Tradizione-Romana-2021

 

 

Arcaria-fotoFRANCESCO ARCARIA

Università di Catania

 

L’oratio Severi de praediis pupillorum ed il praetor urbanus

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SOMMARIO: 1. D. 50.16.198: il concetto di ‘urbana praedia. – 2. D. 23.5.5: Giuliano ed Ulpiano. – 3. D. 27.9.6: l’oratio Severi, la proprietà e l’usufrutto del fondo. – 4. D. 27.9.8: l’oratio Severi, il divieto di alienare i beni dei pupilli o degli adulescentes ed il praetor urbanus. Abstract.

 

 

1. – D. 50.16.198: il concetto di ‘urbana praedia

 

Sotto la rubrica «De tutelis et curis. 2. De alienationibus prohibitis (ad orationem d. Severi)», la prima ad essere inserita dal Lenel[1] all’interno del secondo libro del De omnibus tribunalibus di Ulpiano, sono ricompresi quattro frammenti, dei quali il primo è

 

D. 50.16.198 (Ulpianus libro secundo de omnibus tribunalibus): ‘Urbana praedia’ omnia aedificia accipimus, non solum ea quae sunt in oppidis, sed et si forte stabula sunt vel alia meritoria in villis et in vicis, vel si praetoria voluptati tantum deservientia: quia urbanum praedium non locus facit, sed materia. Proinde hortos quoque, si qui sunt in aedificiis constituti, dicendum est urbanorum appellatione contineri. Plane si plurimum horti in reditu sunt, vinearii forte vel etiam holitorii, magis haec non sunt urbana.

 

Il giurista chiarisce che per ‘urbana praedia’ si intendono tutti gli edifici (‘Urbana praedia’ omnia aedificia accipimus), non solo quelli che si trovano nelle città (non solum ea quae sunt in oppidis), ma anche (sed et) quelli, «si forte stabula sunt vel alia meritoria»[2], che sono ubicati nelle campagne e nei villaggi (in villis et in vicis)[3] o le lussuose case di campagna[4] (vel si praetoria voluptati tantum deservientia), perché non il è luogo, ma la loro «materia»[5] a rendere urbanus un fondo (quia urbanum praedium non locus facit, sed materia)[6]. Pertanto, anche gli horti (Proinde hortos quoque), se mai ve ne sono all’interno degli edifici (si qui sunt in aedificiis constituti)[7], sono da ricomprendere nella denominazione di fondi urbani (dicendum est urbanorum appellatione contineri) e certamente (Plane), se gli horti di grande estensione producono una rendita, in quanto, ad esempio, coltivati a vite o ad olive (si plurimum horti in reditu sunt, vinearii forte vel etiam holitorii)[8], questi, al contrario, non sono qualificabili come urbani[9] (magis haec non sunt urbana).

Il testo, indagato approfonditamente in tutti i suoi aspetti dalla Mentxaka[10], laddove fa coincidere i ‘fondi urbani’ con gli ‘edifici’[11], cioè i «fondi fabbricati»[12], e giustifica questa parificazione con il richiamo non al luogo ma alla destinazione del fondo, contrappone dunque al risalente criterio discretivo, di natura topografica e basato sulla distinzione tra città e campagna, un nuovo parametro valutativo, che appare il frutto vivo di un processo di sviluppo pratico e costruttivo certamente non esulante dal diritto classico[13]. Ciò che, in effetti, sembra dimostrato anche dalla seconda parte del frammento, nella quale Ulpiano specifica meglio il nuovo criterio occupandosi di quelle aree, come gli horti, che accedono agli aedificia e che, a seconda dei casi, possono configurarsi come urbani o, al contrario, rustici.

Ora, come si evince chiaramente da due (D. 27.9.6 e 27.9.8) dei tre frammenti che sono inseriti dal Lenel nell’or ora ricordata rubrica «De tutelis et curis. 2. De alienationibus prohibitis (ad orationem d. Severi)» e che verranno in seguito esaminati, l’equivalenza tra urbana praedia ed aedificia era affermata da Ulpiano in riferimento ad un’oratio Severi del 195 d.C.[14], che, in assenza di particolari circostanze, vietava ai tutori ed ai curatori di alienare i praedia rustica vel suburbana dei pupilli e degli adulescentes: il testo di Ulpiano, pertanto, aveva «proprio lo scopo di individuare e definire i praedia non soggetti ai limiti dell’Oratio Severi»[15].

Conclusione, questa, che, però, pone all’interprete l’interrogativo se l’equiparazione tra urbana praedia ed aedificia si applicasse sempre o, al contrario, avesse valore solamente in relazione alle statuizioni di tale oratio, soluzione, quest’ultima, che sembra essere avvalorata dal fatto che il testo in esame fosse stato inserito all’interno del sedicesimo titolo (De verborum significatione) del cinquantesimo libro del Digesto con l’intento di generalizzare il concetto di praedia urbana, applicabile in origine solamente ad alcuni casi particolari, come appunto quello dell’oratio Severi[16].

 

 

2. – D. 23.5.5: Giuliano ed Ulpiano

 

Peraltro, nel secondo frammento, Ulpiano riferisce un’opinione espressa da Giuliano:

 

D. 23.5.5 (Ulpianus libro secundo de omnibus tribunalibus): Iulianus libro sexto decimo digestorum scripsit neque servitutes fundo debitas posse maritum remittere neque ei alias imponere.

 

Nel sedicesimo libro dei libri digestorum, questo giurista aveva scritto che il marito non poteva rinunciare alle servitù disposte in favore del fondo (Iulianusremittere) e nemmeno imporne ad esso altre (nequeimponere).

Quel che può immaginarsi è che si trattava, probabilmente, di una massima giurisprudenziale, finalizzata alla tutela del fondo dotale ed alla limitazione dei poteri di amministrazione del marito, originata dalla risoluzione di un caso pratico.

Tuttavia, l’evidente, seppure non esplicito, riferimento del testo alla lex Iulia de fundo dotali[17] e, insieme, la mancanza in esso del benché minimo indizio che possa ricondurre il contenuto delle affermazioni giulianee all’oratio Severi, non consente di comprendere o, comunque, immaginare quale fosse il legame intercorrente tra il richiamo del pensiero di Giuliano da parte di Ulpiano e l’oratio di Settimio Severo.

E ciò va detto nonostante lo stesso Ulpiano, in D. 27.9.3.5 [18], dopo avere precisato che l’oratio Severi non parlasse affatto dell’usufrutto (quamvis oratio nihil de usu fructu loquatur), ribadisse il parere di Giuliano, questa volta senza nominarlo espressamente, affermando che «nec servitutem imponi posse fundo pupilli vel adulescentis nec servitutem remitti, quod et in fundo dotali placuit».

 

 

3. – D. 27.9.6: l’oratio Severi, la proprietà e l’usufrutto del fondo

 

L’oratio Severi o, meglio, una sua pars viene invece ricordata da Ulpiano nel terzo frammento:

 

D. 27.9.6 (Ulpianus libro secundo de omnibus tribunalibus): Sed si forte alius proprietatem fundi habeat, alius usum fructum, magis est, ut cesset haec pars orationis, quae de divisione loquitur: nulla enim communio est.

 

Il giurista afferma che, se per avventura uno abbia la proprietà del fondo (Sedhabeat) ed un altro l’usufrutto (alius usum fructum), è preferibile (magis est) che non si applichi questa parte dell’oratio che parla della divisione (utloquitur), giacché, in questo caso, non vi è alcuna comunione (nullaest).

Ed è evidente[19] che il testo nega la possibilità di una divisio tra proprietario ed usufruttuario della medesima pars, non prendendo in alcun modo in considerazione il problema di un’eventuale divisione tra proprietario di una pars ed usufruttuario di un’altra.

 

 

4. – D. 27.9.8: l’oratio Severi, il divieto di alienare i beni dei pupilli o degli adulescentes ed il praetor urbanus

 

Infine, l’oratio Severi è citata per ben tre volte nel quarto ed ultimo frammento:

 

D. 27.9.8 (Ulpianus libro secundo de omnibus tribunalibus): Qui neque tutores sunt ipso iure neque curatores, sed pro tutore negotia gerunt vel pro curatore, eos non posse distrahere res pupillorum vel adulescentium nulla dubitatio est. 1. Sed si curator sit furiosi vel cuius alterius non adulescentis, videndum est, utrum iure veteri valebit venditio an hanc orationem admittemus. Et puto, quia de pupillis princeps loquitur et coniuncti tutoribus curatores accipiunt, pertinere: et de ceteris puto ex sententia orationis idem esse dicendum. 2. An obligari communia possint, quaeritur, sed non puto sine decreto obliganda: nam quod excepit oratio, ad hoc tantum pertinet, ut perematur communio, non ut augeatur difficultas communionis.

 

Nel principium Ulpiano chiarisce che non vi è alcun dubbio (nulla dubitatio est)[20] che coloro i quali non sono tutori «ipso iure»[21] e curatori (Quicuratores), ma gestiscono gli affari nella veste di pro tutore o di pro curatore (sedcuratore), non possono alienare i beni dei pupilli o degli adulescentes (eosadulescentium)[22].

L’Albertario[23], come meglio si specificherà più avanti, ha sostenuto l’interpolazione dell’accenno ai curatores dei minori fatto nell’oratio Severi e, conseguentemente, quella del richiamo ad essi ed agli adulescentes operato in D. 27.9.8, con la conseguenza che il testo avrebbe detto invece «Qui tutores non sunt, sed pro tutore negotia gerunt, eos non posse distrahere res pupillorum nulla dubitatio est». E che il testo discorresse originariamente unicamente di tutores e pupilli è opinione anche del Partsch[24], del Solazzi[25] – che accoglie la ricostruzione del testo ora riportata, tranne che per l’inciso «ipso iure», in ordine al quale ritiene verosimile, ma non certo, il carattere di emblema giustinianeo[26] – e, più recentemente, del Brasiello[27] e del Biscardi[28].

Di diversa opinione è stato invece il Cervenca[29], il quale ha ritenuto indimostrato il carattere spurio della menzione dei curatores e degli adulescentes, dal momento che il divieto di alienazione imposto a chi gerisce pro tutore o pro curatore appare generalizzato, concernendo tutte le «res» degli assistiti, e non già i soli praedia urbana e suburbana.

In D. 27.9.8.1, il giurista prosegue affermando che se però vi sia il curatore di un furiosus o di qualsiasi altro non adulescens (Sedadulescentis), si deve vedere se la vendita avrà valore «iure veteri»[30] o, invece, in base all’oratio Severi (videndumadmittemus). Ed a tale quesito risponde che l’oratio fosse pertinente dal momento che l’imperatore parla dei pupilli e, insieme ai tutori, dei curatori ai quali questi soggetti vengono affidati (Etpertinere) e, ancora, che degli altri soggetti affidati alla curatela si dovesse dire lo stesso sempre sulla scorta dello spirito dell’oratio (etdicendum).

Secondo il Peters[31], che riprende una breve e risalente annotazione del Rudorff[32], «daß vor pertinere etwas fehlt ist handgreiflich» e, ancora, «daß in fr. 8 D. 27, 9 coniuncti tutoribus curatores sich aus diesem Zusatz der Kompilatoren zu dem Text der Oratio erklärt und also von ihrer Hand die seltsame Form des fr. 8 stammt».

Il Partsch[33] ha invece sostituito alla frase, ritenuta interpolata, «cuius alterius non adulescentis» l’inciso «eius cui bonis interdictum est», e questa «Veränderung erklärt sich daraus, daß der Interpolator deutlich machen mußte, daß die Frage analoger Anwendung nicht für die curatores adulescentis bestand, da diese nach dem interpolierten Texte der oratio ja von dieser selbst getroffen waren. Ab ‘et puto’ ist allerdings so stark interpoliert, daß die Entscheidung des Juristen nicht geahnt werden kann». Ma di questa interpolazione non è sicuro il Lenel[34], che, però, dubita fortemente della genuinità della frase «furiosi vel cuius alterius non»[35].

Il testo è stato poi ritenuto pesantemente rimaneggiato dall’Albertario[36], secondo cui «i compilatori, per i quali la parola curatores senz’altra aggiunta indica i curatori del minore, possono ben interpolarla nell’oratio Severi e nella precedente relazione ulpianea e ciò non ostante ripetere il dubbio che, intorno all’applicabilità dell’oratio al curator furiosi, era nella giurisprudenza classica sorto. Se veramente la parola curatores, così generica, fosse esistita nell’oratio; se questa parola fosse genuina nella relazione di Ulpiano premessa al testo dell’oratio, che riporta, questo vorrebbe dire che qualsiasi curatore (nel diritto classico la parola non ha quello spiccato riferimento ai curatori del minore, che ha nel diritto giustinianeo) era dall’oratio, come i tutori, colpito; che il dubbio sull’applicabilità dell’oratio stessa a qualche curatore (il curator furiosi) né poteva sorgere né Ulpiano poteva riferirlo. Per me questa considerazione è essenziale e mi convince in modo assoluto che dei curatori del minore né nel testo dell’oratio né, conseguentemente, in questo fr. 8 fosse fatta parola. Si osservi poi come sia facile scorgere, perché, proibita dall’oratio la vendita dei praedia urbana vel rustica ai tutori, sia nella giurisprudenza subito sorta la questione se un tal principio non dovesse valere anche per il curator furiosi. Il curator furiosi si può veramente nel diritto classico ritenere coniunctus tutoribus, perché anch’egli, come questi, ha la plena administratio vice domini[37]. Dato ciò, ecco agitarsi nella giurisprudenza la questione se l’oratio, che pur parlava dei soli tutori, non fosse logicamente applicabile anche al curatore del furioso. Ma la questione non poteva agitarsi per i curatores minorum, ai quali questa facoltà non era stata mai concessa, né per tanto nell’epoca del diritto classico occorrevano restrizioni all’uopo: tanto meno, potevano venir direttamente colpiti dall’oratio i curatores minorum, mentre il curator furiosi veniva solamente colpito per l’interpretazione giurisprudenziale di quella oratio». E, da qui, la conclusione che il testo avrebbe detto «Sed si curator sit furiosi, videndum est, utrum iure valebit venditio an hanc orationem admittemus. Et puto, quia de pupillis princeps loquitur et coniuncti tutoribus curatores sunt eorum qui propter furorem vel amentiam curatores accipiunt, pertinere». Ricostruzione, questa, che si fonda sul presupposto che il lungo inciso «et coniuncti tutoribus curatores sunt eorum qui propter furorem vel amentiam curatores accipiunt», presente nel testo originario come immaginato dal Bonfante[38], fosse stato omesso dall’amanuense a causa del vicino ripetersi del termine «curatores», e che – insieme alla già ricordata intrusione[39] dei curatores accanto ai tutores e degli adulescentes accanto ai pupilli, provata anche dalla frase «quia de pupillis princeps loquitur», attestante che l’oratio concerneva solo i pupilli, e dall’inciso «et coniuncti tutoribus», del tutto inutile ove si ritenesse che l’oratio avesse già parlato dei curatores[40] – induce a ritenere che il divieto di alienazione dei fondi rustici o suburbani fosse stato introdotto per i curatori dei minori da Giustiniano[41].

Secondo il Solazzi[42], i commissari giustinianei non «avrebbero alterato tanto il passo da distruggerne il significato classico. Ulpiano poneva il quesito se l’Oratio valesse per il curator furiosi vel cuius alterius non adulescentis, non già perché l’applicabilità al curator adulescentis fosse cosa assodata, ma perché era certo il contrario. Chi non amministra non può essere compreso né nei verba né nella sententia della proibizione … Il brano è senza dubbio guasto, ed io temo per opera dei compilatori; né è facile restituire l’originale». Pertanto, lo stesso Solazzi[43] ha giudicato probabilmente spuria la frase iniziale «vel cuius alterius non adulescentis» – precisando che «o Ulpiano metteva fuori di questione il curator adulescentis, perché il quesito non lo poteva in nessun modo riguardare, o ‘non adulescentis’ è interpolato»[44] – ed ha appuntato i suoi strali su quella centrale «et coniuncti tutoribus curatores accipiunt, pertinere», dalla cui non autenticità – fondata sulla convinzione che l’oratio non menzionasse i curatori dell’adulescens e, se menzionava, insieme ai tutori, i curatori del pupillus, nessuno poteva dubitare che gli uni e gli altri fossero soggetti alle prescrizioni dell’oratio – fa discendere anche la non genuinità della frase finale «et de ceteris puto ex sententia orationis idem esse dicendum», nella quale, dietro il termine «puto», si celava un anonimo redattore postclassico che modestamente enunciava le proprie opinioni.

Infine, il Bonfante[45], in relazione all’applicabilità, supposta da Ulpiano, dell’oratio ai curatores adulescentis ed all’agitare, da parte dello stesso giurista, il dubbio solo in ordine agli altri curatores, ha affermato che «per lo meno questa preminenza del curator adulescentis è già sin d’ora per il diritto classico da escludere, sia in base ai testi citati, sia perché il curator furiosi colla sua facoltà di alienare è istituzione decemvirale, tipica, collocata, in dignità quasi allo stesso grado del tutore: sicché l’inciso vel cuius alterius non adulescentis, che presuppone invece la parità del tutor pupilli e del curator adulescentis, è da ritenere interpolato. E per vero il testo nel seguito parla soltanto dei pupilli e motiva l’estensione ai curatores furiosi con dire quia de pupillis princeps loquitur et coniuncti tutoribus curatores etc. e qui un’evidente lacuna, perché il testo continua in modo stonato con accipiunt … A me pare indubitabile e quasi intuitivo che, essendo la questione sull’applicabilità del senatoconsulto ai curatores furiosi e simili (prodigi pupilli), il testo dovesse proseguire nella parte lacunosa, coll’avvertenza che questi appunto erano coniuncti tutoribus, affini ai tutori, il che giustificava l’estensione ad essi del senatoconsulto … Perciò, avuto riguardo alla tipica, e qui facilmente supponibile, cagione d’errore, che è il salto di una linea pel ritorno della stessa parola, io proposi d’integrare la lacuna, in guisa da restituire il punto in discussione come segue: ‘quia de pupillis princeps loquitur et coniuncti tutoribus (curatores sunt eorum qui propter furorem vel amentiam curatores) accipiunt’ etc. Se non che io penso ora che la lacuna, anziché da una omissione dell’amanuense, sia stata prodotta da una frettolosa cancellazione dei compilatori. Il testo genuino doveva porre la questione se il senatoconsulto si applicava ai curatori del furioso (e forse del prodigo o del pupillo stesso), ed esprimeva l’avviso che fosse applicabile al curator furiosi per la predetta analogia del tutor e del curator furiosi. La generalizzazione finale et de ceteris etc. è da ritenere interpolata, come opina pure il Solazzi. Sicché (ed è questo il punto di capitale importanza) i compilatori hanno inteso cancellare le parole esprimenti la ristretta parificazione classica dell’agnatus furiosi curator al tutor allo scopo di avanzare una parificazione generale dei curatores di qualsivoglia specie, e ‘in prima linea’ ormai dei curatores minorum, coi tutores: soltanto, nel cancellare la linea, che conteneva l’ormai incongrua parificazione classica, ristretta al curator furiosi, essi hanno soppresso per inavvertenza la prima parola, sunt, che doveva rimanere, lasciando invece l’ultima, che doveva sparire, accipiunt: restituendo sunt, si ha un pensiero alieno dal diritto classico, ma perfettamente consono al diritto nuovo: che tutti i curatores (anche minoris) sono da parificare ai tutori».

Ma le argomentazioni addotte contro la genuinità del testo non sono apparse convincenti al Cervenca[46], il quale ha bollato come ‘forzata’ l’affermazione che i commissari giustinianei avrebbero inserito la frase «vel cuius alterius non adulescentis» allo scopo di chiarire che il problema dell’applicazione logica non sussisteva per questa specie di curatores, dal momento che essi erano già considerati nel testo interpolato dell’oratio. E, in realtà, tale frase rischia di ingenerare nel suo lettore proprio l’impressione opposta, e cioè che ai curatores adulescentium le disposizioni dell’oratio non si applicassero. E ciò, perché tanto nel testo dell’oratio quanto in tutti gli altri frammenti del titolo 9 che precedono il nostro si parla sempre e soltanto di curatores in maniera generica e mai in modo esplicito di curatores adulescentium. E, da qui, discende che Ulpiano dichiarava di fare eccezione per i curatori semplicemente perché l’estensione a costoro dell’oratio rappresentava per lui un problema già risolto, dal momento che, probabilmente, egli ne aveva già trattato in un precedente passo dello stesso De omnibus tribunalibus, non tramandatoci dai compilatori. Pertanto, si comprende bene perché il giurista, nel periodo successivo «Et puto, quia de pupillis princeps loquitur et coniuncti tutoribus curatores accipiunt, pertinere», risponde al quesito che si è appena posto, cioè se al «curator sit furiosi vel cuius alterius non adulescentis» vada applicato il divieto dell’oratio. Peraltro, la presenza di una lacuna nel testo non significa che tutto il periodo ora riportato debba essere alterato, sicché non va affatto espunta la frase finale «et de ceteris puto ex sententia orationis idem esse dicendum», dal momento che essa si rifà alla frase iniziale del paragrafo «Sed si curator sit furiosi vel cuius alterius non adulescentis», della quale, come si è appena visto e come è stato inoltre ribadito recentemente dal Castán Pérez-Gómez[47], va difesa la genuinità. In buona sostanza, Ulpiano – come si ricava anche dal verbo «puto» che ricorre nel testo ad indicare un’opinione personale del giurista – riteneva che, secondo lo spirito dell’oratio, le limitazioni da essa previste andavano applicate sia al curator furiosi e sia a qualsiasi altro curatore[48]. In conclusione, dal passo in esame e da altri che si riferiscono all’oratio Severi sembra potersi evincere che già all’epoca in cui scriveva tale giurista le disposizioni limitative di questo provvedimento imperiale venivano interpretate nella maniera più ampia, con la conseguenza che, tra i curatores nominati nell’oratio, venivano ricompresi sia quelli dei minori e sia, «ex sententia orationis», tutti gli altri curatori. E, ancora, che tali divieti venivano intesi come se fossero rivolti agli stessi minori d’età (benché non nominati dall’oratio), e ciò perché probabilmente si ritenne – andando oltre la lettera del testo dell’oratio – che la ratio della statuizione di Settimio Severo fosse non solamente quella di porre dei limiti ai poteri dei tutori e dei curatori, ma anche quella di difendere comunque gli assistiti dal pericolo di perdere la proprietà di certi loro beni.

In D. 27.9.8.2, Ulpiano si chiede se «obligari possint» cose comuni (Anquaeritur) ed al quesito risponde che ciò non poteva avvenire senza decreto (sedobliganda). Infatti, quel che l’operazione esclude si riferisce solamente al caso in cui la comunione venga meno (namcommunio), non all’ipotesi che aumenti la difficoltà della comunione (noncommunionis).

Ora, non è facile spiegare come si passi dal principium e dal primo paragrafo, in cui non si fa alcuna menzione di decreta e di organi preposti alla loro emanazione ma, più semplicemente e come si è visto, si trattano questioni relative al distrahere e, comunque, di tutt’altro genere, al caso dell’obligare res communes[49], potendosi congetturare[50] che «forse, se il giurista ha posto lui la questione delle res communes, avrà parlato di mancipatio fiduciae causa delle medesime. Un caso, per dir così, sospeso, è difficile ricostruirlo, mentre non è ardito sospettarlo nella attuale redazione».

Ma, in questa sede, non interessa tanto ricostruire il pensiero di Ulpiano in ordine al fatto che l’applicazione delle norme dell’oratio Severi fosse esclusa od ammessa dal giurista a seconda che si trattasse di obligatio sine decreto della quota pupillare oppure di scioglimento della comunione[51] e, quindi, indagare la ratio del principio espresso nel testo circa la validità, o meno, dell’obligatio praedii sine decreto, che è stata messa bene in luce dal Biscardi[52], e nemmeno accertare se la frase finale del frammento sia genuina oppure – come ha ritenuto il Peters[53] – compilatoria, quanto piuttosto individuare quale fosse l’organo deputato ad emanare tale decretum.

E la risposta a questo interrogativo la troviamo nello stesso testo dell’oratio Severi, riferitoci alla lettera ancora da Ulpiano in D. 27.9.1.2, in cui si menziona espressamente il «praetor urbanus»: «‘Praeterea, patres conscripti, interdicam tutoribus et curatoribus, ne praedia rustica vel suburbana distrahanttunc praetor urbanus vir clarissimus adeatur». E, invero, il suo intervento è richiamato anche in numerosi altri testi, significativamente quasi tutti di Ulpiano[54], in molti dei quali vengono invocati la sua «auctoritas»[55], il suo «arbitrium»[56], il suo «permissus»[57] e la sua «aestimatio»[58] oppure si rimarca l’inutilità degli atti compiuti «inconsulto praetore»[59] o «sine decreto praetoris»[60].

Pertanto, fermo restando che nel passo in esame non si rinviene alcun indizio che possa fare pensare che Ulpiano si riferisse al praeses provinciae, la cui competenza in materia è ugualmente attestata dalle fonti[61], ed ancora che, alla luce delle numerose testimonianze ora ricordate che menzionano reiteratamente il pretore, assolutamente ingiustificata appare l’idea[62] della sostituzione, ad opera dei commissari giustinianei, di «praeses vel proconsul» a «praetor» addirittura nel testo dell’oratio Severi riportato nell’or ora citato D. 27.9.1.2 [63], bisogna necessariamente concludere che anche il «decretum» di cui si discorre nel testo (sine decreto) fosse di competenza del pretore urbano.

E può aggiungersi che la qualificazione del «praetor» come «urbanus», esplicitata proprio nel testo dell’oratio Severi di cui a D. 27.9.1.2, costituisce una prova lampante[64] della circostanza che, esistendo già al tempo di Settimio Severo il praetor tutelaris, questo imperatore aveva voluto fugare ogni dubbio in ordine al fatto che la competenza nella materia disciplinata dal suo provvedimento non spettasse a questo pretore speciale, bensì, appunto, al pretore urbano[65], la forza del cui decretum è, in D. 27.9.8.2, non a caso «emphasised»[66].

 

 

 

Abstract

 

The contribution examines four fragments from the second book of Ulpian’s De omnibus tribunalibus, D. 50.16.198, 23.5.5, 27.9.6 and 27.9.8, which deal with an oratio Severi of 195 AD, in relation to which the jurist expresses the concept of ‘urban praedia’, reports an opinion expressed by Iulianus, comments on a pars orationis concerning the ownership and usufruct of the fund and, in examining the prohibition on alienating the assets of the pupilli or the adulescentes, underlines the role of the praetor urbanus.

 

 



 

[Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Tradizione Romana” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind. Continuano ad essere valutati i fuori ruolo delle Università italiane; mentre per gli studiosi stranieri valutazione solo se richiesta.]

 

[1] ‘Palingenesia iuris civilis’, II, Lipsiae 1889, 994.

[2] Il termine «meritoria» è inteso nell’ampio significato di ‘spazio da affittare’, includendo così sia le case in affitto e sia i locali commerciali, dal Frier, Landlords and Tenants in Imperial Rome, Princeton 1980, 27. Cfr. H. Heumann – E. Seckel, Handlexicon des römischen Rechts, Jena 1907, 340, s.v. «meritorium», secondo cui il senso sarebbe quello, assai più ristretto, di «Zimmer zum vermieten» soprattutto ai viaggiatori, e K.E. Georges – F. Calonghi, Dizionario enciclopedico della lingua latina, I, Torino 2002, 915, s.v. «meritoria», secondo cui si tratterebbe di «appartamenti che si affittano (per breve durata)». Il Grillone, La gestione immobiliare urbana tra la tarda Repubblica e l’età dei Severi. Profili giuridici, Torino 2019, 143 nt. 161, evidenzia come la «funzione della precisazione ulpianea in ogni caso è quella di stroncare all’origine possibili perduranti dubbi: gli horrea, così come deversoria e stabula, nei limiti in cui producessero un reddito tramite locazione a terzi dei propri spazi interni, erano da ritenersi afferenti al genus “fondi urbani”». E, in specifico riferimento agli «stabula» di cui al testo, la Robinson, Ancient Rome. City planning and administration, London-New York 1994, 117 s., precisa che «we have relatively little about administrative control of such establishments; most legal texts would be of relevance rather to the possibly distant and probably respectable owners, but we do learn that stables were likely to be on a city’s fringes», ed il McGinn, Sorting out prostitution in Pompeii: the material remains, terminology and the legal sources, in Journal of Roman Archaeology 26, 2013, 614 e nt. 23, che qui, come in altri luoghi (D. 17.2.52.15: et meritoriorum et stabulorum; D. 47.10.5.5: et meritoria vel stabula), ‘meritorium’ è usato da Ulpiano come sinonimo di ‘stabulum’.

[3] Sul significato del termine «vici» e sulla sua ricorrenza in stretta correlazione ad altri, che compaiono nel testo, come «oppida», «villae» ed «aedificia» v., ampiamente e per tutti, E. Todisco, I ‘vici’ rurali nel paesaggio dell’Italia romana, Bari 2011, passim. Ma v. pure, più limitatamente, O. Sacchi, Regime della terra e imposizione fondiaria nell’età dei Gracchi. Testo e commento storico della legge agraria del 111 a.C., Napoli 2006, 132 e nt. 182, il quale, dopo avere precisato che l’oppidum, oltre che la città fortificata, era, in senso augurale, l’abitato privo di pomerio ed il vicus il distretto territoriale privo di tali caratteristiche, ma che, in senso rurale, costituiva il primo elemento di aggregazione delle comunità sparse per l’ager, puntualizza che, nel testo in esame, in cui la qualifica di urbanitas per i praedia sembra avere origine non dal luogo ma dalla qualificazione di questo, colpisce la contrapposizione tra villae e vici, due tra gli elementi più caratterizzanti, insieme agli acquedotti e ai monumenti funerari, del suburbio di Roma, a partire dalla riorganizzazione di Augusto; J.-P. Bost, Les Rutènes dans l’Aquitaine d’Auguste, in Les Rutènes. Du peuple à la cité. De l’indépendance à l’installation dans le cadre romain 150 a.C. – 100 p.C. Colloque de Rodez et Millau (Aveyron), les 15, 16 et 17 novembre 2007, sous la direction de P. Gruat, J.-M. Pailler et D. Schaad, Bordeaux 2011, 202 nt. 55, secondo cui «Ulpien se contente d’opposer aux villes las villas et les bourgades rurales (vici)»; S. Sisani, ‘In pagis forisque et conciliabulis’. Le strutture amministrative dei distretti e l’età municipale, in Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Memorie 27.2, 2011, 567 e nt. 41, che cita numerose fonti (giuridiche, letterarie ed epigrafiche) comprovanti espressamente l’opposizione tra oppidum e vicus; U. Rothe, The Roman Villa: Definitions and Variations, in The Roman Villa in the Mediterranean Basin. Late Republic to Late Antiquity, edited by A. Marzano and G.P.R. Métraux, Cambridge 2018, 46 e 56 e nt. 39. In ogni caso, come ha sottolineato il Sitek, The Ways of Using the Public Places in Municipalities on the Turn of the Republic and the Principate and the Contemporary Similarities in Polish Self-Government Law, in UWM Law Review 2, 2010, 94 nt. 16, «Ulpian distinctively indicates, that the territory administratively belonging to the given city was divided into the municipal and suburban areas».

[4] Così anche W.A. Becker – H. Göll, Gallus oder römische Scenen aus der Zeit Augusts. Zur genaueren Kenntnis des römischen Privatlebens, III, Berlin 1882, 59 («herrschaftliche Landwohnung»); H. Heumann – E. Seckel, Handlexicon, cit., 455, s.v. «praetorium» («prächtiges Landhaus»); B.W. Frier, Law, Technology, and Social Change: The Equipping of Italian Farm Tenancies, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Romanistische Abteilung 96, 1979, 215 («a home-villa of rather larger size, which combined a working farm with pleasure facilities for an absentee owner»); K.E. Georges – F. Calonghi, Dizionario I, cit., 1169, s.v. «praetorium» («splendida villa»). Secondo il Leigh, Vergil’s Second ‘Eclogue’ and the Class Struggle, in Classical Philology 111, 2016, 419, «it is not location but rather usage that makes an estate urbanum and the key is that it be put to the ends of pleasure rather than of profit». E, in quest’ultimo senso, v. già J.H. D’Arms, Commerce and Social Standing in Ancient Rome, Cambridge 1981, 84, che traduce la frase «praetoria voluptati tantum deservientia» con «estates which serve only the ends of pleasure», ed ora anche A. Wacke, Führte die Unveräusserlichkeit des Mitgiftgrundstücks im römischen Recht zu relativer Nichtigkeit? Grenzen vom Verbot des ‘venire contra factum proprium’, in ‘Mater familias’. Scritti romanistici per Maria Zabłocka, a cura di Z. Benincasa e J. Urbanik con la collaborazione di P. Niczyporuk e M. Nowak, Varsavia 2016, 1114 s. nt. 134, secondo cui «urbana praedia sind nicht nur innerhalb städtischer Gebiete liegende Flächen, sondern auch auf dem Lande, in Dörfern befindliche, sofern sie mit Stallungen, Unterkünften oder auch mit der Erholung dienenden Villen bebaut sind». Ma v. pure E. Cadoni, La ‘Tabula’ bronzea di Esterzili (‘CIL’ X, 7852 = ‘ILS’ 5947), in La Tavola di Esterzili. Il conflitto tra pastori e contadini nella ‘Barbaria’ sarda. Convegno di studi. Esterzili, 13 giugno 1992, a cura di A. Mastino, Sassari 1993, 91 e nt. 42; J. Bodel, Monumental villas and villa monuments, in Journal of Roman Archaeology 10, 1997, 14 e nt. 27; G. Chic García, La ordenación territorial en la Bahía de Cádiz durante el alto imperio romano, in Revista de Historia de El Puerto 33, 2004, 14 e nt. 16.

[5] Questo termine è tradotto come «forma de construcción» dalla López Gálvez, Incendios en el paisaje rural: penas y resarcimiento del dãno en derecho romano, in Scritti in onore di Generoso Melillo, a cura di A. Palma, II, Napoli 2009, 680.

[6] Sul significato della congiunzione «quia» che regge l’indicativo «facit» di cui a tale frase v., recentemente, K. Žytková, Vedlejší věty příčinné v 50. knize Iustiniánových ‘Digest’, in Auriga 62.2, 2020, 53 s. e nt. 29.

[7] Su questa possibilità v. A.G. McKay, Römische Häuser, Villen und Paläste, Zürich-Freiburg im Breisgau 1980, 45 e C.J. Bannon, Gardens and neighbors. Private water rights in Roman Italy, Ann Arbor 2009, 9.

[8] Sull’espressione «horti vinearii», che ricorre in tale frase, v. J.N. Adams, Bilingualism and the Latin Language, Cambridge 2003, 736.

[9] Sul termine «urbanus», che ricorre più volte nel testo, v. F. von Velsen, Das ‘edictum provinciale’ des Gaius, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Romanistische Abteilung 21, 1900, 142 e nt. 4.

[10] ‘Praedia rustica’ - ‘praedia urbana’. Consideraciones sobre los criterios distintivos en el derecho clásico, in Revue Internationale des Droits de l’Antiquité 33, 1986, 166 ss., 173 e 176 s. e, con acribica rassegna dei dubbi di genuinità sollevati in ordine ad alcune parti del testo associata alla proposizione di altri interrogativi in tal senso, 167 e nt. 40 e 170.

[11] Nel medesimo senso v. anche Bas. 2.2.190 (= D. 50.16.198): A. Laiou – D. Simon, Eine Geschichte von Mühlen und Mönchen. Der Fall der Mühlen von Chantax, in Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano 91, 1988, 645 e nt. 86. Ma v. pure A. Schmidt, Das Recht des Superficies, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Romanistische Abteilung 11, 1890, 126 e nt. 3.

[12] B. Biondi, Le servitù prediali nel diritto romano (Corso di lezioni), 2a ed., Milano 1954, 207.

[13] Così G. Grosso, Corso di diritto romano. Le cose, Torino 1941, ripubblicato in Rivista di Diritto Romano 1, 2001, 73 e Le servitù prediali nel diritto romano, Torino 1969, 167 s. e nt. 2, il quale ha debitamente sottolineato che il più antico criterio su cui poggiava la distinzione tra praedia rustica ed urbana doveva essere quello dell’ubicazione dei fondi ed esso risiedeva nell’antitesi tra le città (l’urbs) ed il contado, tra la vita urbana e la vita rurale. Un’eco di questo antico criterio discretivo si trova ancora in un testo di Nerazio, D. 20.2.4.1 (Neratius libro primo membranarum): Stabula quae non sunt in continentibus aedificiis quorum praediorum ea numero habenda sint, dubitari potest. Et quidem urbanorum sine dubio non sunt, cum a ceteris aedificiis separata sint … Senonché questa diversa ubicazione doveva importare normalmente anche una diversa struttura e destinazione e poiché era su questa che si fondavano le differenze di regime giuridico, il criterio differenziale – come è appunto testimoniato dal testo in esame – si spostò e fu stabilito appunto nella struttura e destinazione. Pertanto, il criterio fondamentale non fu più quello dell’ubicazione e la distinzione tra praedia rustica e praedia urbana venne a coincidere sostanzialmente con quella tra fundi ed aedes (cfr. Tit. Ulp. 19.1, D. 8.4.1 ed I. 2.3.1), con quella correzione e integrazione che il criterio della struttura riceveva da quello della destinazione, almeno nel senso di determinare la categoria dei praedia urbana, come si vede per i giardini. Cfr. L. Zdekauer, ‘Mille passus’ e ‘continentia aedificia’, in Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano 2, 1889, 290, secondo il quale, «quando Nerazio domanda, a quale specie di praedio (urbano o rustico) appartengano gli stabula, che si trovano fuori dei continentia aedificia, egli respinge la opinione che possano appartenere ai praedia urbana non coll’argomento della loro destinazione, ma con quello della loro collocazione et quidem urbanorum sine dubio non sunt, cum a ceteris aedificiis separata sint», e P. Buongiorno, ‘Continentia aedificia’. Un’elaborazione augustea, in Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano 114, 2020, 235, secondo cui «Nerazio, sempre ammesso che questo testo si riferisca agli urbi continentia aedificia, non riteneva assimilabili ai praedia urbana gli stabula che si trovassero fuori dei continentia aedificia, facendo valere non già l’argomento della loro destinazione d’uso (stalle di servizio per gli abitanti del tessuto periurbano) bensì quello della loro collocazione fisica, cum a ceteris aedificiis separata sint, limitando la loro assimilabilità ai praedia urbana solo con riguardo ai diritti di pignoramento del locatore». Ma v. pure C.F. Reinhardt, Die ‘Usucapio’ und ‘Praescriptio’ des Römischen Rechts, Stuttgart 1832, 72 s.; L. Capuano, Il diritto privato dei Romani, I, Napoli 1881, 485 s.; W. Liebenam, Städteverwaltung im römischen Kaiserreiche, Leipzig 1900, 6 e nt. 4; A.M. Giomaro, Dall’‘instruere’ all’‘instrumentum’ e viceversa nell’economia della Roma antica, in Studi Urbinati 62.1-2, 2011, 147 nt. 61.

[14] Sulla quale v. E. Albertario, L’‘oratio Severi’ riferita in D. 27, 9 e la cura dei minori [1915], in Id., Studi di diritto romano, I, Milano 1933, 475 ss.; S. Solazzi, ‘Curator impuberis’, Roma 1917, 166 ss.; M. Radin, voce «Oratio», in Paulys Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, (herausgegeben von G. Wissowa), XVIII.1, Stuttgart 1939, 871 n° 30; U. Brasiello, ‘Auctoritas praetoris’. I. ‘Auctoritas praetoris’ ed alienazione dei beni dei pupilli, in Studi in onore di Siro Solazzi nel cinquantesimo anniversario del suo insegnamento universitario (1899-1948), Napoli 1948, 689 ss.; Id., Pegno e ‘mancipatio fiduciae causa’ nella alienazione dei beni degli incapaci, in Revue Internationale des Droits de l’Antiquité 4, 1950, 203 ss.; S. Solazzi, L’estensione dell’‘oratio Severi’ al curatore del furioso, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 16, 1950, 269 ss.; E. Volterra, voce «Senatus consulta», in Novissimo Digesto Italiano, 16, Torino 1969, 1077 n° 194; A. Biscardi, L’‘oratio Severi’ e il divieto di ‘obligare’, in Studi in onore di Giuseppe Grosso, III, Torino 1970, 245 ss.; G. Cervenca, Studi sulla ‘cura minorum’. 3. L’estensione ai minori del regime dell’‘Oratio Severi’, in Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano 82, 1979, 41 ss.; A. Biscardi, La dottrina romana dell’‘obligatio rei’, Milano 1991, 134 ss.; J.-P. Coriat, Le prince législateur. La technique législative des Sévères et les méthodes de création du droit impérial à la fin du Principat, Roma 1997, 507 ss. e 559 s., il quale sottolinea il probabile ruolo avuto da Ulpiano nel condividere e promuovere l’iniziativa di Settimio Severo; H. Ankum, Zur ‘oratio Severi de praediis pupillorum’ von 195 nach Chr., in ‘Ius romanum schola sapientiae’. Pocta Petrovi Blahovi k 70. narodeninám, Trnava 2009, 1 ss.; Id., L’interprétation de l’‘oratio Severi de praediis pupillorum’ de 195 après J.-C. par les juristes classiques tardifs, in ‘Carmina iuris’. Mélanges en l’honneur de Michel Humbert, édités par E. Chevreau, D. Kremer et A. Laquerriére-Lacroix, Paris 2012, 13 ss.; J.-P. Coriat, Les constitutions des Sévères. Règne de Septime Sévère, I, Roma 2014, 77 ss.; E. Volterra, Materiali per una raccolta dei ‘senatusconsulta’ (753 a.C. – 312 d.C.), a cura di A. Terrinoni e P. Buongiorno, Roma 2018, 533; P. Capone, La gestione dei beni pupillari nella disciplina di un’‘oratio Severi’, in Teoria e Storia del Diritto Privato 12, 2019, 1 ss.

[15] G. Cervenca, Studi sulla ‘cura minorum’ 3, cit., 56 s. nt. 62. Così anche, in precedenza, A. Guarneri Citati, Note critiche ed esegetiche sulle servitù prediali, in Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano 43, 1935, 81 e R. Martini, Le definizioni dei giuristi romani, Milano 1966, 318 e, più recentemente, P. Capone, La gestione dei beni pupillari, cit., 14 nt. 25.

[16] Così R. Mentxaka, ‘Praedia rustica’, cit., 169.

[17] Sul punto v. U. Wesel, Rhetorische Statuslehre und Gesetzauslegung der römischen Juristen, Köln-Berlin-Bonn-München 1967, 62, il quale sottolinea che «der Wortlaut des Gesetzes war alienare. Alienare bezeichnet nach dem gewöhnlichen Sprachgebrauch nur die vollständige Veräußerung. Die Anwendung des Gesetzes erfolgt im Wege –extensiven – identifizierenden Interpretation: Auch das Erlassen von Servituten auf dem Dotalgrundstück werden als alienare bezeichnet»; P. Giunti, Il ‘modus divortii’ nella legislazione augustea. Aspetti problematici, ipotesi di lettura, in Studi in onore di Remo Martini, II, Milano 2009, 342 e nt. 39, secondo cui il divieto per il marito di alienare i fondi italici costituiti in dote senza il consenso della moglie probabilmente fu interpretato estensivamente dalla giurisprudenza, in maniera tale da ricomprendervi anche altri atti dispositivi, come la costituzione di diritti limitati di godimento di cui al testo in esame ed a D. 23.5.6 (Sed nec libertas servitutis urbano praedio dotali debitae competit, ne per hoc deterior condicio praedii fiat) e D. 23.5.7 (Si maritus fundum Titii servientem dotali praedio adquisierit, servitus confunditur et hoc casu maritus litis aestimationem praestabit: quod si maritus solvendo non erit, utiles actiones adversus Titium mulieri ad restaurandam servitutem dantur. Sed cum uxor fundum cui praedia viri servitutem debebant in dotem dat, fundus ad maritum pervenit amissa servitute et ideo non potest videri per maritum ius fundi deterius factum. Quid ergo est? Officio de dote iudicantis continebitur, ut redintegrata servitute iubeat fundum mulieri vel heredi eius reddi), e da estenderlo soggettivamente pure allo sponsus (D. 23.5.4: Lex Iulia, quae de dotali praedio prospexit ne id marito liceat obligare aut alienare, plenius interpretanda est, ut etiam de sponso idem iuris sit quod de marito); M. Casola, Dote tra ‘Familia’ e ‘Civitas’, in ‘Glossae’. European Journal of Legal History 14, 2017, 231. Cfr. D.P. Kehoe, Investment, Profit, and Tenancy. The Jurists and the Roman Agrarian Economy, Ann Arbor 1997, 67 s. ed A. Stępkowska, Il ruolo del consenso muliebre nell’amministrazione dei fondi dotali in diritto romano, in ‘Mater familias’. Scritti romanistici per Maria Zabłocka, cit., 893.

[18] (Ulpianus libro trigesimo quinto ad edictum): Nec usus fructus alienari potest, etsi solus fuit usus fructus pupilli. An ergo hic nec non utendo amittatur, si tutor causam praebuerit huius rei? Et manifestum est restaurari debere. Sed si proprietatem habeat pupillus, non potest usum fructum vel usum alienare, quamvis oratio nihil de usu fructu loquatur. Simili modo dici potest nec servitutem imponi posse fundo pupilli vel adulescentis nec servitutem remitti, quod et in fundo dotali placuit.

[19] M. Vanzetti, Il pegno su parte indivisa e le azioni divisorie, in Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano 73, 1970, 297 nt. 8.

[20] Tale inciso – sul quale v. T. Honoré, Ulpian. Pioneer of Human Rights, 2a ed., Oxford 2002, 53 e nt. 172 – è ritenuto interpolato dal Beseler, Textkritische Studien, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Romanistische Abteilung 53, 1933, 5.

[21] E, tra questi, secondo il Crifò, La donna e la tutela, in Labeo 28, 1982, 56, forse la madre di cui a D. 46.3.88 (Scaevola libro quinto digestorum): Filiae intestato patri heredis negotia mater gessit et res vendendas per argentarios dedit idque ipsum codice conscriptum est: argentarii universum redactum venditionis solverunt et post solutionem novem fere annis, quid quid agendum erat, nomine pupillae mater egit eamque marito nuptum collocavit et res ei tradidit. Quaesitum est, an puella cum argentariis aliquam actionem habet, quando non ipsa stipulata sit pretium rerum, quae in venditionem datae sunt, sed mater. Respondit, si de eo quaereretur, an iure ea solutione argentarii liberati essent, responderi iure liberatos. Claudius: subest enim illa ex iurisdictione pendens quaestio, an pretia rerum, quae sciebant esse pupillae, bona fide soluisse videantur matri, quae ius administrationis non habebat: ideoque si hoc sciebant, non liberantur, scilicet si mater solvendo non sit.

[22] Sul significato dell’inciso «non posse», che ricorre in tale frase, come espressione facente riferimento alla mancata produzione di effetti giuridici degli atti negoziali v. F. Pergami, ‘Quod initio vitiosum est non potest tractu temporis convalescere’. Studi sull’invalidità e sulla sanatoria degli atti negoziali nel sistema privatistico romano, Torino 2012, 33 e nt. 108.

[23] Di alcune innovazioni giustinianee riguardanti la ‘cura minorum’, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Romanistische Abteilung 33, 1912, 250 ss. e L’‘oratio Severi’, cit., 484 ss.

[24] Studien zur ‘Negotiorum Gestio’, I, Heidelberg 1913, 91 nt. 3.

[25] La minore età nel diritto romano, Roma 1912, 112 e nt. 2.

[26] Cfr. M. Kaser, ‘Ius honorarium’ und ‘ius civile’, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Romanistische Abteilung 101, 1984, 13 e nt. 42.

[27] ‘Auctoritas praetoris’, cit., 703.

[28] L’‘oratio Severi’, cit., 259 e nt. 57 e La dottrina romana, cit., 146 e nt. 150.

[29] Studi sulla ‘cura minorum’ 3, cit., 66 e nt. 86.

[30] Sul significato di questa espressione v. M. Lauria, ‘Ius’. Visioni romane e moderne. Lezioni, 2a ed., Napoli 1962, 148.

[31] Generelle und spezielle Aktionen, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Romanistische Abteilung 32, 1911, 300 nt. 2 e 304 nt. 2.

[32] Das Recht der Vormundschaft aus den gemeinen in Deutschland geltenden Rechten entwickelt, II, Berlin 1883, 394 nt. 3.

[33] Studien zur ‘Negotiorum Gestio’ I, cit., 91 nt. 2.

[34] Die ‘cura minorum’ der klassischen Zeit, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Romanistische Abteilung 35, 1914, 169 nt. 3.

[35] Cfr. S. Solazzi, ‘Curator impuberis’, cit., 167, secondo cui credere – come fa appunto il Lenel – che in D. 27.9.8.1 sia interpolata la frase «furiosi vel cuius alterius non» e genuino il termine «adulescentis» sarebbe strano, dal momento che in altri luoghi, per ammissione dello stesso Lenel, sono da ritenere intrusi l’adulto ed il suo curatore.

[36] Di alcune innovazioni giustinianee, cit., 250 s. e L’‘oratio Severi’, cit., 484 s.

[37] Così anche A. Biscardi, L’‘oratio Severi’, cit., 260 nt. 61 e La dottrina romana, cit., 147 nt. 154.

[38] Di cui subito si dirà nel testo.

[39] Accolta anche dal Brasiello, ‘Auctoritas praetoris’, cit., 703 e nt. 37.

[40] L’‘oratio Severi’, cit., 485 nt. 1.

[41] Di alcune innovazioni, cit., 251 s. e L’‘oratio Severi’, cit., 485 s.

[42] La minore età, cit., 112 s.

[43] L’estensione dell’‘oratio Severi’, cit., 270.

[44] ‘Curator impuberis’, cit., 119 s.

[45] Corso di diritto romano. I. La famiglia, Roma 1925, 495 s.

[46] Studi sulla ‘cura minorum’ 3, cit., 66 ss.

[47] Discapacidad y Derecho Romano. Condiciones de vida y limitaciones jurídicas de las personas ciegas, sordas, mudas, sordomudas y con discapacidad psíquica, intelectual y física en la Roma antigua, Madrid 2019, 147 e nt. 49.

[48] Così anche D.P. Kehoe, Investment, cit., 66 nt. 88.

[49] Secondo il Kehoe, Agency, Tutorship, and the Protection of Pupils in Roman Law, in Diritto romano e economia. Due modi di pensare e organizzare il mondo (nei primi tre secoli dell’Impero), a cura di E. Lo Cascio e D. Mantovani, Pavia 2018, 428, «Ulpian believed that it was not permissible to obligate jointly owned properties, since, in his view, the legislation made it possible to dissolve communities of ownership, and not to burden them».

[50] U. Brasiello, Pegno, cit., 215.

[51] Su questa seconda ipotesi v., recentemente, R. D’Alessio, «Un dogma privo di solide fondamenta». L’efficacia retroattiva della divisione tra ritorno all’antico e prospettive attuali, in Teoria e Storia del Diritto Privato 13, 2020, 6 s. e nt. 17.

[52] L’‘oratio Severi’, cit., 262 ss. e La dottrina romana, cit., 149 s.

[53] Generelle und spezielle Aktionen, cit., 35 nt. 1.

[54] D. 27.9.3.1 (Ulpianus libro trigesimo quinto ad edictum): … sed et in possessionem mitti rerum pupillarium a praetore …; D. 27.9.5.11 (Ulpianus libro trigesimo quinto ad edictum): … gratia adseverare praetori solent necesse essequi instruere possit praetoris religionem …; D. 27.9.5.12 (Ulpianus libro trigesimo quinto ad edictum): … si praetor aditus permiserit distrahi possessionem provincialem …; D. 27.9.5.13 (Ulpianus libro trigesimo quinto ad edictum): … oportebit praetore curareet de hoc decernere …; D. 27.9.5.14 (Ulpianus libro trigesimo quinto ad edictum): … videndum est, an praetor eis debeat permittereconsequenter dicemus nullam esse venditionem nullumque decretum: non enim passim distrahi iubere praetori tributum est …; D. 27.9.5.15 (Ulpianus libro trigesimo quinto ad edictum): … si postea poterit probari obreptum esse praetori …; D. 27.9.7.2 (Ulpianus libro trigesimo quinto ad edictum): … an praetor adeundus sit pronior tamen esse debet praetor …; D. 27.9.7.3 (Ulpianus libro trigesimo quinto ad edictum): Si praetor permiserit vendere a praetore decretum est …; D. 27.9.7.4 (Ulpianus libro trigesimo quinto ad edictum): Quid ergo si praetor ita decreverit dummodo sciamus praetorem non recte partibus suis functum

[55] D. 27.9.5.4 (Ulpianus libro trigesimo quinto ad edictum): … an tutores restituere hunc fundum possint sine auctoritate praetoris? …; D. 27.9.5.5 (Ulpianus libro trigesimo quinto ad edictum): … an solvere possit sine praetoris auctoritate? …; D. 27.9.5.6 (Ulpianus libro trigesimo quinto ad edictum): … fortius dicetur sine praetoris auctoritate posse eum reddere …; D. 27.9.5.8 (Ulpianus libro trigesimo quinto ad edictum): Fundum autem legatum repudiare pupillus sine praetoris auctoritate non potest

[56] D. 27.9.5.9 (Ulpianus libro trigesimo quinto ad edictum): … praetori arbitrium huius rei senatus dedit …; D. 27.9.5.14 (Ulpianus libro trigesimo quinto ad edictum): … praetori enim non liberum arbitrium datum est distrahendi res pupillares

[57] D. 27.9.7.1 (Ulpianus libro trigesimo quinto ad edictum): Si pupillus dedit pignori ex permissu praetoris, nulla erit dubitatio tutius tamen fecerit, si prius praetorem adierit.

[58] D. 27.9.5.10 (Ulpianus libro trigesimo quinto ad edictum): … praetor aestimare debebit

[59] D. 27.9.5.4 (Ulpianus libro trigesimo quinto ad edictum): … dicendum erit locum esse orationi nec inconsulto praetore alienare …; D. 27.9.5.7 (Ulpianus libro trigesimo quinto ad edictum): … potest dici pupillum cetera venditionis inconsulto praetore posse perficere.

[60] D. 27.9.13.1 (Paulus libro singulari ad orationem divi Severi): … attamem Papinianusait tutorem pupilli sine decreto praetoris non iure distrahere

[61] D. 27.9.3.1 (Ulpianus libro trigesimo quinto ad edictum): Pignori tamen capi iussu magistratus vel praesidis potest …; D. 27.9.9 (Ulpianus libro quinto opinionum): Quamvis antecessor praesidis decrevisset …; D. 27.9.11 (Ulpinus libro tertio de officio proconsulis): … causa cognita praeses provinciae debet ei permittere …; C. 5.71.1 (Imp. Antoninus A. Muciano): … auctore praetore vel praeside provinciae … (a. 212); C. 5.71.3 (Impp. Valerianus et Gallienus AA. Theodosiano et aliis): … sine praesidis auctoritate … (a. 258); C. 5.71.5 (Impp. Valerianus et Gallienus AA. Sereno): Etsi praeses decreverit (a. 260); C. 5.71.6 (Impp. Carus Carinus et Numerianus AAA. Varo): … delato ad praetorem vel praesidem provinciae libello … (a. 283); C. 5.71.9pr. (Impp. Diocletianus et Maximianus AA. Muciano): … praesidis sententia non immerito rescissa est (a. 285); C. 5.71.10 (Impp. Diocletianus et Maximianus AA. Grato): … praeses opem feret … (a. 290); C. 5.71.12 (Impp. Diocletianus et Maximianus AA. et CC. Leontio): … causa cognita praesidali decreto distrahi permittitur (a. 293); C. 5.71.13 (Impp. Diocletianus et Maximianus AA. et CC. Zenonillae): … sine decreto praesidis distrahi non licet (a. 293); C. 5.71.16 (Impp. Diocletianus et Maximianus AA. et CC. Eutychiae): … sine decreto praesidis provinciae … (a. 294); C. 5.71.17 (Impp. Diocletianus et Maximianus AA. et CC. Philippho): … sine decreto praesidis … (a. 294).

[62] U. Brasiello, ‘Auctoritas praetoris’, cit., 724 e nt. 103.

[63] Così, giustamente, S. Solazzi, Istituti tutelari, Napoli 1929, 73 s. e nt. 1 e, specialmente, A. Watson, Private Law in the Rescripts of Carus, Carinus and Numerianus, in Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis 41, 1973, 26, il quale ha sottolineato che, in D. 27.9.8.2, «the senatus consultum, true to the classical tradition, was concerned only with affairs in Rome and hence the only official mentioned is the praetor urbanus».

[64] Cfr. U. Brasiello, ‘Auctoritas praetoris’, cit., 713 nt. 60 e 728.

[65] Così anche, in precedenza, S. Solazzi, Istituti tutelari, cit., 73 s. e nt. 1.

[66] A. Watson, Private Law, cit., 26. Cfr. R. Düll, Über die Bedeutung des Verfahrens ‘de plano’ im Römischen Zivilprozeß, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Romanistische Abteilung 52, 1932, 181.