N. 8 – 2009 – Tradizione-Romana

 

Anna Bellodi Ansaloni

Università di Bologna

 

Per l’individuazione delle Romanae

constitutiones nelle Variae di Cassiodoro:

lettura di Var. VII.41*

 

 

 

Sommario: 1. Osservazioni preliminari. – 2. Le citazioni di norme romane nelle Variae. – 3. I rinvii alla legislazione romana. – 4. Var. VII.41 e l’istituto della venia aetatis. – 5. Esegesi di Var. VII.41.1. – 6. Var. VII.41.2 e il rinvio alla legislazione romana. – 7. La formula cassiodorea e la legge di Costantino in C.Th. 2.17.1.

 

 

1. – Osservazioni preliminari

 

Nella miniera di notizie di varia cultura che è dato leggere nell’opera cassiodorea[1] ricchi appaiono i riferimenti alla produzione normativa d’origine romana, in ossequio alla generale dichiarazione d’intenti che emblematicamente risuona in Var. III.43.1: “Delectamur iure Romano vivere”.

Trattandosi di opera dedicata al “buon governo della città” prevalgono indubbiamente, sotto il profilo quantitativo, le informazioni relative a tematiche pubblicistiche. Tuttavia epistole, decreti e formule sono costellate di riferimenti propriamente giuridici che mettono chiaramente in luce come il programma politico perseguito da Teoderico, e propugnato dal suo ministro e consigliere, trovasse le sue basi soprattutto nel rispetto per le leggi romane, verso le quali numerose sono le espressioni di deferenza.

Al riguardo, piace rilevare, incidentalmente, la frequenza e la ricchezza di riferimenti a Roma, magnificata e celebrata come modello di cultura ad ampio raggio[2]. Segnatamente, le iussiones riportate da Cassiodoro sono dichiaratamente basate con notevole frequenza su leggi e costituzioni antiquorum principum, nel più fervido ossequio alle decisioni dei veteres[3], costantemente manifestato con espressioni inneggianti alla prudens[4], provida[5], reverenda antiquitas[6] nel fermo proposito di antiquorum iura custodire (Var. X.7.1)[7].

In quest’ottica, un profilo di grande interesse per i giuristi è rappresentato dall’individuazione del materiale normativo d’origine romana citato da Cassiodoro e posto alla base di molti provvedimenti riportati nelle Variae.

All’identificazione delle romanae costitutiones citate da Cassiodoro si riconnettono almeno altri due profili d’interesse per i giuristi: l’individuazione della paternità delle costituzioni può infatti consentire di formulare congetture circa le fonti di cognizione del diritto cui attingeva Cassiodoro e, di conseguenza, sulla disponibilità dei testi normativi da parte della cancelleria in cui operava. Tale individuazione che rappresenta il secondo, e forse più rilevante, aspetto d’interesse, può a sua volta rivelarsi utile al fine di rinvenire ed aggiungere preziosi elementi di valutazione in merito al problema dell’applicazione del codice teodosiano in Italia, anche al fine di verificare, ove possibile, se le regole giuridiche riportate da Cassiodoro si uniformano al diritto romano oppure finirono per presentare forme di contaminazione o, in genere, modifiche formali o sostanziali.

Intento del presente contributo è dare un esempio della ricca incidenza di citazioni di romanae constitutiones presente nelle Variae, nonché delle potenzialità e dei risultati che offre lo studio dei riferimenti legislativi all’interno dell’opera cassiodorea attraverso l’analisi di un campione paradigmatico (Var. VII.41).

 

 

2. – Le citazioni di norme romane nelle Variae

 

In via preliminare, può osservarsi come i rinvii normativi appaiano molto spesso volti più ad un ordinamento giuridico in generale che a norme specifiche, e come ciò avvenga con un tono che pare, fondamentalmente, di ossequio nei confronti di una cultura giuridica intesa nel suo complesso e alla quale si ha talora l’impressione venga attribuito una sorta di significato simbolico-emblematico.

Nelle iussiones collazionate nelle Variae, Cassiodoro si richiama ad un numero assai elevato di constitutiones e leges (si possono contare anche più di un centinaio di rinvii). A fronte di tale considerevole frequenza, peraltro, le citazioni non sono puntuali ma appaiono perlopiù generiche ed imprecise, con la tendenziale omissione della paternità e della provenienza dei richiami legislativi.

Simile modus citandi si colloca, del resto, in linea con l’usuale modalità di citazione della cancelleria imperiale, i cui sistemi di riferimento restano nettamente diversi da quelli in uso nelle opere giurisprudenziali e nella pratica forense dell'epoca. I giurisperiti erano infatti soliti, già nell’epoca precedente, citare le costituzioni imperiali riproducendone il testo, completato dall'inscriptio e dalla subscriptio (come attestano, ad esempio, i Vaticana Fragmenta e la Collatio). Questo atteggiamento della prassi trova una precisa spiegazione sol che si rifletta sulla centralità assunta (nel periodo considerato) dal problema di garantire l'autenticità dei testi normativi, fossero essi opere giurisprudenziali o provvedimenti imperiali, al fine di consentire al giudicante facili e puntuali controlli dei testi prodotti in giudizio[8].

Tutta questa problematica peraltro non riguardava, per definizione, la cancelleria la quale era sciolta da simili vincoli, giacché non era ipotizzabile utilizzasse testi non autentici o citasse costituzioni imperiali non comprese nei codici[9].

In linea generale, dunque, il sistema di riferimento di Cassiodoro pare conformarsi all’indirizzo ufficiale adottato dalla prassi burocratica.

 

 

3. – I rinvii alla legislazione romana

 

La lettura delle Variae, guidata dalla ricerca delle costituzioni a noi altrimenti note (soprattutto grazie alle fonti giustinianee), consente in alcuni casi di formulare ipotesi sulla matrice legislativa compulsata da Cassiodoro in sede di estensione del provvedimento.

L'unica citazione nominativa espressa si legge in un Editto di Atalarico riportato in Var. IX.18 (a. 533-534): qui il rinvio alla norma d’origine romana avviene sia tratteggiando sinteticamente il contenuto dispositivo sia riportando l'indicazione dell'imperatore emanante: viene infatti richiamata (§§ 1 e 2) una “sanctio divi Valentiniani[10] attinente ai cosiddetti invasores, ossia a coloro che invadono il possesso altrui. La norma romana viene ripresa, in senso adesivo, per colpire coloro che, contro la legge, si immettono nel possesso di fondi urbani o rustici cacciandone violentemente il possessore.

La sanctio di cui Atalarico ordina l’applicazione (lamentandone al contempo la prolungata inosservanza) potrebbe essere identificabile, grazie sia all’esplicita indicazione nominativa sia al contenuto delineato, in una costituzione di Valentiniano II del 389[11], una legge occidentale (emanata a Treviri), riportata in C.Th. 4.22.3.

Questo modus citandi, per così dire, ‘anomalo’ nella sua precisione lascia pensare (ipotizzo incidentalmente) che la conoscenza della costituzione possa provenire non tanto dagli archivi della cancelleria quanto dagli atti processuali di un giudizio in cui l'imperatore era intervenuto[12]. In altri termini, Cassiodoro, nel redigere la disposizione, avrebbe avuto sottomano (o quantomeno avrebbe conosciuto) il fascicolo processuale, comprendente le allegazioni delle parti che, come noto, avevano l’onere di indicare con precisione la fonte che citavano a loro sostegno. Un indizio in tal senso può leggersi nel § 2 della varia, ove compare un espresso riferimento alle spese processuali[13]. Si potrebbe, dunque, ipotizzare che l’esplicita citazione del divus Valentinianus in questo caso possa essere dovuta all’origine processuale del caso prospettato.

Oltre a questo rimando nominativo, pare interessante rilevare che nelle Variae si incontra la citazione espressa soltanto di un altro imperatore romano, Traiano. In particolare, il richiamo a Traiano ricorre quattro volte: si tratta, peraltro, di riferimenti riguardanti non tanto la sua opera normativa quanto condotte esemplari sotto il profilo ‘istituzionale’ di quest’imperatore nei rapporti con gli altri organi della costituzione romana e con i suoi sottoposti. D’altronde, se si considera che l’ispirazione dell’opera, espressa nel sottotitolo, è ‘per il buon governo della città’ si comprende anche il motivo per cui Traiano emerge quale privilegiata citazione nominativa: Traiano appare a Cassiodoro come il modello di ottimo governante, onesto, incorrotto e probo[14].

Infatti, un primo ricordo di Traiano si legge in Var. VIII.3.5 ove si rende omaggio alla figura dell’imperatore romano, il cui comportamento viene additato come “clarum saeculis exemplum”. La condotta esemplare per la quale Traiano, secondo Cassiodoro, rimarrà celebre nei secoli riguarda il famoso episodio in cui l’imperatore, all’atto di ricevere il consolato, in piedi, davanti al console rimasto seduto, prestò il giuramento di rito (che il consolato comportava e che da Augusto in poi gli imperatori non avevano più pronunciato) con il quale invocava sul suo capo e sulla sua famiglia la collera divina qualora fosse venuto meno, consapevolmente, alla sua parola[15].

L’esempio riproposto da Cassiodoro e posto davanti alla componente romana del regno è tratto dal Panegiricus (Traiano imperatori dictus) di Plinio[16], autore che viene, tra l’altro, menzionato espressamente in Var. VIII.13.4.

L’individuazione della fonte di provenienza della citazione dell’imperatore romano, in questo caso, può costituire una riprova del fatto che le citazioni di Traiano derivino verosimilmente da fonti letterarie romane: nell’esempio offerto, appunto, Plinio, il cui Panegirico il funzionario di Teoderico, quindi, conosceva senza alcun dubbio.

Altro autore a cui Cassiodoro pare tributario per la conoscenza di episodi relativi a Traiano è Dione Cassio, dal quale parrebbe riprendere (in Var. VIII.13.5, indirizzata al questore Ambrosius) il ricordo della celebre frase pronunciata da Traiano al suo praefectus praetorio (Suburano), con la quale lo esortava ad usare le armi anche contro di lui qualora fosse venuto meno ai suoi doveri di principe[17].

Si tratta, quindi, di citazioni non propriamente afferenti alla produzione normativa traianea ma dovute, appunto, al valore esemplare, paradigmatico ricoperto da questo imperatore, comunque conferenti a cogliere appieno quel sentimento di profondo rispetto verso la tradizione giuridica romana cui prima si accennava.

Al di là dei casi in cui la ricostruzione del materiale utilizzato da Cassiodoro appare agevolato dalla presenza nel testo di una precisa indicazione nominativa, nella maggioranza dei casi l’indagine (di cui propongo un campione paradigmatico) presuppone un’opera, talora anche complessa, di analisi e raffronto tra i contenuti normativi riportati da Cassiodoro e le corrispondenti leggi romane rinvenibili nell’apparato testuale tecnico. Sotto un profilo metodologico, il lavoro richiede, quindi, da un lato l’esame dei contenuti delle romanae constitutiones quali sinteticamente riferiti nelle Variae, dall’altro, una lettura comparata che raffronti le nostre fonti di cognizione con l’esposizione cassiodorea.

L’individuazione della matrice legislativa su cui Cassiodoro si è basato nella stesura dei provvedimenti può, ad esempio, divenire possibile quando la mancanza di elementi formali nella citazione sia compensata dal sunto del principio giuridico espresso dalla costituzione e posto alla base della ratio decidendi del provvedimento (atteggiamento del resto usuale per la cancelleria).

Così accade, ad esempio, in Var. III.31.3[18], ove è riportata una missiva di Teoderico indirizzata al senato della città di Roma (datata 510/511) attinente a un caso, per la verità abbastanza peculiare, di uso di beni pubblici per interesse privato. La fattispecie concerne, in particolare, una servitù di acque, che illecitamente si è venuta costituendo (un soggetto, abusivamente, aveva deviato l’acqua delle pubbliche condutture di Roma per irrigare orti privati ed azionare mulini parimenti privati).

La soluzione additata da Teoderico al senato romano è fondata su un istituto di chiara derivazione romana. L’ordine, infatti, così suona: “se l'autore dell’illecito abuso sia difeso da una prescrizione trentennale (si … tricennii praescriptione munitur), costui, dopo avere accettato un prezzo equo, dovrà vendere quanto illecitamente ha portato via” (accepto pretio competenti suum vendat errorem).

La soluzione è una sorta di contemperamento tra la necessità di rispettare “i pilastri del diritto” (ne … legum culmina destruamus) e la pubblica utilità consistente nel giovare ai complessi edilizi (dum fabricis prodesse volumus).

Aldilà dei problemi di natura sostanziale che la peculiarità del problema può sollevare, ora interessa sottolineare il dato che la iussio teodericiana impone l’applicazione della cosiddetta longissimi temporis praescriptio, la cui operatività non consente che la servitù illecitamente costituita venga estinta sic et simpliciter: chi le ha dato vita ha diritto a una sorta di indennizzo (il “congruo prezzo” alla fine non sarà che questo), dopo di che si opera la rimessione in pristino e l’acqua riprende a passare dove passava trent’anni prima[19].

La tricennii praescriptio cui Cassiodoro si riferisce altro non è che la forma di prescrizione istituita da Costantino, opponibile dal convenuto a prescindere da titolo e buona fede, contro chi richiedesse la restituzione di un immobile (provinciale o italico) dopo 40 anni di possesso ininterrotto[20]. Allo strumento fu poi attribuita una portata più generale da Teodosio II per effetto della costituzione tràdita in C.Th. 4.14.1 del 422 d.C.[21], con la quale fu prevista la possibilità di paralizzare qualunque azione, inclusa la rivendica, dopo 30 anni (questo il nuovo termine iscritto da Teodosio II) di mancato esercizio del diritto[22].

Il nucleo dispositivo della iussio consente, dunque, in questo caso, di individuare nelle leges che prevedono la tricennii praescriptio e del cui rispetto si afferma la necessità (ne … legum culmina destruamus) la costituzione di Teodosio II riportata in C.Th. 4.14.1.

Aldilà di simili casi, che rappresentano del resto la minoranza, il gran numero di rinvii per così dire ‘anonimi’ alle romanae constitutiones (e le limitazioni alle nostre conoscenze delle fonti) rende spesso assai arduo risalire alla paternità della norma richiamata. Anzi, al riguardo mi pare plausibile congetturare che i riferimenti alla reverenda legum auctoritas (e formule simili) rappresentino molto spesso una sorta di ‘clausola di stile’, una formula stereotipa di citazione cui Cassiodoro ricorre per rivestire di maggior incisività la disposizione emessa[23] e con cui intende semplicemente sottolineare come la decisione assunta risulti coerente all’ordinamento romano vigente.

 

 

4. – Var. VII.41 e l’istituto della venia aetatis

 

Nonostante la tendenziale genericità delle citazioni, in alcuni casi pare possibile ricomporre, sia pure in via ipotetica, il percorso storico-legislativo al quale Cassiodoro si richiama nell’estensione del provvedimento.

Simile opera di ricostruzione, ad esempio, è percorribile in relazione a Var. VII.41.

La Var. VII.41 contiene la formula per la concessione di un istituto tipicamente romano, la venia aetatis.

Preliminare è un fotogramma giuridico-istituzionale.

La venia aetatis è quel privilegio che consente ai minores di XXV anni l’anticipazione della maggiore età, in modo tale da poter amministrare autonomamente il patrimonio, sottraendosi alla curatela. L’apposita istanza doveva essere presentata all’imperatore per un previo rescritto di autorizzazione ed successivamente inoltrata al magistrato competente. La conseguenza principale della concessione del beneficio (e, del resto, coerente con l’anticipazione della maggiore età) consisteva nella perdita del diritto di invocare la in integrum restitutio propter aetatem, introdotta dal pretore a difesa di quei minori che, raggirati in un’operazione negoziale, avessero subìto un pregiudizio patrimoniale[24].

Una serie di passi ulpianei restituiti nel Digesto[25] attesta che per lungo tempo, quantomeno ancora nel III secolo d.C., le concessioni del beneficio rimasero una sorta di favori strettamente personali rimessi all’indulgenza e alla benevolenza imperiale, e, conseguentemente, oggetto di provvedimenti eccezionali ed estemporanei.

Prima di procedere alla lettura del testo di Var. VII.41, seguendo il filo conduttore che qui si propone, va preliminarmente rilevato come Cassiodoro riferisca la disciplina applicata nella formula alla “reverenda legum antiquitas”, basandola sulla constitutionum auctoritas (§ 2): tali riferimenti, in questo caso, non rientrano in quelle formule stereotipe di citazione (di cui si diceva supra) ma costituiscono – come vedremo – un legame concreto ad una precisa produzione legislativa.

Da rilevare infine, sempre in via introduttiva, un (apparentemente) generico riferimento (all’inizio del § 2) a dei iura che “ad hanc veniam accedi voluerunt”.

Si pone, dunque, il problema di individuare le fonti legislative richiamate.

Il criterio più utile per ricomporre la storia legislativa che costituisce il terreno su cui viene elaborata la formula (e che conseguentemente esprime la disciplina dell’istituto a cavallo tra il V e il VI secolo d.C.) pare, anche in questo caso, quello che fa leva sul contenuto tecnico-giuridico emergente dal testo.

Pertanto, anche l’individuazione delle constitutiones alle quali il testo rinvia può cogliersi con maggiore efficacia mediante la valutazione del contenuto tecnico-giuridico risultante dalla formula. L’esegesi del testo sarà, dunque, occasione che consentirà sia la ricostruzione della disciplina dell’istituto sia l’individuazione delle constitutiones cui tale disciplina è dovuta.

Anzitutto, una notazione formale. La formula è impostata secondo uno stile dialogico tra il minore postulante e il sovrano, al quale viene inoltrata la supplicatio (si nota, infatti, come i verbi vengano usati alla seconda persona singolare, come se ci si stesse rivolgendo direttamente a colui che ha avanzato la richiesta: cfr. ad es., § 1: cupis, contemnis, depromis; cum tibi sit ratio; actiones tuae; § 2: Cape igitur, quod petis .. moribus exhibeto).

Poste queste premesse, leggiamo il testo della formula, di cui qui propongo anche la traduzione, per poi procedere all’esegesi.

 

VAR. VII.41 - FORMULA VENIAE AETATIS

 

[1] Gloriosa est supplicatio, quae veniam quaerit aetatis: quando se gravitatem de moribus profitetur accipere, quam maturitatem vitae adhuc non contingit intulisse. Minor nascendo grandaevus cupis esse consilio. Ita quod in humanis rebus audacissimum est, ad erroris auxilium beneficium contemnis annorum. Quapropter oblata supplicatione depromis, ut, cum tibi sit ratio firma prudentiae, actiones tuae non relinquantur ambiguae, ne infirmetur iure quod non potest utilitate titubare. Hoc nos, quibus cordi est bona desideria perficere, libenter accipimus, quia nullas se captare velle profitetur insidias, quisquis habere liberos contractus constanter affectat.

Gloriosa è la supplica con cui si chiede la venia aetatis: quando si dichiara di accettare il peso delle regole di comportamento che alla maturità della vita non è ancora capitato di recare.

Tu, minore quanto a nascita, desideri essere anziano quanto a saggezza. E così, cosa di grande coraggio nelle vicende umane, rifiuti il beneficio degli anni a presidio dell’errore. Pertanto, con la supplica che hai presentato, poiché hai ferma convinzione di saggezza, ottieni che le tue azioni non rimangano instabili, affinché non si invalidi sul piano del diritto quel che sul piano dell’interesse non può vacillare.

Questo (desiderio) noi, a cui sta a cuore esaudire i desideri meritevoli, lo accogliamo volentieri, poiché mostra apertamente che non vuole tendere alcuna insidia chiunque aspira con fermezza a stringere liberi contratti.

 

[2] Atque ideo, si id tempus constat elapsum, quo ad hanc veniam accedi iura voluerunt, nos quoque probabilibus desideriis licentiam non negamus, ut in competenti foro ea quae in his causis reverenda legum dictat antiquitas, sollemniter actitentur, ita ut alienandis rusticis vel urbanis praediis constitutionum servetur auctoritas: ne cum opinioni praestare volumus, utilitatem supplicis laedere videamur. Cape igitur nostro beneficio potiorem annis aetatem et quod petis ab oraculo, moribus exhibeto. Nam professio maturitatis acerbae locum denegat actionis, quando multo gravior est culpa, quam suae promissionis impugnat auctoritas.

E perciò, se risulta trascorso il tempo, in cui a questa concessione il diritto ha inteso si potesse accedere, anche noi non neghiamo alle richieste plausibili il permesso di promuovere solennemente presso il foro competente quegli atti che in questi casi prevede la veneranda antichità delle leggi, in modo tale che nell’alienazione di fondi rustici oppure urbani sia mantenuta l’autorità delle costituzioni: affinché, volendo primeggiare nel giudizio, non sembriamo recar danno all’interesse del postulante.

Ricevi dunque con il nostro beneficio la maggiore età, e di ciò che chiedi al sacro potere, dai dimostrazione con i costumi.

Infatti, una precoce professione di maturità toglie spazio all’azione, poiché molto più grave è la colpa quando essa contrasta con l’autorevolezza del proprio impegno.

 

 

5. – Esegesi di Var. VII.41.1

 

Gloriosa est supplicatio, quae veniam quaerit aetatis”: l’incipit della formula induce alcune riflessioni.

Anzitutto, un rilievo formale-lessicale. L’altisonante e retoricamente solenne qualifica di ‘gloriosa’ attribuita alla supplicatio con cui si richiede la venia aetatis pare sottolineare, da un lato, il culto della tradizione romana che tanto stava a cuore a Teoderico, quasi un vanto dei natali romani dell’istituto; dall’altro, potrebbe anche rappresentare un segnale indicatore dell'ormai incontestata fortuna che nella pratica aveva incontrato l'istituto.

Si è già avuto occasione di rilevare che i passi restituiti nel Digesto inducono a pensare che le concessioni del beneficio fossero, ancora nel III secolo, un fenomeno sporadico ed occasionale, lasciando così immaginare che il beneficio non avesse ancora assunto i contorni di autonomo istituto dotato di apposito nomen iuris[26].

Ebbene. L’attribuzione di un apposito nomen all’istituto pare oramai certificato dalla penna di Cassiodoro, che si avvale dell’espressione ‘venia aetatis’ nel senso indicato sia nel titolo della formula sia all’interno della formula stessa (cfr. incipit; inizio § 2)[27]. Del resto, anche la stessa elaborazione di una formula ad hoc depone in questo senso[28].

Il termine supplicatio comporta alcune osservazioni di natura procedurale: sotto questo profilo, la formula cassiodorea conferma la necessità della previa richiesta (supplicatio)[29] dell’interessato (in questo caso, al sovrano), come verrà poi confermato nel § 2, dall’inciso “nos quoque probabilibus desideriis licentiam non negamus, ut…”. In tal senso suonano significativi non solo l’incipit (Gloriosa est supplicatio) ma anche, in § 1, l’ablativo: “oblata supplicatione” e, in § 2, l’inciso “quod petis ab oraculo”.

Collegati alla notazione appena esposta sono inoltre tre punti relativi all’aspetto probatorio ed espressi nel § 2, sui quali si tornerà più avanti, e che qui mi limito ad evidenziare: occorre dimostrare il raggiungimento dell’età prevista dal diritto per chiedere la concessione della venia aetatis (“si id tempus constat elapsum, quo ad hanc veniam accedi iura voluerunt”) nonché l’onestà dei costumi (“quod petis ab oraculo, moribus exhibeto”); infine, l’istanza deve essere presentata al foro competente (“ut in competenti foro … actitentur”).

Presentata l’istanza quae quaerit veniam aetatis, Cassiodoro espone una sorta di riflessione (sempre sotto forma di dialogo) sulle motivazioni soggettive che possono indurre un minore a richiedere quello che sostanzialmente si configura come un aggravamento, irreversibile, della propria responsabilità nella sfera giuridica: “quando se gravitatem de moribus profitetur accipere, quam maturitatem vitae adhuc non contingit intulisse. Minor nascendo grandaevus cupis esse consilio”.

Il minore, nonostante l’età sino a quel momento raggiunta non lo consentirebbe, ritiene e dichiara di essere in grado di accettare gli oneri che tradizionalmente gravano sui maggiorenni, desiderando che la propria saggezza sia già pari a quella di un uomo pienamente maturo. Pertanto, rivelando grande coraggio, rifiuta la facoltà di avvalersi del beneficio degli anni posto a tutela dell’errore (“Ita quod in humanis rebus audacissimum est ad erroris auxilium beneficium contemnis annorum”).

Il beneficium annorum cui il minore rinuncia è quello che gli deriva dal fatto di non avere ancora compiuto venticinque anni, e di non avere quindi ancora raggiunto quella piena idoneità a far fronte ad oneri, obblighi e responsabilità (che sappiamo conseguire alla maggiore età). Il minore, dunque, disprezza, rifiuta di essere soccorso, in caso di errore negoziale, dall’erroris auxilium, vale a dire il provvedimento di in integrum restitutio propter aetatem.

La ferma convinzione della maturità del proprio discernimento lo induce, quindi, a presentare la supplicatio quae quaerit veniam aetatis, così da rendere chiara ed univoca l’espressione degli impegni che intende assumere (“Quapropter oblata supplicatione depromis, ut, cum tibi sit ratio firma prudentiae, actiones tuae non relinquantur ambiguae, ne infirmetur iure quod non potest utilitate titubare”).

L’espressione “actiones tuae non relinquantur ambiguae, ne infirmetur iure quod non potest utilitate titubare” sta a sottolineare il fatto che i comportamenti negoziali del minore che ottiene la dichiarazione di anticipo della maggiore età saranno certi (non relinquantur ambiguae), nel senso che qualora il postulante ottenga la venia aetatis non potrà poi ritornare sulla dichiarata volontà negoziale avvalendosi dei noti rimedi apprestati per tutelare la minore età.

Conclude il paragrafo l’espressione dell’accondiscendente benevolenza del sovrano, che si compiace di esaudire la meritevole richiesta, poiché mostra apertamente che non vuole tendere alcuna insidia chiunque aspira con fermezza a stringere liberi contratti (“Hoc nos, quibus cordi est bona desideria perficere, libenter accipimus, quia nullas se captare velle profitetur insidias, quisquis habere liberos contractus constanter affectat”).

Si sottolinea che l’espressione “quisquis habere liberos contractus constanter affectat” ribadisce la conseguenza della concessione della venia aetatis: il sovrano si compiace di accontentare tutti coloro che desiderano effettuare operazioni contrattuali liberi dall’assistenza del curatore. L’inciso non è tuttavia significativo, a mio avviso, di una generalizzazione indistinta, ma va raccordato alla limitazione, poco dopo espressa, indotta dalle constitutiones (ita ut alienandis rusticis vel urbanis praediis constitutionum servetur auctoritas) che, come vedremo, impongono un’eccezione nel caso di alienazione di praedia.

Il § 1, dunque, non rappresenta riferimenti ad una legislazione precedente ma è una sorta di preambolo, quasi un monito al minore postulante, che viene avvertito in merito alle conseguenze della sua richiesta.

 

 

6. – Var. VII.41.2 e il rinvio alla legislazione romana

 

I referenti legislativi sono concentrati nel § 2, la cui lunga proposizione iniziale appare assai densa di contenuti e, soprattutto, ricca di riferimenti alla sfera normativa: “Atque ideo, si id tempus constat elapsum, quo ad hanc veniam accedi iura voluerunt, nos quoque probabilibus desideriis licentiam non negamus, ut in competenti foro ea quae in his causis reverenda legum dictat antiquitas, sollemniter actitentur, ita ut alienandis rusticis vel urbanis praediis constitutionum servetur auctoritas: ne cum opinioni praestare volumus, utilitatem supplicis laedere videamur.

Preso atto delle generiche considerazioni circa le intime e personali motivazioni che possono muovere il minore alla supplicatio, svolti i doverosi avvertimenti relativi alle conseguenze del beneficio, Cassiodoro passa ad esporre presupposti, regole e fonti che governano l’istituto.

In primis, viene introdotto un presupposto sulla cui base si potrà poi dar corso alla supplicatio: “si id tempus constat elapsum, quo ad hanc veniam accedi iura voluerunt”. Il minore deve dimostrare il raggiungimento di un’età minima per poter legittimamente presentare la supplicatio ed aspirare al conseguimento della venia.

L’età minima necessaria viene definita in via indiretta tramite un generico richiamo a ciò che hanno stabilito imprecisati iura (la costruzione del discorso, infatti, riferisce le regole in tema di “tempus elapsum” ai iura: “tempus … quo ad hanc veniam accedi iura voluerunt”). E qui si pone il primo interrogativo volto a dare, se possibile, corpo a questi iura cui Cassiodoro si riporta per la determinazione del presupposto richiesto.

Le ipotesi che a questo punto della lettura si possono formulare sono principalmente due.

Una prima possibilità è che si tratti di un riferimento indistinto all’ordinamento giuridico in generale; mi pare, tuttavia, che simile genericità mal si concilii con il tenore complessivo del discorso e con la progressione dei riferimenti di seguito riportati (si noti la progressione “iura - reverenda legum antiquitas - constitutionum auctoritas).

La medesima sequenza conduce ad una seconda congettura: il termine iura potrebbe rappresentare una sorta di ‘riferimento anticipato’ a quanto stabiliscono le leges cui Cassiodoro si richiama subito dopo. Iura, quindi, come generico rimando a quell’ordinamento giuridico costituito dai provvedimenti normativi imperiali, a prescindere dalla sede codificatoria.

Tra breve, una volta sciolto il rinvio alle constitutiones, si potrà avanzare anche un’altra ipotesi, di certo più ardita ma suggestiva. Lascio quindi momentaneamente in sospeso il discorso, riservandomi di riprenderlo al momento opportuno.

Se, dunque, risulta soddisfatto il requisito dell’età minima, richiesto dai suddetti iura, il sovrano accoglie la richiesta di attivare presso il foro competente, quindi davanti a un magistrato, quegli atti che in questi casi impone la veneranda antichità delle leggi: “si …, nos quoque probabilibus desideriis licentiam non negamus, ut in competenti foro ea quae in his causis reverenda legum dictat antiquitas, sollemniter actitentur.

La finalità dichiarata della richiesta procedura è il rispetto dell’autorità delle costituzioni in tema di alienazione di fondi rustici oppure urbani (“ita ut alienandis rusticis vel urbanis praediis constitutionum servetur auctoritas”).

Significativa, quasi programmatica, la motivazione della volontà di mantenere la vigenza delle leggi esistenti: “ne cum opinioni praestare volumus, utilitatem supplicis laedere videamur”. Il sovrano, asserendo di non voler primeggiare nel giudizio per non recar danno all’interesse del postulante, afferma in sostanza che non intende derogare, come ritenendosi superiore, al diritto da tempo consolidato.

Come già si rilevava, la formula prevede la necessità di una previa autorizzazione del sovrano per poi procedere davanti al magistrato[30]. Un’ipotesi circa l’individuazione del foro competente può essere validamente espressa soltanto una volta individuate le leges che Cassiodoro cita subito a seguire. Anche su questo punto si tornerà, quindi, più avanti.

In questo nucleo centrale della formula si trovano i riferimenti alla “reverenda legum antiquitas” e alla “constitutionum auctoritas.

La struttura argomentativa del discorso pare costruita in modo tale da sottolineare una distinzione tra due differenti corpi normativi: al primo si riferirebbe l'espressione "ut in competenti foro ea quae in his causis reverenda legum dictat antiquitas, sollemniter actitentur"; al secondo, la consecutiva "ita ut alienandis rusticis vel urbanis praediis constitutionum servetur auctoritas".

La reverenda legum antiquitas avrebbe previsto una tipologia di norme di portata più generale la cui osservanza non deve tuttavia tradursi nell’inottemperanza di altre, poste da alcune constitutiones la cui auctoritas deve essere rispettata (servetur). Tali costituzioni riguarderebbero un filone normativo specifico, ravvisabile nella regolamentazione dell’alienazione dei praedia rustici ed urbani (alienandis rusticis vel urbanis praediis).

Pertanto, il pensiero di Cassiodoro così suonerebbe: “si devono rispettare i precetti, generali, stabiliti dalla reverenda legum antiquitas, ma in modo tale da far salve le norme specifiche poste in quelle costituzioni che attengono all’alienazione dei praedia rustici ed urbani”.

A questo punto cerchiamo di sciogliere il nodo delle constitutiones che rappresentano il principale referente normativo della formula cassiodorea.

Alla luce delle fonti di cui disponiamo (essenzialmente codice teodosiano e compilazione giustinianea) è possibile ricavare, sia pure in via ipotetica, la matrice legislativa su cui Cassiodoro si è basato nell’estensione del provvedimento.

A tal fine appare necessario risalire a ritroso nel tempo, rispetto all’epoca in cui scrive il funzionario goto. Nell’ordinamento romano, la venia aetatis appare regolata da una serie di leggi, a noi conosciute attraverso sia la codificazione di Teodosio II sia la compilazione giustinianea.

Anzitutto, seguendo un ordine cronologico, dal Digesto abbiamo notizia di una legge con cui Settimio Severo e Antonino Caracalla, agli inizi del III secolo d.C., intervennero in materia. Il passo cui siamo debitori dell’informazione è un frammento di Ulpiano tratto dall’XI libro ad edictum ed inserito sotto il titolo de minoribus XXV annis (D. 4.4.3pr)[31]: qui il giurista severiano riferisce che questi imperatori, recependo una prassi che si stava diffondendo, permisero ai minori, sia pur molto di rado, di amministrare da soli, sine curatore, il loro patrimonio[32].

La legge, dunque, si relaziona alle prime problematiche che sorsero nel periodo iniziale di applicazione del beneficio e mi pare plausibile ravvisare in essa la prima legge (almeno in base alle fonti in nostro possesso) che interviene in materia[33].

La conoscenza di questa costituzione, alla quale credo che difficilmente Cassiodoro potesse accedere attraverso i materiali che in Oriente si andavano collazionando per la redazione del Digesto[34], mi pare possa plausibilmente derivare dalla lettura del codice Gregoriano[35] che, come noto, raccoglieva costituzioni da Adriano a Diocleziano.

Dal codice dioclezianeo Cassiodoro può altresì aver attinto un rescritto di Aureliano del 274, che noi conosciamo attraverso il codice giustinianeo (ove costituisce la prima legge del titolo 2.44 dedicato ex professo alla venia aetatis)[36]: tale rescritto afferma recisamente che il minore beneficato della venia aetatis perde ogni diritto alla in integrum restitutio propter aetatem[37].

E’ evidente che si presuppone esistente una legislazione precedente non conservata nel Codice (giacché questa è la prima costituzione del titolo): è quindi implicito, ma evidente, il rinvio ai Digesta (ove, come visto, dal passo ulpianeo in D. 4.4.3pr si apprende di una costituzione in materia di Settimio Severo e Antonino Caracalla).

Il dato consente, credo, di ipotizzare che i compilatori dei Digesta e del secondo Codice abbiano provveduto ad evitare contraddizioni o ripetizioni, omettendo nelle leggi precedenti le norme poi ripetute, o modificate, da una legge di Costantino, la seconda del titolo, che costituisce – come vedremo – la principale fonte di riferimento.

La regola espressa nel rescritto di Aureliano trova corrispondenza nel testo di Cassiodoro laddove si legge, al § 1, “ad erroris auxilium beneficium contemnis annorum”.

Il precetto va inoltre verosimilmente integrato con un’altra legge, alla quale Cassiodoro poteva attingere attraverso la codificazione teodosiana: si tratta di una costituzione di Costantino del 315 d.C., con la quale viene attenuato il rigore della norma di Aureliano (C.Th. 2.16.2.1)[38]. Con essa, Costantino dispone che il minore, pur avendo conseguito l’anticipo della maggiore età, può esercitare la in integrum restitutio propter aetatem per quegli atti compiuti prima del decreto di concessione del beneficio, stabilendo al contempo che il diritto del minore alla in integrum restitutio propter aetatem sia imprescrittibile sino al compimento dei venticinque anni per lesioni anteriori al decreto stesso[39].

Per completezza, si ricorda che dal codice giustinianeo abbiamo notizia anche di un rescritto di Diocleziano emanato nel 294 d.C. che consente al minore che abbia conseguito la venia aetatis di stare da solo in appello, senza l’assistenza del curatore[40]. Stante le osservazioni sopra svolte, mi pare si possa ritenere che la sua conoscenza derivi a Cassiodoro, al pari di altre costituzioni sinora citate, dai codici privati e segnatamente, direi, dal codice Ermogeniano.

 

 

7. – La formula cassiodorea e la legge di Costantino in C.Th. 2.17.1

 

Tutte le costituzioni sin qui menzionate costituiscono il terreno normativo su cui si radica il testo più importante in materia, se non altro quello che rappresenta la prima regolamentazione organica dell’istituto: la costituzione in C.Th. 2.17.1 di Costantino del 321 d.C. (riportata anche in C. 2.44.2)[41].

Costantino formalizza con questa disposizione il procedimento volto al conseguimento della venia aetatis, con ciò testimoniando che ormai le richieste del beneficio non erano più un fenomeno occasionale e sporadico, o perlomeno non eccezionale (mentre, si ricorderà, i passi ulpianei restituiti nel Digesto lascerebbero invece pensare, almeno sino all’epoca di Ulpiano, che le concessioni del beneficio fossero ancora una sorta di favori ad personam).

Le regole poste dalla legge in C.Th. 2.17.1 appaiono sostanzialmente rispecchiate all’interno della formula cassiodorea. La valutazione del contenuto di questa costituzione permetterà di sciogliere alcuni punti lasciati in sospeso.

La procedura prevista si articola in due momenti: innanzitutto occorre rivolgersi all'imperatore (qui, il sovrano) al fine di ottenere un rescritto di generica autorizzazione, successivamente si possono presentare al magistrato competente le prove necessarie.

Questa regola appare rispettata anche nella formula, laddove si legge: “nos quoque probabilibus desideriis licentiam non negamus, ut… e “quod petis ab oraculo” per poi proseguire davanti al giudice competente (ut in competenti foro.. sollemniter actitentur), nonché “ne cum opinioni praestare volumus, utilitatem supplicis laedere videamur” (§ 2).

La legge di Costantino si apre con una dichiarazione di portata generale, con la quale si ammettono omnes adulescentes, sia maschi che femmine, alla supplicatio veniae aetatis.

Si nota che anche la formula si riferisce indistintamente ai ‘minores’ in generale, senza operare discriminazioni all’interno della categoria (§1: Minor nascendo; specialmente conferente in tal senso è la frase finale del § 1: quisquis habere liberos contractus constanter affectat; oltre ad un generico supplicis nel § 2). Tutti coloro, sia maschi che femmine, che soddisfano i requisiti posti nella formula appaiono, dunque, legittimati alla richiesta del beneficio[42].

Vengono poi fissate alcune condizioni.

Primo requisito richiesto è il compimento di una determinata età, a partire dalla quale è lecito presentare l'istanza di venia aetatis: Costantino la fissa nei venti anni per gli uomini e nei diciotto per le donne (C.Th. 2.17.1.1)[43].

A questo punto si può sciogliere con una certa concretezza l’indiretto riferimento, sopra visto, ai iura che avevano posto un’età minima per la supplicatio e ai quali la formula rinvia: “si id tempus constat elapsum, quo ad hanc veniam accedi iura voluerunt”.

Se, dunque, è vero - come credo che sia - che la principale fonte normativa di questa formula è la legge costantiniana, Cassiodoro con questo rinvio accoglierebbe il requisito del compimento dell’età minima posto in C.Th. 2.17.1.1 (venti anni per gli uomini e diciotto per le donne)[44].

Viene tuttavia da chiedersi per quale motivo Cassiodoro si riporti alla lex costantiniana (che, oltretutto, è la principale norma di riferimento) qualificandola “iura” e non, appunto, lex o constitutio (termini, in effetti, con cui richiama gli altri rinvii normativi).

Una spiegazione si può trovare sulla base di alcune considerazioni.

Si è detto che in tale legge compare per la prima volta, stante le fonti in nostro possesso, la fissazione ufficiale di un’età minima per chiedere la venia.

Tale precisazione, con tutta probabilità, non rappresenta una innovazione costantiniana in senso assoluto: mi pare più verosimile ritenere che Costantino in realtà non abbia fatto altro che formalizzare in termini ufficiali quella che ormai era la prassi, affermatasi in via casistica. Appare infatti poco credibile che provvedimenti straordinari e personali (come, appunto, erano i rescritti che sino a quel momento autorizzavano la procedura per chiedere il beneficio) potessero prescindere dalla valutazione dell’età del richiedente, essendo questo un elemento la cui valutazione debba inevitabilmente entrare in gioco per motivare la decisione[45].

In altri termini, mi pare altamente probabile pensare che, anche se a noi non sono giunte fonti precostantiniane in tal senso (eventuali testimonianze sarebbero state, verosimilmente, cancellate dai giustinianei per evitare ripetizioni o contraddizioni), quando gli imperatori autorizzavano con rescritto, caso per caso, l’attivazione della procedura per la concessione del beneficio non potessero non tenere conto dell’età del richiedente[46].

Ebbene. Iura potrebbe indicare quel diritto precostantiniano costituito dai rescritti di autorizzazione anteriori alla legge in C.Th. 2.17.1, rescritti che a noi non sono pervenuti in quanto sostituiti con la nuova disciplina, ma che Cassiodoro poteva leggere verosimilmente nei codici Gregoriano ed Ermogeniano, codici che, come testimonia ad esempio la Lex Romana Wisigothorum, in Occidente erano in quest’epoca, da una corrente di pensiero, considerati iura[47].

Il termine iura, pertanto, potrebbe implicare un riferimento alle norme apprese dalla lettura dei codici dioclezianei. Nella sequenza (iura…, reverenda legum ... antiquitas,constitutionum auctoritas) Cassiodoro seguirebbe, dunque, l’impostazione impressa da Alarico legislatore e si riferirebbe a due differenti fonti di cognizione del materiale giuridico da lui citato.

Proseguendo in questa direzione, si potrebbe anche pensare che tutto ciò che Cassiodoro aveva letto al di fuori dal codice teodosiano sia da lui riportato a quel diritto ante-codificazione e che definisce iura, riservando il termine lex al materiale contenuto nella codificazione ufficiale[48].

Secondo la legge costantiniana in C.Th. 2.17.1pr, raggiunta l’età stabilita (si id tempus constat elapsum), il minore doveva poi provare anche la propria morum honestas mediante testimoni, in pubblico[49].

Nella formula di Cassiodoro si legge: “Cape igitur nostro beneficio potiorem annis aetatem et quod petis ab oraculo, moribus exhibeto. L’inciso “quod petis ab oraculo, moribus exhibeto” sottolinea la necessità che il minore dimostri di essere degno di ciò che chiede al sovrano (ossia di essere dichiarato maggiorenne anzitempo) dando prova dell’onestà dei costumi[50].

Da un punto di vista procedurale, questo riferimento della domanda al “sovrano-oracolo” si pone come confermativo del fatto che la previa richiesta all’imperatore permane come primo atto d’impulso della procedura per poi attivare l’istanza presso il foro competente[51]. Vengono rispettati, dunque, i due momenti in cui si articola anche la procedura posta dalla norma costantiniana (secondo la quale occorre la previa autorizzazione dell'imperatore per poi presentare al magistrato competente le prove necessarie[52]).

Anche nel comando “moribus exhibeto” è dato leggere una chiara corrispondenza con la prova della morum honestas richiesta da Costantino[53]. Il requisito lascia un notevole margine di discrezionalità all'organo giudicante, dal momento che simile valutazione comporta un apprezzamento del tutto soggettivo dei boni mores, della probitas animi e della mentis sollertia.

Si può ora sciogliere il nodo dell’individuazione del foro competente di cui sopra: Cassiodoro dichiara che il beneficio va richiesto in competenti foro: salvo prova contraria, se è vero che la legge costantiniana è la principale norma di riferimento, mi pare debba ritenersi valido quanto Costantino vi aveva stabilito nel secondo paragrafo, ove aveva indicato i magistrati competenti a conoscere dell'istanza di venia aetatis, davanti ai quali andavano, appunto, allegate le prove richieste. I minori di rango senatorio dovevano presentarsi al praefectus urbi, i perfectissimi alla vicaria praefectura, gli equites romani davanti al praefectus vigilum, i navicularii al praefectus annonae[54].

La sostanziale conformità della formula alla disciplina costantiniana si riscontra anche laddove Cassiodoro sottolinea che si deve rispettare l’auctoritas di quelle costituzioni che sono intervenute in tema di alienazione di praedia rustici ed urbani (“ita ut alienandis rusticis vel urbanis praediis constitutionum servetur auctoritas”).

La formula mantiene la regola, ribadita da Costantino in C.Th. 2.17.1, che impone anche ai minori beneficati della venia aetatis di ottenere un decreto di autorizzazione magistratuale in caso di alienazione di praedia[55].

Nella riflessione conclusiva della formula, Cassiodoro ritorna sulla conseguenza principale del beneficio, offrendo una sorta di spiegazione della ratio che la determina:  Nam professio maturitatis acerbae locum denegat actionis, quando multo gravior est culpa, quam suae promissionis impugnat auctoritas”. La professione della maturità anticipata impedisce che il minore dichiarato anzi tempo maggiorenne possa in seguito pentirsi e cercare una tutela al fine di evitare eventuali conseguenze dannose. Una volta andata a buon fine la procedura per la concessione anticipata della maggiore età questa è irreversibilmente compiuta.

Chiude incisivamente la formula, dunque, il monito che l’aveva aperta: l’espressione “professio maturitatis acerbae locum denegat actionis” riprende, infatti, l’avvertimento che si legge nel § 1: “ad erroris auxilium beneficium contemnis annorum”. Il postulante viene avvisato un’ultima volta in merito alle gravi ed ineludibili responsabilità che, in seguito alla concessione della venia, peseranno su di lui, con ciò richiamando, ulteriormente, l’iniziale “quando se gravitatem de moribus profitetur accipere, quam maturitatem vitae adhuc non contingit intulisse”.

La formula, dunque, appare recepire in piena sintonia la disciplina dettata dalla legge costantiniana e che trova sede nella codificazione teodosiana (e che, nella sostanza, verrà recepita dai giustinianei).

La considerazione permette un’osservazione conclusiva.

L’individuazione delle romanae constitutiones che sostanziano il referente normativo di Cassiodoro rivela un duplice profilo d’interesse per gli studiosi di diritto. Da un lato, infatti, consente di gettare uno sguardo sulle fonti di cognizione che il funzionario di Teoderico aveva a disposizione e dalle quali può aver tratto il materiale normativo da lui utilizzato. In particolare, alla luce delle considerazioni sopra esposte, si può ipotizzare che la conoscenza delle costituzioni citate nella formula sia derivata a Cassiodoro dalla lettura dei codici Gregoriano ed Ermogeniano, dal codice teodosiano (e probabilmente, nel caso esaminato, anche dalla lettura dell’opera ulpianea). Dall’altro, risalire alla fonte normativa di riferimento consente di aggiungere dati ed informazioni preziose anche in merito al problem dell’applicazione del codice teodosiano nel regno ostrogoto, nella parte occidentale dell’Impero.

 

 



 

* Il lavoro riproduce sostanzialmente, con aggiunta dell’apparato critico essenziale, il testo di una relazione tenuta nell’ambito delle iniziative promosse dall’AST di Parma il 19 febbraio 2009.

 

[1] Sulle Variae di Cassiodoro vd. soprattutto Mommsen Th., Cassiodori Senatoris Variae, Berolini 1894 (= MGH. Auct. ant. XII); Hodgkin Th., The Letters of Cassiodorus, London 1896; Hartmann L.M., Cassiodorus, in PWRE. III/2, Stuttgart 1899, coll. 1671-1676; Skahill B.H., The Syntax of the Variae of Cassiodorus, Washington D.C. 1934; Fridh Å.J., Études critiques et syntaxiques sur les Variae de Cassiodore, Góteborg 1950; Id., Terminologie et formules dans les “Variae” de Cassiodore. Études sur le développement du style administratif aux derniers siècles de l’antiquité, Stockholm 1956; Tamassia N., L’alta tutela del re germanico, in AG 94 (1925) 3-38 (= Scritti di storia giuridica, I, Padova 1964, 451-479); Zimmermann O.J., The Late Latin Vocabulary of the Variae of Cassiodorus with Special Advertence to the Technical Terminology of Administration, Hildesheim 1967; Fridh Å.J., Contributions à la eritique et à l'interprétation des Variae de Cassiodore, Göteborg 1968; Id., Magni Aurelii Cassiodori Variarum libri XII, Turnholti 1973; O’Donnell J.J., Cassiodorus, Berkeley - Los Angeles - London 1979; Conso D., Sur le sens de Formula dans les Variae de Cassiodore, in Revue de philologie, de littérature et d'histoire ancienne 56 (1982) 265-285; Krautschick S., Cassiodor und die Politik seiner zeit, Bonn 1983; Sirago V.A., I Cassiodoro. Una famiglia calabrese alla direzione d'Italia nel V e VI secolo, Cosenza 1983; Fridh Å.J., Il diritto romano nelle Variae di Cassiodoro (trad. it. di Namia G.), in Calabria Libri 11-12, 1984, 202-221; Polara G., Cassiodoro, in Enciclopedia Virgiliana, I, Roma 1984, 691; Vidén G., The Roman Chancery Tradition. Studies in the Language of Codex Theodosianus and Cassiodorus' Variae, Göteborg 1984; Viscido L., Rispetto per la romanità nelle Variae di Cassiodoro, in Prometeo 15 (1984) 111-118; AA.VV., Flavio Magno Aurelio Cassiodoro. Atti della settimana di studi, Cosenza-Squillace, 19-24 settembre 1983 (cur. Leanza S.), Cosenza 1986 (spec. Aricò G., Cassiodoro e la cultura latina, 154-178; Sirago V.A., I Goti nelle Variae di Cassiodoro, 179-209; Cracco Ruggini L., Società provinciale, società romana e società bizantina, 245-261); Sirago V.A., Gli Ostrogoti in Gallia secondo le Variae di Cassiodoro, in Revue des Études Anciennes, 89 (1987) 63-77; Id., Italia e italianità nelle Variae di Cassiodoro, in Studi Tardoantichi4, 1987, 129-162; Barnish S.J.B., The Variae of Magnus Aurelius Cassiodorus Senator, Liverpool 1992; AA.VV., Cassiodoro: dalla corte di Ravenna al Vivarium di Squillace. Atti del Convegno internazionale di studi, Squillace 25-27 ottobre 1990 (cur. Leanza S.), Cosenza 1993 (spec. De Salvo L., Politica commerciale e controllo dei mercati in età teodericiana: su alcune formule cassiodoree); AA.VV., Teoderico il Grande e i Goti in Italia. Atti del XIII Congresso internazionale di studi sull’Alto Medioevo (Milano, 2-6 novembre 1992), Spoleto 1993 (spec. vol. I, e il progetto delle Variae, 45-76); Saitta B., La civilitas di Teodorico, Roma 1993; Riché P., Éducation et culture dans l’Occident barbare (VIe-VIIIe siècle)4, Paris 1995; Polara G., L’Italia meridionale nelle Variae di Cassiodoro, in L’Italia meridionale in età tardo antica. “Atti del XXXVIII convegno di studi sulla Magna Grecia, Taranto 2-6 ottobre 1998”, I, Taranto 1999, 9-36 (= Id., Ricerche sulla tarda antichità, Napoli 2001, 211-227); Hafner G., Cassiodor: ein Leben für kommende Zeiten, Stuttgart 2002; Kakridi Ch., Cassiodors Variae. Literatur und Politik im ostgotischen Italien, Leipzig 2005; Viscido L., Cassiodoro Senatore. Variae. Introduzione, traduzione e note, Cosenza 2005; Giardina A., Cassiodoro politico, Roma 2006.

 

[2] L'omaggio alla civiltà romana spazia, infatti, dalla cultura giuridica agli studia romana (come la grammatica e l’eloquenza: Var. IX.21), in un sentimento più vasto di nostalgia per la civiltà classica in generale (Var. VIII.31) e di dichiarata affezione per la città di Roma (Var. I.1.3: veneranda Romanae urbis affectio). Cfr. anche, ad es., Var. I.10.5 (antiquitas docta definit). Simili espressioni vanno lette anche alla luce dell’intento di presentare un’armonia tra i due ceppi etnici che tuttavia, verosimilmente, non corrispondeva alla realtà.

 

[3] Var. I.27.1: Si exterarum gentium mores sub lege moderamur, si iuri Romano servit quicquid sociatur Italiae, quanto magis decet ipsam civilitatis sedem legum reverentiam plus habere, ut per moderationis exemplum luceat gratia dignitatum?

 

[4] Praef. 16; Var. VII.2.1 (prudenter omnimodis inspexit antiquitas); Var. VII.8 (antiquorum prudentia summa… maiorum auctoritas); Var. VII.8.3 (prudens antiquitas deputavit); Var. VII.47.1 (prudens definivit antiquitas).

 

[5] Cfr., ad esempio, Var. IV.19.2 (provida definivit antiquitas); Var. IV.33.2 (institutis legum provida decrevit antiquitas); Var. IV.35.1 (Consulto provida decrevit antiquitas); Var. VI.21.1 (provide decrevit antiquitas); Var. VII.47.3 (provide vobis permisit antiquitas); Var. IX.18.1 (Provide decrevit antiquitas); Var. XI.35.3 (Augustorum provida deputavit antiquitas).

 

[7] Var. X.7.1 (antiquorum iura firmo consilio custodire). Cfr. anche, in via esemplare, Var. VII.10.1 (moderatrix providit antiquitas); Var. IX.18.9 (sollicita legalis sanxit antiquitas); Var. X.7.5 (Velle nostrum antiquorum principum est voluntas); Var. XI.38.1 (diligenter consideravit antiquitas).

 

[8] Tale esigenza, come noto, aveva suggerito alle cancellerie imperiali negli anni 426-429 d.C. la cosiddetta legge delle citazioni ed il progetto di un codice che "omni generalium constitutionum diversitate collecta nullaque extra se quam iam proferri liceat, praetermissa inanem verborum copiam recusabit".

 

[9] La riprova è fornita dall'unica citazione, completa con l'indicazione dell'imperatore emanante ed il titolo del codice in cui la costituzione si trova, presente in una legge imperiale nel periodo che intercorre fra la pubblicazione del codice teodosiano e la compilazione giustinianea. Essa, con tutta probabilità, non proviene dalla cancelleria ma dagli atti processuali del giudizio in cui l'imperatore interviene, richiamati nel testo legislativo. Si tratta della terza novella di Antemio del 468 d.C. in tema di bona vacantia in cui si legge: "nam cum de huiusmodi controversis ab amplissimis cognitoribus tractaretur prolata est constitutio de codice Theodosiano sub titulo "de bonis vacantibus", qua divus Constantinus cavit.." (Nov. Anth. 3). Sul punto Bassanelli G., Tracce dell'applicazione del Codice Teodosiano nelle fonti giurisprudenziali e legislative del V e VI secolo, Relazione tenuta al convegno "Aux sources juridiques de l'histoire de l'Europe: le Code Théodosien. Le Code Théodosien et l'Europe: moyen age, époque moderne”, Clermont-Ferrand. 4-6 dicembre 2008 (in corso di stampa).

 

[10] Var. IX.18 Edictum Athalaricus Rex. (a. 533-534) § 1:“…pervasionem … severitate legum et nostra indignatione damnamus statuentes, ut sanctio divi Valentiniani adversum eos diu pessime neglecta consurgat, qui praedia urbana vel rustica despecto iuris ordine per se suosque praesumpserint expulso possessore violenter intrare” (con la severità delle leggi e la nostra indignazione condanniamo l’usurpazione, stabilendo che la a lungo e a pieno torto trascurata norma di Valentiniano insorga di nuovo contro coloro che con spregio dei princìpi giuridici avranno osato, essi e i loro familiari, immettersi con la violenza in fondi urbani o rustici dopo averne cacciato il possessore); § 2: “quantum sanctio superius memorata testatur…”. Sostanzialmente, gli invasores del possesso altrui saranno riconosciuti colpevoli nella misura stabilita dalla sanctio citata. Il richiamo alla sanctio di Valentiniano appare, dunque, adesivo in ambedue i punti. La legge, oltre ad essere utilizzata nell’Editto di Teodorico, sarà successivamente ripresa nel codice giustinianeo, ove il testo viene modificato sensibilmente (C. 8.4.7).

 

[11] In tal senso Mommsen, Cassiodori Senatoris Variae cit., 501. In realtà, sull’effettiva identità del “divus Valentinianus” ivi citato possono sollevarsi dei dubbi: in materia di invasores, infatti, ha legiferato anche Valentiniano III (Nov. VIII – a. 440). Nella sostanza, tuttavia, si nota che Valentiniano III rinvia al predecessore, dato che potrebbe indurre a pensare che la novella del 440 rappresenti di fatto una generalizzazione della legge precedente.

 

[12] Come già ipotizzato per la Novella di Antemio: vd. nt. 9.

 

[13] Var. IX.18.2: “Litis quoque expensas iudicio superatus exsolvat…”.

[14] Di carattere meramente topografico pare, invece, l’indicazione del Forum Traiani di cui a Var. VII.6.1.

 

[15] Var. VIII.3.5: “… Ecce Traiani vestri clarum saeculis reparamus exemplum: iurat vobis per quem iuratis …”.

 

[16] Plin., Paneg. LXIV.1-3.

 

[17] Cassiodoro richiama il giuramento (vota) che tutti i magistrati, il senato ed i collegi sacerdotali prestavano in Campidoglio pro incolumitate reipublicae e pro incolumitate principis. Nei vota Traiano volle che si includesse la clausola (riferita da Plinio, Paneg. LXVIII): “[Gli dei conservino il principe] se governerà lo stato bene e nell’interesse di tutti”: cfr. Var. VIII.13.4 Ecce iterum ad quaesturam eminens evenit ingenio. Redde nunc Plinium et sume Traianum. Habes magna quae dicas, si et tu simili oratione resplendeas. fama temporum de legitima atque eloquenti iussione generatur. … [5] Renovamus certe dictum illud celeberrimum Traiani: sume dictationem, si bonus fuero, pro re publica et me, si malus, pro re publica in me…”. Cfr. Dio. Cass. 68.16. La vicenda è riportata anche da Plinio (Paneg. LXVII.4-8, LXVIII).

 

[18] Var. III.31: [2] Quapropter ordinationes nostras ad vestram facimus notitiam pervenire, quibus amplius credimus civitatis vestrae dispendia displicere. Dicitur ergo commodi cura privati aquam formarum, quam summo deceret studio communiri, ad aquae molas exercendas vel hortos rigandos fuisse derivatam: turpe et miserabile hoc in illa urbe fieri, quod per agros vix deceret assumi. [3] Et quia non possumus admissi qualitatem ultra iura corrigere, ne, dum fabricis prodesse volumus, legum culmina destruamus, si huius nefandissimae rei dominus tricennii praescriptione munitur, accepto pretio competenti suum vendat errorem, ut, quod laesionem publicis praestat fabricis, non praesumatur ulterius, ne quod nunc sub largitate corrigimus, postea severissime vindicemus.

[2] Vi rendiamo perciò edotti al riguardo, in quanto crediamo che non poco vi dispiacciano i danni della vostra città. Si dice, quindi, che per privato interesse l'acqua delle condutture, alla cui conservazione si sarebbe dovuto attendere con grandissima vigilanza, sia stata dirottata per azionare mulini ed irrigare orti: il che è vergognoso e deplorevole che accada in quella città, quando appena sarebbe stato sopportabile in campagna. [3] E poiché non possiamo correggere un fatto del genere oltre il limite della legalità, affinché, nel voler giovare ai complessi edilizi, non demoliamo le torri del diritto, nel caso che l'autore di questo nefandissimo abuso sia difeso da una prescrizione trentennale', costui, dopo avere accettato un prezzo equo, venda quanto illecitamente ha portato via. Ciò perché non si provi a commettere in avvenire azioni dannose agli impianti pubblici e noi più tardi non puniamo, manifestandoci molto severi, quegli errori a cui adesso rimediamo con generosità (trad. Viscido, Cassiodoro Senatore Variae cit., 120ss.).

 

[19] E’ significativo in tal senso che oggetto della venditio non è una res, ma un error, cioè una situazione derivante da un illecito, come appunto può configurarsi una servitù.

 

[20] Della costituzione costantiniana abbiamo notizia da un papiro egizio riportato in FIRA III (Florentiae 1943) 318ss.

 

[21] C.Th. 4.14.1 [= Brev. 4.12.1]. Imp. Theodosius A. Asclepiodoto p.p. Quae ergo ante non motae sunt actiones, triginta annorum iugi silentio, ex quo competere iure coeperunt, vivendi ulterius non habeant facultatem. Nec sufficiat precibus oblatis speciale quoddam, licet per annotationem, meruisse responsum vel etiam iudiciis allegasse, nisi, allegato sacro rescripto aut in iudicio postulatione deposita, fuerit subsecuta conventio. In eandem rationem illis procul dubio recasuris, quae post litem contestatam, in iudicium actione deducta habitoque inter partes de negotio principali conflictu, triginta denuo annorum devoluto curriculo, tradita oblivioni ex diuturno silentio comprobantur. Dat. xviii. kal. dec. Constantinopoli, Victore v. c. cons. Successivamente la legge verrà inserita in C. 7.39.3.

 

[22] Sotto il profilo temporale, l’epistola che stiamo leggendo viene scritta da Cassiodoro nel periodo antecedente alla riforma giustinianea della praescriptio (Var. III.31 è infatti datata tra il 510 e il 511); il diritto romano di riferimento dovrebbe dunque essere ancora quello sancito nel codice teodosiano. Parrebbe, quindi, permanere l’impostazione impressa da Teodosio II.

 

[23] Oltre al già ricordato intento di creare una convivenza pacifica tra Goti e Romani, regolata da un’unica lex e da una aequabilis disciplina (Var. II.16.5), così da rendere le due razze un popolo autonomo che perpetuasse la civilitas romana, della quale i Goti sono considerati custodi (Var. IX.14.8: “Gothorum laus et civilitas custodia”). Cassiodoro si impegnò con zelo e convinzione alla realizzazione di questo progetto, cercando persino di legare la storia dei Romani a quella dei Goti (Var. IX.9.5-6: “Originem Gothicam historia … dispersam), che considerava i difensori, e non i nemici, dell’indipendenza d’Italia: per questo servì fedelmente Teoderico ed i suoi successori e per questo guardava come ad un serio pericolo ai rapporti che la classe senatoria filoromana aveva intessuto con l’Oriente. In questa direzione continuò ad operare anche alla morte di Teoderico, quale precettore del principe erede Atalarico che la madre Amalasunta aveva fatto educare secondo la tradizione romana. Tuttavia la morte precoce di Atalarico seguita da quella della madre, unitamente all’avanzata delle truppe bizantine in Italia non consentirono, come noto, la realizzazione del programma. Del resto, questo programma già sin dall’inizio non poteva avere fortuna in quanto sgradito ad una delle parti che si volevano conciliare: sotto Teoderico, infatti, all’interno della componente romana si erano create due fazioni, una filobizantina (esemplarmente rappresentata da Simmaco e da Boezio) che intendeva riconoscere la supremazia di Costantinopoli per salvare l’integrità della tradizione imperiale; l’altra filogotica, decisa a tutelare l’autonomia del ‘regno italico’. Sul punto vd. per tutti Viscido, Cassiodoro Senatore Variae cit., 22s. Si potrebbe anche pensare a una precisa scelta ideologica di Cassiodoro che, costellando così riccamente la sua opera di espressioni di lode ed ossequio verso la cultura romana, componendone quasi un panegirico, mirava a ‘dotare’ anche i Goti di un così nobile e stimabile passato.

 

[24] Ratio di questa privilegiata tutela era la convinzione che nei giovani, sino al compimento dei venticinque anni, il consilium fosse ancora labile e privo di stabilità e, in quanto tale, facilmente esposto ad insidie e raggiri. Per lo stesso motivo, del resto, era configurato come quantomeno necessario il consiglio di un curatore al quale, almeno in linea di principio, non si potevano sottrarre. Si ricorda inoltre che, intorno al 200 a.C., una lex Laetoria de circumscriptione adulescentium istituì un’azione contro coloro che, negoziando con un minore (pubere e sui iuris) l’avessero raggirato. Tale azione, che pare caduta in desuetudine in età postclassica, non verrà più menzionata nel Corpus iuris giustinianeo. Nello spirito di questa legge, il pretore sul finire dell’epoca repubblicana propose ulteriori rimedi per i minores XXV annis: l’exceptio legis Laetoriae (cfr. D. 44.1.7.1 Paul. 3 ad Plautium) ed una in integrum restitutio propter aetatem (D. 4.4.1.1 Ulp. 11 ad edictum). Vd. infra nel testo. Sulla venia aetatis vd. soprattutto Bellodi Ansaloni A., La “venia aetatis”: emersione storica e sviluppo, in Labeo 46 (2000), 3ss.

 

[25] D. 4.4.1-3pr.

 

[26] D. 4.4.3pr: “et eodem iure utimur”.

 

[27] Si può pensare che l’espressione abbia trovato un primo impiego tecnico come autonomo nomen iuris forse dal 274: vd. infra nt. 36.

 

[28] Probabilmente, simile mutamento di prospettiva si era già verificato almeno dall’epoca di Costantino come dimostra, a mio parere l’emanazione della legge in C.Th. 2.17.1 che disciplina in modo organico la concessione del beneficio. Sulla legge vd. infra. Sottostante a simile cambiamento non mi pare inverosimile scorgere esigenze di natura essenzialmente pratica, ravvisabili nella risaputa forte espansione dei traffici commerciali, che avevano determinato l’infittirsi di queste richieste.

 

[29] Zimmermann, The Late Latin Vocabulary cit., 142.

 

[30] Vd. supra. Come vedremo, le costituzioni romane prevedevano che simile autorizzazione venisse rilasciata dall’imperatore; nella formula di Cassiodoro si allude, invece, ovviamente, a Teoderico. In ogni caso, ciò che rileva è che il riscontro dell’età necessaria deve essere compiuto dall’autorità sovraordinata, imperatore o sovrano che sia.

 

[31] D. 4.4.3pr (Ulp. 11 ad ed.) Denique divus Severus et imperator noster huiusmodi consulum vel praesidum decreta quasi ambitiosa esse interpretati sunt, ipsi autem perraro minoribus rerum suarum administrationem extra ordinem indulserunt: et eodem iure utimur.

 

[32] Come risulta da D. 4.4.1pr-1 nonché dal medesimo D. 4.4.3pr. Riportiamo i passi per comodità di raffronto: D. 4.4.1 (Ulp. 11 ad ed.) Hoc edictum praetor naturalem aequitatem secutus proposui, quo tutelam minorum suscepit. nam cum inter omnes constet fragile esse et infirmum buiusmodi aetatium consiliúm et multis captionibus suppositum, multorum insidiis expositum: auxiliúm eis praetor hoc edicto pollicitus est et adversus captiones opitulationem. 1. Praetor edicit: “Quod cum minore quam viginti quinque annis natu gestum esse dicetur, uti quaeque res erit, animadvertam”. 2. Apparet minoribus annis viginti quinque eum opem polliceri: nam post hoc tempus compleri virilem vigorem constat. 3. Et ideo hodie in banc usque aetatem adulescentes curatorum auxilium reguntur, nec ante rei suae administratio eis commuti debebit, quamvis bene rem suam gerentibus. Simili favori sarebbero tuttavia stati elargiti molto di rado, presumibilmente solo in presenza di particolarissime circostanze e, in ogni caso, previa richiesta (supplicatio) dell’interessato. Bellodi Ansaloni, La “venia aetatis”cit., 5ss. Ivi, anche per il problema relativo all’anteriorità cronologica tra le concessioni imperiali e i decreta magistratuali.

 

[33] Vista l’eccezionalità della concessione, mi pare probabile che già in questa sede, anche se il passo di Ulpiano nella versione giustinianea non ne serba traccia, fosse entrato in valutazione il requisito del compimento di un’età minima.

 

[34] Non conosciamo la data della formula, mentre l’opera viene pubblicata tra il 537 e il 538.

 

[35] Si nota che nell'Interpretatio ad una costituzione di Filippo (a. 245) conservataci nell'Epitome visigotica del Cod. Greg. 2.3.1 (FIRA II, Florentiae 1968, 656s.) si ritrova l'espressione `venia aetatis' usata in senso atecnico. Il passo è citato da Solazzi S., Scritti di diritto romano 2, (Napoli 1957) 78-79, per escludere la necessità di provare la raggiunta maggiore età ex adspectu corporis in materia di tutela e curatela. Più in generale 1'Interpretatio Gregoriani citata è stata oggetto di un recente studio di Kreuter N., Römisches Privatrecht im 5 Jh. n. Chr. Die Interpretatio zum westgothischen Gregorianus und Hermogenianus, Berlin 1993.

 

[36] Il rescritto di Aureliano è la prima e più risalente costituzione del titolo, composto da quattro leggi, dedicato alla venia aetatis: C. 2 .44.1 (Aurel. – a. 274) : Eos, qui veniam aetatis impetraverunt, etiamsi manus idonee rem suam administrare videantur, in integrum restitutionis auxilium impetrare non posse manifestissimum est, ne qui cum eis contraberet principali auctoritate circumscriptus esse videatur. In risposta ad un quesito a lui sottoposto da un privato, l'imperatore Aureliano conferma recisamente che quei minori di venticinque anni beneficati della venia aetatis non possono successivamente avvalersi dell'ausilio della in integrum restitutio, nemmeno qualora si siano rivelati incapaci di amministrare con accortezza il loro patrimonio.

 

[37] Bellodi Ansaloni, La “venia aetatis” cit., 13.

 

[38] = C. 2.52.5. Il titolo 2.16 del codice teodosiano è rubricato de integri restitutione; il titolo 2.52 del codice giustinianeo è dedicato a de temporibus in integrum restitutionis tam minorum aliarumque persona rum, quae restitui possunt, quam heredum eorum.

 

[39] Addirittura nel diritto comune il minore poteva chiedere la in integrum restitutio anche contro la stessa concessione della venia aetatis. Infatti, ragionavano i dottori, se per ottenere il beneficio occorre una richiesta in tal senso da parte del minore, la stessa istanza, in quanto compiuta durante la minore età, costituisce un atto eventualmente dannoso, nei confronti del quale sussiste pertanto il diritto di chiedere la restituito. Cfr. Landucci L., Note al Glück, Commentario alle Pandette, IV, Milano 1890, 151 nt. A.

 

[40] C. 7.62.10 (Diocl. – Maxim. – a. 294): Si actor a curatore ordinatus deteriorem calculum reportaverit, tam ipse quam curator ad provocationis auxilium possunt pervenire, curator vero solus provocationis litem exercebit. 1 Sin autem interim adulescens veniam aetatis impetraverit vel ad legitimam aetatem pervenerit, potest suo nomine appellationem exercere. Qualora un minore durante lo svolgimento del processo abbia conseguito la venia aetatis Diocleziano rescrive che“potest suo nomine appellationem exercere”: viene meno, dunque, la necessità di richiedere un curator ad litem. Vd. Bellodi Ansaloni, La “venia aetatis” cit., 14ss. (ivi bibl.).

 

[41] C.Th. 2.17.1. Imp. Constantinus A. ad Verinum. Omnes adulescentes, qui honestate morum praediti paternam frugem vel maiorum patrimonia urbana vel rustica conversatione rectius gubernare cupiunt, et imperiali auxilio indigere coeperint, ita demum aetatis veniam impetrare audeant, cum vicesimi anni clausae aetas adulescentiae patefacere sibi ianuam coeperit ad firmissimae iuventutis ingressum: ita ut, post impetratam aetatis veniam, iidem ipsi principale beneficium allegantes, non solum praescriptorum annorum numerum probent, sed etiam testibus advocatis, honesta aut simili aut potiore dignitate praeditis, morum suorum instituta probitatemque animi testimonio vitae honestioris edoceant. Quod cum ea condicione effecerint, in alienatione praediorum ius tantum aetatis obtinebunt, quantum per annorum dimensiones ac temporum leges et natura singulis quibusque deferre consuevit. 1. Feminas quoque, quarum aetas biennio viros non sera pubertate praecedit, servato etiam in hoc temporis intervallo, decem et octo annos egressas ius aetatis legitimae mereri posse sancimus: sed eas, quas morum honestas mentisque sollertia, quas certa fama commendat. Has vero propter pudorem ac verecundiam in coetu publico demonstrari testibus non cogimus, sed percepta aetatis venia annos tantum probare tabulis vel testibus misso procuratore concedimus: ut etiam ipsae in omnibus contractibus tale ius habeant, quale viros habere praescripsimus. 2. Ita ut senatores apud gravitatis tuae officium de suis moribus et honestate perdoceant, perfectissimi apud vicariam praefecturam, equites Romani et ceteri apud praefectum vigilum, navicularii apud praefectum annonae. 3. Cui aetati, quoniam inter plenam perfectamque adolescentiam et robustissimam iuventutem media est, firmatae aetatis appellationem imponimus, ut prima aetas pueritiae sit, sequens adolescentiae, firmata haec tertia, quarta legitima, quinta senectus habeatur. 4. In ipsis etiam contractibus hac appellatione consignanda, ut non nudum nomen venditoris inseratur tabulis emptionum, sed ab illo, qui firmatae aetatis sit et honestus vir habeatur, emisse illum significetur, et venditorem esse firmatae aetatis: ita tamen, ut, quia spes adempta perfidiae est, et in vendendis praediis diligentiores esse persistant, qui beneficium meruerunt principale, nec praedia sine decreto alienent. Dat. v. id. april. Thessal. pp. iii. kal. iun. Romae, Crispo ii. et Constantio ii. caess. conss. [a. 321]

Si nota che il testo giustinianeo della costituzione presenterà alcune varianti rispetto alla redazione teodosiana, dovute sia ad esigenze di brevità sia ad innovazioni, di carattere soprattutto procedurale, apportate dai compilatori giustinianei. I principi fondamentali dell'istituto non hanno tuttavia subìto modificazioni di rilievo. La possibilità di richiedere la venia aetatis rimane aperta a tutti i minores XXV annis, di entrambi i sessi, purché abbiano compiuto venti anni i maschi e diciotto le femmine (siano cioè in quella che Costantino aveva definito firmata aetas; peraltro, la minuziosa distinzione in cinque fasce d'età presente nella redazione teodosiana non compare più). Primo atto d'impulso della procedura è ancora la sollecitazione di un rescritto imperiale; è rimasta anche la necessità di allegare, in un momento successivo, le prove relative all'età, alla morum honestas e alla mentis sollertia davanti al magistrato competente. Relativamente alle modalità di presentazione delle prove viene mantenuto il trattamento di favore per le donne: esse continuano ad essere esentate dal dover fornire in pubblico le prove necessarie mediante testimoni, potendo, invece, presentarle per mezzo di un procuratore. Viene integralmente omessa la parte finale del principium della costituzione quale riportata nella versione teodosiana, relativa al divieto di alienazione dei praedia senza decreto nonostante la concessione del beneficio. Non si tratta però di un'abrogazione della norma, posto che i giustinianei la riporteranno non solo in un altro punto della medesima costituzione, ma anche in quella immediatamente seguente nel titolo (C. 2.44.3, del 529). Sono state, invece, radicalmente modificate le disposizioni in tema di competenza dei magistrati : laddove Costantino aveva operato una rigorosa ripartizione a seconda della classe sociale del minore richiedente, Giustiniano dispone, molto più semplicemente, che nelle capitali ci si rivolgesse, se di rango senatorio, al praefectus urbi, altrimenti al pretore, mentre nelle province, senza distinzione, ai governatori di queste. Bellodi Ansaloni, La “venia aetatis” cit., 18ss. (per il raffronto con il testo giustinianeo ib., 24ss.).

 

[42] Si tratta di un’innovazione sancita da Costantino e poi recepita in occidente, come prova la formula cassiodorea: in epoca anteriore, infatti, il diritto di richiedere la venia aetatis, spettava soltanto ai minori di sesso maschile (tale ius.. ..quale viros habere praescripsimus: C.Th. 2.17.1.1 in fine). L’esclusione delle donne viene, ad esempio, attestata in D. 4.4.1.2 (Apparet minoribus annis viginti quinque eum opem polliceri: nam post hoc tempus compleri virilem vigorem constat). Costante dottrina ritiene che il beneficio verrà concesso, a partire da Costantino, anche alle donne ad ulteriore conferma del noto processo di equiparazione tra i due sessi (perlomeno sul piano giuridico-formale) che, iniziato in età repubblicana, si concluderà verso la fine del V secolo d.C. Sul punto Bellodi Ansaloni, La “venia aetatis” cit., 19s.

 

[43] Ritorno, al riguardo, sulla tesi avanzata nel mio precedente lavoro: Bellodi Ansaloni, La “venia aetatis” cit., 20. Pare inoltre interessante rilevare, incidentalmente, come parte della terminologia impiegata da Costantino nella citata costituzione in C.Th. 2.17.1 relativa alle partizioni della vita umana in fasce d’età (C.Th 2.17.1.3: Cui aetati, quoniam inter plenam perfectamque adolescentiam et robustissimam iuventutem media est, firmatae aetatis appellationem imponimus, ut prima aetas pueritiae sit, sequens adolescentiae, firmata haec tertia, quarta legitima, quinta senectus habeatur) emerga anche in Var. VII.42.1, ove compare l’espressione “cum tibi sit ratio firma prudentiae”: la qualifica di firma annessa ai sostantivi ratio prudentiae, che esprimono la maturità derivante dall’età, sembra attinta dalla terminologia costantiniana della firma aetas di cui in C.Th. 2.17.1.

 

[44] Al riguardo non si pongono nemmeno problemi circa l’adesione da parte di Cassiodoro alla versione teodosiana o giustinianea della legge stante il fatto che l’età minima coincide in entrambe le versioni.

 

[45] Vd. supra. La legge di Costantino e la prassi successiva non sarebbero, quindi, nel senso di una generalizzazione della concessione, richiedendosi, come dimostra ancora la formula di Cassiodoro, una puntuale istruttoria di verifica dei requisiti richiesti. Se fossero stati numerosi simili provvedimenti a favore di adolescenti, l’evoluzione avrebbe portato, mi pare, ad una generalizzazione indifferenziata del beneficio.

 

[46] A meno che non si preferisca ritenere che la legge di Costantino avesse lo scopo di render più rigido un atteggiamento della cancelleria divenuto troppo lassista.

 

[47] Sul punto vd. per tutti Lambertini R., Introduzione allo studio esegetico del diritto romano3, Bologna 2006, 98. Ci sono, tra l’altro, dati plausibili, almeno a mio parere, per ipotizzare che Cassiodoro riportasse regole stabilite da costituzioni apprese dai codici Gregoriano ed Ermogeniano, oltre a basarsi sicuramente sul codice teodosiano, anche sul Breviarium. Che Cassiodoro utilizzasse il corpus normativo alariciano è supportabile da vari elementi, tra cui, ad esempio, il fatto che in Var. IX.18 si riporti a una costituzione, C. Th. 4.22.3, il cui testo ci è conservato non da manoscritti del codice teodosiano, ma soltanto dal Breviarium (4.20.3), come si legge nell’apparato critico dell’edizione Mommsen - Krüger. Su Var. IX.18 vd. supra.

 

[48] In tal senso, si pensi anche alle costituzioni che potrebbe avere appreso dalla lettura dell’opera ad edictum di Ulpiano.

 

[49] Sulle differenze stabilite tra maschi e femmine: Bellodi Ansaloni, La “venia aetatis” cit., 22. È prevista una sola eccezione: il divieto di alienare i praedia sine decreto, senza cioè un'apposita autorizzazione del magistrato.

 

[50] Il termine oraculus è termine quasi sacro, ad indicare autorità sovraordinata, quasi divina; in questo caso, l’imperatore, o il sovrano. Cfr. Zimmermann, The Late Latin Vocabulary cit., 153.

 

[51] La previa richiesta all’imperatore è del resto implicita nel tenore della formula (si ricava da espressioni del tipo “Hoc nos … libenter accipimus” (§ 1); ““nos quoque …licentiam non negamus, ut…”(inizio § 2); “ne cum opinioni praestare volumus, utilitatem supplicis laedere videamur” (§ 2).

 

[52] Vd. supra.

 

[53] Sia nella versione teodosiana (C.Th. 2.17.1pr) che giustinianea (C. 2.44.2.1). Bellodi Ansaloni, La “venia aetatis” cit., 18 ss.

 

[54] C.Th. 2.17.1.2. Come si ricorda in nt. 42, la giustinianea C. 2.44.3 del 529 modificherà radicalmente le disposizioni in tema di competenza dei magistrati. Vd. Bellodi Ansaloni, La “venia aetatis” cit., 23.

 

[55] Il divieto di alienare o pignorare sine decreto i praedia rustica degli impuberi venne stabilito, com'è noto, da una Oratio Severi del 195 d.C. nei confronti di tutori e curatori ed era stato poi esteso, probabilmente in età dioclezianea, anche ai praedia dei minori di venticinque anni. Pertanto, in caso di simili alienazioni senza il prescritto decreto, è da credersi che anche quei minori che avevano ottenuto la venia aetatis avrebbero eccezionalmente potuto ricorrere all'auxilium della in integrum restitutio, altrimenti negato. Sul punto vd. per tutti Cervenca G., Studi vari sulla ‘cura minorum’, in part. 1. Cura minorum e restitutio in integrum, in BIDR. 75 (1972) 235ss.; 3. L'estensione ai minori del regime dell'Oratio Severi, in BIDR. 82 (1979) 4Iss. (per la principale letteratura sull'Oratio Severi vd. ib., 41 nt. 2). Si nota che nel recepire la legge costantiniana nel codice (in C. 2.44.2), i giustinianei omettono integralmente la parte relativa al divieto di alienazione dei praedia sine decreto nonostante la concessione del beneficio. Non si tratta però di un'abrogazione in quanto la norma ricompare non solo in un altro punto della medesima costituzione, ma anche nella legge immediatamente seguente nel titolo (C. 2.44 .3, del 529). In particolare, l'inciso “ut praedia sine decreto non alienent” viene inserito al termine del primo paragrafo, riguardante le disposizioni relative alle donne, nell’intento, a nostro avviso, di equiparare la disciplina in rapporto ai due sessi. Sul punto Bellodi Ansaloni, La “venia aetatis” cit., 22ss. (spec. 25). Contra cfr. Sargenti M., Il diritto privato nella legislazione di Costantino, Milano 1938, 161 nt. 2, che sostiene che con questa costituzione Giustiniano avrebbe piuttosto ristretto alle sole donne la limitazione relativa all'alienazione dei praedia.