D-&-Innovazione-2019 - Copia

 

 

Bussi-Foto-2015A proposito di una recente edizione del Kleine Kaiserrecht*

 

 

LUISA BUSSI

Roma

già professore di Storia del Diritto

nel Dipartimento di Giurisprudenza

dell’Università di Sassari

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1.

A varie e interessanti riflessioni induce la recente edizione critica del Kleine Kaiserecht comparsa a opera di Dietlinde Munzel-Everling per i tipi della Hylaila Verlag di Wiesbaden[1]. Lo studio di questo testo giuridico medievale, rappresenta indubbiamente per l’a. ein Lebenswerk: a esso la Munzel-Everling ha dedicato - sui quasi cinquanta manoscritti che ce lo hanno consegnato - lunghi anni di ricerca che, a partire dalla sua dissertazione[2], si sono espressi già vuoi in precedenti edizioni di altri testimoni dello stesso testo giuridico[3], vuoi in diversi contributi e voci dello Handwörterbuch zur deutschen Rechtsgeschichte[4].

In questa edizione, ove un’ampia e dettagliata Einführung tende a rendere conto di denominazione, autore, fonti del testo, e dove la discussione del suo contenuto giuridico precede la presentazione, il confronto e la valutazione delle sue diverse varianti, la trascrizione segue il manoscritto conservato Kaiserrecht.jpegnella biblioteca privata dei principi di Corvey.

Il volume si arricchisce delle riproduzioni di alcune pagine dei diversi testimoni studiati dalla Munzel-Everling, che lasciano percepire, dalla varietà delle scritture, quanto ampia sia stata la diffusione del testo, e quanto estesa la ricerca dell’a.

 

 

2.

Comparendo all’inizio del XIV secolo nella zona di Francoforte sul Meno, il Kleine Kaiserrecht è il più recente fra i libri giuridici che, redatti in Germania fra il 1200 e la Recezione del diritto romano, si sono posti a fondamento della formazione successiva del diritto e della giurisprudenza tedesca.

 

Ben lungi dall’essere singolare, il fenomeno appare come espressione della più generale tendenza alla compilazione del diritto vigente, vale a dire una delle manifestazioni di quella rinascenza del XII secolo nella quale si iscrivono il rifiorire di una cultura cittadina, il sorgere di scuole cattedrali di alta cultura come quella di Chartres, la nascita delle Università, prima fra tutte Bologna, il consolidarsi del diritto canonico e il comparire di opere in cui il diritto mondano si affranca dalla sua connessione con i miti e le tradizioni sociali per indirizzarsi verso un linguaggio suo proprio e che, pur se apparentemente legate a un diritto di stirpe, offrono compendi del diritto vigente nei territori del Sacro romano Impero, accogliendo anche consuetudini, privilegi, statuti cittadini

Dalla redazione delle consuetudini proprie di ciascun popolo – come ad esempio la Lex Burgundionum (501-502) la Lex salica (508-511), la Lex Frisonum (734), la Lex Alamannorum (725) la Lex Saxonum (802-893) - cui si era proceduto sotto l’impero della personalità del diritto, il formarsi della coscienza della propria appartenenza ad un territorio aveva portato alla trasformazione progressiva del concetto stesso di diritto tradizionale da personale in territoriale. Si parla ormai di una lex terrae, designando con ciò le norme in vigore riguardo ai beni immobili, indipendentemente dalla natio del proprietario, norme che quindi erano in qualche misura inerenti ai beni e costituivano la loro caratteristica[5].

Il Meijers[6] mostrò come queste norme di carattere territoriale si siano affiancate a quelle di carattere personale, tendendo a prevalere particolarmente in tema di immobili: per definirne la natura e i modi di acquisto; per determinare il diritto del signore sulla successione di un bastardo; in materia di tutela dei minori, di successione; di requisibilità in caso di debiti e così via.

Ogni feudo era soggetto a un diritto che era ad esso pertinente e che, derivando anzitutto dall’incontro del diritto personale del signore con quello del vassallo, prendeva corpo nel contratto feudale, che ne regolava i rapporti. A questo corpo di norme si affiancano, nella pluralità di ordinamenti tipica dell’epoca[7], le norme derivanti dalla consuetudo loci, quelle cittadine che se ne diversificano come un corpo indipendente, i privilegi concessi dal signore territoriale in tema di giurisdizione e libertà personale e quelle adottate nelle decisioni giudiziali, che tendevano ad acquisire anch’esse forza di consuetudine. Kroeschell ritiene che nel XII secolo si sia affermato un nuovo modo di vedere nel quale le forze sociali proponendosi quali identità ideali hanno trovato la via per esprimersi come fonti di produzione del diritto attraverso il binomio concettuale di jura et consuetudines terrae ovvero ius consuetudinarium civitatis[8].

Ecco che dunque a partire dal secolo XIII vengono redatti degli scritti tesi a mettere in chiaro i profili di questi diritti. Si tratta di testi derivanti dalla iniziativa di un giurista, e cioè non dall’ordine di una autorità, benché poi accompagnati dall’autorevolezza di un testo ritenuto normativo, in quanto contenente diritto di per sé vigente[9].

Sta di fatto che nelle comunità giuridiche dell'età di mezzo, le quali restano caratterizzate dalla compresenza di più diritti e da sistemi giuridici fortemente decentrati, un po’ ovunque si procede alla redazione del diritto consuetudinario: in Francia (allora piuttosto una unione di signorie come il Berry, le Fiandre, l’ Angiò, l’ Artois etc.), a partire dal secolo XIII appaiono le prime raccolte di coutumes: la più antica quella delle consuetudini della Normandia (risalente alla fine del secolo XII - quando ancora la regione non era entrata a far parte del regno francese - poi ampliata nel 1250 [10]) seguita da Les coutumes de Clermont en Beauvaisis (1280), redatte da Philippe de Beaumanoir[11]; quindi le redazioni delle consuetudini di Orléans, dell’Anjou e della regione di Tours, come pure quelle della regione parigina[12].

Nella Penisola iberica, i Fueros, sotto forma di carte di franchigia concesse da un re ad una comunità locale, esplicitano contenuti normativi di natura consuetudinaria che verso la fine del XII secolo tendono a maturare verso forme di diritto scritto capace di offrire una disciplina potenzialmente completa, cui dava supporto il Liber iudiciorum visigotico, fatto tradurre in Castigliano da Ferdinando III, (Fuero Juzgo). Risalente al 1188 è, in Inghilterra, il Tractatus de legibus et consuetudinibus regni Angliae attribuito a Ranulf de Glanvill; e di appena un quarantennio successivo è il De legibus et consuetudinibus Angliae di Henry de Bracton.

Anche più a Nord si avverte la stessa urgenza: così in Scandinavia la Skånske Lov, vede la luce fra il 1202 e il 1216 [13].

 

3.

Nella Germania meridionale, intorno agli anni 1220–1230 Eike von Repgow redasse, in lingua tedesca, un testo normativo nel quale trascrisse il diritto vigente in Sassonia (Eike von Repgow era un nobile sassone). Il termine Spiegel (speculum) con cui tale testo viene indicato mostra anche qui l’intenzione di fornire un quadro onnicomprensivo del diritto vigente o di un suo aspetto particolare, così come, ad esempio, fa per il diritto processuale lo Speculum judiciale di Guglielmo Durante. Ma se questo lascia affiorare, nel quadro normativo offerto dalle leggi canoniche, l’influenza dei princìpi processuali tedeschi, al contrario il Sachsenspiegel, pur con un occhio alle fonti canoniche, contiene essenzialmente diritto consuetudinario nei suoi due rami: il Landrecht (diritto territoriale) con la disciplina dei rapporti relativi ai diritti reali e al vicinato, alla successione, ai rapporti coniugali ecc. nonché con norme che oggi sarebbero ritenute di natura penale; e il Lehnrecht o diritto feudale che regolava i rapporti fra i feudatari, l’elezione di imperatori e re, i doveri vassallatici, etc. Dei più di quattrocento manoscritti esistenti, un interesse del tutto particolare presentano quelli illuminati (ne sopravvivono 4) comparsi in un lasso di tempo di circa 80 anni[14].

Diffuso in un ampio spazio dai Paesi Bassi al Baltico, il Sachsenspiegel funse da modello per altre raccolte di testi giuridici e rimase in vigore quanto nessun'altra normativa tedesca: in Prussia fino alla promulgazione nel 1794 dello Allgemeinen Landrechts für die preußischen Staaten[15]. Fra il 1325 e il 1333 esso fu arricchito da glosse, tese ad armonizzare il testo con il diritto dotto (civile e canonico)[16].

Di mezzo secolo successivo al Sachsenspiegel è il Deutschenspiegel, terminato fra il 1275 e il 1276, che però si proclama Spiegel aller deutscher Leute, cioè non più diritto dei Sassoni, ma di tutti i Tedeschi in quanto Kaiserrecht: diritto voluto dall’Imperatore con l’approvazione dei giuristi. Colpisce la formula: habent die chunige an uns pracht mit weiser maister lere[17]. Vi compaiono, profondamente modificate, norme delle Istituzioni, della Summa Raimundi e della Reichslandfriede di Magonza. Vi si rinvengono anche parallelismi con il diritto di Augusta e con le consuetudini della Germania meridionale[18].

Anche il cosiddetto Schwabenspiegel[19], che vede la luce nel 1275-1276 ad Augsburg, in Baviera, si proclama come Kaiserliche Land- und Lehnrechtbuch. Il testo condivide fondamentalmente la distinzione del Sachsenspiegel, in Land- e Lehnrecht. Oltreché ricorrere a fonti tedesche altomedievali[20], comprende norme consuetudinarie bavaresi, capitolari franchi, disposizioni imperiali, sostituendo i contenuti dichiaratamente legati al diritto di stirpe sassone con un ricorso più ampio ai diritti romano e canonico, e a leggi dell’Impero[21].

Dunque merita che ci si soffermi su un interrogativo cruciale: era dunque il diritto espressione della potestà legislativa del Kaiser?

 

4.

Non c’è dubbio – lo ha ricordato anche recentemente Dilcher – che l’idea culturale dell’Impero di Roma abbia giuocato un ruolo determinante nella formazione del concetto di diritto del mondo occidentale, a partire dalla decisiva alleanza fra la Chiesa di Roma e i Pipinidi sfociata nella cosiddetta renovatio imperii[22]. E nella storiografia della prima metà del secolo scorso, in una polemica a volte anche aspra[23], non sono mancate rivendicazioni della natura puramente giurisprudenziale o legislativa del diritto comune. Ad una storiografia, preoccupata di leggere in chiave statualista la pluralità delle fonti medievali, tesa a connettere all’esistenza del rinnovato Impero, ora Sacro oltreché Romano, quella di un diritto di applicazione generale - che non poteva trovare le proprie fonti giuridiche se non in quelle romano-giustinianee[24] - e ad un “sistema legislativo vigente” il ruolo dei giuristi medievali[25], si opponevano quanti contestavano l’idea che il vincolo politico avesse comportato la trasmutazione del potere di Carlo in quello di un imperatore romano, e la reviviscenza del diritto romano come diritto del ricostituito impero[26]. Questi ultimi avvertivano che il concetto stesso di “Stato” è molto più tardo[27], non inizia prima dell’età nuova, non prima dello stabilirsi di una scienza del diritto pubblico[28]. Fino ad allora, da un lato, per quanto concerne la forma o il tipo di Stato, si può parlare più propriamente di un Personenverbandstaat: il signore e i suoi diritti restano legati alla dinamica del diritto di resistenza e della faida[29]; dall’altro la rinascita dello studio scientifico del diritto si inserisce nel movimento europeo di rinnovamento culturale che, secondo una fortunata espressione dell’Haskins[30], si suole definire come "rinascenza del secolo XII"[31].

Nell’assenza del soggetto forte “Stato”, è la giurisprudenza che si assume il compito dell’edificazione di un diritto capace di restare al passo con la dinamica sociale ed economica del medioevo maturo[32]: una giurisprudenza che si affina nello studio del riscoperto Digesto, studio rinato non tanto per volere dell’autorità della contessa Matilde[33] quanto grazie all’incoraggiamento della Chiesa[34] che tendeva a sostituire la soluzione delle controversie intersoggettive – specie quelle relative al dominio – sinora effettuate tramite il ricorso alle ordalie, al duello, alla faida, con i procedimenti giurisdizionali proposti dal diritto romano abrogato pravo ritu iudiciorum, come ci testimonia Rodolfo il Nero[35].

L’efficacia del diritto romano in effetti non era stata cancellata dagli eventi che avevano sin qui interessato la Penisola italiana, rimanendo esso quanto meno in vigore come diritto personale dei romani vinti. Ma i giuristi bolognesi erano rispettosi dell’autorità dei testi giustinianei, e qui essi trovavano due testi che qualificavano lo jus civile romano come jus proprium: il frammento di Gaio riportato nella Omnes populi (D. 1.1.9), che attribuiva la qualifica di jus commune allo jus gentium; il secondo, di Ulpiano (D. 1.1.6), che vi accomunava anche lo jus naturale. E’ dubbio quindi che lo abbiano proposto come Jus commune[36]. D’altra parte Oberto dall’Orto, console e giudice milanese, osservava che legum autem Romanorum non est vilis auctoritas, sed non adeo vim suam extendunt ut usum vincant aut morem[37].

Tradizionalmente, il ruolo dei re tedeschi comprende il diritto di riconoscere diritti e privilegi. Ma il diritto così rinnovato non è un diritto universale, non è diritto dell’Impero, bensì si sostanzia in consuetudini giuridiche legate ai singoli territori di cui è formato l’Impero. La potenza dei re tedeschi si fonda sui beni di famiglia: le loro capacità finanziarie sono legate anzitutto al patrimonio familiare[38]. A partire dall’XI secolo, così come si precisano meglio i caratteri della signoria territoriale, si delineano anche quelli della potestà imperiale anche in rapporto ai possedimenti dinastici della casata che occasionalmente esprimeva la persona dell’Imperatore. Se il Principe si fa legislatore, ciò accade solo in vista della migliore amministrazione del suo patrimonio, e all’interno della funzione di giustizia, come strumento per eliminare le consuetudini inique e sostituirle con norme ispirate al superiore principio dell’aequitas che divenuta volontà del sovrano diveniva aequitas constituta[39]. L’intervento del sovrano avviene dunque in forza della necessitas generata dalla malizia del mondo, connessa alla sua senescenza[40].

Ancora quando il Barbarossa assume il potere, la Germania era articolata in una pluralità di ordinamenti particolari, costituenti unità di varia dimensione. A seguito di sistemazioni territoriali successive, si erano venuti delineando nuovi accorpamenti: le regioni meridionali della Svevia, della Baviera e della Carnia; le regioni settentrionali della Sassonia, quelle orientali della Boemia, quelle occidentali della Lotaringia. Intanto, ai confini del Nord, al di là dell’Elba era nata la nuova marca del Brandenburgo, così come a Sud quella dell’Austria. Esistevano anche delle realtà minori, come le contee delle Fiandre, del Lussenburgo, dell’Olanda, dell’Arcivescovado del Salisburgo. Inoltre rientravano nell’Impero anche le contee di Borgogna, nonché le terrae imperii italiane.

L’estendersi delle paci di Dio ad intere aree geografiche può far pensare all’affermazione di un potere imperiale maggiormente accentrato e organizzato; ma in realtà l’Imperatore era tenuto a muoversi all’interno dei paletti posti dai diritti delle grandi famiglie dell’Impero, soprattutto perché, sebbene l’Imperatore venisse incoronato a Roma, la carica imperiale dipendeva dai più importanti principi tedeschi. L’elezione dell’Imperatore si viene consolidando proprio nell’XI secolo. Quando, nel 1002, viene eletto imperatore il duca di Baviera, questi deve preventivamente giurare di rispettare il diritto dei Sassoni: è l’inizio delle cosiddette “capitolazioni elettorali” con cui gli elettori condizionavano l’elezione del candidato e questi vincolava la propria politica successiva.

Si può, con la Munzel-Everling, vedere qui l’idea – riconducibile al liber extra – di una effrenata potestas: esiste un diritto sotto la cui signoria anche il re vive e da cui egli stesso è condizionato, ma che da lui può essere recte definitum da lui e dai suoi Grandi. Il diritto permane eterno, ma la sua concreta espressione giace nelle mani del re e dei suoi consiglieri. In tal modo la dottrina della necessità di una conferma delle consuetudini, di matrice canonistica, ha portato a concepire la consolidazione del diritto come un compito del sovrano. Se pure, come rileva Cortese, il binomio servizio-beneficio tende a prevalere sul binomio vassallaggio-beneficio[41], in tempo di pace il re aveva il dovere di manifestare il diritto e di confermarlo mercé documenti. Ogni persona era soggetta al diritto che ad essa spettava secondo la sua origine, cioè la sua stirpe e il suo ceto. Così il Barbarossa “il buon Barbarossa”, come lo descrive Dante (Purgatorio, XVIII, 19), dovette condannare Enrico il Leone di Baviera e di Sassonia secondo il diritto svevo, perché Enrico il Leone apparteneva al ramo guelfo degli Svevi e non aveva potuto trarlo davanti al tribunale feudale del regno. Ciò è tanto più interessante, in quanto la controversia riguardava la titolarità dei diritti ereditari in Svevia, Franconia e nell’Italia centro-settentrionale[42].

Il diritto è di origine divina: lo fa comprendere chiaramente l’Incipit – Humanum genus duobus regitur – di un manoscritto del Decretum Gratiani che illustra la lettera H mostrando chiaramente come sia Cristo stesso a consegnare al Papa il libro – simbolo del potere spirituale nonché del fondamento di ogni disposizione normativa – e al re la spada – simbolo del potere temporale vale a dire di giudicare e fare eseguire le sentenze[43].

Tuttavia aleggiava, alimentato anche dalla Chiesa che rivendicava a sé la cosiddetta traslatio imperii, il ricordo dell’Impero di Roma, sotto la cui egida era nato Cristo[44] e del mito di Carlo Magno, elevato all’onore degli altari a opera di Federico Barbarossa (1165). E incombe la non pianificata ma utilissima rinascita dello studio scientifico del diritto romano: diritto romano e diritto tedesco non verranno considerati in contrasto fra loro, ma quali espressioni diverse dello stesso ordinamento giuridico.

Un convegno di qualche anno addietro organizzato da G. Dilcher e D. Quaglioni ha attirato l’attenzione sulla politica di attenzione di Federico I Barbarossa verso la natura giuridica dell’Impero e della potestà dell’Imperatore, politica grazie alla quale i diritti imperiali assumono una coloritura nuova: dalla definizione dei diritti patrimoniali demaniali a lui spettanti come superiore autorità unitaria della nazione germanica, che Federico I sollecitò dai quattro dottori allievi di Irnerio[45], alla dimensione pattizia delle relazioni di potere all’interno dell’Impero, e al moto di scientificizzazione del diritto ad opera dei nuovi maestri della scuola di Bologna[46] che sulla scorta dei testi giustinianei attribuiscono all’Imperatore il ruolo di conditor legum. Non si può non riflettere su quanto il rapporto con la Scuola di Bologna e la definizione della regalie che ne derivò abbia influito sui successivi movimenti di Federico I[47]. Tuttavia questo Imperatore appartiene ancora alla dimensione di un potere fondato sul consenso: egli reclama la preminenza rispetto ai principi dell’Impero, senza fare un uso reale di quel potere legislativo che il diritto romano gli avrebbe riconosciuto. Diversa la posizione del nipote: Federico II si ispira non solo agli imperatori della tarda antichità e forse anche al califfato islamico, ma soprattutto si fa forte dei poteri della monarchia normanna: Ruggero II aveva dichiarato che era suo compito sì difendere con le armi il regno, ma anche fare giustizia, il che voleva dire non solo garantire l’osservanza dei diritti già vigenti, ma anche “reformare iustitiae … simul et pietatis itinera, ubi videmus eam et mirabiliter esse distortam”[48]. Il puer Apuliae, lo stupor mundi si fa legislatore in forza di una propria specifica competenza legislativa. Ma così agisce limitatamente al suo Regnum Sicilie ove, promulgando il Liber augustalis definisce il monarca “patrem et dominum in edendo iustitiam et editam conservando[49].

Certo, il mantello splendente dei poteri sovrani confezionato dai giuristi bolognesi sulla scorta del diritto romano giustinianeo (ma anche sulla base dei poteri del pontefice) volentieri sarebbe stato indossato dagli imperatori svevi, come poi dai sovrani francesi, ma così non fu. Anche quando Federico I assume la veste di legislatore ciò non significa l’assunzione del diritto romano quale diritto dell’Impero (ciò non avviene prima del XV secolo) ma l’esercizio di un potere di natura feudale[50]. La costruzione teoretica di un Impero dotato di potestà legislativa faceva a pugni con la realtà politico-costituzionale dell’Impero medievale, la quale piuttosto si rifletteva nel diritto feudale e nella partizione di diritti e doveri fra signore e vassallo recepita dal Sachsenspiegel. Erler dimostrò quanto originale fosse la normativa applicata dal tribunale imperiale di Ingelheim[51] e secondo Wieacker il diritto processuale ebbe come guida lo Speculum judiciale di Guglielmo Durante, nel quale affiora, nel quadro normativo offerto dalle leggi canoniche, una marcata influenza dei princìpi processuali tedeschi[52].

 

5.

Tuttavia, i sessant’anni che vanno dalla morte del primo Federico alla morte del secondo costituiscono “un periodo di grandi e irrevocabili mutamenti” come, in accordo con le riflessioni di Dilcher, afferma Quaglioni[53], e lo si rileva anche dal tono che assumono le successive compilazioni di diritto specificamente tedesco: dal XIII secolo come Kaiserrecht si intende il diritto mondano che l’Imperatore impone, secondo un nuovo orientamento circa il contenuto dei poteri del sovrano, che da custode del diritto si va mutando nel suo creatore. Se nella Dieta di Roncaglia i dottori bolognesi avevano suggerito un modello di impero di impronta romano- bizantina, e Federico II lo aveva impersonato nel suo regno siciliano, a Nord delle Alpi si affacciano ripetute affermazioni di un Kaiserrecht, il cui contenuto ben raramente rinvia al diritto romano[54] ma piuttosto a consuetudini e tradizioni native che però si intende debbano ora essere legittimate[55] dalla somma autorità. Nell’ambito della venerazione di Carlo Magno, rinnovata dall’imperatore Carlo IV, anche il diritto emanato da lui viene ad esserne santificato, come ci fa comprendere Johan von Buch[56]: la sua glossa al Landrecht lo presenta come privilegio di Carlo. Il Kaiser è padre del diritto Vater des Rechts[57], ovvero è egli stesso lebendiges Recht[58]. L’idea di un Kaiserrecht ben lungi da una identificazione con il diritto romano mostra, fra XIII e XIV secolo i primi approcci di un superamento del particolarismo medievale[59].

Lo Schwabenspiegel – che vede la luce durante il turbolento interregno seguito alla morte di Federico II e che poté terminare solo con l’elezione di Rodolfo d’Asburgo[60] – pur condividendo la distinzione in Land e Lehnrecht del Sachsenspiegel, e recependo pur sempre tradizioni germaniche altomedievali, fa maggiore spazio ai diritti romano e canonico e a leggi dell’Impero: il diritto deriva dal potere dell’Imperatore romano-germanico.

A stare ai manoscritti oggi esistenti – ci informa la Munzel-Everling – anche per il codice del 1287 cui si rivolge l’edizione del Lassberg[61], l’ambito d’origine e di maggior diffusione si collega agli Asburgo, cioè alla famiglia che è riuscita a ottenere la corona imperiale e che la manterrà, di elezione in elezione, per il mezzo millennio successivo, fino alla fine[62].

 

6.

Il Kleine Kaiserrecht, che compare a metà del XIV secolo nella regione di Francoforte sul Meno sin dall’inizio proclama essere Liber imperatoris (ovvero Das Keysers Recht).

Se nel Sachsenspiegel e nel Deutschenspiegel ci si riferisce al Kaiser solo in termini generici, la nuova compilazione riconduce tutto il diritto al Kaiser e al Reich. Redatto probabilmente da Rudolf von Sachsenhausen, un ministeriale dell’Impero, il Kleine Kaiserrecht è diviso in quattro libri: il primo consta di 41 capitoli e tratta dell’amministrazione della giustizia e dell’ordinamento processuale. Il secondo, di 137 capitoli, tratta di diritto territoriale penale e mercantile, contiene anche particolareggiate disposizioni circa i beni dell’Impero; il terzo contiene la normativa relativa al diritto feudale limitatamente ai ministeriali dell’Impero; il quarto il diritto delle città dell’Impero. Ne sussistono cinquanta esemplari fra manoscritti frammenti ed excerpta. La Munzel-Everling ci informa che i primi frammenti si trovano nello Hessen e datano dal XIV secolo, i più recenti manoscritti sono del XVI secolo e della città di Nimega. Il primo manoscritto completo – con 227 capitoli di cui dieci in lingua latina – è per l’appunto quello di Corvey, da cui prende le mosse l’edizione della Munzel-Everling.

Anche qui, nello stesso titolo Liber imperatoris del cap. 1,1 viene confermata la competenza regia in materia legislativa. Vi si ritrovano anche norme recepite dal diritto romano o da quello canonico[63]. Così, ad esempio, la distinzione – propria del diritto canonico – fra consuetudini buone e cattive, e il divieto di seguire la vnrechte gewonheit[64], il principio pacta sunt servanda[65], il principio ne bis in idem del diritto romano[66], il juramentum de calumnia[67], lo jus repraesentationis delle Novelle[68]. Ma più frequentemente diritti e doveri dei sudditi sono tratti dal diritto cittadino e dalle consuetudini di Francoforte sul Meno come la regolamentazione della mercatura, il diritto di insediamento, il cosiddetto Mantelrecht, le norme in tema di Allmende e Markwald[69].

Particolare menzione ha nel Kleine Kaiserrecht la successione nella eredità familiare, il possesso in mano comune e la divisione dei frutti derivanti da un bene feudale: problematiche che interessavano la cavalleria fra XII e XIII secolo in vista della tutela dell’unità e coerenza dei beni che della famiglia costituivano il fondamento economico e cetuale. Importante è anche la possibilità della successione femminile nel feudo secondo il diritto feudale di Fulda[70]. Infine, oltre al divieto del duello giudiziario[71] che accoglie gli orientamenti bolognesi[72] e che indica la volontà del Kaiser di affermare la propria giurisdizione, sono rilevanti gli obblighi cui è chiamato a rispondere il giudice. Oltre alla nascita legittima e alla perfetta integrità gli si chiede di essere, in quanto rappresentante del sovrano, eyn grimmender lewe, un leone ruggente[73]: egli dovrà trattare allo stesso modo sia il povero sia il ricco[74]. Benché il medioevo non inclini alla formulazione astratta del principio, era chiaro che l’uno e l’altro – pauper ac dives – dovessero essere equiparati e trattati dal giudice alla stessa maniera, pur nel rispetto dei diritti di ciascuno.

L’uguaglianza di fronte alla legge era compromessa, nel Medioevo, non solo se il giudice non teneva conto delle ragioni della parte più debole, ma anche se differiva la causa a favore del ricco e del potente. La Chiesa, anzi, raccomandava al giudice di trattare con preferenza le personae miserabiles: vedove, orfani, minorenni, e mendicanti[75]. Il Kleine Kaiserrecht si dedica diffusamente alla rottura del matrimonio, con prescrizioni sorprendentemente egualitarie. L’uomo che avesse sorpreso la moglie con un altro non aveva il diritto di farsi giustizia da sé: poteva portarla davanti al giudice ovvero cacciarla senz’altro di casa, senza tuttavia punirla[76]. Se non voleva più averla con sé doveva d’allora in poi vivere castamente, senza prendere con sé nessun’altra donna; perché in tal caso, se la prima se ne fosse accorta, sarebbe potuta tornare ad essere sua moglie. Se viceversa fosse stato l’uomo a rompere la fede matrimoniale, e andare con un’altra donna, pur cambiando città non si sarebbe potuto mai più liberare dalla minaccia d’essere arrestato[77].

Nel Sachsenspiegel, Eike von Repgow lega chiaramente insieme giustizia ed eguaglianza: «Dio ha formato a Sua immagine l’uomo e lo ha redento col Suo martirio, tanto questo quanto quello. A lui il povero è parente come il ricco»[78]. Il risultato cui perviene Eike è che la mancanza di libertà riposa sulla violenza, benché venga fatta passare come fondata sul diritto.

Il Kleine Kaiserrecht si pronuncia contro la servitù della gleba, specialmente con riguardo alle città imperiali: «dal momento che mai il Kaiser dà un uomo ad un altro perché gli appartenga, così che quello possa farne ciò che vuole, pertanto ciò non può accadere. E di conseguenza mai un uomo può appartenere ad un altro perché nessuno a buon diritto può dire: quell’uomo mi appartiene»[79]. E in tre capitoli ribadisce che nessuno può legalmente dare sé stesso ad un altro così che quello abbia diritto di vita o di morte su di lui[80], perché chi prende il corpo di un uomo per ucciderlo, quegli si ritiene più in alto dell’Imperatore. Certamente un testo esplosivo. Se Peter Landau[81], lo avvicina al discusso testo del Decretum Gratiani che introduce la distinzione fra lex publica e lex privata, ove la seconda figura[82] come fondamento della libertà[83], la Munzel-Everling ricorda come da Guglielmo d’Ockham – che riprende il concetto che fra i Cristiani il diritto va concepito come lex libertatis – derivi l’ipotesi di una norma fondamentale superpositiva che dal diritto canonico poté offrire una anticipazione del pensiero costituzionale dell’età moderna. Ockham era consigliere di Luigi IV di Baviera ed ebbe una grande influenza sul suo pensiero e la sua prassi politica. Ma anche Rudolf von Sachsenhausen (cui la Munzel-Everling attribuisce la paternità del Kleine Kaiserrecht) era un consigliere dell’Imperatore oltre che suo feudatario, e questo poté tradursi in una concezione sorprendentemente libertaria della sua opera[84].

La recente nuova edizione del Kleine Kaiserrecht non si limita insomma a fornirne l’edizione completa, ma sottolinea anche come dal pensiero del suo autore emerga l’auspicio di un rafforzamento dell’autorità imperiale e di un diritto capace di superare consuetudini e diritti di stirpe, benché l’effettivo contenuto del testo sia un miscuglio del diritto dei ministeriali dell’Impero e di consuetudini della città di Francoforte. Per la ricerca storica, la sua importanza sta dunque proprio nell’aver contribuito alla evoluzione della posizione del principe delineatasi nell’impero degli Staufen verso quella di un conditor legum fonte suprema dell’ordinamento giuridico.

 

 



* L’a. ringrazia l’amica Linde Munzel Everling per il materiale bibliografico inviatole, che le ha grandemente reso più facile e rapido il lavoro.

[1] D. MUNZEL-EVERLING, Das Kleine Kaiserrecht. Text und Analyse eines mittelalterlichen Rechtsbuches, Wiesbaden 2019, di qui citato come Kl. Kr.

[2] Die Innsbrucker Handschrift des Kleinen Kaiserrechtes. Eine Untersuchung ihrer Verwandtschaft mit der Eschweger und der Kreuznacher Handschrift sowie die Auswertung der in ihr verzeichneten Notizen über Rechtsgewohnheiten zu Mainz, Frankfurt und Ingelheim, Rechtsbücherstudien, hrg. G. Gudian, Band I, Aalen 1974.

[3] Precedenti edizioni del Kleine Kaiserrecht sono: Der Kaisers Recht. Das Kleine Kaiserrecht, entnommen dem Flörsheimer Gerichtprotokollbuch von 1447-1613, hrg. vom Magistrat der Stadt Flörsheim am Main, 3 Teile Faksimile-Transkription – Erläuterungen, Flörsheim 2003; cui è seguita una edizione digitale: Das Kleine Kaiserrecht. Eine Einführung, Wiesbaden 2008.

[4] Vedi la bibliografia in D. MUNZEL–EVERLING, Kl. Kr., cit. (nota 1), 588-590.

[5] In molte donazioni longobarde si precisa che i beni oggetto dell’atto si intendono trasferiti cum omnibus suis iuribus: la libertà di disposizione dei nuovi concessionari incontra dunque dei limiti negli usi che in qualche modo tendono a “realizzarsi”, a divenire una qualità della res, del territorio, in un modo che già suggerisce il riemergere del criterio territoriale di applicazione del diritto: vedi L. BUSSI, Terre comuni ed usi civici. Dalle origini all’alto Medio Evo, in Storia del Mezzogiorno, III, Napoli 1990, 280.

[6] E.M. MEIJERS, Contribution à l’histoire du droit international privé et pénal en France et dans les Pays-Bas aux XIII et au XIV siècles, in Recueil des cours, 49 (1934-III), 543-686.

[7] M. CARAVALE, Ordinamenti giuridici dell’Europa medievale, Bologna 1994, 171.

[8] K. KROESCHELL, Recht und Rechtsbegriff im 12. Jahrhundert, in Probleme des 12. Jahrhunderts (Vorträge und Forschungen 12, 1968), 309-335. Cfr. G. KÖBLER, Das Recht im frühen Mittelalter, Köln 1971; J. WEITZEL, Der Grund des Rechts in Gewohnheit und Herkommen, in Die Begründung des Rechts als historisches Problem, hrg. D. Willoweit u. E. Müller-Luckner, München 2000, 141.

[9] D. MUNZEL-EVERLING, Deutsche Rechtsbücher des 13. und 14. Jahrhunderts und ihre Deutung als “Kaiserrecht”, in Beiträge zur Rechtsgeschichte Österreichs 2020, 1 (dell’estratto).

[10] La nuova versione integrava gli elementi consuetudinari avvalendosi anche del diritto romano A. Padoa Schioppa, Storia del diritto in Europa. Dal Medioevo all’età contemporanea, Bologna 2007, 181.

[11] Che poneva il raffronto tra diverse consuetudini ed attuava riferimenti non solo alla giurisprudenza del Parlamento di Parigi, ma anche ai princìpi del diritto romano. PHILIPPE DE BEAUMANOIR, Coutumes de Beauvaisis, ed. A. Salmon, Paris 1899-1900 (2 voll.).

[12] Le grand coutumier de France, ed. d’Ablaing-Laboulaye, Paris 1868.

[13] In tema vedi ultimamente R. SCHEEL, Narrating Law and Laws of Narration in Medieval Scandinavia, Walter de Gruyter GmbH & Co KG, 2020.

[14] D. MUNZEL-EVERLING, Der Sachsenspiegel. Die Heidelberger Bilderhandschrift, Faksimile-Transkription- Übersetzung. Bildbeschreibung, Interaktive CD-Rom PC/MAC, Heidelberg 2009. Vedi anche R. SCHMIDT-WIEGAND, Die Wolfenbütteler Bilderhandschrift des Sachsenspiegels. Aufsätze und Untersuchungen. Kommentarband zur Faksimile-Ausgabe, Berlin 1993; H. LÜCK, Der Sachsenspiegel. Das berühmteste deutsche Rechtsbuch des Mittelalters, Darmstadt 2017.

[15] Lo studio del Sachsenspiegel si deve a Karl Gustav Homeyer che dal 1827, sulla base del manoscritto berlinese del 1369 curò l’edizione del Landrecht e poi, dopo il 1842, quella del Lehnrecht. Successivamente Karl August Eckhardt dal 1955 ha lavorato sul manoscritto di Quedlimburg (vedi K.A. ECKHARDT, Sachsenspiegel I. und II. Landrecht und Lehnrecht, 1973) seguito da Clausdieter Schott e Ruth Schmidt-Wiegand. Vedi D. MUNZEL-EVERLING, Rechtsbücher, cit., 2.

[16] La glossa più importante è quella di Johann von Buch (1290-1356). Tradotto in altre lingue, l’efficacia del Sssp oltrepassò i confini del Magdeburgo, Su ciò H. LÜCK, Der Sachsenspiegel. Das berühmteste deutsche Rechtsbuch des Mittelalters, cit. IDEM, Über den Sachsenspiegel: Entstehung, Inhalt und Verbreitung des Rechtsbuches, 2013.

[17] D. MUNZEL-EVERLING, Rechtsbücher, cit., 4.

[18] Sopravvissuto in un unico manoscritto edito da J. Ficker e poi da Karl August Eckhardt (Hrsg.): Deutschenspiegel. Studia iuris Teutonici, Aalen 1971.

[19] Fu il Goldast, che procedette alla stampa del manoscritto di Lüneburg del 1404, ad aggiungere al titolo la denominazione di Schwabenspiegel che perdura sino ad oggi MUNZEL-EVERLING, op. ult. cit.

[20] MUNZEL-EVERLING, Rechtsbücher, cit., 5.

[21] PADOA-SCHIOPPA, op. cit., 179.

[22] G. DILCHER, Der mittelalterliche Kaisergedanke als Rechtslegitimation, in D. WILLOWEIT (hrg.) Die Begründung des Rechts als historisches Problem, München 2000, 153 ss. Ad accendere i riflettori su questo problema storiografico fu, nel secolo scorso, lo studio di P.E. SCHRAMM, Kaiser Rom und Renovatio. Studien und Texte zur Geschichte des römischen Erneuerungsgedankens vom Ende des Karolingischen Reiches bis zum Investiturszeit, Berlin 1929.

[23] Vedi la recensione di F. CALASSO a E. BUSSI, Intorno al concetto di diritto comune, Milano 1935, in Rivista di Storia del diritto italiano 1936; ne fa memoria E. CORTESE, Meccanismi logici dei giuristi medievali e creazione del diritto comune, in M.G. Di Renzo Villata (a cura di-), Il diritto fra scoperta e creazione. Giudici e giuristi nella storia della giustizia civile, Napoli 2003, 331.

[24] G. ERMINI, Corso di diritto comune, I, Genesi ed evoluzione storica elementi costitutivi, fonti, Milano 1946, 21 e ss. Più sfumata la posizione di E. CORTESE, Il rinascimento giuridico medievale, 2a ed., Roma 1996, 34.

[25] F. CALASSO, Il concetto di diritto comune, in Archivio giuridico CXI, 1934, ora in Introduzione al concetto di diritto comune, Milano 1951, 33.

[26] G. CASSANDRO, Lezioni di diritto comune I, Napoli 1971, 79. Per E. Bussi il pensiero scientifico avrebbe costituito il vero elemento comune e unitario nella vita del diritto in tutto il travagliato e faticoso corso dei secoli dell’età di mezzo. Questa unità avrebbe consentito il formarsi di una generalis opinio fra i giuristi, alla quale il Bussi connette il concetto di ciò che egli ritiene essere stato il diritto comune: questo si identificherebbe con: “l’insieme dei principi, delle costruzioni giuridiche e delle risoluzioni pratiche rispettivamente formulate create od escogitate dalla dottrina”. Vedi E. BUSSI, Intorno al concetto di diritto comune, Milano 1935, 55.

[27] In questo senso E. Bussi, Evoluzione storica dei tipi di Stato, Cagliari 1970, 145 e ss.; P. GROSSI, L'ordine giuridico medievale, Bari 1995; D. QUAGLIONI, La sovranità, Bari 2004.

[28] M. STOLLEIS, Geschichte des öffentliches Recht in Deutschland, I, 1600-1800, München 1988, 43 ss.

[29] E. BUSSI, Evoluzione, cit., 145 e ss.; G. DILCHER, Herrschaft und Rechte des Herrschers: von Friedrich Barbarossa zu Friedrich II., in Gli inizi del diritto pubblico, 2, cit., 12.

[30] C.H. Haskins, The Renaissance of the 12th Century, tr. it. La rinascenza del dodicesimo secolo, Bologna 1972.

[31] G. CASSANDRO, Lezioni di diritto comune, Napoli 1971, 16.

[32] P. GROSSI, L’ordine giuridico medievale, Bari 1995, 137. Questa anche la tesi di E. BUSSI, che prende corpo nei due volumi de La formazione dei dogmi di diritto privato nel diritto comune. Studi di diritto privato italiano e straniero diretti da Mario Rotondi, vol. XXVII: diritti reali e diritti di obbligazione; vol. XXVII bis: contratti, successioni, diritti di famiglia, Padova 1937.

[33] Secondo Cortese la Cronaca di Burcardo di Biberach (Burchardi et Cuonradi Urspergensium, Chronicon, in MGH, SS, XXIII, 242) attesterebbe che l’intento della contesta Matilde sarebbe stato quello di chiedere a Irnerio di renovare libros legum per restituire loro la forma che aveva dato loro Giustiniano. Avrebbe avuto, cioè, un intento filologico. Vedi E. CORTESE, Alle origini della scuola di Bologna, in Rivista di diritto comune 4, 1993, 28.

[34] Ed. H. Kantorowicz, Rechtshistorische Schriften, rist. 1970, 250-251.

[35] In questo senso si può supporre fondamentale la figura di Pepo: vedi su ciò E. CORTESE, Théologie, droit canonique et droit romain aux origines du droit savant (XIe –XIIe s.), in Académie des inscriptions & Belles–Lettres, Comptes rendus 2002 janvier-mars, 63.

[36] Lo fa notare M. CARAVALE, Federico II e il diritto comune, in Gli inizi del diritto pubblico, cit., 88.

[37] Consuetudines feudorum, Antiqua VII, 1; Vulgata II, 1, ed. Lehmann, Consuetudines feudorum 2, 115.

[38] DILCHER, Der mittelalterliche Kaisergedanke, cit., 157

[39] Questo il pensiero della Scuola di Bologna: «I quattro discepoli di Irnerio e i loro seguaci distinguevano tre tipi di equità: a) nondum constituta; b) ipsum jus; c) id quod pro iure habetur. Ma codesta tripartizione, se si accetta la ricostruzione della materia codicis secundum Irnerium è già nel suo fondatore». Così G. CASSANDRO, Lezioni di diritto comune, cit., 130.

[40] Vedi A. ERLER, Weltalter, in HRG, 5, 1998, 1258.

[41] E. CORTESE, Le grandi linee della storia giuridica medievale, Roma 2000, 167.

[42] Su ciò L. BUSSI, Fra unione personale e stato sovranazionale. Contributo alla storia della formazione dell’Impero d’Austria, Milano 2003, 100 e ss.

[43] Biblioteca Apostolica Vaticana, Ms. Lat. 1366, f.1.

[44] Su ciò W. GOETZ, Translatio Imperii. Ein Beitrag zur Geschichte des Geschichtsdenkens und der politischen Theorien im Mittelalter und in der frühen Neuzeit, Tübingen 1958; É. GILSON, Humanisme médiéval et Renaissance, in Humanisme et Renaissance, Paris 1930.  

[45] Ne fa fede la cronaca di Ottone di Frisinga: «... requisitisque de hoc iure quid esset, adiudicaverunt ducatus marchias, comitatus, consulatus, monetas, telonia, fodrum, vectigalia, portus, pedatica, molendina, piscaria, pontes, omnemque utilitatem ex decursu fluminum provenientem, nec de terra tantum, verum etiam de suis propriis capitibus census annui redditionem». Vedi Gesta Friderici primi imperatoris, in MGH, Scriptores, XX, Hannoverae 1868, 447.

[46] D. QUAGLIONI, Diritto e potere nell’età di Federico II, in Gli inizi del diritto pubblico, 2. Da Federico I a Federico II, Die Anfänge des öffentlichen Rechts, 2. Von Friedrich Barbarossa zu Friedrich II., (a cura di G. Dilcher – D. Quaglioni), 29.

[47] Su ciò H.J. BERMAN, Recht und Revolution. Die Bildung der westlichen Rechtstradition, Frankfurt a.M. 1991.

[48] M. CARAVALE, Federico II, cit., 94. O. ZECCHINO, Le assise di Ariano, Cava dei Tirreni 1984, 22.

[49] M. CARAVALE, Federico II, cit., 95.

[50] Si pensi alla costituzione di Federico I relativa alla pace dell’Impero, recepita nei Libri Feudorum e di qui nel Volumen: «Haec edictali lege in perpetuo valitura iubemus, ut omnes nostro subiecti imperio veram et perpetuam pacem inter se observent: et ut inviolatam inter omnes in perpetuo observent duces marchiones, comites, capitanei valvasores et omnium locorum rectores cum onmibus locorum primatibus et plebeis». LL.FF, II, 53, ed. Lugduni 1558, 102.

[51] A. Erler, Die älteren Urteile des Ingelheimer Oberhofes, Frankfurt am Main 1952.

[52] F. WIEACKER (Privatrechtsgeschichte der Neuzeit unter besonderer Berücksichtigung der deutschen Rechtsentwickelung, Göttingen 1952) Storia del diritto privato moderno con particolare riguardo alla Germania (trad. U. Santarelli), Milano 1980, 196.

[53] D. QUAGLIONI, Diritto e potere nell’età di Federico II, in Gli inizi, cit., 29.

[54] H. KRAUSE, Kaiserrecht und Rezeption, in Abhandlungen der Heidelberger Akademie der Wissenschaften, Philosophisch-Historische Klasse 1952, 1.

[55] Su ciò G. DILCHER, Der mittelalterliche Kaisergedanke, cit., 169-170.

[56] MUNZEL-EVERLIN, Rechtsbücher, cit., 8.

[57] Glossa a I, 18.

[58] Glossa a III, 78 §2.

[59] MUNZEL-EVERLIN, Rechtsbücher, cit., 8.

[60] Dopo la morte di Federico II e diversi lustri di interregno, e contro la volontà di Ottocaro di Boemia che aveva posto la propria candidatura, il 1° ottobre 1273 venne eletto imperatore il conte Rodolfo d'Asburgo. Il quale ottenne che la dieta, convocata a Norimberga il 19 novembre dell'anno successivo, decidesse che tutti quei feudi che facevano parte dell'Impero al tempo della deposizione di Federico II (1245), dovessero tornare all'Impero quando il loro dominus non se ne fosse fatta rinnovare l'investitura dal nuovo Imperatore entro un anno e un giorno. Su ciò L. BUSSI, Fra unione personale, cit., 115.

[61] F. von LASSBERG, Der Schwabenspiegel oder schwäbisches Land- und Lehen Recht. Nach einer Handbuch vom Jahr 1287, Tübingen 1840.

[62] L. BUSSI, op. ult. cit.

[63] D. MUNZEL-EVERLING, Kl. Kr., 9.

[64] Kleine Kaiserrecht, II, 47; vedi D. MUNZEL-EVERLING, Kl. Kr., 462.

[65] Kleine Kaiserrecht, II, 39: vedi D. MUNZEL-EVERLING, Kl. Kr., 459. Cfr. Quaestiones de iuris subtilitatibus, VIII, 9, ed. G. Zanetti, Firenze 1958, 38: Pacta neque contra leges neque dolo inita, omnimodo servanda sunt”. Si può confrontare questa formulazione con quella, simile, proposta dal diritto canonico, il cui passo normativo più antico, il c. 12 Antigonus del concilio di Cartagine del 348, incluso da Bernardo da Pavia nel Breviarium extravagantium e poi da Raimondo di Peñafort nella Compilazione di Gregorio IX (c.1, X, I, 25) sanciva: «Unde, aut inita pacta suam obtineant firmitatem, aut conventus, si se non cohibuerit, ecclesiasticam sentiat disciplinam. Dixerunt universi: pax servetur, pacta custodiantur».

[66] Kleine Kaiserrecht, II, 64: vedi D. MUNZEL-EVERLING, Kl. Kr., 470.

[67] Kleine Kaiserrecht, I, 21: vedi D. MUNZEL-EVERLING, Kl. Kr., 436.

[68] Kleine Kaiserrecht, II, 13, 34 e IV, 11: vedi D. MUNZEL-EVERLING, Kl. Kr., 448, 457, 531.

[69] Vedi D. MUNZEL-EVERLING, Kl. Kr., 470. D. und E. MUNZEL, Die Bestimmungen des Kleinen Kaiserrechtes über Allmende und Markwald, in Festschrift für Adalbert Erler. Rechtsgeschichte als Kulturgeschichte (hrg. H.-J Becker, G. Dilcher, G. Gudian, E. Kaufmann, W. Sellert), Aalen 1976.

[70] E’ appena il caso di ricordare quanto problematica fosse la successione femminile nei feudi dell’Impero e questo poté tradursi in una concezione sorprendentemente libertaria. In tema vedi L. BUSSI, La successione femminile nei feudi imperiali: il caso di Margherita Maultasch, in Orientamenti civilistici e canonistici sulla condizione della donna. Atti del Seminario internazionale di Roma 28-29 ott. 1991, Napoli 1996. 

[71] In tema M. CAVINA, Il sangue dell’onore. Storia del duello, Bari 2005.

[72] «… l’Imperatore ha proibito che ad alcuno sia lecito col diritto delle armi sfidare un altro o i suoi per i suoi beni o debiti al di fuori della città ovvero assediarlo». Kleine Kaiserrecht, II, 73: vedi D. MUNZEL-EVERLING, Kl. Kr., 473.

[73] D. MUNZEL-EVERLING, Der rechter sal syn eyn grimmender lewe. Der Löwe als Rechtssymbol – Eine Studie, in Signa juris XV, 2016.

[74] Kleine Kaiserrecht, I, 6; vedi D. MUNZEL-EVERLING, Kl. Kr., 429.

[75] A. ERLER, Armenrecht, in Handwörterbuch zur Deutschen Rechtsgeschichte, 1, 228.

[76] Kleine Kaiserrecht, II, 22-23; vedi D. MUNZEL-EVERLING, Kl. Kr., 451-52.

[77] Kleine Kaiserrecht, II, 89, 91-92; vedi D. MUNZEL-EVERLING, Kl. Kr., 479-481.

[78] Sachsenspiegel, III, 42.

[79] Kleine Kaiserrecht, IV, 8; vedi D. MUNZEL-EVERLING, Kl. Kr., 529.

[80] Kleine Kaiserrecht, I, 38-40; vedi D. MUNZEL-EVERLING, Kl. Kr., 442.

[81] P. LANDAU, Reflexionen über Grundrechte der Person in der Geschichte des kanonischen Rechts, in ID., Europäische Rechtsgeschichte und kanonisches Recht im Mittelalter. Ausgewählte Aufsätze aus den Jahren 1967 bis 2006, Badenweiler 2013, 111–129.

[82] G. OCKHAM, III Dialogus, I. In tema vedi T. SHOGIMEN, Ockham and the political discourse in the late Middle Ages, Cambridge 2007, 174:«… not in the sense that a Christian is not obliged to be obedient to anyone else, but in the sense that under this law no one is subject to any kind of servitude as great as or greater than the Old Law».

[83] Decretum Gratiani (ed. Friedberg), C. XIX, q.2, c2: 1. Lex uero priuata est, que instinctu S. Spiritus in corde scribitur, sicut de quibusdam dicit Apostolus:Qui habent legem Dei scriptam in cordibus suis,” et alibi: “Cum gentes legem non habeant, si naturaliter ea, que legis sunt, faciunt, ipsi sibi sunt lex”.Si quis horum in ecclesia sua sub episcopo populum retinet, et seculariter uiuit, si afflatus Spiritu sancto in aliquo monasterio uel regulari canonica saluare se uoluerit, quia lege priuata ducitur, nulla ratio exigit, ut a publica lege constringatur.

Dignior est enim lex priuata quam publica. Spiritus quidem Dei lex est, et qui Spiritu Dei aguntur lege Dei ducuntur; et quis est, qui possit sancto Spiritui digne resistere? Quisquis igitur hoc Spiritu ducitur, etiam episcopo suo contradicente, eat liber nostra auctoritate. Iusto enim lex non est posita, sed ubi Spiritus Dei, ibi libertas, et si Spiritu Dei ducimini, non estis sub lege.

[84] MUNZEL-EVERLING, Rechtsbücher, cit., 11.