[ISSN 1825-0300]

 

N. 9 – 2010 – Memorie/Tradizione-repubblicana-romana-III

 

 

Adriano Pilatti

Pontificia Università Cattolica

di Rio de Janeiro

 

Crisi della divisione dei poteri (e della rappresentanza politica) e potere negativo: il dibattito della Costituente brasiliana 1987-1988

 

 

Sommario: I. Premesse storiche. – II. Democrazia partecipativa e potere negativo nella Costituente del 1987-1988.

 

 

I. – Premesse storiche

 

La discussione sulla crisi del modello della divisione di poteri e la ricerca di possibili soluzioni con modelli alternativi è uno dei topoi della teoria costituzionale contemporanea, ed ha già assunto le più diverse colorazioni teoriche e ideologiche. Il suo oggetto è la concezione liberale borghese centrata sulla possibilità di distinzione formale tra le funzioni dello stato, e sulla necessità di distribuzione del suo esercizio, per prevenire, in questo modo, la tirannia e salvaguardare allo stesso tempo le libertà individuali, concezione questa già delineata dal Barone di Montesquieu e portata alle sue ultime conseguenze dai Federalisti Hamilton e Madison.

L’obiezione, però, non è solo teorica; raggiunge anche la pratica del Governo nello Stato liberale borghese, sia nella fedele positivazione realizzata dai convenzionali di Filadelfia, che ha originato il presidenzialismo nordamericano, già chiamato “imperiale”, sia nel più eterodosso e flessibile modello europeo attraverso la via parlamentarista. Divisione di poteri, controlli reciproci ed equilibrio tra di loro costituiscono il macchinario della forma statale borghese il cui combustibile è virtualmente il suffragio ed il filtro, il sistema rappresentativo. Come affermavano sia il Barone che i federalisti nordamericani, macchina, combustibile e filtro devono essere istituiti sia per superare il dispotismo dellancien régime, sia per impedire il dispotismo della moltitudine, la temuta democrazia, il potere assoluto della maggioranza senza potere.

Per i federalisti, effettivamente, non c’era la minima difficoltà nell’ammettere che la finalità ultima di questa costruzione istituzionale era preservare il diritto di proprietà della minoranza contro i desideri di uguaglianza della maggioranza:

 

«By a faction I understand a number of citizens, whether amounting to a majority or minority of the whole, who are united and actuated by some common impulse of passion, or of interest, adverse to he rights of other citizens, or to the permanent and aggregate interests of the community.

(...) But the most common and durable source of factions, has been the various and unequal distribution of property. Those who hold, and those who are without property, have ever formed distinct interests in society. (...) The regulation of these various and interfering interests forms the principal task of modern Legislation, and involves the spirit of party and faction in the necessary and ordinary operations of Government.

(...) When a majority is included in a faction, the form of popular government on the other hand enables it to sacrifice to its ruling passion of interest, both the public good and the rights of other citizens. To secure the public good, and private rights, against the danger of such a faction, and at same time to preserve the spirit and form of popular government, is then the great object to which our enquiries are directed (...).

(...) Democracies have ever been spectacles of turbulence and contention; have ever been found incompatible with personal security, or the rights of property (...).

A Republic, by which I mean a Government in which the scheme of representation takes place (...) promises the cure for which we are seeking»[1].

 

Sappiamo tutti che, nel modello classico di Montesquieu, divisione e controlli producono un meccanismo che tende alla paralisi (ed alle conseguenti inerzia del Governo e sua impossibilità ad affrontare gli interessi “individuali” dotati di strumenti contromaggioritari), e che era questo risultato che precisamente voleva il suo autore: Ces trois puissances devraient former un repos ou une inaction. Mais comme, par le mouvement nécessaire des choses, elles sont contraintes d’aller, elle seront forcées d’aller de concert[2]. Non dobbiamo meravigliarci che, nel secolo XX, le prime critiche più contundenti siano partite da quei settori che, sia di sinistra che di destra, vedevano nell’affermazione liberale borghese della divisione dei poteri e dei filtri rappresentativi un impedimento all’attuazione efficace dello Stato nella sfera socio-economica. Per ciò che riguarda il nostro tema, sono specialmente importanti le critiche provenienti dai costituzionalisti democratici vicini ai movimenti operai dei periodi tra le due guerre e dopo 1945 [3]. Tuttavia, anche nel campo liberaldemocratico il modello classico di Montesquieu ha incontrato obiezioni teoriche demolitrici che mostrano la sua superazione teorica, come quelle di Karl Loewenstein[4].

Al di là delle critiche derivanti dalla percezione dei cambiamenti relativi all’ingrandimento del compito dello Stato e delle sue funzioni nel secolo scorso, al di là della crisi determinata nel modello dall’interventismo statale contemporaneo, qui ci interessa una dimensione critica che risale giustamente alla interpretazione del modello repubblicano romano fatta da Polibio ed al suo superamento presentato da Machiavelli. Essa delinea un campo critico sostenuto in ugual forma da due posizioni fondamentali: una di origine propriamente marxista[5], di cui non tratterò in questa esposizione, se non indirettamente; l’altra posizione è di origine romanista e chiaramente rousseauiana. È questa ultima posizione – che ha nello stimato Professor Pierangelo Catalano (ed in altri colleghi che con lui la condividono) uno dei suoi riconosciuti difensori – quella che serve come parametro per le considerazioni che ora vi presento[6].

È risaputo che la dottrina sviluppata da Montesquieu ha come riferimento necessario la spiegazione che Polibio presenta a difesa della superiorità del sistema politico romano, da lui definito come il modello di costituzione mista, di complementazione ed equilibrio tra i principi e le istituzioni monarchiche, aristocratiche e democratiche. È anche conosciuto che, pur seguendo i passi di Polibio, Machiavelli si allontana da lui e fonda una nuova prospettiva per la politica moderna quando afferma che la causa efficiente della superiorità del modello romano risiede nel permanente contrasto tra plebe e patrizi, e soprattutto quando conclude elogiando la funzione dei tribuni come una istituzionalizzazione della potenza dei plebei per mantenere dinamico il regime del dissenso. Come ho già avuto l’opportunità di mettere in evidenza[7], era pertanto nella dinamica della disunione e del dissenso tra plebei e patrizi che Machiavelli identificava il vero sostegno della Repubblica, e attraverso di essa, della libertà. Al mettere in evidenza il carattere incruento e poco violento della maggior parte delle lotte avutesi nel periodo che va dai Tarquini ai Gracchi, il nostro autore ribatteva le critiche di coloro che non riuscivano a vedere in queste lotte l’origine delle buone istituzioni che favorirono la libertà tra i romani:

 

«Né si può chiamare in alcun modo con ragione una repubblica inordinata, dove sieno tanti esempi di virtù, perché li buoni esempli nascono dalla buona educazione, la buona educazione dalle buone leggi, e le buone leggi da quelli tumulti che molti inconsideratamente dannano; perché chi esaminerà bene il fine d’essi, non troverà ch’egli abbiano partorito alcuno esilio o violenza in disfavore del comune bene, ma leggi ed ordini in benefizio della pubblica libertà (…).

E se i tumulti furono cagione della creazione de’ Tribuni meritano somma laude; perché, oltre al dare la parte sua all’amministrazione popolare, furono costituiti per guardia della libertà romana …»[8].

 

Insomma, è stato nel confronto tra queste classi o collettività che Machiavelli ha identificato allo stesso tempo la necessità e la condizione di possibilità della creazione di istituzioni che servissero alla libertà, poiché la storia romana avrebbe dimostrato che i patrizi tendevano alla distruzione di questa libertà ed i plebei alla sua conservazione. Così, nel chiedersi in quali mani dovrebbe essere depositata la difesa e la garanzia della libertà, se nelle mani dei grandi o se in quelle dei piccoli, nel famoso brano in cui paragona le saghe di Sparta e di Roma, Machiavelli conclude:

 

«E venendo alle ragioni dico, pigliando prima la parte de’ Romani, come e’ si debbe mettere in guardia coloro d’una cosa che hanno meno appetito di usurparla. E senza dubbio, se si considera il fine de’ nobili e degl’ignobili, si vedrà in quelli desiderio grande di dominare ed in questi solo desiderio di non essere dominati, e per conseguente maggiore volontà di vivere liberi, potendo meno sperare di usurparla [la libertà] che non possono i grandi; talchè essendo i popolani preposti a guardia d’una libertà, è ragionevole ne abbino più cura, e non la potendo occupare loro, non permettono che altri l’occupi»[9].

 

Ora, è giustamente partendo dagli orizzonti aperti da Machiavelli per una comprensione radicalmente democratica, ex parte populi delle istituzioni politiche romane, che Catalano ed altri possono cogliere, nel secolo XVIII, la prospettiva democratica di Rousseau, e metterla in contrasto al costituzionalismo liberale borghese che trova la sua caratteristica europea nell’asse Montesquieu-Sieyès. Per intendere questo, è molto importante il recupero e la valorizzazione del concetto di potere negativo presentato da Catalano. Secondo l’autore,

 

«Il concetto di potere negativo, che si trova chiaramente in Rousseau e in Fichte grazie ad una riflessione sul diritto pubblico romano, in particolare sul tribunato, era stato “dimenticato” dal costituzionalismo della seconda metà del XIX secolo e sopravviveva, in qualche modo, solo in alcuni scritti di romanisti. Orbene, la riflessione sul “tribunato”, che si sviluppò dopo gli avvenimenti del Termidoro in Fichte, in Babeuf, in Buonarroti, quindi all’Assemblea Costituente della Repubblica Romana del 1849 e fino a Lenin (...), costituisce uno degli aspetti più originali e maggiormente ignorati del pensiero giuridico moderno e contemporaneo»[10].

 

Nello spiegare il significato e le sfumature del concetto, Catalano afferma:

 

«l’esilio, la secessione, la resistenza, lo sciopero generale sono state espressioni, storicamente determinate, dell’aspetto “negativo” della sovranità dei cittadini.

Si può parlare del “potere negativo” (che ne pouvant rien faire peut tout empêcher, secondo le parole di Rousseau) a proposito della secessione e dello sciopero. Ma bisogna distinguere, a mio avviso, tra “potere negativo diretto”, ossia esercitato direttamente dai cittadini (appunto: secessione, sciopero generale) e “potere negativo indiretto”, esercitato attraverso strumenti designati genericamente come “tribunato” (tribuni plebis, tribunal d’ephores, grand jurè national, e via dicendo)»[11].

 

Oltre a questo, dobbiamo anche ricordare che in un lavoro anteriore, Catalano aveva già fatto notare che «In alcuni ordinamenti si è giunti alla costituzionalizzazione del diritto di sciopero, cioè di un ‘potere negativo’ dei lavoratori» per allora difendere che «con ciò si è in parte superata la divisione del potere caratteristica dello stato liberale». Ed aggiungeva più avanti che un'altra strada, allora assente, che portava a tal superamento era la specificazione di uno «strumento costituzionale per l’esercizio indiretto del potere negativo»[12]. Un’altra specificazione che lui condivide con gli altri rappresentanti di questa corrente teorica e con molti di noi qui presenti è l’ipotesi che una (se non addirittura la più importante) delle istituzioni che corrispondono a quello che è palesemente un modello – «il ‘potere negativo’ è un modello»[13] – è, nelle sue diverse configurazioni nazionali, regionali e locali, il Difensore del Popolo[14].

Partendo da questi parametri, passo all’esame di alcuni antecedenti rilevanti per la comprensione della fortuna del dibattito sulla crisi del modello liberale rappresentazione politica/ divisione dei poteri/ controllo di costituzionalità[15] ed il tentativo di adozione di un modello di democrazia partecipativa con strumenti diretti ed indiretti di potere negativo nella Assemblea Nazionale Costituente brasiliana del 1987-1988 [16].

 

 

II. – Democrazia partecipativa e potere negativo nella Costituente del 1987-1988

 

Nei 509 anni di esistenza del Brasile, 388 anni furono marcati dalla schiavitù e dallo schiavismo, che vittimizzarono inizialmente gli indios e poi i neri africani. Questo sistema, associato alla vastità del territorio, ai livelli minimi di urbanizzazione, alla inesistenza di fabbriche (queste ultime proibite dalla Corona Portoghese), e al ferreo esercizio del potere politico, per una particolare combinazione tra il dispotismo locale dei latifondisti signori e padroni di schiavi ed un complessivo sistema di cooptazione e di repressione che assicuravano il dispotismo della Corona portoghese prima, e della Corte imperiale dopo la indipendenza formale, avvenuta nel 1822, impedì il sorgere di una mobilizzazione politica unificata da parte degli schiavi e dei nullatenenti. La conseguenza fu la impossibilità di costituire qualsiasi tipo di istituzione tribunizia o di potere negativo. Tra gli schiavi, la resistenza prese forma di esilio interno e secessione per mezzo dei quilombos (villaggi e complessi produttivi formati da schiavi fuggitivi, nascosti nel sertão, e lontani da altri centri abitati), quasi tutti distrutti con molta crudeltà. Tra i nullatenenti ed i piccoli borghesi, la resistenza non riuscì ad estendersi oltre a rivolte scoppiate e soffocate dentro gli orizzonti locali.

Dobbiamo ricordare qui che, nel virtuale comando di una delle più importanti di queste insurrezioni, la Confederazione dell’Equador, scoppiata in Pernambuco (nord-est brasiliano) nel 1824, il frate Joaquim do Amor Divino Caneca, sacerdote, polemista e giurista conosciuto come Frei Caneca, incluse il diritto alla resistenza contro l’oppressione nelle Basi per la Formazione del Patto Sociale, anteprogetto di Costituzione che redasse per la futura Confederazione[17].

Proclamata la Repubblica nel 1889, si volle arrivare ad un modello di governo calcato sulla Costituzione degli Stati Uniti, con una rigida divisione dei poteri, presidenzialismo e controllo della costituzionalità, oltre ai filtri rappresentativi che restringevano ad appena il 2% dei cittadini brasiliani l’esercizio del diritto di voto. L’unico modello discordante e degno di nota è stata la Costituzione Politica dello Stato di Rio Grande do Sul del 14/7/1891, preparata dal caudillo gaucho Julio de Castilhos. Nel suo testo, due innovazioni chiamano l’attenzione: da una parte, sulla linea della associazione del potere tribunizio con il potere locale[18], soprattutto in una nazione che ha un vasto territorio, il potere conferito ai Consigli Municipali gauchos per revocare una legge statale già promulgata dal Presidente dello Stato per mezzo di una richiesta sottoscritta dalla maggioranza degli organi rappresentativi locali e diretta al Capo dell’Esecutivo (a cui la Costituzione conferiva il potere legislativo, eccetto in materia finanziaria e tributaria)[19]; dall’altro lato, la consacrazione della revoca del mandato parlamentare da parte dell’elettorato (recall), punto considerato da Marx e Lenin come dispositivo fondamentale della “costituzione” del Comune di Parigi[20], una forma di organizzazione popolare in cui si facevano eco le idee di Rousseau[21]. Però la sanguinosa guerra civile che in seguito scoppiò in Rio Grande do Sul ed in tutta la regione meridionale del Brasile, come anche la conseguente continuità dei seguaci di Castilhos nel controllo del Governo dello Stato fino ad almeno il 1930, condannarono queste speranzose innovazioni al piano del nominalismo costituzionale criticato da Loewenstein[22].

Come antecedenti prossimi alla Costituzione del 1987-1988, possiamo ricordare tre cicli di mobilizzazioni e di contestazioni popolari che riproducono – se esaminiamo bene le cose, senza preconcetti né ortodossie – importanti espressioni del potere negativo e della azione tribunizia. Partendo dalla metà dell’anno 1950 e fino al famigerato colpo di stato militare-imprenditoriale del 1964, si verifica il sorgere di mobilizzazioni guidate da organizzazioni di lavoratori urbani e rurali, di intellettuali e di studenti. I loro obiettivi si direzionavano alla difesa delle ricchezze nazionali contro lo sfruttamento estero e alla promozione di cambiamenti nelle relazioni di classi interne, per mezzo delle, così chiamate in quel tempo, “riforme di base”: agraria, elettorale, abitazionale, tributaria, universitaria, ecc. Queste mobilizzazioni furono decisive perché avesse un grandissimo successo la Campagna della Legalità, mobilizzazione civica e militare che impedì la vittoria di un colpo di stato già tentato nel 1961 per impedire che prendesse il potere come Presidente della Repubblica il leader legato alla classe operaia e Vice Presidente João Goulart, come successore costituzionale dell’ex-Presidente Jânio Quadros, che aveva rinunziato.

Dopo aver preso il potere, il Presidente João Goulart, appoggiato dai governatori di orientamento laburista degli Stati del Pernambuco (Miguel Arraes) e di Rio Grande do Sul (Leonel Brizola), effettuò una vera azione tribunizia sia nella denuncia e nel tentativo di revisione dei privilegi giuridici del capitale e di interruzione delle relative pratiche sociali predatorie, così come sorprendentemente lo aveva fatto (con la dimensione tragica del sacrificio della propria vita), l’ex-dittatore ed allora Presidente eletto dal popolo minuto, Getúlio Vargas, in difesa della preservazione e ampliamento del controllo nazionale sul petrolio e sulle potenzialità della energia elettrica, e dei diritti dei lavoratori, nel momento estremo, per impedire e così rimandare di dieci anni la vittoria del colpo di stato tentato per la prima volta nel 1954.

Dopo il colpo del 1964, e fino alla radicalizzazione della repressione militare nel 1968, le organizzazioni popolari ancora esistenti capeggiarono mobilizzazioni di resistenza contro la oppressione crescente, apparendo già qui la attuazione coraggiosa di quei settori del clero cattolico chiamati progressisti. Durante il parossismo del terrore di Stato (1968-1975), non fu possibile nessuna mobilizzazione pubblica, però già nella metà degli anni 1970 risorsero i movimenti sociali e operai in episodi di uso del potere negativo che furono decisivi per la sconfitta della dittatura militare e il ristabilimento dello Stato di Diritto.

In quel contesto furono di centrale importanza i movimenti pastorali che risultarono nella organizzazione dei poveri e degli esclusi per mezzo delle così chiamate Comunità Ecclesiali di Base (CEB). Queste comunità fornirono una importante base per le campagne popolari contro la carestia, la censura, la tortura, per la amnistia, per l’abitazione e la proprietà della terra, oltre a contribuire per il rinnovo delle leadership ed organizzazioni sindacali che ebbero inizio allora. Con l’obiettivo di appoggiare le azioni dalle CEBs un gruppo di valorosi preti e vescovi cattolici di orientamento progressista ebbe una autentica funzione tribunizia, ed in alcuni casi con la dimensione sacrificale della propria vita. Alla fine del 1970, le mobilizzazioni sindacali di autentica disobbedienza civile davanti alla legislazione dittatoriale che proibiva gli scioperi, e l’esercizio della stessa disobbedienza civile fatta dagli studenti nel rifondare, contro la legislazione che lo proibiva, le organizzazioni studentesche, finirono col determinare una autentica revoca per il non uso – e per il rifiuto dei tribunali di applicarla – della succitata legislazione repressiva. Nel 1979, la vittoria della Campagna per la Amnistia Ampia, Generale ed Illimitata, portò alla approvazione della legge che sospese gli effetti degli atti di espulsione dal paese, sospensione dei diritti politici, condanna per crimini politici ed esclusione dal servizio pubblico, che erano stati emanati dai militari.

Da quel momento in poi, le mobilizzazioni presero un aspetto chiaramente positivo e costituente, e culminarono con la campagna per le elezioni dirette per la Presidenza della Repubblica nel 1984. Anche se sconfitta nel suo obiettivo immediato, questa mobilitazione aprì la strada ad un governo civile di transizione ed alla successiva convocazione di una “Assemblea Nazionale Costituente libera e sovrana”, eletta il 15/11/1986 e installata il 1/2/1988. L’inizio dei lavori della Costituente ebbe come panno di fondo tutto questo processo di mobilizzazioni. Per questo, poteva aspettarsi che i movimenti sociali coltivassero aspettative - rapidamente trasformate in strategie di pressione – di aprire opportunità di partecipazione diretta dei cittadini nel processo costituente[23].

Per una serie di ragioni che non posso esporre complessivamente qui[24], dopo una intensa polemica e grande pressione per partecipare nel processo decisori o, sia da parte del “basso clero” parlamentare dentro la Costituente, sia da parte dei settori sociali organizzati, il Regolamento Interno della Costituente non solo ha ammesso la partecipazione popolare diretta come anche ha adottato un procedimento che ha molto contribuito per una maggiore porosità dell’ambiente derisorio. Così, per soddisfare la volontà di partecipazione effettiva del basso clero, tutti i costituenti furono distribuiti, inizialmente, in 24 Sottocommissioni Tematiche incaricate della prima fase di elaborazione costituzionale, riunite tre a tre in otto Commissioni Tematiche responsabili per la seconda fase derisoria, i cui anteprogetti sarebbero unificati, nella terza fase, da una Commissione di Sistematizzazione, prima della sua votazione in Plenario da parte della Assemblea nella quarta e ultima fase[25]. Con questo, al definire 24 temi che avrebbero dovuto occupare inizialmente i costituenti, il Regolamento ha predefinito una opzione per il modello costituzionale detto dirigente (che facilita la costituzionalizzazione dei diritti sociali, economici e culturali), desiderato dai progressisti e dai movimenti sociali, a scapito del modello semplicemente garantista, preferito dai conservatori e dalla classe dirigente.

Più importante fu però l’adozione di strumenti di partecipazione diretta della cittadinanza: 1) l’accettazione, nella fase iniziale, di suggerimenti presentati dai tribunali, dalle assemblee statali e municipali e da entità rappresentative di segmenti della società, e il suo incamminamento alle commissioni competenti; 2) la riserva di un minimo di cinque riunioni delle sottocommissioni tematiche per udienza delle entità rappresentative dei segmenti della società, udienze pubbliche queste che dobbiamo dire hanno arricchito molto i dibattiti, poiché la esigenza del contraddittorio ha permesso che le organizzazioni rappresentative di settori opposti in conflitto potessero manifestarsi con tutta libertà; 3) la presentazione, nella terza fase, di emendamenti popolari al Progetto di Costituzione, a condizione di essere stati sottoscritti da 30 mila elettori, in liste organizzate al minimo da tre associazioni, e la difesa delle stesse nella tribuna della Costituente fatta da un cittadino non parlamentare e nominato dai firmatari; questo permise la raccolta di circa 12 milioni di firme per un totale di 122 emendamenti popolari, di cui più di 80 ebbero il loro contenuto totalmente o parzialmente incorporato al testo costituzionale[26].

Tutto questo sforzo non riuscì tuttavia a trasformarsi in molte proposte vittoriose di istituzione di strumenti di potere negativo e specialmente tribunizio, oltre a quelli già preesistenti e che furono mantenuti, e oltre ai pochi strumenti di potere positivo introdotti, e che si sono rivelati di una efficacia abbastanza ridotta[27]. Possiamo menzionare, come istituto di potere negativo mantenuto, o meglio, accettato dalla Costituzione del 1988 (per mezzo della ricezione della legge che dispone sul processo di impeachment), il chiamato principio della denunziazione popolare che venne ad acquistare una effettività inedita nel 1992. Questo principio permette a qualsiasi cittadino di denunziare, per la pratica di crimine di responsabilità, il Presidente della Repubblica, i ministri di Stato, i Giudici del Supremo Tribunale Federale, i Governatori di Stato e qualunque altra alta autorità avanti agli organi competenti[28]. Fu in base a questa prerogativa che nel 1992 i cittadini Barbosa Lima Sobrinho e Marcelo Lavenére (presidenti, rispettivamente, della Associazione Brasiliana della Stampa e del Consiglio Federale dell’Ordine degli Avvocati del Brasile) sporsero denunzia alla Camera dei Deputati contro l’allora Presidente Fernando Collor de Mello, e che risultò nella condanna dello stesso da parte del Senato alla inabilitazione all’esercizio della funzione pubblica per un periodo di otto anni, nonostante la sua rinuncia prima di essere giudicato.

In relazione al dibattito costituente propriamente detto, le proposte e le discussioni sulle istituzioni e procedimenti di partecipazione popolare positiva o negativa furono effettivamente lasciate al margine. Forse i 21 anni di dittatura recente, oltre il secolo di innumerevoli colpi di stato e periodi di eccezione, e principalmente la fiacca mobilizzazione autonoma dei lavoratori e degli sfruttati abbiano condotto inevitabilmente alla priorità dello Stato di Diritto con le sue deficienze democratiche tipiche, un poco trasformato per un sistema rappresentativo che oggi incorpora non solo il 2%, come un secolo fa, ma quasi il 70% dei cittadini come elettori, costituendo un potere elettorale molto potente, temperato da parchi ricorsi di partecipazione diretta.

Nella prima fase del processo costituente l’orizzonte pareva più favorevole alla costituzionalizzazione di alcune forme di potere negativo. Per esempio, sotto la spinta delle pressioni dei movimenti sociali, la Sottocommissione dei Diritti Politici, dei Diritti Collettivi e delle Garanzie, che faceva parte della Commissione della Sovranità e dei Diritti e delle Garanzie dell’Uomo e della Donna, approvò la revoca popolare del mandato di parlamentari eletti (recall) per i tre livelli della Federazione, con il titolo di voto destituente: «Gli elettori potranno revocare, con voto destituente, il mandato concesso ai loro rappresentanti nel Congresso Nazionale, nelle Assemblee Legislative e nei Consigli Comunali, nella forma che sarà regolamentata in una legge complementar[29]. Questa innovazione non è però sopravissuta alla seconda fase dei lavori costituenti, avutisi nelle Commissioni Tematiche.

Oltre a ciò, la resistenza demofobica ed antipopolare delle correnti conservatrici contro qualunque forma di partecipazione popolare nelle decisioni legislative – che per esempio aumentò da 30 mila, come era indicato dal Regolamento della Costituente, a più di 1.300.000 nel testo della Costituzione il numero necessario di sottoscrizioni per progetti di iniziativa popolare nell’ambito federale – ha impedito qualunque avanzamento importante in questo terreno[30]. Inoltre, perché il principio della democrazia partecipativa fosse iscritto come principio fondamentale a fianco del principio della sovranità popolare nella fase finale del Plenario, fu necessario che la parte progressista riunisse voti per rigettare la prima proposta conservatrice del Preambolo, e partendo da qui esigere, per l’approvazione delle seconda proposta conservatrice, che il paragrafo unico dell’art. 1º della Costituzione contenesse l’inoffensivo brano qui sotto messo in rilievo: «tutto il potere emana dal popolo, che lo esercita per mezzo di rappresentanti eletti o direttamente, nei termini di questa Costituzione»[31].

Contrariando questo panorama arido, solo la consacrazione – e la manutenzione in tutte le fasi del processo, inclusivamente davanti alla offensiva finale dei conservatori, alla quale sopravvisse – del diritto illimitato di sciopero, il cui enunciato fu dotato di una tale ampiezza che tranquillamente accoglie e garantisce il diritto allo sciopero per ragioni politiche. In effetti, dice il caput dell’art. 9 della Costituzione del 1988: «è assicurato il diritto allo sciopero, toccando ai lavoratori decidere sulla opportunità di esercitarlo e sugli interessi che per suo mezzo devono essere difesi». Ora, se la Legge Maggiore non esclude e neanche specifica la natura di questi interessi è perché essi possono anche essere politici. Però, la consacrazione – con un’ampiezza inedita nella nostra storia costituzionale – di questo millenario ed in altri tempi potentissimo strumento di potere negativo diretto dei lavoratori non ha resistito alla unione di alcune realtà nefaste che hanno marcato il finale del secolo XX: 1) nel loro tendenzioso conservatorismo, i tribunali del lavoro brasiliani hanno deciso di discriminare là dove la Costituzione non lo aveva fatto, e mantennero nelle illiceità lo sciopero esclusivamente politico; 2) inoltre, un ciclo di tredici anni di politiche economiche conservatrici dal 1988 in avanti, la dispersione territoriale delle strutture produttive determinata dalla fine del modello fordista-taylorista, la globalizzazione delle decisioni economiche, l’automazione della produzione ed in conseguenza la fine della prospettiva del pieno impiego decimarono le file sindacali, e resero impossibile l’esercizio ampio del diritto allo sciopero.

In relazione alla istituzione del Difensore del Popolo, nonostante siano esistite proposte in questo senso, anche da parte di organizzazioni di lavoratori[32] esse non ebbero successo a partire dalla fase intermediaria della Costituente. La Commissione della Sovranità e dei Diritti e delle Garanzie dell’Uomo e della Donna riuscì ad approvare e ad inserire nel suo Anteprogetto: 1) la definizione della «partecipazione della società organizzata per la designazione dei candidati a membri della Difesa del Popolo», e della «libera azione correttrice sulle funzioni pubbliche e sulle azioni sociali di importanza pubblica» come delle forme di esercizio della sovranità popolare; 2) la creazione della Difensoria del Popolo, «incaricata di vigilare per la effettiva sottomissione dei poteri dello Stato e dei poteri sociali di rilevante importanza per la Costituzione e per le leggi»; 3) la scelta del Difensore del Popolo e la possibilità di sostituzione, in qualsiasi tempo, per decisione della maggioranza assoluta della Camera dei Deputati, in questo ultimo caso «per mezzo di una richiesta popolare»; la estensione delle immunità parlamentari al Difensore del Popolo e la determinazione che anche le assemblee costituenti degli stati federati istituissero l’organo a livello regionale[33].

Il testo approvato dalla Commissione dei Diritti fu mantenuto con alcuni cambiamenti nella prima versione dell’Anteprogetto di Costituzione dalla Commissione di Sistematizzazione, però era già scomparsa nel Primo Progetto Sostitutivo del relatore e non fu neanche incorporata per emendamento nel testo finale del Progetto di Costituzione incamminato al Plenario[34]. Una delle ragioni sarà stata la intensa ed aggressiva mobilizzazione corporativistica dei membri del Pubblico Ministero affinché questa istituzione esercitasse le funzioni tipiche di una Difesa del Popolo. Però nel primo turno di votazioni in Plenario, la costituente progressista Raquel Capiberibe presentò un emendamento con la finalità di introdurre di nuovo la creazione del Difensore del Popolo, ma la proposta ebbe solo 188 voti, molti di meno dei 280 necessari per l’approvazione e dei 234 voti avutisi per il suo rigetto[35]. Dobbiamo anche osservare che, anche nel caso che si fosse mantenuto, l’istituto sarebbe nato con la macchia della sua scelta indiretta attraverso la rappresentanza popolare, e non direttamente per mezzo del popolo, come ha già osservato il Prof. Giovanni Lobrano[36].

Da quel tempo in avanti, continuiamo in cerca delle nuove forme istituzionali che possano permettere il ristabilimento, nella nostra epoca, della funzione tribunizia nella pienezza della sua espressione degli interessi dei nullatenenti, dei lavoratori e delle sfruttati contro gli interessi delle classi dirigenti e dominanti, anche per mezzo dell’esercizio del potere negativo indiretto. La verità però è che, nell’insieme delle esperienze vissute dal popolo brasiliano e dai nostri fratelli latinoamericani nei recenti anni, quello che si presenta come più promettente è piuttosto il repertorio ampio di azioni dirette della plebe sudamericana, il più delle volte in un piano paraistituzionale. In questo senso, è degno di essere registrata la mobilizzazione popolare (fatta con telefonini e internet dalla plebe venezuelana nel 2002), che fece abortire il colpo di stato montato dalle classi dominanti locali contro il Presidente Hugo Chavez, e che permise il suo ritorno all’esercizio dei suoi poteri costituzionali. Anche se di minor dimensione, ebbe senso analogo il movimento di produzione e trasmissione via internet di controinformazioni fatto dai cittadini brasiliani durante la crisi politica del 2005, che permise di superare il coro unificato dei mezzi di informazione conservatori contro il Presidente Lula e neutralizzare in questo modo l’offensiva di isteria moralista e golpista che pretendeva di impossibilitare la rielezione del Presidente-Operaio. Ciò aprì la strada perché, nelle elezioni del 2006, il potere elettorale più alto della moltitudine brasiliana potesse esautorare lo sforzo golpista con una schiacciante maggioranza che garantì la rielezione di questo autentico tribuno della plebe brasiliana.

Meccanismi istituzionali però sono più che mai necessari, e la potenza costituente della plebe romana, così come interpretata dal notabile Fiorentino, continua a servire come idea-guida ad ispirare molti tentativi di invenzione di nuove e sperate soluzioni formali attraverso le quali si permetta al nostro popolo, e alla moltitudine mondiale, come si è già osservato, di costruire non le migliori forme di governo, ma le migliori forme di liberazione della potenza vivente degli uomini e delle donne che lavorano e soffrono dello sfruttamento dal capitale.

 

 



 

[1] The Federalist Papers, X.

 

[2] De l’esprit des Lois, Deuxième Partie, Livre XI, Chapitre VI.

 

[3] Vedere, per tutti, Hermann Heller, Teoria do Estado. São Paulo: Ed. Mestre Jou, 1968, 283 ss. e, in Brasile, il classico saggio “A Separação de Poderes no Quadro Político da Burguesia” (in Cavalcanti T. e altri, Cinco Estudos. Rio de Janeiro: FGV, 1955), dell’ex ministro del Supremo Tribunale Federale Vitor Nunes Leal, sintomaticamente lo stesso autore nel non meno classico Coronelismo, Enxada e Voto, sui vizi oligarchici della rappresentanza politica in Brasile.

 

[4] V. Teoria de La Constitución. Barcelona: Ariel, 1986, 54-72.

 

[5] In questo senso, per tutti, di Antonio Negri, Il Potere Costituente - saggio sulle alternative del moderno. Varese: Sugarco edizioni, 1992, cap. II, IV-V.

 

[6] V. Pierangelo Catalano: Tribunato e Resistenza. Torino: Paravia, 1971; La Divisione del Potere in Roma (a proposito di Polibio e di Catone). Torino: G. Giappichelli Ed., 1974 – Estratto da Studi in onore di Giuseppe Grosso, VI; “Poder Negativo”, Enciclopédia Saraiva do Direito. Vol. 59. São Paulo: 1981, 146-159; “Princípios Constitucionais do Ano I e a Romanidade Ressuscitada”, in Tavares A. et Al., Direito Público Romano e Política. Rio de Janeiro: Renovar, 2005; Sovranità della Multitudo e Potere Negativo - un Aggiornamento. Torino: G. Giappichelli Ed., 2005 – Estratto da Studi in Onore di Gianni Ferrara, vol. I.

 

[7] La Plebe Multitudinaria e la Costituzione dei suoi Tribuni nella Società Globale, relazione presentata nel II Seminario di Studi ‘Tradizione Repubblicana Romana”, Roma, Campidoglio, 15-17 dicembre 2008.

 

[8] Op. cit. Libro Primo, IV, in fine.

 

[9] Idem, ibidem, V.

 

[10] P. Catalano, Sovranità della Multitudo e Potere Negativo, cit., 642.

 

[11] Id., op. cit., 643.

 

[12] P. Catalano, Tribunato e Resistenza, cit., 124.

 

[13] P. Catalano, Sovranità della Multitudo e Potere Negativo, cit.

 

[14] V. Catalano et Al. (Ed.) “Da Roma a Roma” – Dal Tribuno della Plebe al Difensore del Popolo – Dallo Jus Gentium al Tribunale Penale Internazionale. Roma: Illa, 21-22, febbraio 2002.

 

[15] P. Catalano, Tribunato e Resistenza, cit., 116-117.

 

[16] Per il concetto di democrazia partecipativa così come intesa dal costituzionalista progressista che di più ha influenzato i lavori della Costituente, nella condizione di assessore costituzionale del leader della Maggioranza, vedere Josè Afonso da Silva, Comentàrio Contextual à Constituição, São Paulo: Malheiros, 2009, e Poder Constituinte e Poder Popular (estudos sobre a Constituição), São Paulo: Malheiros, 2007.

 

[17] «Art. 1. I diritti naturali, civili e politici dell’uomo sono la libertà, la uguaglianza, la sicurezza, la proprietà e la resistenza all’oppressione» (ho evidenziato). Si noti che uno degli atti che ha precipitato la insurrezione è stato proprio il voto di Frei Caneca contro il giuramento, da parte dei cittadini della Municipalità di Recife, della Carta imposta nel 1824 dall’Imperatore I, dentro il colpo con il quale aveva sciolto la Costituente del 1823 ed aveva nominato un Consiglio di Stato per stendere la prima costituzione del Brasile. Per dare alla Carta una parvenza di legittimità, il despota stabilì che essa fosse giurata da ogni municipalità del Paese.

 

[18] Tema che sarà più tardi sviluppato dall’eminente Prof. Poletti.

 

[19] «Art. 32. Prima di promulgare qualsiasi legge, salvo il caso a cui si riferisce l’art. 33 (materia finanziaria e tributaria, competenza del legislativo statale), il Presidente farà pubblicare con la maggior diffusione il relativo progetto accompagnato da una dettagliata esposizione e motivi. § 1. Il progetto e la esposizione saranno inviati direttamente agli Intendenti municipali, che ne daranno la possibile pubblicità nei rispettivi municipi. § 2. Passato il periodo di tre mesi (…) saranno trasmessi al Presidente, da parte delle autorità locali, tutti gli emendamenti ed osservazioni che saranno fatti da qualsiasi cittadino abitante dello Stato. § 3. Esaminando con la massima attenzione questi emendamenti ed osservazioni, il Presidente manterrà inalterabile il progetto, o lo modificherà con quello che penserà essere più appropriato. § 4. In ambi i casi del paragrafo precedente, il progetto sarà cambiato, per mezzo della promulgazione, in legge dello Stato, che sarà revocata se la maggioranza dei Consigli Municipali farà una rappresentanza contro di essa al Presidente» (ho sottolineato).

 

[20] Vladimir I. Lenin, O Estado e a Revolução, specialmente il cap. III.

 

[21] «Art. 39. Il mandato di rappresentante non sarà obbligatorio; potrà essere rassegnato in qualunque tempo, e potrà anche essere ritirato dalla maggioranza degli elettori» (ho sottolineato).

 

[22] Op. cit., 213-231.

 

[23] Inclusivamente per mezzo della organizzazione, per mezzo di leadership prossime alla Chiesa progressista, di un Plenário Pro-Partecipazione Popolare nella Costituente. V. CEDI – Centro Ecumênico di Documentazione. Dossiê Constituinte. Rio de Janeiro, 1986.

 

[24] Per capire il processo decisorio che allora si ebbe, mi permetto di rimandare al mio A Constituinte de 1987-1988 – progressistas, conservadores, ordem econômica e regras do jogo. Rio de Janeiro: Lumen Juris, 2007.

 

[25] A esempio, i tre anteprogetti delle sottocommissioni del Potere Legislativo, del Potere Esecutivo, e del Potere Giudiziario e Ministero Pubblico sarebbero riuniti nell’anteprogetto della Commissione della Organizzazione dei Poteri e del Sistema di Governo, e questo inviato alla Commissione di Sistematizzazione dalle altre sette commissioni e sarebbe integrato, con gli altri, in un unico Progetto di Costituzione.

 

[26] Assembléia Nacional Constituinte. Resolução nº 2/1987, art. 13, 14, e 24. Brasília: Câmara dos Deputados, 1987. Per gli emendamenti popolari: Assembléia Nacional Constituinte. Emendas Populares. Brasília: Centro Gráfico do Senado Federal, gennaio 1988.

 

[27] Conforme il chiaro bilancio di Ronaldo Poletti in “Assembléias Populares e Democracia Direta”, Tavares et al. (ed.), Direito Público Romano e Política, cit., 79-90.

 

[28] Legge 1.079/1950, art. 14, 41 e 75.

 

[29] Assembléia Nacional Constituinte. Subcomissão dos Direitos Políticos, dos Direitos Coletivos e Garantias. Anteprojeto, art. 19. Brasília: Centro Gráfico do Senado Federal, maggio 1987.

 

[30] Costituzione della Repubblica Federativa del Brasile, art. 61 § 2 «l’iniziativa popolare può essere presa con la presentazione alla Camera dei Deputati di un progetto di legge sottoscritto da un minimo dell’uno per cento dell’elettorato nazionale, distribuito in almeno cinque Stati, e con non meno di tre decimi per cento degli elettori di ciascuno di essi» (!). L’elettorato brasiliano oggi arriva a 130 milioni di elettori.

 

[31] V. A Constituinte... cit., 236-237.

 

[32] Per esempio, la Piattaforma dei Docenti dell’Insegnamento Superiore per la Costituente, approvata dalla Associazione Nazionale dei Docenti dell’Insegnamento Superiore (Andes), dove si proponeva la «creazione di un incarico di difensore del popolo, che avrà l’incombenza di fomentare il rispetto dei poteri dello Stato per i diritti garantiti dalla Costituzione e dalle leggi. Il difensore del popolo sarà eletto dal Parlamento, per mezzo dell’indicazione di candidati da parte delle organizzazioni della società civile».

 

[33] Vedere art. 15, IV e V, e 40 dell’Anteprogetto in Assembléia Nacional Costituinte. Comissão de Sistematização. Anteprojetos das Comissões Temáticas e Índice. Brasília: Centro Gráfico do Senado Federal, 1987.

 

[34] Vedere Assembléia Nacional Constituinte. Comissão de Sistematização. Anteprojeto de Constituição. Brasilia: Centro Gráfico do Senado Federal, giugno 1987; idem, Projeto de Constituição- Substitutivo do Relator... agosto 1987; idem, Projeto de Constituição (A)... dicembre 1987.

 

[35] Emenda nº 1821. V. Assembléia Nacional Constituinte. Secretaria-Geral da Mesa. Projeto de Constituição – Mapas Demonstrativos da Matéria Rejeitada em Primeiro Turno pelo Plenário. Brasília: Centro Gráfico do Senado Federal, luglio 1988, 10.

 

[36] “Dal Tribuno della Plebe al Defensor del Pueblo”, in Da Roma a Roma... cit., 11-16, specialmente 13.