Memorie-2017

 

 

Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: carta TERZA ROMA 

DA ROMA ALLA TERZA ROMA

XXXVII SEMINARIO INTERNAZIONALE DI STUDI STORICI

 

Campidoglio, 21-22 aprile 2017

 

Valle-Roberto-2017 - CopiaRoberto Valle

“Sapienza” Università di Roma

 

MOSCA-PIETROBURGO: DUE IDEE DI TERZA ROMA

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Sommario: 1. Premessa (sulla centralità dell’idea di impero nella cultura politica russa). – 2. La Rus’ di Kiev e Bisanzio. – 3. Il “giogo mongolo. – 4. Lo Stato moscovita. – 5. L’“era pietroburghese” della storia russa (1703-1917). – 6. La situazione imperiale sovietica come fase suprema del comunismo.

 

 

1. – Premessa (sulla centralità dell’idea di impero nella cultura politica russa)

 

Nel corso della sua storia, la Russia si è caratterizzata come Stato-civiltà che ha oscillato da due poli opposti: da un lato si è configurato come Stato potenza con una dimensione imperiale; dall’altro è stato soggetto a “catastrofi geopolitiche” che lo hanno condotto sull’orlo della scomparsa.  Nel corso di questa complessa vicenda storica lo Stato russo, oscillando tra dimensione imperiale e “catastrofe geopolitica”, ha subito alcune metamorfosi e trasfigurazioni. Al di là di queste metamorfosi e trasfigurazioni l’idea di impero è centrale nella cultura politica russa, come attesta il revival dell’eurasismo, quale ideologia orientata a legittimare l’impero, nella Russia post-sovietica. L’idea dell’impero è un nodo centrale dell’identità russa e contrassegna la storia intellettuale dell’età moderna e dell’età contemporanea. Nel 2008 il settimanale Ekspert ha dedicato un numero monografico all’idea di impero (Russia, cinque secoli di impero): nel XXI secolo la Russia deve scegliere se essere impero o colonia dell’Occidente al tramonto. L’idea russa di impero è coniugata con il concetto katechon sia nella sua accezione neotestamentaria, quale forza che trattiene il male e impedisce l’avvento del regno dell’Anticristo, sia nella sua accezione secolare, quale autorità politica ordinatrice (lo Stato imperiale) che instaura un nuovo nomos della terra. Secondo il filosofo e analista politico Leonid Fišman, la Russia del XXI secolo è a un bivio: può scegliere di essere una apocalittica Babilonia o il katechon dell’era globale o modernità- mondo. L’idea russa si identifica con quella di katechon che è la sua autentica missione.  Alla Russia, secondo Fišman, deve essere restituito il ruolo di katechon, al fine di assurgere a un alto livello di legittimità di fronte al popolo russo e al mondo.

L’idea russa si fonda su tre ideologemi:

 

1.     Le vie di sviluppo della civiltà russa (della società e cultura) sono fondamentalmente diverse da quelle della civiltà occidentale.

2.     La cultura russa contiene in sé alcuni elementi originali che non solo la distinguono dal resto delle altre culture, ma che contengono le precondizioni per un trasformazione salvifica delle altre culture stesse.

3.     La politica non ha una propria sfera autonoma, ma va considerata attraverso il prisma di una visione morale e religiosa. L’ideale politico dell’idea russa è sincretico (sobornost’ , impero teocratico, teocrazia universale).

 

L’idea russa non si è inverata nella storia come impero del popolo russo, ma come impero dello spazio russo. Il pensiero politico russo ha elevato lo spazio a categoria escatologia, come ha attestato nel XIX secolo l’occidentalista paradossale Pëtr Čaadaev: «C’è un fattore che domina sovrano il nostro cammino attraverso i secoli, percorre l’intera nostra storia, e contiene in sé tutta la sua filosofia, si manifesta in tutte le epoche nella nostra vita sociale e determina il loro carattere, che è al tempo stesso l’elemento essenziale della nostra grandezza politica e l’autentica causa  della nostra impotenza intellettuale: il fattore geografico». L’immensità dell’impero russo e della situazione imperiale dell’Urss ha avuto una dimensione bicontinentale ed errante tra Est e Ovest e la sua espansione incessante è l’esplicazione di una strategia di sicurezza spaziale. La Russia non ha avuto delle frontiere di Stato stabili e la sua storia è stata caratterizzata dall’allargamento costante di un solo e stesso territorio: l’impero intero è stato la metropoli. In Empire Dominic Lieven, ponendosi nella prospettiva della storia comparata di lunga durata, pone a confronto l’idea russa di impero con la concezione imperiale britannica, asburgica e ottomana: da tale comparazione emerge che la cultura e tradizione politica dell’impero russo ha una propria originalità sia per la peculiare posizione geografica della Russia, sia perché l’idea  di impero in Russia a partire dal XVIII secolo, con le riforme di Pietro il Grande, ha subito una metamorfosi e una pseudomorfosi. L’espansionismo dell’impero russo è caratterizzato dalla vulnerabilità dello spazio: dal 1550 al 1917, l’impero russo era più vulnerabile di quello britannico e di quello asburgico. La colonizzazione e la fortificazione delle steppe era una necessità; l’espansione nell’Asia centrale era un modo per affermare il proprio prestigio nei confronti dell’impero britannico soprattutto dopo la guerra di Crimea. Tra il XVI e il XVIII secolo l’impero russo era orientato verso le steppe e faceva proprio sia il retaggio bizantino sia quello mongolo. Dopo Pietro il Grande, l’idea russa di impero ingloba il senso della storia europeo basato sull’idea di progresso, operando una sintesi tra impero e missione civilizzatrice. La coesistenza di popoli e culture diverse non si è configurata come una rapporto tra metropoli e colonie, ma si realizzata nell’ambito di un medesimo Stato. I russi hanno avuto un impero, ma non uno Stato-nazione ed esiste una sperequazione tra Stato russo (rossijskij ), come sistema amministrativo e non come Stato moderno, e il popolo russo (russkij). Le metamorfosi e le pseudomorfosi dell’idea di impero in Russia riflettono il carattere duale della struttura della cultura russa che, secondo Lotman e Uspenskij, è priva si una «zona assiologicamente neutra» e si basa su contrapposizioni bipolari. Una delle contrapposizioni permanenti che determinano la cultura russa dopo la cristianizzazione della Rus’ è l’opposizione antichità vs novità; tale contrapposizione racchiude in sé altre endiadi dicotomiche: Russia vs Occidente, fede giusta vs fede falsa, vecchio impero e nuovo impero.

 

 

2. – La Rus’ di Kiev e Bisanzio

 

Il battesimo della Rus’ di Kiev segnò l’ingresso della Russia nell’area di influenza di Bisanzio. La Rus’ di Kiev era l’estremo limes del confronto tra Roma e Costantinopoli; tuttavia, al di là dell’influsso bizantino sull’ideologia religiosa e sulla cultura, la Rus’ di Kiev era orientata a collocare l’impero bizantino a un livello gerarchicamente inferiore a quello della terra russa. Bisanzio era il vecchio impero in opposizione alla nuova Rus’: la vecchia Bisanzio era paragonata al Vecchio Testamento e ad Agar (la schiava egiziana di Sara moglie di Abramo) che sottostavano a una legge coercitiva, mentre la Rus’ era paragonata a Sara e alla grazia del Nuovo Testamento. La Rus’ di Kiev entrò a far parte della comunità “bizantino-slava”, una peculiare “zona culturale” d’ Europa. In questo periodo si assiste alla genesi del “dualismo culturale europeo”; l’Europa e lo stesso mondo slavo furono divisi tra due “zone culturali” con diversi orientamenti religiosi e politici: da una parte gli slavi di cultura ortodossa (come russi); dall’altra quelli di cultura cattolico-latina (come i polacchi).

 

 

3. – Il “giogo mongolo

 

Con “giogo mongolo” si intende quel periodo che va dalla scomparsa della Rus’ di Kiev (1246) all’ascesa dello Stato moscovita (1462 quando Ivan III divenne gran-principe di Mosca e affermò la legittimità di Mosca a riunire tutta la Rus’. Il ruolo dei mongoli nella storia russa è al centro di una controversia tra storici slavocentrici (sia occidentalisti, sia slavofili) e storici eurasisti. Per gli storici slavocentrici, che rivendicano l’identità, specificamente slava della Russia, il “giogo mongolo” ha avuto un ruolo negativo (isolamento della Russia dalla famiglia dei popoli slavi e dall’Europa) e distruttivo (devastazioni e massacri). Sulla scia di questa interpretazione, alcuni storici, per affermare l’identità europea dei russi, hanno sostenuto che nel XIII secolo la Russia ha salvato l’Europa dalla più pericolosa e devastante invasione dei barbari. A partire dagli anni Venti del XX secolo, gli storici eurasisti (in primo luogo Vernadskij) hanno posto al centro delle loro indagini il periodo mongolo della storia russa, formulando un giudizio positivo. La scuola eurasista ha riabilitato il fondamentale legame della Russia con l’Eurasia e l’Asia. A partire dalla raccolta di saggi Esodo verso Oriente (1921), la scuola eurasista ha riproposto l’idea dell’ “originalità” della civiltà russa e della unicità della sua missione in Oriente. A cavallo tra due continenti e riunendo l’Europa e l’Asia, senza però identificarsi né con l’una né con l’altra, la Russia è un “terzo termine”, un mondo a parte. Per Vernadskij, la cronologia della storia russa deve essere formulata in base ai rapporti tra la “steppa” e la “foresta”. Il senso e il fine della storia russa, infatti, è la creazione di uno “Stato eurasiano unito”: l’unità tra la “foresta” e la “steppa” è una garanzia di potenza. Per la scuola eurasista, i tataro- mongoli praticavano una forma di amministrazione indiretta ed esigevano solo due atti di sottomissione: il riconoscimento del khan come autorità suprema; il pagamento del tributo. Un tal modo, secondo Vernadskij, la Russia ha potuto mantenere intatta la propria identità custodita dalla Chiesa ortodossa: i mongoli sono stati i veri difensori della fede russa minacciata dall’universalismo bizantino e da quello cattolico. Nella seconda metà degli anni Ottanta, lo storico ed etnologo Lev Gumilëv è stato protagonista del risveglio della storiografia eurasista.  Gumilëv ha affermato che il “sistema di relazioni russo-tatare” deve essere qualificato come “simbiosi” e non come “giogo”. Aleksandr Dugin, ideologo del neo-eurasismo e fondatore (nel 2001) del Movimento Politico-Sociale Panrusso Eurasia (sorto a sostegno di Putin), ha affermato che l’ “invasione mongolo-tatara” è stata uno «scudo contro le tendenze livellatrici europee»: l’impulso geopolitico e amministrativo dell’Orda è stato trasferito, in seguito, nell’impero moscovita, quale «apice della missione nazional-religiosa» della Rus’ –Terza Roma.

 

 

4. – Lo Stato moscovita

 

L’ascesa di Mosca fu un momento fondamentale della storia russa, perché comportò la costituzione di uno Stato centralizzato e il particolare carattere autocratico della forma di governo moscovita ha condizionato per secoli l’evoluzione della Russia. Ivan III portò a compimento il processo di incorporazione della Russia nello Stato moscovita, dando inizio ad una nuova era della storia russa. Nel 1493, Ivan III assunse il titolo di gosudar’ (sovrano) di tutta la Russia. Nel 1472, Iva III aveva contratto matrimonio con la principessa bizantina Zoe Paleologo (che assunse il nome di Sofia), nipote di Costantino XI (ultimo imperatore bizantino, rimasto ucciso nella conquista turca di Costantinopoli del 1453). Secondo le aspettative del Papato, che aveva patrocinato il matrimonio, la Russia doveva rientrare in un vasto fronte antiturco e porsi sotto la potestà del papa. Tali aspettative furono vane, perché Ivan III, affermando la sovranità religiosa e politica della Russia, si attribuì le insegne dell’impero bizantino (l’aquila a due teste) e il titolo di “zar” (dal caesar romano-bizantino) e di “aurocrate”, che designava la completa indipendenza del sovrano moscovita e la fine cessazione del giogo mongolo. L’idea imperiale russa fu elevata a dottrina politico-religiosa dal monaco Filofej di Pskov che nel 1510 indirizzò allo zar Vasilij III una lettera che conteneva una profezia: la Chiesa della prima Roma era caduta a causa di un’eresia; la Chiesa della seconda Roma, Costantinopoli era stata distrutta dai turchi infedeli; Mosca era la Terza Roma che avrebbe illuminato il mondo intero e sarebbe stata eterna, perché non ce ne sarebbe stata una quarta. Il termine autocrate fu usato per la prima volta dal metropolita Zosima: quale calco del greco autocrator , il termine samoderžec esprimeva la supremazia dello zar moscovita e la sua libertà da ogni potere superiore. Tuttavia come sottolineano Vernadsky e Cherniavsky, l’autocrazia non era una rigida forma di governo e l’autocrate era nel contempo basileus e khan. Lo zar, infatti, era sia il basileus ortodosso e pio che guidava il suo popolo cristiano verso la salvezza, sia il khan che preservava l’idea del conquistatore della Russia e del suo popolo e di fronte al quale erano tutti schiavi. Il basileus era il santo zar in unione spirituale con il suo gregge; il khan era l’incarnazione dello Stato assolutista e secolarizzato. Le due immagini difficilmente trovavano una sintesi in un’unica persona. Nel caso di Ivan il Terribile il khan e il basileus entrarono in tensione tra loro. Tale tensione era tragicamente esemplificata nel principio formulato dallo stesso Ivan il Terribili: uccidi di giorno e prega di notte.  Il processo di formazione e di consolidamento dell'autocrazia trovò   una sua prima definizione ideologica all'epoca di Ivan il Terribile: l'autocrate era l'incarnazione della sovranità assoluta dello Stato e dell'ordine contro l'arbitrio dei boiari. Due virtù contraddistinguevano l'autocrate: la pravda (legge, giustizia) e la groza (tremenda severità). L'autocrazia poteva essere consolidata solo con l'apporto di una nobiltà di servizio (ceto di giudici, esattori e militari di professione) con operazioni di polizia e guerra di conquista. La caratteristica più notevole del sistema autocratico era l'universalità del servizio di Stato; la società era divisa in due: coloro che servivano con la propria persona (i nobili) e coloro che servivano con i loro beni pagando le imposte. Nelle lettere al principe ribelle Kurbskij (primo documento del pensiero giuridico-politico russo moderno), Ivan IV affermava l'assoluta superiorità dello zar che gode di una illimitata signoria, cui corrisponde la condizione servile dei sudditi. La rivolta contro il sovrano non era solo un atto politico, ma anche un sacrilegio contro l'“unto dal Signore”, perciò il ribelle era un eretico. L'ispirazione bizantina della concezione del potere rimaneva sia nella simbologia sacrale che accompagnò le origini dell'autocrazia russa (soprattutto nella cerimonia dell'incoronazione nella quale si esaltava lo speciale carisma dello zar che era identificato con Cristo), sia nel rapporto  Stato-Chiesa caratterizzato dal loro formale equilibrio, definito symphonia,  che progressivamente si modificò a vantaggio dell’autocrate: tale equilibrio fu  rotto nel 1721 da Pietro il Grande con la soppressione del patriarcato e con il Regolamento ecclesiastico. L’idea di Mosca Terza Roma affermava la tesi della continuità del potere e dei diritti storici dei sovrani di Mosca quali successori diretti di Augusto. Tutti gli imperi cristiani erano finiti ed erano confluiti nell’unico impero ortodosso. Mosca Terza Roma era una idea escatologica che attribuiva alla Russia il ruolo guida di tutta la cristianità. Terza Roma non si riferisce a una città, ma è la definizione allegorica dell’impero russo che era rappresentato come un’aquila a tre teste: impero romano, impero bizantino, impero russo. Dopo la caduta di Costantinopoli la Russia si riconosceva come l’unico baluardo dell’ortodossia e assumeva un ruolo messianico nella storia. Bisanzio e la Russia si scambiarono il posto e la Russia si trovò al centro del mondo ortodosso e di quello cristiano. La translatio imperii e la translatio religionis collocavano la Russia al centro della geografia della salvezza: quello russo era un impero redentore.

 

 

5. – L’“era pietroburghese” della storia russa (1703-1917)

 

Con l’ascesa al trono di Pietro il Grande (1682-1725) fu inaugurata una nuova epoca variamente definita: “epoca imperiale” (perché lo zar assunse il titolo romano di imperator), “periodo panrusso” (espansione dello Stato); “era pietroburghese” (perché fu fondata una nuova capitale San Pietroburgo). La fondazione di San Pietroburgo, capitale “premeditata”  sulle rive del mar  Baltico, è stata variamente interpretata: per gli occidentalisti russi del XIX secolo era una “finestra sull’Europa”, il simbolo dell’europeizzazione della Russia; per gli slavofili, invece, era simbolo dello sradicamento di quella “unità vitale e organica” della nazione russa rappresentata da Mosca; per altri (come Marx per esempio) la fondazione della nuova capitale rispondeva ad esigenze geopolitiche, al fine di trasformare la Russia in una potenza marittima.

L’“era pietroburghese” può essere suddivisa in cinque periodi: 1) il periodo della fondazione dello “Stato regolare”,  che va da Pietro il Grande a Caterina II; 2) il periodo del “concerto europeo” e della Santa Alleanza che va da Alessandro I a Nicola I e si chiude con la guerra di Crimea e il Congresso di Parigi del 1856; 3) il periodo delle “grandi riforme” e dell’espansione in Asia  (1861-1881), che coincide con il regno di Alessandro II; 4) il periodo della prima industrializzazione e della modernizzazione dell’impero russo (1881-1905); 5) il periodo costituzionale e rivoluzionario (1905-1917). L’appellativo di zar rimandava alla tradizione religiosa, ai testi in cui Dio è designato re (zar): la tradizione imperiale non era rilevante. L’assunzione da parte di Pietro il Grande del titolo imperiale suscitò delle proteste, perché poteva essere avvertito come non ortodosso. Il titolo di imperator rimandava alla Roma pagana o a quella cattolica. La Russia assumeva un aspetto nuovo e, secondo Prokopovič, Pietro il Grande era “l’imperatore romano Augusto” che aveva ricevuto una Roma di legno e l’aveva fatta d’oro. Nell’ideologia di Pietro il Grande, secondo Lotman e Uspenskij, si rafforzava la tendenza statale e imperiale dell’idea di Mosca Terza Roma: la figura chiave non era Costantino ma Augusto. La caratterizzazione della nuova capitale come Città di San Pietro si associava non solo con la glorificazione del protettore celeste di Pietro I, ma anche con l’idea di Pietroburgo nuova Roma: alle chiavi incrociate dello stemma del Vaticano, corrispondono le ancore incrociate dello stemma di Pietroburgo. L’autenticità di Pietroburgo come nuova Roma consisteva nel fatto che la santità in essa non era la caratteristica preponderante, essendo collegata all’idea di Stato. La santità trasmigrava nell’idea di Santa Russia che si contrapponeva allo Stato petrino e considerava Pietro il Grande come zar-Anticristo: si diffuse in Russia la convinzione che la fine di Pietroburgo, e con essa quella del mondo, fosse imminente.   La cupa mitologia del sottosuolo di Pietroburgo minacciava di sommergere quella imperiale, ufficiale, brillante e ottimistica, secondo la quale la santità di Pietroburgo era nella statalità.  La Mosca prepetrina era assimilata alla Roma papalina ed era una falsa Roma. La sacralizzazione della personalità di Pietro ebbe come conseguenza che la città di San Pietro cominciò ad essere recepita come città dell’imperatore Pietro. L’esistenza ideologica di Pietroburgo-Terza Roma era collegata all’ideale dello Stato regolare. Le riforme di Pietro Il Grande operarono una sorta di trasfigurazione della Russia in virtù della quale prese forma lo “Stato regolare”, quale meccanismo generatore di regole. Lo “Stato regolare” era un modello prescrittivi, imposto dall’opera di regolamentazione dello zar, che si contrapponeva all’irregolarità del diritto consuetudinario russo. Gli avversari delle riforme petrine ritenevano che la vera Roma fosse Mosca e, negando la possibilità di una quarta, affermavano che Pietroburgo era la città dell’Anticristo, non esisteva affatto, la sua esistenza era illusoria, appariva e svaniva come una allucinazione (come attesta la letteratura pietroburghese con Gogol’, Dostoevskij e Belyj). Pietro il Grande, secondo Marx, non aveva europeizzato la Russia, ma aveva elevato a dottrina teologico-politica il «vecchio metodo moscovita di usurpazione» che era diventato un «sistema universale di aggressione». L’unica metamorfosi della Russia era di carattere geopolitico: Pietro il Grande era stato costretto a civilizzare il suo impero per trasformarlo da una potenza continentale ad una potenza marittima. Pietroburgo era l’incarnazione di questa metamorfosi: la nuova capitale attestava che la Russia non era più un entroterra continentale “semi-asiatico”, ma una grande potenza marittima che aveva instaurato un’alleanza con l’Inghilterra in nome degli interessi coincidenti. Nel XIX secolo le riforme di Pietro il Grande furono al centro di una diatriba istoriofosica tra occidentalisti e slavofili che ebbe un influsso sull’idea di impero. Nel decennio 1830-40 l'élite colta si scisse in due campi: la scissione scaturì dalla diatriba sulla natura e sul destino della Russia. Tale diatriba fu inaugurata nel 1836 da Čaadaev con le Lettere filosofiche nelle quali si affermava che la Russia (Necropolis) non aveva un passato né un presente né un futuro e non era né Oriente né Occidente e non aveva dato nessun contributo alla storia ma era «una lacuna nell'ordine intellettuale delle cose».  La Russia non aveva conosciuto il principio dinamico sociale del cattolicesimo, base costitutiva della civiltà occidentale. Čaadaev fu proclamato pazzo di Stato e in Apologia di un pazzo gettò un «sguardo lucido sul passato», non «per trarre vecchie reliquie putrescenti», ma per sapere in «quale considerazione tenere il nostro passato», al di là del «patriottismo indolente» che si addormenta sulle proprie «illusioni». La Russia era entrata nella storia grazie alle riforme di Pietro il Grande e il futuro le apparteneva, perché poteva partecipare alle conquiste ulteriori della scienza e della cultura occidentali. Il destino della Russia era dominato dal fattore geografico, quale «elemento essenziale della nostra grandezza politica e l’autentica causa della nostra impotenza intellettuale». Čaadaev preconizzava una sorta di esodo verso Occidente della Russia nazione errante. Le tesi di Čaadaev furono stigmatizzate dagli slavofili un gruppo di intellettuali romantici che sostenevano l'idea dell'originalità e della superiorità della civiltà russa basata sull'ortodossia e che aveva una suprema missione storica (missionismo russo) da compiere. L'”utopia conservatrice” dello slavofilismo si basava su una sorta di teologia politica forgiata su “modelli duali”. Tali antitesi binarie costituiscono il substrato metapolitico delle diverse correnti del populismo russo: la contrapposizione Russia-Europa; l'antitesi tra narod-obščina (lo slavofilo Chomjakov ha elaborato il concetto di sobornost' per indicare una comunità di credenti nel segno dell'amore quale essenza dell'ortodossia) e obščestvo (la società indivisualista e atomizzata dell’Occidente); l'antinomia tra cultura e civiltà. Per gli slavofili, le riforme di Pietro il Grande (dicotomia tra Pietroburgo e Mosca) avevano intererrotto il naturale flusso della storia russa: il futuro della Russia risiedeva nel ritorno ai princìpi originari e nel superamento della malattia dell'Occidente (esodo dall'Occidente); restaurando i propri valori originari la giovane civiltà russa avrebbe potuto salvare se stessa e anche il decrepito Occidente. Una figura di grande importanza è Herzen (primo ideologo del populismo russo) che riuscì a politicizzare le speculazioni estetiche e filosofiche dell'intelligencija e forgiò un'ideologia politica attiva rivolta contro il regime. Tale ideologia è sintesi trasgressiva tra occidentalismo e slavofilismo e si definisce socialismo russo, quale affermazione Russia narodnaja (nazional-popolare). L'intelligencija cominciò a definire il suo senso di identità in base ai suoi rapporto con il popolo: l’anarchico Bakunin preconizzò una simbiosi tra intelligencija e contadini. La morfologia e la fenomenologia del populismo russo, infatti, non scaturiscono solo dalla vicenda del nardoničestvo rivoluzionario, ma, anzitutto, dal dibattito sulla narodnost' ("elemento popolare", "caratteristiche spirituali del popolo", "nazionalità") che si sviluppò a partire dagli anni Venti del XIX secolo. Il termine narodnost'   si riferisce al popolo in quanto nazione e si contrappone a nacional'nost (nazionalità) . Gli slavofili identificavano la narodnost' con la "nazione" nel suo complesso e tendevano a considerare il popolo come separato dall'autocrazia; per Herzen, definito il "creatore del populismo", la narodnost' traspariva dall'"innocente purezza" del contadino russo che viveva in seno all' obščina. L'ideologo nichilista Pisarev definì il dibattitto  sulla narodnost' la "scolastica del XIX secolo": la studio della vita del popolo aveva coinvolto sia gli slavofili (Chomjakov, Kireevskij, Aksakov),  sia "Vremja", la rivista diretta da Dostevskij che sosteneva il programma del počvenničestvo (ritorno al suolo natale), sia "Sovremmenik" diretto dal  populista occidentalista Černyševskij La narodnost' - insieme a pravoslavie (ortodossia) e a samoderžavie (autocrazia) - entrò a far parte anche di quella triade che definì l'orizzonte ideologico "ufficiale" della Russia di Nicola I. La riforma varata da Alessandro II deluse ben presto l'intelligencija radicale che la considerò come una cospirazione dello zar e dei nobili ai danni dei contadini. L'abolizione della servitù fu seguita anche da un'ondata di disordini agrari e i furori contadini furono sempre una costante minaccia per l'ordine fino al crollo dell'impero. Nell'ambito dell'intelligencija si confrontarono due schieramenti: da una coloro che vedevano nelle riforme un rafforzamento dell'impero; dall'altra coloro che vedevano nella liberazione servi un'occasione storica per suscitare una jacquerie e abbattere il potere autocratico. Questa dicotomia andava oltre il tradizionale dualismo tra slavofili e occidentalisti e metteva l'uno contro l'altro due partiti nemici: il partito delle riforme e quello della rivoluzione. Per il partito rivoluzionario, lo slancio delle riforme dall'alto si era istantaneamente esaurito (come dimostravano l'insurrezione polacca del 1863 contro la dominazione russo e la dura repressione delle rivolte studentesche e contadine in Russia): lo zar liberatore era passato con disinvoltura dall'affrancamento dei servi della gleba al «massacro e al terrore». Per il pensatore populista Herzen, il 1861 andava ricordato non solo per le riforme, ma anche perché segnava l'inizio della guerra civile russa che si configurava come una insurrezione permanente e tellurica dell'obščina contro lo Stato autocratico. La rivoluzione europea aveva relegato la terra nell'oblio; la rivoluzione russa sarebbe stata una rivoluzione del tutto inedita e sarebbe stata l'esito dell'alleanza tra due forze distruttrici: i contadini (coraggio della rivolta) e l'intelligencija radicale (coraggio della negazione). Herzen, però, riconosceva anche che l'autocrazia, avvalendosi della glasnost’ (libertà di espressione), tentava di nazionalizzarsi chiamando a proprio sostegno l'idea nazionale propagandata dal pubblicista conservatore Katkov. Come ricorderà nel 1905 l’ideologo della Grande Russia Struve, il processo di «nazionalizzazione dell'autocrazia» iniziò dal momento in cui lo slavofilismo (che durante il regno di Nicola I era stato messo all'indice dalla censura) fu chiamato ad essere partito di governo (soprattutto con Alessandro III): il processo di nazionalizzazione della coscienza dell'autocrazia la immunizzò contro il «turbine rivoluzionario», anche se in questa vittoria dello spirito politico della reazione covava un «germe di rivoluzione». La nazionalizzazione dell'idea di impero si espresse attraverso la guerra balcanica del 1877 e l'espansione in Asia centrale  (il Great Game per l’egemonia sull’Asia Centrale   che contrappose la Russia alla Gran Bretagna tra il 1807 e 1907) tentarono di suscitare la febbre imperialistica e il panslavismo aggressivo (suo principale ideologo fu l’ex socialita fourierista Danilevskij: sostenitore della teoria istoriosofica dei “tipi storico-culturali”, Davilevskij affermava che il tipo «storico-culturale» latino-germanico era in declino, mentre quello slavo era in ascesa e alla Russia spettava di raccogliere le spoglie dell’Impero ottomano e   conquistare Costantinopoli). Dopo la rivoluzione del 1905, Stolypin tentò di rivitalizzare l’idea di impero identificandola con la Grande Russia.

 

 

6. – La situazione imperiale sovietica come fase suprema del comunismo

 

Dopo la rivoluzione bolscevica l’unità proletaria prevalse sulla diversità nazionale e sull’autodeterminazione dei popoli: la nazione doveva porsi al servizio della lotta di classe e sconfiggere l’imperialismo come fase suprema del capitalismo. Lenin in L’imperialismo, fase suprema del capitalismo (1916) affermava che le contraddizioni interimperialiste scoppiate con la guerra rovesciavano lo schema marxiano, per cui la rivoluzione poteva avvenire in un paese come la Russia in cui il capitalismo era ancora poco sviluppato. L’impero sovietico si configurò come Stato proletario unitario. Lo Stato totalitario comunista, secondo Berdjaev, aveva realizzato la sua aspirazione messianica di Mosca Terza Roma, quale impero redentore. L’idea messianica russa di impero aveva rivestito una forma rivoluzionaria: invece della Terza Roma, la Russia stava realizzando la Terza Internazionale, che, secondo Berdjaev, non era un’espressione dell’internazionalismo socialista, ma una «trasformazione del messianesimo russo». Secondo Agurskij, la Terza Roma sovietica è stata un retaggio dell’etnocentrismo rivoluzionario russo del XIX secolo: fin dal suo esordio il movimento rivoluzionario russo fu nazional-patriottico ed espansionista. Sia i nazional-bolscevico Ustrjalov, sia gli eurasisti, a partire dagli anni Venti, considerarono l’Urss come una restaurazione dell’impero e preconizzarono una superamento sopra-organico del comunismo. L’internazionalismo bolscevico era solo una copertura e si era rivelato uno strumento fondamentale per ricomporre la Russia come Stato unitario ed eurasiano. Il socialismo in un solo paese propugnato da Stalin fu considerato dai nazional-bolscevichi e dagli eurasisti come il trionfo dell’impero russo fondato non più sulla autocrazia, ma sulla ideocrazia. Come ha rilevato Berdjaev, la Russia è transitata dal medioevo antico al nuovo medioevo, con i loro “domini culturali ben distinti, differenziati, il loro liberalismo e il loro individualismo, col trionfo della borghesia e dell’economia capitalista”. Nel cadere l’antica Santa Rus’ ha lasciato il posto a una teocrazia rovesciata. Il comunismo rosso, per Berdjaev, ha realizzato il sogno degli slavofili, di trasportare la capitale da Pietroburgo a Mosca, riprendendo la loro formula Ex Oriente Lux. Dal Cremlino doveva scaturire la luce che doveva rischiarare la tenebre borghesi dell’Occidente. All’epoca del socialismo in un solo paese, secondo Berdjaev, stava realizzando la Terza Internazionale quale pseudomorfosi dell’idea di Terza Roma. La Moscovia non aveva realizzato la sua aspirazione messianica, né l’aveva realizzata la Pietroburgo-Terza Roma. La Terza Internazionale, invece, era un’idea messianica che rivestiva una forma rivoluzionaria e non apocalittica. Tuttavia, per Berdjaev, la Terza Internazionale era un’ «idea nazionale russa», una trasformazione del messianismo russo sub specie etnocentrismo rivoluzionario. La rivoluzione socialista ha ricondotto la capitale a Mosca, mentre Pietro il Grande, per vincere le tradizioni moscovite aveva creato una nuova capitale. Pietroburgo-Leningrado è rimasta come simbolo della rivoluzione vittoriosa. Come ha rilevato Ettore Lo Gatto, Pietroburgo-Leningrado ha custodito la mitopoiesi della rivoluzione, mentre tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta del XX secolo il mito di Mosca Terza Roma è risorto nei termini di “ortodossia non religiosa, ma social-politica”. Nel film di Aleksandr Medvekin La nuova Mosca (1938) si esaltava il piano di ricostruzione di Mosca concepito da Stalin: edifici straordinari avrebbero trasformato Mosca in una città di straordinaria bellezza, simbolo della grandezza e della forza della patria del socialismo in un solo paese e dell’Internazionale comunista. Mosca appariva come il cronotopo di Bachtin, unione indissolubile di spazio e tempo, le cui caratteristiche principali erano la subitaneità e l’eliminazione della distinzione tra il reale e il fantastico. Come afferma Karl Schlögel, l’elemento «qualitativamente nuovo e per molti versi utopistico era rappresentato dal confronto a viso aperto con tutti i problemi della città, come in un’opera d’arte totale creata da un’entità dotata di pieni poteri dal punto di vista amministrativo e politico di una macchina decisionale ed esecutiva senza precedenti né uguali». Pietroburgo era stata la sede del governo imperiale, ma, come sostiene Brodskij, non un centro di potere, il «locus mentale e politico della nazione». Nel 1917, Lenin era giunto a Pietrogrado trascinato dall’idea del potere: la grandeur architettonica della capitale imperiale sfidava l’idea di potere. Leningrado, per Brodskij, è rimasto uno pseudonimo, per cui dopo la disintegrazione dell’Urss la città ha ripreso il suo «nome da ragazza». Diversamente da Mosca, Pietroburgo non ha una «mitologia consolante», per questo questa città premeditata, come l’ha definita Dostoevskij, si è rispecchiata nella letteratura russa, consentendo agli uomini pensanti di guardare a tutta la nazione dall’esterno. Lenin aveva raggiunto Pietrogrado, perché credeva che fosse il centro del potere, ma si trovò di fronte a un vuoto di potere, alla culla vuota della rivoluzione.  Facendo della geografia una scienza politica, Lenin trasferì la capitale a Mosca e Leningrado è rimasta misconosciuta, straniera nella sua stessa patria. L’incompiutezza del Palazzo dei Soviet a Mosca attesta, secondo Schlögel, l’incompiutezza del vasto cantiere dell’Urss tra utopia e terrore. Il Palazzo dei Soviet esisteva solo in negativo, come «centro immaginario» del comunismo mondiale. La destalinizzazione di Chruščëv dette il colpo di grazia all’edificio del secolo e lo sterro divenne una piscina scoperta. Tra il 1995 e il 2000, è stata ricostruita la cattedrale del Cristo Salvatore che era sorta nello stesso luogo negli anni Sessanta del XIX secolo e consacrata nel 1883. Il 5 dicembre del 1931, per ordine di Stalin, la cattedrale fu fatta saltare in aria per fare posto al Palazzo dei Soviet. Come afferma Schlögel, la ricostruzione della cattedrale di Cristo Salvatore può essere interpretata sia come la riconquista di un «fulcro urbanistico»o come «un gesto imperiale insieme vecchio e nuovo».

 

[Un evento culturale, in quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende impossibile qualsiasi valutazione veramente anonima dei contributi ivi presentati. Per questa ragione, gli scritti di questa parte della sezione “Memorie” sono stati valutati “in chiaro” dal Comitato promotore del XXXVII Seminario internazionale di studi storici “Da Roma alla Terza Roma” (organizzato dall’Unità di ricerca ‘Giorgio La Pira’ del CNR e dall’Istituto di Storia Russa dell’Accademia delle Scienze di Russia, con la collaborazione della ‘Sapienza’ Università di Roma, sul tema: LE CITTÀ DELL’IMPERO DA ROMA A COSTANTINOPOLI A MOSCA) e dalla direzione di Diritto @ Storia]