena, ripropostosi in due occasioni, fu tanto drastico da portare a un drammatico scontro con la Corte[36], analogamente tenace e irriducibile si presenta la sua opposizione a tutto ciò che legava l’istituzione imperiale all’antico retaggio pagano[37]. Ambrogio non fu probabilmente estraneo alla rinuncia al pontificato massimo da parte di Graziano (tra il 380 e il 383)[38], e con vigore si contrappose nel 384 alla richiesta del praefectus Urbis Quinto Aurelio Simmaco di ricollocare l’ara della Vittoria in Senato. Significativamente in merito a tale controversia Ambrogio più tardi dichiarò essere stata una mancanza di Valentiniano I l’aver permesso il ripristino di quell’ara ed elogia il figlio di lui Graziano, per la decisione di estromettere dalla Curia tale retaggio della Roma pagana, decisione saldamente confermata dal fratello Valentiniano II, lodato per questo nell’orazione funebre a lui dedicata[39].

In questa stessa linea si pone, nella orazione per Teodosio, l’evidente compiaciuta segnalazione della fermezza dell’imperatore nell’opporsi ai culti pagani[40]: e quelle di Ambrogio sono parole che trovano un preciso riscontro nella legislazione teodosianea[41].

Su questo specifico punto della politica antipagana si può misurare tutta la distanza rispetto a Costantino che, rimasto unico signore dell’Impero nel 324, volle indirizzare alle popolazioni delle acquisite province orientali, il denso messaggio, già più volte ricordato, il cui testo è stato fissato da Eusebio nel libro II del De vita Constantini[42]. In quell’occasione il trionfo su Licinio e la consistente presenza cristiana nelle regioni acquisite avevano spinto alcuni a ipotizzare iniziative di coartazione della tradizione religiosa pagana. Costantino lo segnala esplicitamente: «Ho spiegato più dettagliatamente ... dal momento che, a quanto sento dire, alcuni affermano che i riti dei templi e la potenza delle tenebre sono stati cancellati»[43]. Ma – afferma l’imperatore –

 

«nessun uomo dotato d’intelletto dovrebbe lasciarsi turbare dalla vista di molti che sono portati verso scelte contrarie[44]; ... alla virtù spetta la corona della gloria, ma è il Dio eccelso che detiene l’autorità assoluta nel giudizio[45] ... Dunque, che l’umanità intera goda del bene che abbiamo ricevuto in sorte, ossia il dono della pace[46] ... Ciascuno abbia ciò che la sua anima desidera e ne sia appagato[47] ... E le convinzioni, che ciascuno nutre e delle quali è persuaso, non siano il mezzo per recare offesa ad altri[48] ... Desidero che il ... popolo viva in pace e non sia turbato da lotte intestine per il bene comune dell’intera ecumene e di tutti gli uomini. E anche coloro che persistono nell’errore traggano pari giovamento dalla pace e dalla tranquillità, allo stesso modo dei fedeli ... noi preghiamo anche per loro, affinché, grazie alla comune concordia, essi pure ottengano la gioia[49]».

 

Simili affermazioni del non battezzato Costantino sarebbero state improponibili nel battezzato Teodosio, e suonavano certamente inaccettabili per Ambrogio.

Pur tuttavia, quando Teodosio morì, la sua salma lasciò Milano avendo quale meta il mausoleo imperiale di Costantinopoli, dove si ergeva il sarcofago di Costantino[50]. Di fatto, nell’orazione con cui Ambrogio, nella sedes imperii occidentale, diede voce al congedo ufficiale dall’imperatore, l’anima di Teodosio è indicata ascendere al Cielo per trovarvi la propria meta nell’adhaerere Constantino[51], detto beatus anche in forza della madre, illa sanctae memoriae Helena[52].

La stretta associazione tra i due imperatori presente nell’orazione di Ambrogio è degna di nota, ma riflette un modo di sentire, che non doveva essere soltanto di Ambrogio.

Le più antiche attestazioni degli usi rituali gerosolimitani vengono a noi attraverso i Lezionari armeni, di cui un testimone (Jérusalem 121) documenta la situazione agli inizi del secolo V: alla luce di tali fonti negli ordinamenti cultuali della Città Santa due soli imperatori godevano di commemorazione in coincidenza o in prossimità del giorno della loro morte: Costantino (22 Maggio: Commemorazione dell’imperatore Costantino, al Martyrium)[53] e Teodosio (19 Gennaio: Commemorazione del gran re Teodosio, all’Anastasis)[54].

Le due commemorazioni appaiono riprese anche in ambito georgiano[55].

 

 

Quanto a Milano, abbandonata da Onorio e dalla Corte nel 402, l’autoconsapevolezza imperiale della città andò progressivamente attenuandosi, a favore di una sempre più marcata identificazione collettiva con la tradizione di Ambrogio[56]. Si potrebbe parlare di trasformazione della sedes Imperii in civitas Ambrosiana. Peraltro agli inizi del secolo XI un testo quale il De situ civitatis Mediolani manifestava ancora chiara consapevolezza del fatto che lo stesso prestigio gerarchico della sede arcivescovile era indisgiungibile dall’esperienza di residenza degli augusti vissuta dalla città[57].

In tale contesto non può non colpire il fatto che, tra gli aspetti devozionali presenti in ambito milanese, sia da annoverare nel Duomo il Santo Chiodo (presunta tarda trasformazione del morso della cavalcatura di Costantino) e, nella chiesa di S. Giovanni della vicina residenza regia longobarda di Monza, la Corona Ferrea (considerata diadema in cui sarebbe stata inserita l’altra reliquia imperiale della Passione, ricavata da Elena utilizzando un ulteriore Chiodo della Croce)[58].

Il legame tra tali oggetti di venerazione e le parole fissate da Ambrogio nel De obitu Theodosii mi pare difficilmente negabile; ed è legame che trasforma questi stessi oggetti (di significato originariamente imperiale e costantiniano) in elementi del patrimonio tradizionale della Chiesa milanese. Considerata in tale luce, la loro presenza all’interno di questa Chiesa viene ad esprimerne assai bene la parabola evolutiva: Chiesa un tempo della sedes imperii, essa, dopo la conclusione di quella straordinaria esperienza istituzionale, si è venuta sempre più percependo nella comunione delle Chiese come Ambrosiana ecclesia. Ma, paradossalmente, proprio grazie alla continua attualità che al suo interno il magistero di Ambrogio ha conservato nel tempo, ancor oggi essa si fa custode delle reliquie costantiniane della Passione, e per questa via – additatale da Ambrogio – è in grado di conservare memoria anche della propria antica vicenda imperiale, quando a Milano fu presente il beatus Constantinus e si spense il perfectus Theodosius[59].

 



 

[Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Tradizione Romana” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind]

 

* Relazione presentata nel corso dei lavori del IX Seminario internazionale di studi Il culto di san Costantino imperatore tra Oriente e Occidente, organizzato, nel quadro delle celebrazioni costantiniane del 2013, dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Sassari e dall’IPROM - Istituto di Studi e Programmi per il Mediterraneo, col patrocinio dell’Arcivescovo di Sassari, Paolo Atzei (Aula Magna dell’Università di Sassari, 4-6 luglio 2013).

 

[1] Per la ridotta applicazione, e mai contro le persone, del solo primo editto persecutorio di Diocleziano nei territori sotto l’autorità di Costanzo (Lactantius, De mortibus persecutorum, XV, 7, ed. J. Moreau, Éd. du Cerf, Paris 1954 [Sources Chrétiennes (= SCh), XXXIX, 1], 94); sulla cessazione di ogni azione discriminatoria dopo l’ascesa alla dignità di augusto: cfr. M. Sordi, Il Cristianesimo e Roma, Cappelli, Bologna 1965 (Istituto di Studi Romani. Storia di Roma, XIX), 351-355. Quanto alle relazioni instaurate da Massenzio con le comunità cristiane: Eusebius, Historia Ecclesiastica, VIII, 14, 1, ed. E. Schwartz, cur. F. Winkelmann, Akademie Verlag, 2a ed., Berlin 1999 (Hinrichs, Leipzig 1908) (Die Griechischen Christlichen Schriftsteller [= GCS], n. F., VI, 2), 778; Breviculus collationis cum Donatistis, ed. S. Lancel, Brepols, Turnholti 1974 (Corpus Christianorum. Series Latina [= CCL], CXLIX, A), 299. 15-19. Alla linea di condotta di Costanzo si conformò da subito il figlio di lui Costantino: Lactantius, De mortibus persecutorum, XXIV, 9, SCh, XXXIX, 1, 106; da segnalare pure il problematico passo presente in alcuni codici di Id., Divinae Institutiones, I, 1, 13-16, edd. E. Heck - A. Wlosok, Saur, Monachii-Lipsiae 2005 (Bibliotheca Teubneriana [= BT]), 4. Per la plausibilità della testimonianza di Lattanzio: Sordi, Il Cristianesimo e Roma, 355-357; Ead., I cristiani e l’Impero romano, Jaca Book, Milano 1984 (2a ed., 2000), 138.

 

[2] Lactantius, De mortibus persecutorum, XXXIII, 11 - XXXV, 1, SCh, XXXIX, 117-118; cfr. Eusebius, Historia Ecclesiastica, VIII, 17. 3-11, GCS, n. F., VI, 2, 790-794 [retrotraduzione di Rufinus: 791-795]. In merito si potrà vedere P. Siniscalco, L’editto di Galerio del 311: qualche osservazione storica alla luce della terminologia, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana. X Convegno Internazionale: in onore di Arnaldo Biscardi, Università degli Studi di Perugia. Facoltà di Giurisprudenza - Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1995, 41-54.

 

[3] Ambrosius, De obitu Theodosii, 48, ed. O. Faller, Hoelder-Pichler-Tempsky, Vindobonae 1955 (Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum [= CSEL], LXXIII), 396.

 

[4] Eusebius, De vita Constantini, I, XII-XVII, ed. F. Winkelmann, Eusebius Werke, 2a ed., Akademie-Verlag, Berlin 1991 (GCS), 21-25.

 

[5] «μερότητος ργα μετεχειρίζετο, μετ θαυμαστς ελαβείας ν πάσαις τας αυτο πράξεσι τν σωτρα Θεν πικαλούμενος»: Ibidem, II, XLIX, 1, GCS, 69 (trad. it.: L. Franco, Rizzoli Milano 2009 [BUR. Classici Greci e Latini], 215).

 

[6] «σχον γωγε τος πρ τούτον γενομνους ατοκράτορας δι τ τν τρόπων γριον ποσκλήρους »: Ibidem, ivi.

 

[7] Cfr. J. Szidat, Il 311: l’editto di Serdica, in Costantino I. Enciclopedia costantiniana sulla figura e l’immagine dell’imperatore del cosiddetto editto di Milano. 313-2013, curr. A. Melloni et Alii, I, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2013, 153-166.

 

[8] De vita Constantini, I, XLIX - II, XIX, GCS, 40-56.

 

[9] Cfr. la lettera del 324 più volte menzionata: De vita Constantini, II: XLVIII-LX, GCS, 68-72.

 

[10] Ambrosius, De obitu Theodosii, 48, CSEL, LXXIII, 396-397; cfr.: 47, 396: «ut persecutio cessaret, devotio succederet».

 

[11] Assai eloquente al riguardo la presenza nel Sinassario copto della «Commemorazione della chiusura dei templi e dell’apertura delle chiese per opera di Costantino» (10 Bau’ūnah / etiop.: Sanē: 4 Giugno), nonché della «Commemorazione dell’inizio dell’impero di Costantino (dopo la sconfitta del tiranno Massenzio)» (12 Misrā / etiop.: Naasē: 5 Agosto): U. Zanetti, Costantino nei Calendari e nei Sinassari orientali, in Costantino il Grande dall’antichità all’umanesimo. Colloquio sul Cristianesimo nel mondo antico. Macerata, 18-20 Dicembre 1990, curr. G. Bonamente - F. Fusco, Università degli Studi di Macerata, Macerata 1993, II, 898-909.

 

[12] Nel 1891 Otto Seeck, attraverso una rigorosa critica testuale, aveva contraddetto l’opinione che nel 313 vi fosse stata a Milano la promulgazione di un editto: Das sogenannte Edikt von Mailand, «Zeitschrift für Kirchengeschichte», XII (1891), 381-386. Recentemente Paolo Siniscalco, in un ampio e documentato contributo, ha ripercorso la vicenda storica dell’idea di Editto di Milano (dal suo primo apparire con Cesare Baronio) e il dibattito che attorno a tale assunto storiografico si è sviluppato: L’Editto di Milano. Origine e sviluppo di un dibattito, in Costantino I. Enciclopedia costantiniana (cit. alla nota 7), III, 543-556. Nonostante l’autorevole critica dello Seeck, ed anzi contrapponendosi a essa, il mondo cattolico volle fare del 1913 l’anno celebrativo del XVI Centenario dell’Editto, proposto quale modello di libertà religiosa in un’Italia travagliata dalla Questione Romana e nel contesto di un’Europa, che nel 1905 aveva visto in Francia l’instaurarsi della legislazione sulla laïcité. In riferimento alle contrapposizioni allora in atto, risulta assai eloquente l’insistenza con cui lungo il corso dell’anno i temi costantiniani furono ripresi da «La Civiltà Cattolica». Quanto al periodico della Pontificia Facoltà Teologica di Milano, «La Scuola Cattolica», esso dedicò al tema un fascicolo monografico, relativo ai mesi di Maggio e Giugno, fascicolo posto sotto il titolo Nel XVI Centenario della libertà della Chiesa. 313-1913, con Introduzione dell’arcivescovo card. Andrea Carlo Ferrari, 16 contributi (tra i quali: C. Pellegrini, Il culto a Costantino Magno), Bibliografia sistematica, Cronaca delle commemorazioni: «La Scuola Cattolica», XLI (2) (1913), 1-319 (l’articolo del Pellegrini: 253-257). Ma per tutto l’anno, pure su tale periodico milanese, attraverso in particolare la Rivista delle riviste, i temi costantiniani rimasero all’ordine del giorno, come ben mostra l’Indice generale dell’annata, alle voci Costantino e Milano: XLI (3) (1913), 553-554, 557. Emblematicamente l’Anno Centenario fu concluso a Milano con la celebrazione dell’VIII Settimana Sociale dei Cattolici Italiani – dal 30 Novembre al 6 Dicembre (il 7 Dicembre è la festa di sant’Ambrogio) – non a caso dedicata a Le libertà civili dei cattolici. Al riguardo, oltre a S. De Nardis, 1913. L’Italia e il XVI centenario dell’editto di Milano, in Costantino I. Enciclopedia costantiniana (cit. alla nota 7), III, 447-460, cfr. il contributo di E. Bressan, Il Centenario del 1913 e la Settimana Sociale di Milano su “Le libertà civili dei cattolici”,  nel convegno Costantino a Milano. L’Editto e la sua storia (313-2013), svoltosi nei giorni 8-11 Maggio 2013 a Milano per iniziativa di Biblioteca Ambrosiana, Università degli Studi e Università Cattolica del Sacro Cuore (merita qui segnalare che, in tale convegno una relazione, affidata a Francesco Braschi, è stata dedicata al tema Costantino in Ambrogio. Appunti di contenuto e di metodo dalla lettura dei testi). Sulla scia delle problematiche che caratterizzarono il Centenario costantiniano del 1913, in occasione del Bimillenario di Augusto nel 1937-38, a ricordo dell’imperatore romano che si affermava aver assicurato la pace alla Chiesa nel 313 e a celebrazione della pace religiosa ritrovata in Italia nel 1929 con i Patti Lateranensi, si ebbe a Milano la collocazione di una statua di Costantino, copia del Costantino Lateranense, nello spazio dell’antico quadriportico della basilica di S. Lorenzo; per il progetto elaborato in tal senso: A. Calderini, La zona monumentale di S. Lorenzo in Milano, Ceschina, Milano 1934, 56-57; sull’ideologia che fece da contesto alla collocazione: E. Brambilla, Devozione ufficiale e devozione popolare, in Memorie nel bronzo e nel marmo. Monumenti celebrativi e targhe nelle piazze e nelle vie di Milano, cur. M. Pierantoni, Federico Motta - AEM, Milano 1997, 140.

Quanto al problema storiografico in merito all’esistenza o meno di uno specifico documento emesso a Milano da Costantino e Licinio, merita segnalare che nel recente e già citato convegno Costantino a Milano. L’Editto e la sua storia (313-2013), Noel Lenski, rifacendosi alle considerazioni di John Matthews in merito ai processi di trasmissione della legislazione imperiale (J. F. Metthews, Laying Down the Law. A Study of the Theodosian Code, Yale University Press, New Haven - London 2000), ha efficacemente smentito ogni drastica esclusione dell’eventualità che i documenti di Licinio a noi pervenuti possano derivare da un precedente editto; le sue considerazione non sembrano tuttavia sufficienti a fare di tale possibilità una effettiva realtà: quanto elaborato dalla Cancelleria di Nicomedia potrebbe essere la traduzione operativa non di una disposizione legislativa, ma di un accordo stretto a Milano su un comune orientamento di governo. E lo ha ben segnalato Bernard Stolte nella sua successiva relazione dal titolo Due lingue del diritto? Osservazioni sul vocabolario dell’Editto di Milano, in cui ha ribadito la propria convinzione che non sia possibile omettere l’uso delle virgolette parlando di “Editto di Milano”.

 

[13] Con carattere più marcatamente teoretico, basti qui segnalare: Bartolomeo I (Patriarca Ecumenico) - Angelo Scola (Arcivescovo di Milano), Chiese in dialogo. Per la vita buona delle nostre città (con messaggio del papa di Roma, Francesco), Centro Ambrosiano, Milano 2013. Ma cfr. pure l’orientamento tematico impresso alla mostra L'editto di Milano e il tempo della tolleranza: Costantino 313 d.C. Catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale, 25 ottobre 2012 - 17 marzo 2013): mostra a cura di P. Biscottini e G. Sena Chiesa, catalogo a cura di G. Sena Chiesa, Mondadori-Electa, Milano 2012; la mostra è stata successivamente ripresa dal 27 marzo al 15 settembre 2013 a Roma, presso il Colosseo e la Curia Iulia, con integrazioni a cura di M.R. Barbera e titolo più storiograficamente prudente: Costantino 313 d. C. Catalogo della mostra (Roma, 11 aprile - 15 settembre 2013). Edizione italiana e inglese, Mondadori-Electa, Milano 2013.

 

[14] Già con riferimento all’incontro tra Diocleziano e Massimiano svoltosi nell’Inverno 290/291, Mamertino, scrivendo alcuni anni dopo, aveva applicato a Mediolanum la qualifica di sedes Imperii, cui Roma per la circostanza aveva concesso «similitudinem maiestatis suae» (Mamertinus, Panegyricus genethliacus Maximiano Augusto dictus, 12. 2, ed. E. Galletier, in Panégiriques Latins, I, Les Belles Lettres, Paris 1955 [Collection des Universités de France (= CUF)], 61; per la datazione dell’episodio: Ibidem, 41-42). Tuttavia la condizione imperiale di Milano non si configurava ancora nelle parole del panegirista con caratteri di stabilità. Dal 365, in ogni caso, con Valentiniano la residenza imperiale si stabilizzò nella città italiciana e quivi rimase fino al 402. In relazione alla divisione dell’Impero attuata nel 365, inequivocabile Ammiano Marcellino: «diuiso palatio, ut potior placuerat, Valentinianus Mediolanum, Constantinopolim Valens discessit» (Ammianus Marcellinus, Res Gestae, XXVI, 5. 4, ed. W. Seyfarth [- L. Jacob Karau - I. Ulmann], II, Leipzig,  Teubner, 1978 (BT)], 10); cfr. M. Sordi, Milano ai tempi di Ambrogio, in 1600 anni della Basilica Ambrosiana. Atti del Convegno di Studi. Milano, Basilica di Sant’Ambrogio - Università Cattolica del Sacro Cuore, 31 maggio 1986, Vita e Pensiero, Milano 1986, 5-6; Ead., Come Milano divenne capitale, in L’Impero romano-cristiano, Coletti, Roma 1991, 37 ss., con interessanti annotazioni in merito alle ragioni dell’accresciuta importanza di Milano e della scelta a suo favore da parte dell’augusto potior, Valentiniano, ragioni probabilmente legate alla figura e al ricordo di Giuliano l’Apostata. La definizione di Milano quale «βασιλεύουσα πόλις» è reperibile in Basilius Caesariensis, Epistula CXCVII, 1, ed. Y. Courtonne, II, Les Belles Lettres, Paris 1957 (CUF), 150; sulla problematicità della seconda sezione di questa lettera ad Ambrogio e sulla incerta tradizione manoscritta di tale sezione (dedicata al reperimento e alla traslazione delle reliquie di Dionigi di Milano): C. Pasini, Le fonti greche su sant’Ambrogio, Biblioteca Ambrosiana - Citta Nuova, Milano-Roma 1990 (Tutte le Opere di sant’Ambrogio. Sussidi, XXIV, 1), 37 ss.

 

[15] «Constantinopolis ... expectabat quidem in reditu eius triumphales sollemnitates et titulos victoriarum, expectabat totius orbis imperatorem stipatum exercitu Gallicano et totius orbis subnixum viribus. Sed nunc illi Theodosius potentior, nunc gloriosior redit, quem angelorum caterva deducit, quem sanctorum turba prosequitur. Beata plane, quae paradisi incolam suscipis et habitatorem supernae illius civitatis augusto sepulti corporis tenebis hospitio»: Ambrosius, De obitu Theodosii, 56, CSEL, LXXIII, 401 (trad. it.: G. Banterle, Biblioteca Ambrosiana - Città Nuova, Milano-Roma 1985 [Tutte le Opere di sant’Ambrogio, XVIII], 251).

 

[16] «Cui licet baptismatis gratia in ultimis constituto omnia peccata dimiserit, tamen quod primus imperatorum credidit et post se hereditatem fidei principibus dereliquit, magni meriti locum repperit»: Ambrosius, De obitu Theodosii, 40, CSEL, LXXIII, 392 (trad. it.: Banterle, 241).

 

[17] Ambrosius, De obitu Theodosii, 17, CSEL, LXXIII, 380.

 

[18] Ambrosius, De obitu Theodosii, 18, CSEL, LXXIII, 380.

 

[19] «Et vere dilexit, qui officia diligentis inplevit, qui servavit hostes, qui dilexit inimicos, qui his, a quibus est appetitus, ignovit, qui regni adfectatores perire non passus est. Non mediocris, sed perfecti in lege vox ista est dicere “Dilexi” »: Ambrosius, De obitu Theodosii, 17, CSEL, LXXIII, 380 (trad. it.: Banterle, 225).

 

[20] «Regnum suum Deo subiecit et paenitentiam gessit et peccatum suum confessus veniam postulavit»: Ambrosius, De obitu Theodosii, 27, CSEL, LXXIII, 385 (trad. it.: Banterle, 231).

 

[21] Alla romanità di Ambrogio pagine profonde sono state dedicate da Marta Sordi, raccolte nel volume Sant’Ambrogio e la tradizione di Roma, Institutum Patristicum Augustinianum, Roma 2008 (Studia Ephemeridis Augustinianum, CXI).

 

[22] Itinerarium Burdigalense, edd. P. Geyer (1898) - O. Cuntz (1929), 594, in Itineraria et alia Geographica, Brepols, Turnholti 1965 (CCL, CLXXV), I, 17.

 

[23] Hieronymus, Epistula CVIII (= Epitaphium sanctae Paulae), IX, 2, ed. I. Hilberg (- M. Kamptner), Verlag der Österreichischen Akademie der Wissenschaften, 2a ed., Vindobonae 1996 (1a ed., Tempsky-Freytag, Vindobonae-Pragae 1912) (CSEL, LV, ed. altera), 315.

 

[24] Si veda in particolare Egeria, Itinerarium, XXXVII, 1-3, ed. P. Maraval, Éd. du Cerf, Paris 2002 (2a ed. rist.) (SCh, CCXCVI), 284-286.

 

[25] Cyrillus Hierosolymitanus, Epistula ad Constantium imperatorem, 13, ed. E. Bihain, L’épître de Cyrille de Jérusalem à Constance sur la vision de la Croix (BHG,3a ed., 413), «Byzantion», XLIII (1973), 287.

 

[26] Paulinus Nolanus, Epistula XXXI ad Seuerum, 5, ed. G. de (W. von) Hartel (- M. Kamptner), Verlag der Österreichischen Akademie der Wissenschaften, Vindobonae 1999-2a ed. (Tempsky-Freytag, Vindobonae-Pragae 1894-1a ed.) (CSEL, XXIX, ed. altera), 272-273.

 

[27] Rufinus, Historia Ecclesiastica, X, VII-VIII, ed. Th. Mommsen, cur. F. Winkelmann, Akademie Verlag, Berlin 19992 (Hinrichs, Leipzig 19081) (GCS, n. F., VI, 3), 969-971.

 

[28] M. Sordi, La tradizione dell’inventio Crucis in Ambrogio e in Rufino, «Rivista di Storia della Chiesa in Italia», XLIV (1990), 1 ss.; ora in Sant’Ambrogio e la tradizione di Roma, 103 ss.

 

[29] S. Heid, Der Ursprung der Helenalegende im Pilgerbetrieb Jerusalems, «Jahrbuch für Antike und Christentum», XXXII (1989), 41-71.

 

[30] Rufinus, Historia Ecclesiastica, X, VIII, GCS, n. F., VI, 2, 970.

 

[31] Ambrosius, De obitu Theodosii, 47, CSEL, LXXIII, 396.

 

[32] Ambrosius, De obitu Theodosii, 41, CSEL, LXXIII, 393.

 

[33] M. Sordi, Dall’elmo di Costantino alla Corona Ferrea, in Costantino il Grande dall’antichità all’umanesimo (cit. nota 11), II, 887-889; ora in Sordi, Sant’Ambrogio e la tradizione di Roma, 154-157.

 

[34]«In vertice corona, in manibus habena: corona de Cruce, ut fides luceat, habena quoque de Cruce, ut potestas regat sitque iusta moderatio, non iniusta praeceptio ... Quare sanctum super frenum, nisi ut imperatorum insolentiam refrenaret, conprimeret licentiam tyrannorum?»: Ambrosius, De obitu Theodosii, 48, 50, CSEL, LXXIII, 396-397, 398 (trad. it.: Banterle, 247).

 

[35] «Sapienter Helena, quae Crucem in capite regum locavit, ut Christi Crux in regibus adoretur»: Ambrosius, De obitu Theodosii, 48, CSEL, LXXIII, 396 (trad. it.: Banterle, 245).

 

[36] Per una rivisitazione attenta di fonti e bibliografia al riguardo, cfr. recentemente G. Visonà, Topografia del conflitto ariano: Ambrogio e la basilica Porziana, in Ambrogio e l’Arianesimo, cur. R. Passarella, Biblioteca Ambrosiana - Bulzoni Editore, Milano-Roma 2013 (Studia Ambrosiana, VII), 113-145.

 

[37] Cfr. M. Sordi, L’atteggiamento di Ambrogio di fronte a Roma e al paganesimo, in Ambrosius Episcopus. Atti del Congresso Internazionale di Studi Ambrosiani nel XVI Centenario della elevazione di sant’Ambrogio alla cattedra episcopale. Milano, 2-7 dicembre 1974, I, cur. G. Lazzati, Vita e Pensiero, Milano 1976 (Studia Patristica Mediolanensia, VI), 203-229; ora in Sant’Ambrogio e la tradizione di Roma, 7-26.

 

[38] Zosimus, Historia Nova, IV, XXXVI, ed. F. Paschoud, Les Belles Lettres, Paris 1979 (CUF), 301-302; precedentemente: Ausonius, Gratiarum actio ad Gratianum imperatorem pro consulatu, VII, 35, ed. S. Prete, Teubner, Leipzig 1978 (BT), 221. Cfr. M. Sordi, Cristianesimo e paganesimo dopo Costantino, in L’Impero romano-cristiano (cit. nota 13), 127-129; Ead., I rapporti di Ambrogio con gli imperatori del suo tempo, in Nec timeo mori. Atti del Congresso internazionale di studi ambrosiani nel XVI centenario della morte di sant’Ambrogio. Milano, 4-11 Aprile 1997, curr. L.F. Pizzolato - M. Rizzi, Vita e Pensiero, Milano 1998 (Studia Patristica Mediolanensia, XXI), 109-110; ora in Sant’Ambrogio e la tradizione di Roma, 130-132, 162.

 

[39] Ambrosius, De obitu Valentiniani, 55, ed. O. Faller, Hoelder-Pichler-Tempsky, Vindobonae 1955 (CSEL, LXXIII), 356. Sarebbe peraltro fuorviante configurare tale contrasto come contrapposizione tra una drastica intolleranza messa in atto dal vescovo e un orientamento conciliante professato dal prefetto (pur con accorte distinzioni e articolate argomentazioni si muove in questa linea anche F. Canfora, Simmaco e Ambrogio, o di un’antica controversia sulla tolleranza e l’intolleranza, Adriatica, Bari 1970), visto che in gioco non era la sostituzione di segni religiosi pagani con segni cristiani, ma l’aspirazione pagana a veder riconosciuta la religione tradizionale quale unica religione pubblica di Roma. A questo mirava la Relazione da Simmaco inviata a Valentiniano II perché fosse ripristinato l’antico altare (Quintus Aurelius Symmachus, Relatio III, ed. J.-P. Callu, Symmaque, V, Les Belles Lettres, Paris 2009 [CUF], 79-85; cfr. in Ambrosius, Epistulae, LXXIIa [Maur.: XVIIa], ed. M. Zelzer, Hoelder-Pichler-Tempsky, Vindobonae 1982 [CSEL, LXXXII, 3], 21-33). Venuto a conoscenza di questo autorevole intervento, Ambrogio, in una pressante missiva personale all’imperatore, chiese di conoscere il testo del prefetto (Ambrosius, Epistula LXXII [Maur.: XVII], 13, ed. M. Zelzer, Hoelder-Pichler-Tempsky, Vindobonae 1982 [CSEL, LXXXII, 3], 17). Poco dopo si ebbe la formale presa di posizione del vescovo, con uno scritto che – letto nel concistoro imperiale (Ambrosius, Epistula e. c. X [Maur.: LVII], 3, ed. Zelzer, CSEL, LXXXII, 3, 206) – rappresentò esemplarmente i termini del contrasto, confutando sistematicamente gli enunciati del prefetto e contestandone la pretesa di costringere i cristiani alla dissimulatio (Ambrosius, Epistula LXXIII [Maur.: XVIII], ed. Zelzer, CSEL, LXXXII, 3, 34-53 [segnatamente: 22, 39, 47, 53]). Cfr. al riguardo le belle e penetranti pagine di H. Savon, Ambroise de Milan, Desclée, Paris 1997, 167-180. Fu indubbiamente un momento emblematico nella storia religiosa del IV secolo, anche perché fu lo scontro tra due esponenti dell’alta aristocrazia romana: l’uno fattosi interprete, al vertice del Senato, delle correnti più raffinate della religiosità pagana del tempo, l’altro mosso dalla coerenza dottrinale, che sentiva richiesta dalla propria funzione di presule cristiano.

 

[40] Ambrosius, De obitu Theodosii: 4, 38, CSEL, LXXIII, 373, 391.

 

[41] Cfr. le norme relative a templi e sacrifici raccolte nel Codex Theodosianus, XVI, X (De paganis, sacrificiis et templis): 7 (21.XII.381), 8 (30.XI.382), 9 (25.V.385), 10 (Mediolano, 24.II.391), 11 (16.VI.391), 12 (8.XI.392), ed. Th. Mommsen, Weidmann, Berlin 1904 (ried. an.: 2011) (Codex Theodosianus, II), 899-901. Bisogna comunque essere avvertiti del fatto che la situazione fattuale dei pagani nell’Impero tardo antico si presentava in realtà assai più articolata e complessa di quanto potrebbe desumersi dalle disposizioni imperiali al riguardo. È assolutamente evidente come, nonostante le numerose prese di posizione imperiali contro i sacrifici cruenti e i ripetuti interventi – a partire da Costanzo II, figlio di Costantino – volti alla proscrizione dei culti precristiani, questi abbiano continuato a sussistere ancora a lungo. Particolarmente clamoroso risultò a tale riguardo, nella diocesi imperiale dell’Italia Annonaria, il martirio del diacono cappadoce Sisinnio e dei suoi due compagni, il lettore Martirio e l’ostiario Alessandro, avvenuto il 29 Maggio 397 in Anaunia, proprio in connessione a cerimonie e riti sacrificali in onore di Saturno (o della divinità locale a Saturno assimilata): Vigilius Tridentinus: Epistula ad Simplicianum; Epistula ad Iohannem Constantinopolitanum, ed. E.M. Sironi, Dall’Oriente in Occidente: i santi Sisinio, Martirio e Alessandro martiri di Anaunia, Edizioni della Basilica, Sanzeno 1989: 78-90, 92-112; revisione del testo, e commento, in L.F. Pizzolato, Studi su Vigilio di Trento, Vita e Pensiero, Milano 2002 (Studia Patristica Mediolanensia, XXIII), 146-214.

 

[42] De vita Constantini, II: XLVIII-LX, GCS, 68-72.

 

[43] «Τατα διεξλθον μακρότερον … τι τινς ς κούω φασ τν ναν περιρσθαι τ θη κα το σκότους τν ξουσίαν»: De vita Constantini, II, LX, 2, GCS, 72 (trad. it.: Franco, 223).

 

[44] «Πς συνετς νρ οκ ν ποτε ταραχθείη τος πολλος ρν ναντίαις προαιρέσεσι φερομένους»: De vita Constantini, II, XLVIII, 1, GCS, 68 (trad. it.:   Franco, 215).

 

[45] «Τ μν ρετ στέφανος πρόκειται, τς δ κρσεως αθεντε ψιστος Θεός»: De vita Constantini, II, XLVIII, 2, GCS, 68 (trad. it.: Franco, 215).

 

[46] «Χρησώμεθα τοίνυν παντες νθρωποι τ το δοθέντος γαθο συγκληρί, τουτέστι τ τς ερνης καλ»: De vita Constantini, II, LIX, GCS, 72 (trad. it.: Franco, 223).

 

[47] «καστος περ ψυχ βούλεται κατεχέτω, τούτ κατακεχρήσθω»: De vita Constantini, II, LVI, 1, GCS, 71 (trad. it.: Franco, 221).

 

[48] «Πλν καστος περ πείσας αυτν ναδέδεκται, τούτ τν τερον μ καταβλαπτέτω»: De vita Constantini, II, LX, 1, GCS, 72 (trad. it.: Franco, 223).

 

[49] «Ερηνεύειν ... τν λαν κα στασίαστον μένειν πιθυμ πρ το κοινο τς οκουμένης κα το πάντων νθρώπων χρησίμου. μοίαν τος πιστεύουσιν ο πλανώμενοι χαίροντες λαμβανέτωσαν ερήνης τε κα συχίας πόλαυσιντοτο κκείνοις εχόμεθα, να δηλαδ δι τς κοινς μονοίας κα ατο τν θυμηδίαν ποφέρωνται»: De vita Constantini, II, LVI: 1,  2, GCS, 70, 71 (trad. it.: Franco, 219, 221).

 

[50] Per la configurazione del mausoleo imperiale quale vestibolo (τ πρόθυρα) della Basilica degli Apostoli ad opera di Costanzo II (Ioannes Chrysostomus, In Epistulam II ad Corinthios Homilia XXVI, 5, PG, LXI, c. 582) e per i problemi che accompagnano l’interpretazione delle fonti al riguardo, si potrà vedere G. Dagron, Naissance d’une capitale. Constantinople et ses institutions de 330 à 451, Presses Universitaires de France, Paris 1974 (Bibliothèque Byzantine. Études, VII), 401-409; trad. it.: Costantinopoli. Nascita di una capitale (330-451), Einaudi, Torino 1991 (Biblioteca di cultura storica, CLXXXVI), 407-415 (a p. 409: dopo > prima).

 

[51] Ambrosius, De obitu Theodosii, 40, CSEL, LXXIII, 392.

 

[52] Ambrosius, De obitu Theodosii, 41, 40, CSEL, LXXIII, 393. Cfr. M. Navoni, Beatus Constantinus tali parente”. L’imperatore Costantino e la madre Elena riletti da sant’Ambrogio, in L'editto di Milano e il tempo della tolleranza: Costantino 313 d. C. (Milano, Palazzo Reale, 25 ottobre 2012 - 17 marzo 2013). Catalogo della mostra, cur. G. Sena Chiesa, Mondadori-Electa, Milano 2012, pp. 84-89.

 

[53] A. Renoux, Le Codex Arménien Jérusalem 121, II, Brepols, Tournhout 1971 (Patrologia Orientalis [= PO], 36/2; n° 168), pp. 88-91. Il «canone» prevede: Ps 131 con antifona «Ricordati, Signore, di Davide e di tutta la sua dolcezza»; 1Tim 2, 1-7 (Prima di tutto si facciano suppliche per i re e per quelli che stanno al potere) , Alleluia (Ps 20: Signore il re gioisce per la tua potenza), Lc 7, 1-10 (Il centurione e il suo servo).

 

[54] Ibidem, 199. Il «canone» prevede gli stessi testi fissati per la commemorazione di Costantino.

 

[55] G. Garitte, Le Calendrier Palestino-Géorgien du Sinaiticus 34 (Xe siècle), Société des Bollandistes, Bruxelles 1958 (Subsidia Hagiographica, 30), 230, 135; con indicazioni anche in merito alla declinazione costantinopolitana della memoria dei due imperatori. Segnatamente per il culto di san Costantino (unito a quello di sant’Elena) nella tradizione cultuale irradiatasi dalla Nuova Roma: A. Luzzi, Il dies festus di Costantino il Grande e di sua madre Elena nei libri liturgici della Chiesa greca, in Costantino il Grande dall’antichità all’umanesimo (cit. nota 13), 585-643.

 

[56] Si veda al riguardo l’imminente volume promosso dall’École Française de Rome e curato da Patrick Boucheron e Stéphane Gioanni: La mémoire d’Ambroise de Milan. Usages politiques et sociaux d’une autorité patristique en Italie (Ve-XVIIIe siècle).

 

[57] «... florentissima affinium urbium Mediolanum ... ex priscis temporibus, ut in veracissimis repperitur annalibus, altera post inclitam Romam magni imperii dignitate ac dicione potita est. Et ex eo ecclesie ipsius antistes super ceteros non solum Ligurie sed Venetie, Emilie ac Recie, nec non et eius partis que Alpiscotia nuncupatur, quin etiam super nonnullos Tuscie presules post Romanum pontificem decentissimam metropolitani apicis adepti sunt cathedram»: Libellus de situ civitatis Mediolani (= De situ), edd. A. Colombo - G. Colombo, Bologna, Zanichelli, 1942 (RRIISS, n. ed., I, 2), 7-8. Cfr. C. Alzati, Residenza imperiale e preminenza ecclesiastica in Occidente. La prassi tardo antica e i suoi echi alto medioevali, in Diritto e religione. Da Roma a Costantinopoli a Mosca. Rendiconti dell’XI Seminario “Da Roma alla Terza Roma”. Campidoglio, 21 Aprile 1991, cur. M. P. Baccari, Roma, Herder, 1994 (Da Roma alla Terza Roma. Rendiconti), 95-106.

 

[58] Cfr. i molteplici saggi raccolti in La Corona Ferrea nell’Europa degli Imperi, dir. A.M. Ambrosioni, cur. G. Buccellati, Società di Studi Monzesi - Giorgio Mondadori, Monza - Milano: I (1995): La Corona, il Regno e l’Impero: un millennio di storia; II (1998): Alla scoperta del prezioso oggetto [1. Arte e Culto; 2. Scienza e Tecnica].

 

[59] La definizione Ambrosiana ecclesia è attestata per la prima volta in uno scritto agiografico risalente all’età dell’arcivescovo Angilberto II (824-859): De vita et meritis Ambrosii, ed. P. Courcelle, Recherches sur saint Ambroise. Vies anciennes, culture, iconographie, Paris, Études Augustiniennes, 1973 (Études Augustiniennes, Antiquité, 52), p. 99. 699. Per la datazione: P. Tomea, Ambrogio e i suoi fratelli. Note di Agiografia milanese altomedioevale, in «Filologia mediolatina», V (1998), 149-232, che ha ripreso e ulteriormente documentato un’ipotesi affacciata già da L. Cracco Ruggini (recensione a Vita e meriti di s. Ambrogio, cur. A. Paredi, Ceschina, Milano 1964 [Fontes Ambrosiani, 37], in «Athenaeum», n. s., XLIII [1965], pp. 237, 239). Quanto all’ambito cancelleresco, quella stessa definizione è reperibile in una lettera indirizzata nell’anno 881 dal papa romano Giovanni VIII all’arcivescovo di Milano Ansperto: Registrum Iohannis VIII. papae, ed. E. Caspar, Weidmann, Berolini 1928 (Monumenta Germaniae Historica, Epistolae, VII: Epistolae Karolini Aevi, V), nr. 269, 237. Cfr. C. Alzati, La Chiesa di Milano tra contesto italico ed ecumene al tramonto della tarda antichità, in corso di stampa in Chiese locali e Chiese regionali nell’Alto Medioevo, Fondazione Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 2014 (LXI Settimana di studio: 4-9 aprile 2013).