Università di Varsavia
Le
origini romane delle tecniche legislative
SUMMARY: The Roman
Sources of Legislative Technique
One of the most enduring values of Roman
law is that it has shaped the concepts of general legal culture, those
questions which legal theory is addressing today. This also applies to the ways
the law is drafted and the principles governing this. Roman law offers
invaluable advice on legislative technique. That is why many of the articles in
the annex to the Polish Prime Minister’s Order of 20th June 2002 on the
principles of legislative technique (Zasady
techniki prawodawczej) sound like ideas put forward by Roman jurists, or
take those ideas further.
Keywords: Roman
law; legal culture; cultura giuridica;
principles of legislative technique ‒ diritto romano; cultura
giuridica; principi di tecnica legislativa
È
opinione comune che il diritto civile odierno risenta fortemente
dell’influenza del diritto romano, elemento formativo della nostra
cultura giuridica e fonte d’ispirazione per i cultori del diritto.
La
giurisprudenza non intende inoltre fare a meno di attingere al suo inestimabile
apporto teorico[1] e di riferirsi ai preziosi indirizzi di tecnica legislativa insiti
nel diritto romano.
Negli Stati
moderni tali indirizzi o, come oggi suole dirsi: principi, si rinvengono in
atti giuridici varati con l’intento di tesi a facilitare una corretta
redazione di norme e atti normativi.
In
Polonia ai principi in parola è consacrato l’allegato
all’ordinamento 20 giugno 2002 del presidente del Consiglio dei ministri
sui “Principi di tecnica legislativa”[2],
varato per informare a chiarezza e trasparenza i testi normativi degli atti
giuridici. Nell’allegato appena citato si riscontrano inconfondibili
tracce dei principi enunciati nei titoli 3, 4 e 5 del primo libro del Digesto
dell’imperatore Giustiniano[3].
In un
frammento dei Digesta del giurista Ermogeniano, si legge:
D. 1.5.2 (Hermogenianus libro primo iuris epitomarum): Hominum
causa omne ius constitutum sit.
Il
legislatore polacco dei «Principi di tecnica legislativa» sembra
farvi riferimento, quando al paragrafo § 1 comma 1 statuisce:
«Prima di preparare un
disegno di legge, è necessario: 1) delimitare e definire i rapporti
sociali bisognosi di interventi della pubblica autorità nonché di
modifiche alle norme in vigore…».
Il
comma 2 recita:
«occorre…
precisare gli scopi che si intende raggiungere con il varo di una nuova
legge»,
richiamando
immediatamente alla memoria il passo ulpianeo raccolto D. 1.4.2:
(Ulpianus fideicommissorum libro quarto) In rebus novis constituendis evidens
esse utilitas debet, ut recedatur ab eo iure, quod diu aequuum visum est.
Alcuna
modifica senza previa riflessione. Tanto i Greci quanto i Romani erano
piuttosto avversi alle modifiche[4]. Non
per nulla la commissione chiamata alla stesura delle XII tavole portava il nome
di decem viri legibus scribundis: per
risaltare che le si chiedeva soltanto di mettere per iscritto il diritto
consuetudinario.
A
mo’ di aneddoto mi piace ricordare una norma del diritto di Locri. Il
cittadino che volesse apportarvi qualsivoglia modifica, sottoponeva la propria
proposta al voto dell’assemblea e infilava la testa nel cappio della
forca: se il risultato era negativo, lo si impiccava all’istante.
Ciononostante vi furono tre prodi le cui proposte furono approvate. La prima
riguardava il divorzio. Dai turesi potevano chiederlo ambo i coniugi. Quando
una giovane moglie lasciò un marito molto più vecchio, questi
propose di vietare al coniuge che avesse chiesto e ottenuto il divorzio di
convolare in nuove nozze con soggetti più giovani del coniuge
abbandonato. L’assemblea approvò[5].
Torniamo
ai «Principi di tecnica legislativa». Al § 2 recitano:
«La legge regolamenta in
modo esauriente l’ambito dei problemi in oggetto...».
La
dizione ambito di problemi rammenta
con forza l’esigenza di varare leggi a beneficio non dei singoli
bensì della comunità. L’insegnamento dei giurisperiti
romani non è andato perso:
Papiniano,
ad esempio, diceva:
D. 1.3.1 (Papinianus libro primo definitionum): lex est
commune praeceptum.
Nello
stesso senso, Ulpiano:
D. 1.3.8 (Ulpianus libro tertio ad Sabinum): iura non in
singulas personas, sed generaliter constituuntur.
Le
origini di quella dottrina possono riscontrarsi in un brano della Legge delle
XII tavole:
Tab. 9.1-2: Privilegia ne
irrogantur.
Val la
pena di ricordare che fu proprio il diritto romano a distinguere per primo il
diritto astratto: ius, dalle sue
specificazioni in forma di: lex[6].
Tal
distinzione è già chiara in Plauto (250-184) che scrisse le sue
commedie a cavallo del III e del II sec. a.C. Uno dei personaggi di Mostellaria, discorrendo
dell’educazione dei figli, sostiene che è compito dei padri
insegnar loro la scrittura, il diritto,
le leggi[7].
Conforme
questo brano di una delle “lettere” di Orazio:
Epistulae
1.16.40-43: Vir bonus est quis? / Qui consulta patrum, qui leges iuraque
servat, / quo multae magnaeque secantur iudice lites, / quo res sponsore et quo
causae teste tenentur.
«Chi è [dunque] il bonus
vir? Chi rispetta le delibere del senato, le leggi e il
diritto, chi dirime in tribunale tante importanti questioni, si presta a
far da garante e si presenta testimone».
Il
più netto, al riguardo, fu comunque Gaio, che nel II sec. d.C. scrisse
un manuale conosciuto da tutti.
Gaius, Inst.
1.2: Constant autem iura populi Romani ex legibus, plebiscitis,
senatusconsultis, constitutionibus principum, edictis eorum qui ius edicendi
habent, responsis prudentium.
Quanto alla
nozione lex, come attesta Aulo
Gellio, a coniarla a cavallo di repubblica e principato fu il giurista Ateio
Capitone[8],
il quale voleva in tal modo distinguerla da altre fonti del diritto[9].
Gellius,
Noct. Att. 10.20.2-4: Ateius
Capito, publici privatique iuris peritissimus, quod ‘lex’ esset, hisce verbis definivit: ‘Lex’ inquit ‘est generale iussum populi aut plebis
rogante magistratu’. Ea definitio si probe facta est, neque de imperio
Cn. Pompei neque
de reditu M. Ciceronis neque de caede P. Clodi quaestio neque alia id genus
populi plebisve iussa
‘leges’ vocari possunt. Non sunt enim generalia
iussa neque de universis civibus, sed de singulis concepta; quocirca ‘privilegia’ potius vocari debent, quia veteres
‘priva’ dixerunt, quae nos ‘singula’ dicimus.
Fondatore
della scuola sabiniana, una delle famose scuole giuridiche dell’epoca
classica, Capitone fu il primo a pretendere che le leggi contemplassero soltanto problemi generali e destinatari
astratti. Le delibere rivolte a singoli non dovevano chiamarsi leggi, ma privilegi, sia quando ne migliorassero
la situazione, come la lex Cornelia de
revocande Cicerone del
Tornando
al § 2 della recente normativa polacca, giova notare che, postulando la
regolamentazione esauriente, essa auspica di affrontare i problemi nella loro
interezza, per non affrontarli in più leggi, ma in una, onde evitare
sdoppiamenti e novelle.
Oggi si
tende a giudicare il rendimento di un parlamento con misure quantitative. Qual
equivoco! I Romani, più saggi di noi, puntavano sulla qualità. Tacito
(Annales 3.27) annotava:
corruptissima re publica plurimae leges. I giuristi romani suggerivano di
non ricorrere alle leggi per regolamentare casi individuali, ma di farlo solo
quando fossero tipici:
Celso in D. 1.3.4 (Celsus libro quinto digestorum): Ex his, quae
forte uno aliquo casu accidere possunt, iura non constituuntur.
Celso in D. 1.3.5 (Celsus libro XVII digestorum): Nam ad ea potius debet aptari ius, quae
et frequenter et facile, quam quae perraro eveniunt.
Pomponio in D. 1.3.3
(Pomponius libro vicemsimo quinto ad
Sabinum): Iura constitui oportet, ut dixit Theophrastus, in his, quae
plerumquae accidunt, non quae praeter expectationem.
Paolo in D. 1.3.6 (Paulus libro ad Plautium): nam quod semel vel
bis, ut ait Theophtastus, factum est, praetereunt legum latores.
Tale
principio ricorre ancora nelle Novelle dell’imperatore Giustiniano:
Nov. 94.2: quod raro fit, non observant legislatores.
Non se
ne discosta neppure una paremia moderna: de
minimis non curat lex. Ma riprendiamo i principi polacchi. Al § 5
recitano:
«Le disposizioni debbono
essere brevi e sintetiche, ed evitare ogni superfluo dettaglio...»,
traducendo
quasi alla lettera l’osservazione di Seneca: leges brevem esse oportet, quo facilius teneantur (Ep. 94.38).
La
storia insegna che troppi particolari sono controproducenti. Il dettaglio,
quando è in eccesso, nuoce. I codici, quali il Landrecht prussiano (1794), che si prefiggevano di regolamentare
ogni possibile fattispecie, arrivavano a contare 15 mila paragrafi di diritto
privato e, si capisce, scontentavano[10]. Al
contrario, i codici improntati su norme astratte, e in particolare su clausole
generali, assurgono a modello. Ne fa parte il Codice civile svizzero del 1907.
Conta 907 articoli. Il suo ideatore, Eugen Huber, lo volle chiaro, quindi
accessibile non solo agli addetti, ma anche a un cittadino di media cultura[11].
L’eccesso
complica, quando impedisca la conoscenza del diritto, trasformando il principio
ignorantia iuris nocet in mera
finzione. Alla brevità del diritto, coniugata alla chiarezza, è
dedicato inoltre il § 6:
«Le disposizioni della
legge in modo che i destinatari delle loro norme ivi contenute possano
comprendere con esattezza le intenzioni del legislatore».
Nelle
Istituzioni di Giustiniano il medesimo proposito è espresso ben due
volte: in I. 2.23.7: in legibus magis
simplicitas quam dificultas placet; nonché in I. 3.2.3a: simplicitas legibus amica. Si ritrova
inoltre in una costituzione di Valentiniano e Marciano, recepita nel Codice:
(C. 1.14.9) leges ab omnibus intellegi
debet.
Il
§ 11 recita:
«La legge è
esente da proposizioni che non esprimano norme giuridiche, e in particolare da
appelli, postulati, consigli, ammonimenti e motivazioni delle norme da essa
contemplate».
Appelli,
postulati, consigli e ammonimenti possono, quando necessario, essere oggetto di
delibere, ma non di norme giuridiche. Ritorna in mente Seneca che nelle Epistulae (94.38) osservava: Lex iubeat, non disputet. Una paremia
successiva ribadisce: lex moneat, non
doceat. Il diritto migliore è quello di lunga durata.
Ma
quando risultino indispensabili, devono votarsi leggi nuove. Oggi come in Roma
antica. Il diritto romano definì con chiarezza il rapporto tra diritto
nuovo e precedente. Due leggi di uguale argomento, varate in periodi
differenti, potevano integrarsi
D. 1.3.26 (Paulus libro IIII quaestionum): Non est novum, ut priores leges ad
posteriores trahantur,
qualora
non fossero contrastanti
D. 1.3.28
(Paulus libro V ad legem Iuliam et Papiam): Sed et posteriores leges ad
priores pertinent, nisi contrariae sint, idque multis argumentis probatur).
Pareva
opportuno riunirle, come successe, ad esempio, con la lex Iulia et Papia[12], che
indicava le materie regolamentate dalle lex Iulia de maritandis ordinibus
e lex Papia Poppea, commentate
come un “testo unico”.
Qualora invece la legge posteriore contrastasse con
quella anteriore, si dava la precedenza alla norma più recente. In un
primo periodo, infatti, si preferiva parlare di precedenza e non di deroga: una
legge votata dall’assemblea precedeva un diritto consuetudinario
anteriormente vigente. L’innato conservatorismo spingeva i Romani a
diffidare dei cambiamenti. Soltanto nel principato le costituzioni imperiali si
sostituirono alle precedenti forme di produzione del diritto. Prima non
può parlarsi, a Roma, di deroga delle norme precedenti. Il concetto
della precedenza del diritto postriore era già stato formulato nella
Legge delle XII Tavole: Ut quodcumque
postremum populus iussisset id ius ratumque esset – tav. 12.5, per essere, poi, ripresa[13] da Modestino – D. 1.4.4 (Modestinus libro
secundo excusationum): Αἱ
μεταγενέστεραι
διατάξεις ἰσχυρότεραι
τῶν πρὸ
αὐτῶν εἰσιν[14] ‒ e infine trasfusa nella famosa paremia: lex posterior derogat priori[15].
Parimenti, il diritto romano riteneva che una legge
specifica dovesse avere la precedenza rispetto alle discordanti norme di una
legge generale. I Romani discussero dell’argomento riflettendo sulla
condizione giuridica del bambino. I bambini nati in iustum matrimonium acquisivano
lo status del padre, quelli nati da altri legami seguivano –
d’accordo con il diritto naturale – lo status giuridico della madre
(D. 1.5.19 Celsus libro
vicensimo nono digestorum): Cum legitimae nuptiae factae
sint, patrem liberi sequuntur: vulgo quaesitus matrem sequitur), a meno che altre norme non statuissero
diversamente (ad esempio in virtù della lex Minicia un bambino
nato da una cittadina romana e un peregrino privo di ius conubii non acquisiva la cittadinanza romana, ma lo status del padre; sotto
l’impero il bambino di una schiava che nel periodo della gravidanza fosse
stata libera, nasceva libero).
Ulpiano ne trasse lo spunto per formulare una
regola (D. 1.5.24 (Paulus libro vicensimo septimo ad Sabinum): Lex
naturae haec est, ut qui nascitur sine legitimo matrimonio matrem sequatur,
nisi lex specialis aliud inducit)
che, rivista e generalizzata, è nota nella sintetica dizione: lex specialis derogat legi generali[16]. Vi si elaborarono inoltre quei principi
riguardanti il vigore temporale della legge che in seguito furono recepiti da
tutte le legislazioni moderne.
Nel periodo repubblicano i giurisperiti cominciarono
a interrogarsi se una nuova legge dovesse riguardare tutte le fattispecie
ovvero soltanto quelle venute in essere dopo la sua entrata in vigore,
applicando alle altre il diritto anteriore. Il dubbio sorse in occasione di una
lex Atinia, votata attorno al
La questione venne definitivamente risolta soltanto
nelle costituzioni imperiali[18], che si adeguarono a una regola rispettata
dalle legislazioni odierne: se la nuova legge non impone un’applicazione
retroattiva, si osserva il principio[19]
lex retro non agit , desunto da una costituzione degli
imperatori Teodosio II e Valentiniano III che recitava:
C.
1.14.7: Leges et constitutiones futuris certum est dare formam negotiis,
non ad facta praeterita revocari, nisi nominatim etiam de praeterito tempore
adhuc pendentibus negotiis cautum sit.
(È
certo che le leggi e le costituzioni si riferiscono soltanto a negozi futuri, e
non quelli avvenuti nel passato, a meno che espressamente non si dichiari che
si riferiscono pure a quelli già avvenuti)
Siamo
di nuovo ai «Principi di tecnica legislativa». Al § 82 si
statuisce:
«La modifica (novella)
della legge consiste nella deroga di alcune sue norme, nella sostituzione di
qualche norma di contenuto o tenore diverso ovvero nel corredarla di
disposizioni nuove».
Una
disposizione nel segno della continuità romana; infatti,
nell’opera Tituli ex corpore
Ulpiani[20] le novelle si classificavano
a seconda delle modifiche che avessero apportato alla legge[21]:
Ulp. 1.3: Lex aut rogatur,
id est fertur, aut abrogatur id est
prior lex tollitur, aut derogatur,
id est pars primae legis tollitur, aut
subrogatur, id est adicitur aliquid primae legi, aut obrogatur, id est mutatur aliquid ex prima lege …
Pur
potendo far tesoro della precisione terminological dei Romani, la dottrina polacca
usa accontentarsi di una generica derogazione
del diritto.
Tra gli imperituri meriti del diritto romano
v’è senz’altro la distinzione delle norme a seconda di come
siano sanzionate. In Tituli
ex corpore Ulpiani si rinvengono definizioni
tutt’oggi utili a definire lex
perfecta, lex imperfecta, lex minus quam perfecta[22].
Ulp. 1: [Leges aut perfectae sunt aut imperfectae aut
minus quam perfectae. Perfecta lex est, quea vetat aliquid fieri, et si factum
sit, rescindit …
Imperfecta lex est, quae fieri aliquid
vetat, nec tamen si factum sit,
rescindit: qualis est lex Cincia, quae plus quam duo milia assium donare] prohibet, exceptis
quibusdam cognatis, et si plus
donatum sit, non rescindit.
2. Minus quam perfecta lex est quae
vetat aliquid fieri, et si factum
sit, non rescindit, sed poenam iniungit et qui contra legem
fecit: qualis est lex Furia
testamentaria, quae plus quam
mille assium legatum mortisve causa prohibet capere, praeter exceptas personas, et adversus eum qui plus ceperit quadrupli
poenam constituit.
La lex
perfecta è quella che, vietando un atto,
ne dispone la nullità, e quindi ne elimina gli effetti. Tituli ex corpore
Ulpiani non ricordano alcuna lex perfecta[23], ma in dottrina si ritiene che ne avessero tutti i
requisiti la lex
Voconia[24], che invalidava legati di valore superiore a
quello dell’eredità lasciata al successore, e la lex Cornelia de sponsu[25] che vietava di garantire lo stesso debitore nei
confronti dello stesso creditore, nel corso dello stesso anno, per una cifra superiore
a ventimila sesterzi. La lex
minus quam perfecta vieta l’atto, ma non ne dispone
la nullità, bensì irroga una pena a colui che ha violato il
divieto. Come esempio di una lex
minus quam perfecta viene ricordata la lex Furia testamentaria[26] della prima metà del II secolo a.C. che
vietava legati superiori a mille assi senza invalidarne la riscossione, ma
imponeva di pagare il quadruplo della somma eccedente. La lex imperfecta è quella che, pur vietando l’atto,
non ne sancisce l’inefficacia, né punisce. Lo era la lex Cincia de donis et muneribus[27] del
Il diritto romano si era fermato a questa
tripartizione. La lex
plus quam perfecta che rafforza
l’invalidità con una sanzione giuridica, di solito repressiva,
è una felice estrapolazione della dottrina più recente[28].
Anche l’intepretazione della norma radica
è nel diritto romano. Dicendo Quaecumque de filio esse diximus, aedem
et de filia dicta intellegemus (Gaius, Inst. 1.7), Gaio applicava
un’interpretazione che oggi usa chiamarsi autentica. Ogni commento
(chiarimento) dei giuristi passava per interpretazione legale. Nel titolo 17
del libro 50 del Digesto abbiamo indubbiamente a che fare con
un’interpretazione lessicale. Celso (D. 1.3.24) propendeva per
l’interpretazione sistemica: Incivile est nisi tota lege perspecta una
aliqua particula eius proposita iudicare vel respondere. Nel celebre brano:
Scire leges non hoc est: verba earum tenere, se vim ac potestatem lo
stesso Celso (D. 1.3.17) riteneva comunque insostituibile
l’interpretazione teleologica.
Ricordiamo infine che il principio cui ai giorni
nostri s’informa ogni legislazione: leggi e altri atti normativi entrano
in vigore a condizione di essere pubblicati, si riallaccia a san Tommaso
d’Aquino: lex non obligat nisi promulgata[29].
[Per la pubblicazione degli articoli della sezione
“Tradizione Romana” si è applicato, in maniera rigorosa, il
procedimento di peer review. Ogni articolo è stato
valutato positivamente da due referees,
che hanno operato con il sistema del double-blind]
[1] Per l’importanza del diritto romano
per la teoria del diritto vedi E.I. Bekker,
Das Römische Recht und die Rechtsreformen der Gegenwart, in
Zeitschrif der Savigny Stiftung für Rechtsgeschichte. Romanistische Abteilung 33,1912, 11
ss.; M. Zabłocka, Il diritto romano – caposaldo
teoretico della giurisprudenza, in Covegno
internazionale “diritto romano privato e diritto romano publico”:
teoria e pratica [2010.10.23-27], Xiamen 2010, 13 ss.
[3] Cfr. M. Sobczak, Rzymskie korzenie współczesnych
zasad techniki prawodawczej [Le
radici romane delle tecniche legislative contemporanee], in Studia
Iuridica Toruniensia 4, 2008, 151 ss.
[4] Cfr. H. Kupiszewski,
Prawo rzymskie a współczesność [Diritto romano e
il mondo moderno], Warszawa 1988, 206.
[6] Cfr. M.
Zabłocka, Kilka uwag o mniej
znanych „wartościach” prawa rzymskiego, in O prawie i jego dziejach księgi dwie,
I, Białystok-Katowice 2010, 123 ss. Cfr. anche H. Kupiszewski, Prawo rzymskie a
współczesność, cit., 158-159.
[8] Cfr.
R. Orestano, v. Capitone Ateio
C., in Novissimo Digesto
Italiano, II,
Torino 1964, 929; J. Kodrębski,
Sabinianie i Prokulianie. Szkoły
prawa w Rzymie wczesnego cesarstwa
[Sabiniani e Proculiani. Scuole del diritto nella Roma del primo impero],
Łódź 1974, 88 ss.; Id.,
Der Rechtsunterricht am Ausgang der Republik und zu Beginn des Prinzipats, in Aufstieg und
Niedergang der Rӧmischen
Welt, II.15, Berlin-New York 1976,
191 ss.; P. Stein, I giuristi
e le scuole, in Ius controversum
e auctoritas principis. Giuristi principe e diritto nel primo impero,
Napoli 1998, 300 ss.; C.A. Cannata,
Considerazioni sull’ambiente della giurisprudenza romana al tempo
delle due scuole, in Cunabula
iuris. Studi storico giuridici per Gerardo Broggini, Milano 2002,
54 ss.
[9] Su lex
e privilegium cfr. J. Zabłocki,
Kompetencje patres familias
i zgromadzeń ludowych w sprawach rodziny w świetle Noctes Atticae Aulusa Gelliusa
[Competenze di patres familias e
assemblee popolari in questioni familiari alla luce delle Noctes Atticae
di Aulo Gellio], Warszawa 1990, 41 ss.; Id., Leges votate nelle assemblee popolari, in Convegno internazionale “Diritto
romano privato e diritto romano pubblico: teoria e pratica”. Testi delle
relazioni, Xiamen 2010, 8 ss.; Id., Leges
votatae nelle assemblee popolari,
«Diritto @ Storia. Rivista intenazionale di Scienze Giuridiche e
Tradizione Romana» 10, 2012 (http://www.dirittoestoria.it/10/Tradizione-Romana/Zablocki-Leges-voto-assemblee-popolari ).
[10] Cfr. K. Sójka-Zielińska, Wielkie kodyfikacje cywilne. Historia i
współczesność [Le
grandi codificazioni del diritto civile. Passato e presente], Warszawa 2009, 71.
[12] Su queste leggi cfr. in particolare R. Astolfi, La lex
Iulia et Papia, 4a ed., Padova 1996 passim. Cfr. inoltre M. Zabłocka, Przemiany prawa
osobowego i rodzinnego w ustawodawstwie dynastii julijsko-klaudyjskiej [Trasformazioni
del diritto delle persone e della fimiglia nella legislazione della dinastia
giulio-claudia], Warszawa 1987, 34 ss.; Id.,
Le modifiche introdotte nelle leggi
matrimoniali augustee sotto la dinastia giulio–claudia, in Bulletino dell’istituto di diritto
romano 89, 1986 [ed.1988], 379 ss.
[13] Cfr.
anche Livius 9.34.7: ... ubi duae contrariae leges sunt, semper antiquae
obrogat nova; Quintilianus, Inst. or. 7.7.2: Omnibus autem
manifestum est, nunquam esse legem legi contrariam iure ipso; quia, si diversum
ius esset, alterum altero abrogeretur; sed eas casu collidi et eventu. Cfr. A. Biscardi,
Aperçu historique du problème de l’abrogatio legis,
in Revue internazionale des droits de l’antiquitè 18, 1971,
460 ss. A. Kacprzak,
J. Krzynówek, W. Wołodkiewicz, Regulae iuris. Łacińskie
inskrypcje na kolumnach Sądu Najwyższego Rzeczypospolitej Polskiej [Regulae
iuris. Iscrizioni latine sulle colonne della Corte Suprema della
Repubblica di Polonia], a cura di W. Wołodkiewicz,
Warszawa 2001, 137, rilevano la prudenza di Modestino: la nuova norma non
deroga, ma vale più della precedente.
[15] H. Kupiszewki,
Prawo rzymskie a
współczesność, cit., 69 scrive che «il diritto
romano ossequiava il principio lex posterior derogat anteriori, ma
– almeno nell’accezione del concetto, non era riuscito ad
elaborarlo. Una norma giuridica perdeva vigore in quanto cadeva in
desuetudine».
[17]
Sull’irretroattività del diritto nell’antichità e
adesso cfr. G. Broggini, La
retroattività della legge nella prospettiva romanistica, in Studia
et documenta historiae et iuris, 32,
1966, 1 ss.; W. Wołodkiewicz,
Lex retro non agit, in Łacińskie
paremie w europejskiej kulturze prawnej i orzecznictwie sądów
polskich [Paremie latine nella cultura giuridiaca europea e nella
giurisprudenza dei tribunali polacchi], Warszawa 2001, 153 ss.; Id., Lex retro non agit. Un brocardo nella giurisprudenza polacca,
in Iuris vincula. Studi in onore di Mario Talamanca, VIII, Napoli
2001, 465 ss. Cf. anche J. Wiewiorowski, Zakaz retroakcji – historyczny klucz o
intertemporalności [Divieto di retroattività], in Problematyka
intertemporalna w prawie. Zagadnienia podstawowe. Rozstrzygnięcia
intertemporalne. Geneza i funkcje [L’intertemporalità del diritto.
Problemi generali. Decisioni intertemporali. Origine e funzioni], Warszawa 2015, 19 ss.
[19] Tal
principio non è tuttavia assoluto e conta motivate eccezioni.
L’irretroattività della legge è ammissibile qualora
comporti vantaggi o premi e ad ogni modo migliori la situazione giuridica dei
cittadini. Nel diritto penale può applicarsi soltanto il principio lex
severior retro non agit (cfr. l’art. 4 § 1 del codice penale
polacco del 1997).
[20] Sulla
datazione della stesura di questa opera cfr. T. Honoré, Ulpian, Oxford 1982, 107 ss.; A. Guarino, Storia del diritto romano, 10a ed., Napoli 1998,
[21] Cfr. D. 50.16.102 (Modestinus libro septimo regularum): ‘Derogatur’ legi aut
‘abrogatur’, derogatur legi, cum pars detrahitur:
abrogatur legi, cum prorsus tollitur. Cfr. anche Festus, De
verb. sign. v. abrogare, p.
[22] Sullo
sviluppo storica della tricotomia cfr. G. Scherillo,
A. Dell’Oro, Manuale di
storia del diritto romano,
Milano 1982, 205 ss. Cfr. inoltre M. Avenarius.
Die pseudo-ulpianische liber
singularis regularum. Entstehung,
Eigenart und Überlieferung einer hochklassischen Juristenschrift, Göttingen 2005, 160 ss.
[23] F.Wiecker,
Ius e lex in Roma arcaica,
in Sodalitas. Scritti
in onore di Antonio Guarino, VII, Napoli 1984, 3120, ritiene che fino
alla metà del II sec. a.C. (fino alla lex Minicia) «tutte
le leggi di diritto privato erano imperfectae in quanto perseguivano i
loro fini solo con sanzioni mediate, come pene private o altri svantaggi
giuridici oppure con degli interventi pretori, come denegatio, in integrum
resitutio o exceptio». Cfr. inoltre S. di Paola, Leges perfectae, in Synteleia
Vincenzo Arangio-Ruiz, II, Napoli 1964, 1075 ss.; M. Kaser, Über Verbotsgesetze und
verbotswidrige Geschäfte im römischen Recht, Wien 1977, 9 ss.
[24] Cfr. B.
Biondi, Successione
testamentaria e donazioni, 2a ed., Milano 1955, 134, che però
è incerto se la lex Voconia fosse perfecta o imperfecta.
Parimenti G. Longo, v. Lex Voconia, in Novissimo Digesto
Italiano, IX, Torino 1964,
825.
[25] G.
3,124. Cfr. anche , v. Lex Cornelia (Sullae) de sponsu, in Dizionario giuridico
romano, Napoli 1993.
[27]
Più in particolare su questa legge cfr. G. Longo, v. Lex Cincia
de donis et muneribus, in Novissimo Digesto Italiano, IX, Torino 1964, 803 s.