ds_gen Università di Sassari/Seminario di Diritto Romano/Pubblicazioni-11

 

Francesco Sini

Comente comandat sa lege - Cap. I

 

 

Problemi generali e linee della ricerca

 

 

Sommario: – 1. Passato e presente: la Carta de Logu d’Arborea nella storia e nelle tradizioni del Popolo Sardo. – 2. Riemersioni nella cultura sarda contemporanea (alcune teorie di Antonio Pigliaru su Carta de Logu e «vendetta barbaricina»). – 3. Problemi storiografici irrisolti (o irrisolvibili). A proposito della data di promulgazione della Carta de Logu. – 4. Suggestioni romanistiche: «su bene dessa re plubigha sardischa», «su utili cummoni» e altri motivi ispiratori della legislazione dei Giudici d’Arborea. – 5. Linee della ricerca.

 

 

1.         Passato e presente: la Carta de Logu d’Arborea nella storia e nelle tradizioni del Popolo Sardo

 

In tempi di rinnovata tensione autonomistica può essere utile, non solo per i Sardi, riflettere ancora una volta sulla Carta de Logu de Arborea[1]. Infatti, questo splendido

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monumento legislativo scritto in «sardo antico»[2] offre allo storico del diritto lo strumento più prezioso e più stimolante

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per riscoprire, anche nel vasto ambito della storia del diritto italiano[3], caratteri originali e peculiarità propri delle strutture giuridiche della Sardegna medievale, moderna, contemporanea; poiché non bisogna dimenticare che la Carta de Logu d’Arborea ha plasmato, con le sue leggi indelebili, molteplici aspetti della secolare vita di relazione del Popolo Sardo, quasi fino ai nostri giorni. Formalmente la Carta de Logu, conservata pur con le notevoli modifiche ed integrazioni apportate nel corso dei secoli, cessò di avere forza di legge solo nel 1828, anno in cui entrarono in vigore le Leggi civili e criminali, promulgate dal re di Sardegna Carlo Felice nel 1827[4].

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Le ragioni di una così lunga durata[5] sono da ricercare soprattutto nelle intrinseche qualità e nell’elevato spessore giuridico della compilazione ordinata dalla giudicessa Eleonora d’Arborea[6], i cui capitoli incarnavano infatti, per quanto tradotti con la scrittura «in termini colti»[7], le

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istanze fondamentali di esperienze popolari e consuetudinarie maturate nelle comunità sarde di pastori e contadini;

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dove peraltro si è conservata di fatto operante, anche ben al di là della sua stessa vigenza[8]. Sicché, ancora oggi, istituti ed usi tipici della Sardegna contadina e pastorale hanno le loro radici, per lo più senza coscienza storica del fatto, in capitoli dell'antica Carta voluta dalla grande Eleonora[9].

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Tale è sicuramente il caso delle compagnie di barracelli[10], che in numerosi paesi della Sardegna vigilano, come gli antichi Jurados de padru[11], a protezione delle coltivazioni

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e del bestiame e a tutela del territorio[12].

Anche alcune prescrizioni contenute nelle ordinanze della Regione Autonoma della Sardegna in materia di prevenzione degli incendi estivi[13] presentano notevoli elementi di simiglianza con la Carta de Logu; o meglio con

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i suoi Ordinamentos de foghu, statuiti nei capitoli 45-49. Tuttora, infatti, per combattere la micidiale piaga degli incendi – fenomeno purtroppo ricorrente nella storia secolare della nostra Isola[14] – è fatto obbligo alle comunità (Comuni, Province, ecc.) di predisporre idonee fasce tagliafuoco nei terreni di pertinenza pubblica, prima dell’inizio dell'estate[15]; con modalità e procedure assai simili a quelle prescrizioni della Carta de Logu che ordinavano alle comunità di villaggio (villas) de fagher sa doha[16]. Con le stesse

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finalità si giustifica (ora come allora) l’obbligo, posto in capo ai privati cittadini, siano essi proprietari dei fondi o altri aventi titolo, di osservare scrupolosamente i tempi prescritti[17] per l’abbruciamento delle stoppie di colture cerealicole o foraggiere[18].

Che dire, poi, della tenace persistenza nella Sardegna

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contadina della figura del juargiu[19] e del relativo contratto di società parziaria, in rapporto alla coltivazione della terra[20]; o degli usuali contratti di soccida tra pastori e proprietari (delle greggi o del pascolo), stipulati nelle nostre campagne in forme e contenuti assai simili, nei fatti, agli

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antichi Ordinamentos de cumonis, che regolavano tali fattispecie nella Carta de Logu arborense[21].

 

 

2.         Riemersioni nella cultura sarda contemporanea (alcune teorie di Antonio Pigliaru su Carta de Logu e «vendetta barbaricina»)

 

Tra le emersioni più significative della Carta de Logu nella cultura sarda contemporanea, meritano di essere ancora meditate con la massima attenzione le stimolanti riflessioni che possiamo leggere nella nota monografia di Antonio Pigliaru, dedicata alla più caratteristica delle «consuetudini giuridiche sarde»: la vendetta barbaricina[22].

Non è possibile naturalmente, in questa sede, soffermarsi

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ad illustrare la complessità di pensiero, la molteplicità di interessi teoretici[23] e il fermo impegno civile di Antonio Pigliaru[24] (titolare della cattedra di Dottrina dello Stato nell’Università di Sassari fino alla sua morte prematura, avvenuta nel 1969)[25]; ma non appare certo azzardato affermare che egli è stato, quasi sicuramente, il più significativo uomo di cultura che la Sardegna abbia avuto nella seconda metà del Novecento[26].

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Dunque, come si è già detto, Antonio Pigliaru aveva trattato della Carta de Logu di Arborea in alcune pagine della sua opera più originale: La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico. In quelle pagine, dopo aver evidenziato assai bene sia l’influenza che ebbe l’«esperienza romanistica» sul “codice” arborense[27], sia il fortissimo legame di esso con le «consuetudini giuridiche sarde»[28]; l’insigne filosofo del diritto formulava, con l’originalità e l’acutezza a lui consuete, una tesi davvero suggestiva. A suo avviso, il fatto che la comunità barbaricina in un momento imprecisato della sua storia «sia pervenuta al concetto che la vendetta è un dovere», sarebbe da ascrivere al fortissimo influsso che la legislazione penalistica della Carta de Logu ha esercitato sulla società sarda, nel

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corso di vari secoli, seppure in una dialettica sovente conflittuale tra «consuetudine e legge»[29].

A conferma della sua tesi lo studioso citava il capitolo 6 della Carta de Logu[30]: quello, cioè, che poneva in capo all’intera comunità di villaggio il dovere di catturare e consegnare agli organi giudicali il colpevole di un omicidio commesso nel territorio della villa. Ma di tale testo offriva un’interpretazione del tutto inusuale: «il tentativo di assicurare il delinquente alla giustizia posto in essere dalla Carta de Logu, attraverso quello che il Besta chiamerà “il

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sistema della responsabilità collettiva”, non ha, secondo me, solo le funzioni che normalmente gli vengono attribuite (rimediare all’insufficienza delle forze di pubblica sicurezza, rompere certi rapporti di omertà); ma più forse quella di sottrarre il reo all’iniziativa privata»[31].

Orbene, proprio il tenore del capitolo 6 della Carta de Logu renderebbe verosimile per il Pigliaru l’ipotesi da lui prospettata, circa l’archetipo originario da cui, nell’esperienza secolare delle comunità pastorali sarde, sarebbe stata mutuata la concezione della vendetta come dovere comunitario. «Possiamo per altro cominciare a domandarci, a proposito di questa posizione – scriveva infatti l’indimenticabile studioso di Orune –, se la comunità barbaricina non sia pervenuta al concetto che la vendetta è un dovere “proprio” attraverso, o anche “anche” attraverso la esperienza di questa perentoria disposizione che fa obbligo all’universalità dei soggetti (“tutti gli uomini”) di collaborare attivamente (e non solo passivamente) al regime della propria sicurezza, dentro e fuori della città, dentro e fuori casa, intervenendo attivamente e responsabilmente, epperò entro i limiti della legge, nella repressione delle colpe»[32].

 

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3.         Problemi storiografici irrisolti (o irrisolvibili). A proposito della data di promulgazione della Carta de Logu

 

Mentre Gerolamo Olives, giurista sardo del XVI secolo, prudentemente, non precisava l’anno di promulgazione della Carta de Logu arborense: «quod ista Capitula, et compilatio debuerunt publicari, et promulgari in aliqua die solemni, et sancta festivitate, nisi intellexerit de aliqua die sancta, hebdomadae sanctae. Nam in cap. 125 in eodem, ubi loquitur de Ferijs, nullum diem appellat sanctum, nisi hebdomadam sanctam»[33]; la storiografia dell’Ottocento riteneva invece quella data fosse da collocare nel giorno di Pasqua del 1395[34].

Com’è noto, a proporre questa datazione fu il cavaliere Giovanni Maria Mameli De’ Mannelli[35], autore della riedizione ottocentesca e della prima traduzione in lingua italiana della Carta de Logu: «Esser dovrebbe il giorno di

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Pasqua del 1395 anno, in cui fu pubblicata la Carta de Logu, e pare, che ciò si debba dedurre dai capitoli 19 e 20 ne’ quali si nomina sempre in primo luogo la Corona di San Marco, e dal cap. 105 in cui si prefigge il termine in quel primo anno, per prendere i Tavernaj le misure del vino, sino alla Corona di San Marco prossima ventura; e per contro in detti capitoli la Corona delle Palme, ch’è l’immediatamente precedente al giorno di Pasqua, vien nominata in ultimo luogo»[36].

L’attendibilità di una simile datazione fu sottoposta, nei primi anni del Novecento, a serrate critiche da parte di Enrico Besta, il quale trattò dell’argomento nella lunga e minuziosa prefazione illustrativa scritta per l’edizione critica del manoscritto cagliaritano della Carta de Logu [37], curata dal grande storico del diritto in collaborazione con il linguista Pier Enea Guarnerio. In quella sede, il Besta, dopo aver evidenziato magistralmente tutte le contraddizioni a cui una simile datazione dava luogo, esplicitava la sua proposta, avanzata pur con qualche dubbio, di collocare la promulgazione della Carta nell’anno

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1392[38]: «Nemmeno la data della pubblicazione della legge di Eleonora – scriveva al riguardo lo studioso – è del resto certa benchè molti abbiano scritto con tutta sicurezza che fu promulgata l’11 aprile 1395. In realtà si tratta di una semplice congettura del Mameli che, appoggiandosi ad una erronea lezione delle stampe, arguì che fosse stata promulgata il di di Pasqua nel sedicesimo anno della morte di Mariano da lui attribuita al 1379. Egli morì invece al più tardi nel 1376: e, se veramente la legge fosse stata edita sedici anni dopo la sua fine, non si potrebbe venire al di qua del 1392. Ma forse è anteriore»[39].

Propendeva, invece, per l’anno 1386 Antonio Era. Lo studioso algherese aveva manifestato tale convincimento, invero senza un’adeguata motivazione, in un saggio del 1939 destinato agli Studi in onore di Enrico Besta, in cui si indagava sulla natura delle così dette questioni giuridiche esplicative della Carta de Logu[40]. Qualche decennio più

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tardi, l’Era si attestò su posizioni meno decise, ma sempre contrarie alla data del 1392. Tali posizioni vennero ribadite anche nel suo ultimo studio: la lezione inaugurale, letta nell’Aula Magna dell’Università di Sassari in occasione della cerimonia di apertura dell’anno accademico 1959-60, che il Maestro volle dedicare significativamente a «Le ‘Carte de logu’»[41]. In questo saggio lo studioso, ritenendo di dover premettere «qualche dato cronologico orientativo» per la chiarezza della successiva trattazione, scriveva quanto segue: «Mariano regnò dal 1346 al 1375, il figlio Ugone III o IV, dal 1375 al 1383, [...]. Precisa Eleonora nel prologo che la carta emanata dal padre Mariano era rimasta per 16 anni senza alcun ritocco. Detraendo dal sedicennio gli otto anni del regno di Ugone si ricava che la carta di Mariano ebbe una data compresa tra il 1367 che porta al 1383 la redazione di Eleonora e il 1375 che porta la redazione di Eleonora al 1391»[42].

Sulla scia dell’Era si colloca la nuova «ipotesi» di datazione della Carta de Logu proposta più di recente da Ennio

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Cortese, in un discorso commemorativo dedicato proprio all’opera di questo acuto storico delle istituzioni giuridiche sarde: «Nel suo ultimo studio Era, prudentemente, si limita a ricondurre la compilazione di Eleonora al lasso di tempo compreso tra il 1383, quando inizia il suo governo, e il 1391, allorché scade il sedicennio dalla morte di Mariano. Sarebbe poi molto interessante conoscere i ragionamenti in base ai quali egli aveva lanciato nel ‘39, senza spiegazioni, la data del 1386: aveva forse in mente la prima convenzione con re Pietro? Certo, quest’episodio apre un lungo periodo, fino all’estate ‘91, in cui interventi normativi sembrano in linea di massima possibili: ma resta, a mio parere, che i mesi di gran lunga più propizi son quelli che si succedono dalla primavera alla fine del ‘90, o tutt’al più all’inizio ‘91»[43]. Ipotesi che, peraltro, il Cortese conferma anche nel suo recentissimo manuale di storia del diritto: «Si è discusso a lungo – scrive lo studioso – sulla data della Carta arborense, ma non si possono fare in proposito che vaghe congetture: forse i mesi più probabili sono quelli che vanno dalla primavera del 1390 all’inverno 1390-1391»[44].

Nonostante le numerose opinioni differenti, la data del 1392 ha finito per imporsi nella storiografia attuale quasi come un canone indiscutibile. Costituisce un esempio significativo di questo atteggiamento anche la più recente edizione e traduzione italiana della Carta de Logu arborense: quella pubblicata nel 1995 a cura di Francesco

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Cesare Casula per i tipi della Delfino Editore di Sassari. Nel commentare il testo della Carta, il curatore dedica al «problema della datazione» gran parte della lunga ed articolata nota al proemio: «Poiché si è sempre affermato – scrive in proposito il Casula – che l’autore della nota Carta de Logu sia più la juighissa che il padre, tutti hanno cercato di stabilire l’anno della versione emendata del Codice adottato, poi, anche dai governanti iberici e piemontesi del regno di Sardegna dal 1421 al 1827, proponendo le date più disparate in base a ragionamenti più o meno cervellotici. Ammesso che il problema sia importante, fra le date proposte quella che ci sembra la meno improbabile è la Pasqua del 1392, perché, almeno, trova qualche riscontro nella situazione politico-istituzionale dell’Arborea e nei riferimenti interni al testo»[45].

 

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4.         Suggestioni romanistiche: «su bene dessa re plubigha sardischa», «su utili cummoni» e altri motivi ispiratori della legislazione dei Giudici d’Arborea

 

Finalità dichiarate nel prologo della Carta de Logu[46] furono, principalmente, quelle di affrenare e constringhere

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«sa superbia dessos reos et malvagios hominis», al fine di consentire «quisos bonos et puros et innocentes pozant viver et istare inter issos reos ad seguritades pro paura dessas penas»[47].

In tal modo Eleonora d’Arborea, «per issos bonos capidulos» della Carta de Logu, si proponeva di porre fermo ed efficacissimo rimedio alla deteriore condizione della sua

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epoca, in cui – come ancora oggi, del resto – «ciaschuno est plus inquenivili assu malu fageri qui non assu bene dessa re plubigha sardischa»[48].

Mette conto rilevare, a questo proposito, come il citato richiamo «assu bene dessa re plubigha sardischa» lasci intravedere, una volta di più, il solido riferimento alla cultura giuridica coeva da parte degli ignoti compilatori della Carta de Logu d’Arborea; mi pare, infatti, possibile percepire distintamente, per quanto riguarda l’utilizzazione del concetto di respublica, sia la consapevolezza della

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relazione sintagmatica fra populus e respublica, già postulata dai glossatori più antichi[49]; sia la conoscenza dei vari significati della parola respublica, così come risultavano schematizzati nella Glossa accursiana[50].

La legislatrice arborense volle altresì ricollegare le norme della Carta de Logu ai motivi ispiratori dell'opera riformatrice del padre, Mariano IV di Arborea[51]; fra i quali

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primeggiava la difesa intransigente delle attività agricole[52] contro le frequenti invasioni dei pastori[53], perseguita da

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questo giudice con l'emanazione del cosiddetto "Codice rurale"[54], che non a caso fu poi introdotto, a partire dalla prima edizione a stampa, nella Carta de Logu di Eleonora[55]: «L’economia terriera sarda, nella “Carta” di

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Eleonora – scriveva al riguardo Carlo Guido Mor – ci appare imperniata, quasi, sul duello fra cultura e pastorizia, ma la legislatrice ci si palesa nettamente favorevole alla prima, difesa energicamente di fronte all’invandenza degli armenti»[56].

Fra i motivi ispiratori del grande giudice arborense non trascurerei il riferimento più generale alla suprema finalità del potere sovrano di legiferare, espresso dalla frase «provvideri a su utili cummoni et bonu istadu de sa gente nostra»[57], che possiamo leggere nel prologo del citato “Codice rurale”[58]. Infatti, in questo puntuale riferimento

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a su utili cummoni, quale finalità primaria della legislazione dei Giudici d’Arborea, mi pare possibile intravedere sottesi quei quaedam publice utilia[59], che la giurisprudenza

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romana aveva concepito come elementi caratterizzanti dello ius publicum :

 

D. 1, 1, 1, 2 (Ulpianus, libro primo institutionum): Publicum ius est quod ad statum rei Romanae spectat, privatum quod ad singulorum utilitatem: sunt enim quaedam publice utilia, quaedam privatim[60].

 

Elementi che furono poi recepiti anche dai compilatori costantinopolitani dei Digesta dell’imperatore Giustiniano, per concettualizzare le due positiones dello ius (pubblico e privato)[61].

 

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5.         Linee della ricerca

 

Prima di affrontare la questione relativa agli influssi del diritto romano giustinianeo sulla Carta de Logu, sarà bene precisare chiaramente l'oggetto dell'esposizione e fissare dei limiti rigorosi alla presente ricerca. Quindi, inizieremo col dire che cosa il lettore non deve aspettarsi da questo libro.

Non rientra, ad esempio, fra le finalità della ricerca ripercorrere sul filo della storia e della storiografia giuridica un tema come quello delle origini delle istituzioni giuridiche e politiche della Sardegna medioevale. Questo

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tema, peraltro, è stato indagato e discusso, fin dal XV secolo, da generazioni di giuristi e di storici del diritto: a partire da quell’anonimo giurista sardo, che proprio sul finire del XV secolo compose le cosiddette Questioni giuridiche esplicative della Carta de Logu (Leges pro sas cales si regint in Sardigna)[62]; o da Gerolamo Olives, giureconsulto sassarese del XVI secolo[63], al quale si devono quei Commentaria et glossa in Cartam de Logu, pubblicati a Madrid nell’anno 1567[64], che rappresentano la prima riflessione

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scientifica sulla legislazione di Eleonora d’Arborea[65].

Quanto si è detto viene a ridurre sensibilmente l'ambito dell'indagine. Ma, nel corso della ricerca non mi avventurerò – anche per mia evidente incompetenza in materia – neppure fra i meandri di quella storiografia che, fondando nella continuità del diritto romano pubblico e privato gli “elementi costitutivi”[66] delle istituzioni giuridiche sardo-giudicali, presumeva poi da tale continuità

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il carattere romano del diritto sardo del medioevo[67].

Infine, non procederò ad una esposizione completa dei disparati elementi romanistici, rilevabili nella Carta de Logu di Arborea. Per quella via, infatti, non si aggiungerebbe quasi niente di nuovo rispetto ai risultati già conseguiti da altri – e ben più validi – storici del diritto nel campo delle istituzioni politiche, del diritto penale, del diritto privato o dell'ordinamento processuale: penso, in particolare, ai contributi di studiosi quali Giovanni Zirolia[68], Francesco Brandileone[69], Enrico Besta[70],

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Arrigo Solmi[71], Raffaele Di Tucci[72], Aldo Checchini[73], Antonio Era [74] e, in tempi a noi più vicini, Antonio Marongiu[75] ed Ennio Cortese[76].

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La mia sarà, dunque, una ricerca soprattutto di carattere essenzialmente esegetico-comparativo. Mi limiterò, cioè, ad esaminare un piccolo numero di capitoli della Carta de Logu d’Arborea, mettendoli poi a confronto con alcuni testi giuridici romani: si analizzeranno, in particolare, solamente i capitoli della Carta in cui la legislatrice arborense si è richiamata in maniera esplicita al diritto romano, con termini propri quali sa lege o sa ragione (Capp. 3, 77, 78, 97, 98).

Nella prospettiva strettamente romanistica di questa ricerca, infatti, per dimostrare l’esistenza di influssi del diritto romano giustinianeo sulla Carta de Logu d’Arborea sarà giusto sufficiente accertare in maniera incontrovertibile, mediante lettura sinottica e analisi esegetica dei relativi frammenti del Corpus Iuris Civilis, quale grado di

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aderenza i citati capitoli della Carta de Logu abbiano conservato nei confronti di quei testi giuridici romani, che quasi per certo costituirono i modelli di riferimento per la legislatrice arborense e per i suoi non incolti compilatori[77].

 

 

 

 



 

[1] Con questo titolo è stato pubblicato nei primo anni del Novecento l’unico manoscritto esistente della Carta de Logu, posseduto dalla Biblioteca Universitaria di Cagliari: E. Besta - P. E. Guarnerio, Carta de Logu de Arborea. Testo con Prefazioni illustrative, Estratto dagli “Studi Sassaresi” III, Sassari 1905.

Nelle citazioni della carta arborense, ho seguito di norma il testo dell’edizione incunabola: Carta de Logu. Riproduzione dell’edizione quattrocentesca conservata nella Biblioteca Universitaria di Cagliari (a cura di Antonina Scanu), Sassari 1991; confrontandolo con Le Costituzioni di Eleonora giudicessa d'Arborea intitolate Carta de Logu. Colla Traduzione Letterale dalla Sarda nell'Italiana Favella e con copiose Note, del Consigliere di Stato e Referendario Cavaliere Don Giovanni Maria Mameli De' Mannelli, Roma 1805 [rist. an., Cagliari 1974]; col citato manoscritto pubblicato dal Besta e dal Guarnerio; nonché con la recentissima edizione di F. C. Casula, La “Carta de Logu” del regno di Arborèa. Traduzione libera e commento storico, Sassari 1995.

Per la storia delle diverse edizioni, rinvio al saggio esaustivo e ben documentato di Tiziana Olivari, Le edizioni a stampa della “Carta de Logu” (XV-XIX sec.), in “Medioevo. Saggi e rassegne” XIX (1994), pp. 159 ss.; da vedere anche Barbara Fois, Sulla datazione della ‘carta de Logu’, ibidem, pp. 133 ss.; e Giuseppina Cossu Pinna, La Carta de Logu dalla copia manoscritta del XV secolo custodita presso la Biblioteca Universitaria di Cagliari alla ristampa anastatica dell’incunabolo: bibliografia aggiornata e ragionata, in Società e cultura nel Giudicato d’Arborea e nella Carta de Logu. Atti del Convegno internazionale di studi, Oristano 5-8 dicembre 1992, a cura di G. Mele, Oristano 1996, pp. 113 ss.

 

[2] Mutuo l’espressione da E. Blasco Ferrér, Storia linguistica della Sardegna, Tübingen 1984, p. 64, al quale rinvio anche per una più puntuale definizione del concetto: «Preme rilevare, dapprima, che il concetto stesso di sardo antico, inteso come struttura linguistica volgare indipendente, non aderisce ad una realtà letteraria autosufficiente, in quanto veicolo di una larga tradizione orale; si tratta piuttosto di un complesso imponente, ma limitato, di dati linguistici appartenenti ad un registro cancelleresco»; dello stesso autore cfr. inoltre La lingua sarda contemporanea. Grammatica del logudorese e del campidanese, Cagliari 1986, pp. 70 s.

 

[3] Sul tema «La Carta de Logu nella storia del diritto italiano» si è tenuto a Cagliari, 9-11 dicembre 1993, un importante convegno di studi, i cui atti sono ormai di imminente pubblicazione. Al tema sono dedicate anche alcune pagine, assai ben informate, del recentissimo saggio di A. Mattone, La storiografia giuridica dell’Ottocento e il diritto statutario della Sardegna medievale, in “Materiali per una storia della cultura giuridica” XXVI (1996), pp. 67 ss., più in particolare pp. 96 ss.

 

[4] Al di là della valutazione complessivamente positiva – pur denunciandone una «singolare arretratezza» compilatoria – espressa da G. Vismara, Momenti della storia della famiglia sarda, in “Studi sassaresi”, III serie, II (1971), pp. 190 ss.; la storiografia giuridica contemporanea ha dedicato, stranamente, solo «qualche breve accenno», alla consolidazione feliciana: cfr., ora, M. Da Passano, Delitto e delinquenza nella Sardegna sabauda (1823-1844), [Pubblicazioni della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Sassari. Serie storica, 3] Milano 1984, pp. 1 ss. (con ampia rassegna della bibliografia precedente).

 

[5] Vedine l’orgoglioso compiacimento, che potremmo definire di stampo “nazionalistico”, in G. M. Mameli de’ Mannelli, Le Costituzioni di Eleonora giudicessa d'Arborea intitolate Carta de Logu, cit., p. 7: «Quanta compiacenza mai io provo, ogni qualvolta rivolgo in mente il vantaggio, che ha recato alla mia Patria la non interrotta osservanza delle sue leggi antiche, e particolarmente di questo Codice, che conta già oltre a’ quattrocent’anni, dacchè sono persuaso, che da ciò in gran parte dipenda l’uniformità de’ costumi mantenutavisi fin ora pressochè interamente, e la venerazione pe’ suoi propj Statuti, ed il più fedele attacamento a’ suoi legittimi Sovrani; le quali cose l’anno preservata dal gettarvi radici lo spirito convulsivo, che in questa nostra età ha invaso una gran parte dell’Europa, e l’anno animata ad opporre la più valida resistenza a’ terribili sforzi della più imponente forza nemica, con ammirazione fin di quelli, che non si son dati il pensiero d’imitarla».

 

[6] Non è dunque da condividere, a questo proposito, il giudizio di F. Schupfer, Manuale di storia del diritto italiano, 4ª ed. riveduta e riordinata, Città di Castello-Firenze 1908, p. 382, per il quale una così lunga vigenza della Carta de Logu «fa fede certamente della bontà intrinseca della legge, ma attesta eziandio l’indole piuttosto stazionaria di cotesti insulani».

 

[7] Per quanto attiene alle caratteristiche della lingua utilizzata dalla legislatrice arborense (a parte il lavoro ormai classico di P. E. Guarnerio, La lingua della «Carta de Logu» secondo il manoscritto di Cagliari, in E. Besta - P. E. Guarnerio, Carta de Logu de Arborea. Testo con prefazioni illustrative, cit., pp. 69 ss.) sono veramente fondamentali alcuni saggi di A. Sanna, La lingua della Carta de Logu, in Id., Il dialetto di Sassari e altri saggi, Cagliari 1973, pp. 9 ss.; e soprattutto Il carattere popolare della lingua della Carta de Logu, in Aa.Vv., Il mondo della Carta de Logu, Cagliari 1979, pp. 49 ss.

Nei suoi lavori il Sanna ha dimostrato, fra l’altro, l’inconsistenza della tesi del Guarnerio, il quale riteneva determinante nella lingua della Carta de Logu l’influenza della variante linguistica logudorese, da lui considerata alla stregua di una sorta di volgare illustre della lingua sarda del medioevo: «In conclusione – scriveva al riguardo il Sanna (Il carattere popolare, cit., p. 70) – si può affermare che la lingua della carta de Logu rispecchia la lingua del Giudicato di Arborea, di un territorio posto fra l'area logudorese e quella campidanese. L'arborense parlato in questa zona, era una varietà del sardo, svoltosi in maniera autonoma, pur entro i limiti di una sostanziale omogeneità di tutto il sardo, e, comunque, non logudorese, né campidanese, ma varietà a sé stante, usata, in questo caso, in un'opera giuridica, un Codice di leggi, quindi con una scelta precisa del registro linguistico che sottolinea, necessariamente, la differenza fra lingua parlata e scritta senza, per altro, modificare la genuinità della lingua reale, usata, è evidente, con una certa eleganza e con maggiori pretese di stile. Superato anche l'antistorico concetto del logudorese salito a “volgare illustre” che avrebbe esercitato un'azione dominatrice sull'arborense e, specificamente, dell'influsso degli Statuti di Sassari sulla lingua della Carta, si deve necessariamente concludere che la lingua della Carta, pur nella scelta stilistica che può allontanarla in misura limitata dal linguaggio parlato, riflette fedelmente e semplicemente la parlata arborense con tutte quelle caratteristiche che si sono ritrovate nei documenti provenienti da quest'area, anteriori, coevi e anche posteriori, e che si ritrovano ancora oggi in molti dialetti popolari della zona».

Sul tema vedi anche G. Paulis, Parole e storia nel mondo della ‘Carta de Logu’ e del Giudicato di Arborea, in Studi in onore di Massimo Pittau, I, Sassari 1994, pp. 11 ss.; pubblicato, ora, in Società e cultura nel Giudicato d’Arborea e nella Carta de Logu, cit., pp. 133 ss. Più in generale, sugli aspetti storico-linguistici del «sardo antico del periodo giudicale e dei condaghi», vedi E. Blasco Ferrér, Storia linguistica della Sardegna, cit., pp. 64 ss.

 

[8] Questa peculiarità della Carta de Logu non era sfuggita, del resto, ad A. Pertile, Storia del diritto italiano dalla caduta dell'impero romano alla codificazione, II.2. Storia del diritto pubblico e delle fonti, 2ª ed., a cura di P. Del Giudice, Milano-Roma-Napoli 1898, pp. 88-91, il quale ne sosteneva, infatti, la vigenza ben oltre l’abolizione formale: «essa non perdette ogni valore nell’isola che allorquando vi fu introdotto il codice civile italiano, e con esso si ruppe ogni filo della storia».

 

[9] Sulla giudicessa-reggente e sulla sua attività legislativa (ancora significativi i vecchi lavori di G. C. Del Vecchio, Eleonora d'Arborea e la sua legislazione, Milano 1872, con particolare riguardo al contenuto e al valore giuridico della Carta de Logu; M. Fuortes, Eleonora d'Arborea e la Sardegna medioevale del suo tempo, Firenze 1921), vedi l’ampia sintesi di F. C. Casula, La Sardegna aragonese, 2. La Nazione sarda, Sassari 1990, pp. 413 ss. Buoni spunti per un ripensamento critico dei problemi storiografici ancora aperti si leggono, ora, in A. Mattone, v. Eleonora d’Arborea, in Dizionario Biografico degli Italiani, XLII, Roma 1993, pp. 410 ss. (con la bibliografia più aggiornata sul personaggio); dello studioso sassarese vedi anche il saggio Un mito nazionale per la Sardegna. Eleonora d’Arborea nella tradizione storiografica (XVI-XIX secolo), in Società e cultura nel Giudicato di Arborea e nella Carta de Logu, cit., pp. 17 ss.

Alla vera effigie di Eleonora d’Arborea (assai diversa, invero dalla visione agiografica tradizionale dell’eroina sarda) è dedicato il saggio di F. C. Casula, La scoperta dei busti in pietra dei re o giudici d’Arborea: Mariano IV, Ugone III, Eleonora con Brancaleone Doria, in “Medioevo. Saggi e rassegne” IX (1984), pp. 9 ss.; in cui si sostiene che Eleonora sarebbe da identificare con la figura femminile «scolpita insieme a quella del padre, del fratello e del marito, in uno dei peducci pensili – e precisamente quello di destra – dell’arco trionfale dell’abside della chiesetta conventuale di San Gavino martire, nell’antico villaggio di San Gavino Monreale, oggi in provincia di Cagliari, ma che nel Medioevo era capoluogo della curatoria arborense di Bonorzuli, vicino al castello di Monreale (Sardara)».

 

[10] Cfr. G. Pazzaglia, L’istituto del barracellato e l’agricoltura della Sardegna, in Atti del secondo Congresso Nazionale di Diritto agrario, Mussolinia-Cagliari-Sassari 16-19 ottobre 1938, Roma 1939, pp. 95 ss., in particolare p. 96: «è certo [...] che nelle carte d’Arborea, in una parte che riproduce le leggi rurali dettate da Mariano IV, padre di Eleonora, ai jurados de logu e jurados de padro o padrargios erano attribuite facoltà e responsabilità non molto dissimili da quelle che vennero ad assumere successivamente durante la dominazione spagnola i barracelli il cui nome pare derivare dallo spagnolo “barrachel”»; ivi si cita anche la tesi di laurea di M. Angioi, L’istituto del barracellato in Sardegna sotto l'aspetto storico, giuridico e amministrativo, Cagliari 1909 (che però non mi è stato possibile vedere).

 

[11] Carta de Logu, cap. 38: ... Et icussu bestiamen, cant achaptare sos iurados de pardu ispeciadu ade nocte, cio est covallu domado, ebba domada, boe domadu et molent:, siant tenudos dellu tenne[r] et baturellu assa corte. et issos iurados indi appant decussu qui ant a batire a sa corte, sa terza parte dessas tenturas. Et cio si intendat pro boes domados qui in cussu tempus si paschit a muda si tenerent pro qui debent giaghere in sa cort:, et appant indi su tersu secundu quest naradu desupra. Cap. 142: ... Et icusso pubillu de vigna o ver orto o armentargiu o homini suo, over iurado electu a sa guardia dessas vingnas et ortos et lavores, quillu achaptarint in alcuna de sas dictas vignas et ortos siat tenudo de accusarellu, comente et issu bestiamini, a sa pena chi si contenit de supra. Cap. 167: Item ordinamus qui sas ebbas qui sant acatari intro dessu pardu desiidu, qui su maiori de pardu et issos iurados de pardu siant tenudos de maxellari de sas dictas ebbas, over quillis fassat tentura, de sa quali tentura depiant levari soddos X a su pubillu de sas ebbas. Ma bolemus qui non deppiat maxedari si non abastat ad ebbas X insusu et si non abastant ad ebbas X qui depiant levari su mayore de pardu cum sos compangios soddos I per pegus. Cfr. anche i capp. 171 e 194.

 

[12] Così sosteneva, ad esempio, G. Zirolia, Ricerche storiche sul governo dei Giudici in Sardegna e relativa legislazione, Sassari 1897, p. 174: «Il maggiore e i giurati avevano speciale incarico di sorvegliare e di fare osservare le leggi agrarie di Mariano, ed erano chiamati responsabili dei danni quante volte sfuggivano alla responsabilità penale coloro che per le leggi vigenti avrebbero dovuto subire condanna, o fossero scampati a sicura morte per inavvedutezza degli stessi majores che li avessero colti in fragrante (sic!) reato. Vediamo adombrato in queste prescrizioni l’istituto dei barracelli che vige tuttora in Sardegna e dal quale si hanno non pochi benefici effetti». Ora, vedi anche il recente saggio di Eleonora Mura, Responsabilità e garanzia collettive nella legislazione statutaria sarda, in “Archivio storico e giuridico sardo di Sassari”, Nuova serie, III (1996), pp. 72 ss.

 

[13] Di queste ordinanze, cfr. l’ultima in ordine di tempo: Regione Autonoma della Sardegna. Decreto del Presidente della Giunta 25 marzo 1997, n. 1 = Ordinanza Regionale antincendi 1997, dal cui prologo traspare l’incombente presenza del fuoco nella quotidianità della nostra Isola: «Il Presidente della Giunta Regionale, Considerato che nelle decorse stagioni estive si sono verificati gravi danni causati dagli incendi nei boschi e nelle campagne della Sardegna; Ritenuto necessario, per evitare ed attenuare la recrudescenza del fenomeno, predisporre per tempo, approssimandosi la stagione estiva, misure idonee atte a prevenire, per quanto possibile, l’insorgere e il diffondersi degli incendi [...] DECRETA: Art. 1: Ai sensi dell’art. 9 della Legge 1.3.1975, n. 47, dal 1° giugno al 15 ottobre vige lo “STATO DI GRAVE PERICOLOSITÀ” di incendi per le zone boscate della Sardegna».

 

[14] Sugli aspetti generali della repressione degli incendi nella Sardegna giudicale (con puntuali riferimenti alla Carta de Logu), vedi la rapida sintesi di R. Di Tucci, Il diritto pubblico della Sardegna nel Medio Evo, in "Archivio storico sardo" XV (1924), pp. 112 s.; ed ora anche F. Artizzu, La disciplina dell’acqua e del fuoco negli Statuti medioevali sardi, in Id., Società e istituzioni nella Sardegna medieovale, Cagliari 1995, pp. 133 ss.

 

[15] Ordinanza Regionale antincendi 1997, cit., art. 14: «L’ANAS, le Amministrazioni ferroviarie, le Province e i Comuni dovranno provvedere entro il 30 giugno […] all’eliminazione di fieno, sterpi o altro materiale infiammabile lungo la viabilità di propria competenza e nelle rispettive aree di pertinenza e mantenere tale situazione per tutto il periodo in cui vige lo Stato di Grave Pericolosità di cui al precedente art. 1».

 

[16] Cfr. Carta de Logu, cap. 49: Constituimus et ordinamus qui sas villas qui sunt usadas de faghere sa doha proguardia dessu foghu deppiant illa fagher sa doha secundu qui fudi usadu per temporale. Ciaschaduna villa in sa habitationi sua. Et qui nolat aviri fata per Sanctu Pedru de lampadas paghit soddos X per homini et issa villa qui lat faghire: fazat illa qui foghu non la barighit sa doha, et si foghu illa barighat et faghit perdimentu, paghit sa villa soddos X per homini secundu quest usadu et issu curadore lliras X assa corte. Et si su curadore comandarit assus iurados, o ver a sus ateros hominis dessa villa de faghere sa dicta doha et non la fagherent paghint comonalimenti sa pena qui deviat paghare su officiali et icussu officiali siat liberu.

 

[17] Cfr. Carta de Logu, cap. 45: Volemus et ordinamus qui nexuna persona deppiat ne pozat ponne foghu infini ad passadu sa festa de sancta Maria qui est a dies VIII de capudanni et qui contra fagherit paghit de maquicia liras XXV. Et ultra so paghit su dampnu cat fagher acuyu ad esser. Et dae cussa die inantes ciaschaduna persona pozat ponne foghu a voluntadi sua guardando si pero non fazat damnu ad atere, et si fagheret damno paghit per maquicia liras X et issu dampnu ad cuilat aver factu. Et si non ad daechiteu pagare cussu qui ad esser condemnadu in liras X istit in pregione ad voluntadi nostra. Et issus iurados de sa villa hue sat ponne su foghu siant tenudos de provare et tenne sos malefactores predictos et de representarellos assa corte nostra infra XV dies. Et si non los tenint in su dictu tempus, sus dictos iurados cum sos hominis dessa villa paghint de maquicia cio est sa villa manna liras XXX et issa villa pizina liras XV et issu curadore de ciascuna de cussas villas paghint soddos C et de sos benes cant lassari, cio est, sos cant essere fuidos et inculpados si deppiant paghare su damnu ad cuy ad esser et issu remanente decussus benes si deppiant contari in su pagamentu qui ant fagher sos hominis dessa villa.

 

[18] Ordinanza Regionale antincendi 1997, cit., art. 10: «I proprietari e i conduttori di terreni, non compresi tra i boschi e le macchie di cui al precedente art. 2, possono, sotto la propria diretta responsabilità penale e civile, procedere all’abbruciamento di stoppie, frasche, cespugli, residui di colture agrarie e di altre lavorazioni, di pascoli nudi, cespugliati o alberati, nonché di incolti, anche nel periodo dal 1° giugno al 30 giugno e dal 15 settembre al 15 ottobre, purché muniti di apposita autorizzazione da rilasciarsi dalla Stazione Forestale e di V.A. competente per il territorio nel quale dovranno effettuarsi gli abbruciamenti»; da vedere anche gli artt. 11 e 12.

 

[19] Carta de Logu, cap. 94: Volemus et ordinamus qui alcunu terarmangiesu cat dare iuo suo assardu pro iuargiu o pro soci, non appat ad cherre at perunu homini salvu aquillu ad aviri dadu. Ed issu iuargiu istit assa usansa dessa terra. Brevi commenti al testo in G. M. Mameli De’ Mannelli, Le Costituzioni di Eleonora giudicessa d'Arborea intitolate Carta de Logu, cit., p. 107 nt. 158; C. G. Mor, Le disposizioni di diritto agrario nella Carta de logu di Eleonora d'Arborea, in Aa.Vv., Testi e documenti per la storia del Diritto agrario in Sardegna, pubblicati e coordinati con note illustrative da Gino Barbieri, Vittorio Devilla, Antonio Era, Damiano Filia, Carlo Guido Mor, Aldo Perisi, Francesco Pilo Spada, Ginevra Zanetti, sotto la direzione di Antonio Era, Sassari 1938, p. 39; F. C. Casula, La "Carta de Logu" del regno di Arborèa, cit., p. 266.

 

[20] Sul punto, vedi in particolare C. G. Mor, Sul commento di Girolamo Olives Giureconsulto sardo del sec. XVI alla Carta de logu di Eleonora d'Arborea, in Testi e documenti per la storia del Diritto agrario in Sardegna, cit., p. 66: «Il contratto di società (parziaria) invece consiste nella cessione dell'uso di animali per l'aratura e la semina, e in genere per i lavori agricoli, con partecipazione agli utili (1/2, 1/3, 1/4 secondo i patti) oppure ponendo in comune un socio la terra, l'altro il bestiame o le opere manuali proprie e talvolta di altri (braccianti, famigli, ecc.). E malgrado la lettera della legge, che parla solo di apporto da parte di un forestiero del bestiame necessario al lavoro, questo capitolo ha valore anche se il contratto intercorre fra sardi. La società, creata dal consenso, si scioglie quando tutti i soci manifestano volontà univoca di recedere dai reciproci impegni, mentre il dissenso di una parte non porta a queste conseguenze, salvo che non appaia una giusta causa che legittimi il recesso di un socio, come stabiliscono le leggi romane, nel tit. pro socio (D. 17, 2)».

 

[21] Cfr. Carta de Logu, capp. 160-165 (Ordinamentos de cumonis) [= capp. 132-137 ed. Besta-Guarnerio]. Su questi capitoli, resta ancora assai utile il commento di G. M. Mameli De’ Mannelli, Le Costituzioni di Eleonora giudicessa d'Arborea intitolate Carta de Logu, cit., pp. 200 ss., in part. nnt. 299-306. Cfr. anche E. Besta, La Sardegna medioevale, 2. Le istituzioni politiche, economiche, giuridiche, sociali, Palermo 1909 [rist. an. Bologna 1979], p. 206; C. G. Mor, Le disposizioni di diritto agrario nella Carta de logu di Eleonora d'Arborea, in Testi e documenti per la storia del Diritto agrario in Sardegna, cit., pp. 39 s. Più in generale, vedi ora G. G. Ortu, L’economia pastorale della Sardegna. Saggio di antropologia storica sulla «soccida», Cagliari 1981.

 

[22] A. Pigliaru, La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico (Milano 1959), ora in Id., Il banditismo in Sardegna. La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico, Nuova edizione, con una introduzione di L. M. Lombardi Satriani e altri scritti inediti dell’autore, Milano 1993, pp. 85 s.; 168 ss.

 

[23] Cfr. M. A. Cattaneo, Antonio Pigliaru: la figura e l’opera [testo della commemorazione tenuta il 25 giugno 1969 nell’Aula Magna dell’Università di Sassari], in Famiglia e società sarda = “Studi sassaresi”, Serie III, II (1968-1969), Milano 1971, pp. XXV ss.; nello stesso volume: Bibliografia di Antonio Pigliaru, a cura di F. Sechi, pp. 661 ss.

 

[24] Il ruolo di “intellettuale sardo” svolto da Antonio Pigliaru e la sua ferma coerenza nell’impegno civile, sono ben documentati nel libro di S. Tola, Gli anni di ‘Ichnusa’. La rivista di Antonio Pigliaru nella Sardegna della rinascita, Pisa-Sassari 1994.

 

[25] Per una visione d’insieme sulla vita dell’insigne studioso, cfr. la recentissima ed informata biografia di Mavanna Puliga, Antonio Pigliaru. Cosa vuol dire essere uomini, Pisa-Sassari 1996.

 

[26] Al riguardo, basterà soltanto menzionare alcune altre sue opere, fra le più significative: Persona umana e ordinamento giuridico, Milano 1953; Meditazioni sul regime penitenziario italiano, in appendice Saggio sul valore morale della pena, Sassari 1959; La piazza e lo Stato, Sassari 1961; Struttura, soprastruttura e lotta per il diritto, Padova 1965; Scritti sul fascismo, a cura di Marina Addis Saba e Mavanna Puliga, Pisa-Sassari 1983.

A riprova della perdurante attualità delle sue opere, vedi, fra le più recenti testimonianze, i saggi pubblicati in Unità dello Stato e pluralismo degli ordinamenti. Organizzazione del potere, autonomie e comunità locali nella riflessione giuridica e filosofica di Antonio Pigliaru. Atti del convegno di Torino, 3-4-5 dicembre 1993, a cura di P. A. Bianco, A. Ruzzu, S. Sechi, L. Tavera, Sassari 1994.

 

[27] A. Pigliaru, Il banditismo in Sardegna. La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico, cit., p. 85: «Ora è da dire che l’esperienza colta del diritto sardo, che ebbe nella Carta de Logu il suo dato fondamentale, è un’esperienza a sua volta influenzata dall’esperienza romanistica, ma è un’esperienza che nella legge scritta riprende visibilmente i termini di quell’esperienza fondamentale che era l’esperienza consuetudinaria, seppure elevandola a forme giuridiche più elaborate e più facilmente riducibili in termini colti».

 

[28] A. Pigliaru, Il banditismo in Sardegna. La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico, cit., pp. 85-86: «La Carta de Logu, per dire il testo legislativo che più è stato presente alla storia del diritto sardo, appare infatti, a vederla bene, come un testo legislativo interamente pensato in rapporto alla necessità di articolare sistematicamente le consuetudini giuridiche sarde, però opponendosi talvolta ad esse nello sforzo di certificare ulteriormente l’azione giuridica, sottraendola ora al libito e alle dispersioni cui l’abbandono a se medesimo pareva esporle e le aveva esposte mentre durava quel periodo di torbidi interni ed esterni che aveva preceduto l’opera giudicale di Mariano e quindi l’azione riordinatrice di Eleonora».

 

[29] A. Pigliaru, Il banditismo in Sardegna. La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico, cit., pp. 171 ss.

 

[30] Carta de Logu, cap. 6: (De tenne su malefactore) Volemus et ordinamus qui si alcuna persona esseret morta in alcuna villa deforas, o inconfines et habitationes de sa villa, siant tenudus sus iuradus dessa dita villa, de provare et de tenne su malufactore et dellu batire tentu assa corti nostra infra unu mese: pro faghirende sa iusticia. Et in casu que su malu factore non tenerent et nolu batirent assa corti nostra. Infra su dictu tempus, paghint sos iurados totu et issos hominis dessa dita villa pro sa maquicia et prosa negligentia issoro pro que non tensierunt su homini llrs. ducentas, si est sa villa manna. Et issa villa pixia paghit llrs. C. Et si cussu homini qui avirit mortu su homini fuirit et non si poderet aviri infra su dito tempus de uno mese siat isbandidu daesas terras nostras et issos benes suos totu siant confiscados assa corte nostra. Reservando pro sas ragiones de sas mugeres et de sos figios que avirint dae atera mugere qui non avirint appidu sa parti pertinenti ad issos pro parti de sa prima mugheri. Et similimenti si intendat salvas sas ragiones de sos creditores qui avirent ad ricivir supra sos benes decussos. Et si per alcuno tempus cussu homini qui avirit mortu su homini beneret in forza nostra non esendo fidado siat illi tagiada sa testa per modu quindi morgiat. Et niente de minus ogne persona illu pozat offendere in persone et dareli morte senza incurrere pena ne maquicia alcuna duranti su dictu tempus de su isbandimentu suo.

 

[31] A. Pigliaru, Il banditismo in Sardegna. La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico, cit., p. 171.

 

[32] A. Pigliaru, Il banditismo in Sardegna. La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico, cit., p. 173; significativo, infine, anche quanto si legge alle pp. 175-176: «Così invece ciò che ora giova è prendere atto d’un’altra circostanza, quella per cui nella Carta de Logu, alla sottilissima costruzione del reato corrisponde una sottilissima costruzione della pena, in questa pena prevedendosi di norma (e quando la natura del rapporto reato-pena lo consente) una progressione in alternativa che fa pensare molto da vicino al precetto barbaricino per cui la vendetta deve essere adeguata proporzionata e progressiva, come ad un precetto appreso, oltre che da un senso immediato della giustizia, fors’anche dall’esperienza che le comunità sarde han fatto dentro lo schema della legislazione giudicale».

 

[33] Hieronymi Olives sardi, Commentaria et Glosa in Cartam de Logu. Legum, et ordinationum Sardarum noviter recognitam, et veridice impressam, Sassari MDCXVII, p. 5.

 

[34] Cfr., per tutti, la classica opera del cavaliere Giuseppe Manno, Storia di Sardegna, III, Torino 1826 [Rist. an. Bologna 1973], p. 126; ma anche F. Sclopis, Storia della legislazione italiana, II, Torino 1863, p. 190.

 

[35] G. M. Mameli De' Mannelli, Le Costituzioni di Eleonora giudicessa d'Arborea intitolate Carta de Logu, cit., p. 14 nt. 4.

 

[36] Nello stesso senso vedi ancora G. Zirolia, Ricerche storiche sul governo dei Giudici in Sardegna e relativa legislazione, cit., p. 175 nt. 1. Ma questa datazione è accettata anche in qualche importante manuale del Novecento: F. Calasso, Lezioni di storia del diritto italiano. Le fonti del diritto (sec. V-XV), rist. riveduta, Milano 1948, p. 241: «la figlia, la giudicessa Eleonora, fu però quella che riuscì a dare all’opera paterna quella sistemazione, che doveva essere definitiva, ed imporsi col tempo come il codice generale di tutta l’isola: fu la così detta Carta de logu de Arborea, promulgata nella Pasqua del 1395».

 

[37] E. Besta, La Carta de Logu quale monumento storico-giuridico, in E. Besta - P. E. Guarnerio, Carta de Logu de Arborea. Testo con prefazioni illustrative, cit., pp. 3 ss.; in particolare pp. 17 s.

 

[38] E. Besta, La Carta de Logu quale monumento storico-giuridico, cit., p. 18; cfr. inoltre Id., La Sardegna medioevale, 2. Le istituzioni politiche, economiche, giuridiche, sociali, cit., p. 154.

 

[39] Alla datazione proposta dal Besta mostrava di aderire, fra gli altri, A. Marongiu, Sul probabile redattore della Carta de Logu, in “Studi economico-giuridici della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Cagliari” XXVII (1939), ora in Id., Saggi di storia giuridica e politica sarda, Padova 1975, p. 70; Delitto e pena nella Carta de logu d’Arborea, in Studi in onore di Carlo Calisse, I (Milano 1940) = Saggi, cit., p. 76 e nt. 10.

 

[40] A. Era, Le così dette questioni giuridiche esplicative della Carta de Logu, in Studi di storia e diritto in onore di Enrico Besta per il XL anno del suo insegnamento, II, Milano 1939, p. 395: «Come però avevo conchiuso nel mio Corso di storia delle istituzioni sarde, effettivamente queste questioni giuridiche non sono affatto esplicative della Carta de Logu. Occorreva però chiarire la constatazione e precisare, come preciserò qui con una limitazione, per poi discuterla ed eliminarla, che le questioni non spiegano affatto la Carta de Logu a noi pervenuta e cioè quella di Eleonora di Arborea dell’a. 1386 circa».

 

[41] A. Era, Le ‘Carte de logu’, in Università degli Studi di Sassari. Annuario per l’anno accademico 1959-60, Sassari 1960, pp. 17 ss.; il testo, integrato con apparato critico di note, fu ripubblicato conservando il medesimo titolo in “Studi sassaresi”, II serie, XXIX (1962), pp. 1 ss.

 

[42] A. Era, Le ‘Carte de logu’, in “Studi sassaresi” XXIX, cit., p. 12. Nello stesso senso, vedi ora Barbara Fois, Sulla datazione della ‘carta de Logu’, cit., pp. 141 ss.

 

[43] E. Cortese, L’opera di Antonio Era nella storiografia giuridica. - Nel ricordo di Antonio Era: una proposta per la datazione della “Carta de Logu” d'Arborea, Università degli Studi di Sassari - Facoltà di Giurisprudenza, Sassari, 9 dicembre 1982, p. 29.

 

[44] E. Cortese, Il diritto nella storia medievale, II. Il basso medioevo, Roma 1995, p. 350.

 

[45] F. C. Casula, La “Carta de Logu” del regno di Arborèa, cit., p. 240; può essere di un qualche interesse leggere le restanti argomentazione proposte dallo studioso nel seguito della nota: «Secondo noi, i precisati “sedici anni” si riferiscono alla data di morte di Mariano IV nel 1376 (mentre gli “oltre sedici anni” sarebbero l’indicazione generica dell’ultima edizione mariana che, in nota al capitolo I, individuiamo intorno al 1369). Per cui, sommando i 16 anni dichiarati da Eleonora d’Arborea all’anno del decesso di Mariano IV nel 1376, si giunge all’ipotizzato 1392. A sostenere questa probabile datazione, interviene la fine del governo luogotenenziale di Eleonora che rende impossibile un’edizione posteriore della Carta de Logu della juighissa de fattu, in quanto nel 1392/93 il figlio Mariano V, raggiunta la maggiore età, assunse la pienezza dei poteri giudicali relegando la madre a vita privata. Altrettanto dubbia sarebbe un’edizione precedente il 1391/92, perché solo in questo periodo siamo in armonia col quadro politico del regno indigeno, dal momento che Brancaleone Doria, marito di Eleonora, era nuovamente libero dopo più di sei anni di prigionia a Castel di Cagliari, ed aveva ripreso la guerra irredentista contro i Catalano-Aragonesi del regno di Sardegna, estendendo a quasi tutta l’isola gli istituti giuridici arborensi, come si evince dall’afflato generale del Codice legislativo».

Peraltro lo studioso aveva espresso tale convinzione anche in alcuni lavori precedenti: cfr. Cultura e scrittura nell'Arborea al tempo della Carta de Logu, in Aa.Vv., Il mondo della Carta de Logu, cit., pp. 107 ss.: «Certamente, l'edizione principe del 1392 era un codice pergamenaceo scritto in bella gotica libraria, con iniziali miniate o, quanto meno, ornate; non dissimile, per esempio, dal "Breve di Villa di Chiesa" conservato nella Biblioteca del Comune di Iglesias» (p. 108); La Sardegna aragonese, 2. La Nazione sarda, cit., pp. 457 («Il 1392 fu caratterizzato da altri due avvenimenti importanti: l’impresa siciliana del fratello del re, Martino, e la promulgazione della famosa Carta de logu di Arborea») e 458 («Secondo il parere degli storici più accreditati, in quell’anno, forse il giorno di Pasqua, uscì pure l’edizione principe del codice manoscritto voluto da Eleonora “per issa gracia de Deus juyghissa de Arboree, contissa de Gociani e biscontissa de Basso”»).

 

[46] Cum ciò siat causa qui su acrescimentu et exaltamentu dessas provincias, rexiones et terras descendent et bengiant dae sa iusticia et qui per issos bonos capidulos sa superbia dessos reos et malvagios hominis si affrenent et constringhant ad cio quisos bonos et puros et innocentes pozant viver et istare inter issos reos ad seguritades pro paura dessas penas eissos bonos prossavertudi dessu amore siant tottu hobedientes assos capidulos et ordinamentos de custa carta de loghu. Impero, Nos Elionora proissa gracia de deus iuyghissa de Arbaree, contissa de Ghociani et biscontissa de Basso. Desiderando qui sos fideles et subdictos nostros dessu rennu nostru de Arbaree, siant informados de capidulos et ordinementos prossos quales pozant vivere et si pozant conservare in sa via dessa viridadi et dessa iusticia et in bono pacifichu et tranquillu istadu. Ad honore de deus omnipotente et dessa gloriosa virgini Madonna sancta Maria mama sua, et pro conservare de iusticia et pacifichu tranquillu et bonu istadu dessu pobulu dessu rennu nostru predicto et dessas ecclesias, regiones ecclesiastigas et dessos lieros et bonos hominis et pobulu tottu dessa dicta terra nostra et dessu rennu de Arbaree, fachimus sas ordinationes et capidulos infra scriptos sos qualis bolemus et comandamus expresamenti qui si deppiant attenne et osservare pro legie per ciaschaduno dessu iuyghadu nostru de Arbaree perdittu in iudiciu et extra. Sa cartha de loghu sa quali cum grandissimo et providimento fudi facta per issa bona memoria de iuyghi Margiani padre nostru in qua directu iuyghi de Arbaree, non essendo correcta per ispaciu de XVI annos passados, commo per multas varietadis de tempus bissognando de necessitadi corrigirela et mendari. Considerando sa veridadi et mutacione dessos tempos qui suntu istadus seghidus poscha et issa conditione dessos hominis qui est istadu dae tandu innoghi multu per mutada, et plus per qui ciaschuno est plus inquenivili assu malu fageri qui non assu bene dessa re plubigha sardischa. Cum deliberadu consigiu illa corrigemus et fagemus et mutamus dae bene in megius et comandamus qui si deppiant observare integramente daessa sancta die innantes per issu modo infra scripto cio est.

 

[47] Sui principi fissati dalla sovrana arborense e sulla partizione del citato prologo, vedi A. Era, Lezioni di storia delle istituzioni giuridiche ed economiche sarde. Parte I e II § 1, Roma 1934, pp. 326 s.; Id., Le ‘Carte de logu’, in “Studi sassaresi” XXIX, cit., pp. 15 ss. Dello studioso è da vedere anche la traduzione italiana del prologo della Carta de Logu, predisposta per il manuale di F. Calasso, Medioevo del diritto, Milano 1954, p. 449 nt. 69.

 

[48] All’analisi del concetto di res publica, nelle fonti romane e nella scienza giuridica del periodo che precede la nascita dei Comuni, è dedicato il saggio di F. Crosara, Republica e respublicae. Cenni terminologici dall’età romana all’XI secolo, in Atti del Congresso Internazionale di diritto romano e di storia del diritto, Verona 27-29 XI 1948, a cura di G. Moschetti, IV, Milano 1953, pp. 227 ss. Sull’uso del termine in rapporto a Civitas e a Commune, vedi fra gli altri: P. Costa, Iurisdictio. Semantica del potere politico nella pubblicistica medievale (1100-1433), Firenze 1969, pp. 232 ss.; M. Staszków, ‘Civitas’ et ‘Respublica’ chez les glossateurs, in Studi in onore di Edoardo Volterra, III, Milano 1971, pp. 605 ss.; O. Banti, «Civitas» e «Commune» nelle fonti italiane dei secoli XI e XII, in Id., Studi di storia e di diplomatica comunale, Roma 1983, pp. 1 ss. Cfr. inoltre J. Gaudemet, La contribution des romanistes et des canonistes médiévaux à la théorie moderne de l’état, in Diritto e potere nella storia europea. Atti in onore di Bruno Paradisi, I, Firenze 1982, pp. 17 ss.; da ultimo anche I. Birocchi, v. Persona giuridica nel diritto medioevale e moderno, in Digesto. Delle discipline privatistiche, XIII, Torino 1996, pp. 407 ss.; Id., Contratto e persona giuridica pubblica. Spigolature su “causa”, “communis utilitas” e diritto dei privati nell’età del diritto comune, in I rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione nell’esperienza storico-giuridica. Atti del Congresso internazionale della Società Italiana di storia del diritto, Torino 17-19 ottobre 1994, Napoli 1997, pp. 239 ss.

 

[49] Cfr. Irnerio, Glo. ad l. Lex est, ff. De legibus, v. reipublicae (ed. E. Besta, L’opera d’Irnerio. Contributo alla storia del diritto italiano, II. Glosse inedite d’Irnerio al Digestum Vetus, Torino 1896, p. 5): (reipublicae) scilicet populi, quod unum et idem est re ipsa; secundum diversas inspectiones hec nomina recipit; populus universitatis iure precipit.

 

[50] Glossa, Reipublicae, in Authenticum, De haeredibus et Falcidia, v. reipublicae (Reipublicae, idest totius imperii. Sic in prooemio ff. in princip. Et nota quod tribus modis respublica dicitur. Primo Romanorum, ut hic. Item pro civitate Romana tantum: et tunc proprie: ut ff. de verbo. signific. l. eum qui. Item pro qualibet civitate: et tunc improprie: ut C. de offic. eius qui  vicem al. iu. obt. l. j. Ponitur et quarto pro quolibet municipio: ut ff. de pub. et vec. l. sed  et hi. § penult.).

 

[51] Per una visione d’insieme sul personaggio, presenta ancora non poco interesse la consultazione del libro di R. Carta Raspi, Mariano IV, conte del Goceano, visconte di Bas, giudice d'Arborea, Cagliari 1934, in particolare pp. 149 ss.: «L’opera legislativa»; in appendice il testo del Codice rurale di Mariano IV, pp. 197 ss.

Più di recente, alla figura e all'opera del grande giudice arborense sono state dedicate molte pagine dei due volumi di F. C. Casula, La Sardegna aragonese, 1. La Corona d’Aragona, Sassari 1994, pp. 263 ss.; 2. La Nazione sarda, cit., pp. 377 ss.; cfr., sempre del Casula, anche Cultura e scrittura nell'Arborea al tempo della Carta de Logu, cit., pp. 88 ss. Da vedere, inoltre, il bel lavoro di G. Mele, Un manoscritto arborense inedito del Trecento. Il codice 1bR del Monastero di Santa Chiara di Oristano, Oristano 1985; in particolare, pp. 22 ss.

 

[52] Sulle caratteristiche intrinseche della protezione giuridica riservata ai terreni coltivati, vedi le penetranti osservazioni di I. Birocchi, La consuetudine nel diritto agrario sardo, riflessioni sugli spunti offerti dagli Statuti sassaresi, in Gli Statuti sassaresi. Economia, Società, Istituzioni a Sassari nel Medioevo e nell'Età Moderna. Atti del convegno di studi. Sassari, 12-14 maggio 1983, a cura di A. Mattone e M. Tangheroni, Sassari 1986, p. 344: «A questo punto si può forse comprendere come sia falsata l'ottica di chi ricerchi nei documenti antichi le prove “dell'esercizio del diritto di proprietà”, sebbene sia agevole trovare testimonianze di forme di proprietà, individuale e collettiva, espresse in epoca risalente, come già nei condaghi; ma quell'ottica è fuorviante perché proietta nel passato la moderna prospettiva che vede il diritto come un'emanazione del soggetto e non come un prodotto che scaturisce dall'oggetto. In realtà l'ordinamento tutelava non tanto il diritto di proprietà, bensì la destinazione agraria della terra, ossia la sua utilitas nell'ambito del sistema dato: prima che il diritto astratto sul fondo proteggeva il fondo stesso. Ed ecco, allora, la spiegazione della maggior severità stabilita a protezione delle terre coltivate rispetto alle altre terre che si riscontra nelle fonti legislative a noi note ma che costituisce già un corollario implicito dell'ordinamento agrario: e infatti già i condaghi esprimevano una tale maggiore protezione».

 

[53] Bisogna, tuttavia, sottolineare che in Sardegna le radici del conflitto agricoltura/pastorizia sono assai più antiche dell’epoca giudicale. Già durante la dominazione romana, ad esempio, contrasti anche violenti tra pastori e contadini si verificavano con una certa frequenza nelle campagne della Sardegna centrale, come attesta la documentazione epigrafica di età imperiale: cfr. La Tavola di Esterzili. Il conflitto tra pastori e contadini nella 'Barbaria' sarda. Convegno di Studi. Esterzili 13 giugno 1992, a cura di A. Mastino, Sassari 1993; con particolare riferimento, fra i saggi ivi pubblicati, alle relazioni del curatore: ‘Tabularium principis’ e ‘tabularia’ provinciali nel processo contro i ‘Galillenses’ della 'Barbaria' sarda, pp. 99-117; e di S. Schipani, La repressione della ‘vis’ nella sentenza di ‘L. Helvius Agrippa’ del 69 d.C. (Tavola di Esterzili), pp. 133-155.

Per la “continuità” di tale conflitto nel corso dell’età moderna e contemporanea, vedi le pagine dedicate alla Sardegna centrale da M. Le Lannou, Pâtres et paysans de la Sardaigne, Tours 1941, qui citato in traduzione italiana: Pastori e contadini di Sardegna, a cura di M. Brigaglia, Cagliari 1979, pp. 167 ss.

 

[54] Edizioni critiche di A. Era, Il codice agrario di Mariano IV d'Arborea, in Testi e documenti per la storia del Diritto agrario in Sardegna, cit., pp. 15 ss.; e Barbara Fois, Il "Codice rurale" di Mariano IV d'Arborea, in "Medioevo. Saggi e rassegne" VIII (1983), pp. 41 ss.

 

[55] Significativamente il citato “codice rurale” non compare nel manoscritto cagliaritano della Carta de Logu: cfr. E. Besta, La Carta de Logu quale monumento storico-giuridico, cit., p. 13: «E già da questa esposizione risulta una prima differenza importantissima a paragone della forma sotto la quale la Carta de logu ci fu tramandata nelle precedenti edizioni, che tutte offrono infatti una serie di 198 capitoli. Il ms. cagliaritano s’accorda bensì con le edizioni nei primi 130 capitoli … ma poi i capitoli 132-140 del ms. corrispondono ai cap. 160-168; i capitoli 144, 145 ai cap. 172, 173; i cap. 146-156 ai capitoli 183-193 e non hanno raffronto con le edizioni i capitoli 142, 145, 158, 161 del ms. mentre d’altro canto quelle offrono in più i cap. 131-159, 170, 171, 174-182, 194-198»; A. Era, Il codice agrario di Mariano IV d'Arborea, cit., p. 5: «è certo, più che probabile, che Eleonora non volle inserirlo nella sua Carta de logu, poiché altrimenti avrebbe coordinato con esso le disposizioni date per l’agricoltura, evitando ripetizioni e, tanto per non scendere a particolari, avrebbe, ad esempio, pretermesso di dettare il suo cap. CXII»; da ultimo, E. Cortese, Il diritto nella storia medievale, II. Il basso medioevo, cit., p. 350

 

[56] C. G. Mor, Le disposizioni di diritto agrario nella Carta de logu di Eleonora d'Arborea, in Testi e documenti per la storia del Diritto agrario in Sardegna, cit., p. 35; cfr. anche pp. 36-37: «Statuizioni così severe valgono più che una esplicita affermazione che nella seconda metà del XIV secolo l'agricoltura stava acquistando una notevole importanza nell'economia sarda, e che i giudici di Arborea vedevano in essa una precipua fonte di benessere: il che non è in contrasto con quanto ci documentano anche i condaghi più antichi, se pur ci presentino un'economia ancora ad uno stadio arretrato».

 

[57] Più in generale, sulla definizione di questi concetti, assimilabili a quelli di causa publica utilitas e di bonum commune, nella scienza giuridica coeva, vedi alcuni rapidi cenni in I. Birocchi, Contratto e persona giuridica pubblica. Spigolature su “causa”, “communis utilitas” e diritto dei privati nell’età del diritto comune, in I rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione nell’esperienza storico-giuridica, cit., pp. 260 ss.

 

[58] Nelle edizioni a stampa della Carta de Logu di Eleonora, il prologo del “Codice rurale” segue il cap. 132: Nos Marianus proissa gracia de deus iuyghi de Arbaree, conpte de Gociano et bisconti de Basso, considerando sos multos lamentos continuamente sunt istados et sunt per issas terras nostras de Arbaree et de Loghudore prossas vignas ortos et lavores que si disfaghint et consumant perissa pocha guardia et cura qui si dat a su bestiamen cussos de qui est et quillu at in guardia, prossa quali causa multas vignas et ortos sunt eremadas et multas personas si romanent de lavorare qui lavorari ant pro dubidu qui ant de non perdere cusso quillo ant fagheri et bolendo nos providere a su utili cummoni et bonu istadu de sa gente nostra amus deliberado de faghere et faghemus sos infrascriptos ordinamentos pro qui cussos observando et mantenendo sas vignas et ortos et lavores ant romane[r] et istare in su gradu issoro et megiorare et avansare cussas de qui ant essere, et issu bestiamen indat esser megius gubernadu mantesidu et guardadu.

 

[59] Più in generale sull’utilitas, con ampia raccolta di testi giuridici romani, vedi F. B. Cicala, Il concetto di "utile" e sue applicazioni in diritto romano, Milano-Torino-Roma 1910; per lo studioso «il concetto dell'utilitas signoreggia in tutto il campo del diritto romano» al punto da potersi affermare «senza tema di esagerare, che una delle rappresentazioni generali meglio delineate e più vive nella coscienza di tutta la giurisprudenza romana, è appunto quella, che poggia l'intero edifizio del diritto sulle profonde basi dell'utile individuale e collettivo» (p. 9).

Cfr. inoltre A. Steinwenter, Utilitas publica - utilitas singulorum, in Festschrift Koschaker, I, Weimar 1939, pp. 84 ss.; U. von Lübtow, De iustitia et iure, in “Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte (Rom. Abt.)” LXVI (1948), pp. 458 ss.; J. Gaudemet, Utilitas publica, in "Revue historique de droit français et étranger" XXIX (1951), pp. 465 ss.; H. Ankum, Utilitatis causa receptum. Sur la méthode pragmatique des juristes romains classiques, in “Revue internationale des droits de l'antiquité” XV (1968), pp. 119 ss.; G. Longo, Utilitas publica, in "Labeo" XIX (1972), pp. 7 ss.; da ultima Pia Fiori Maciocco, D. 1, 3, 16 = Paulus liber singularis de iure singulari, in “Archivio storico e giuridico sardo di Sassari”, Nuova serie, III (1996), pp. 31 ss.

 

[60] Riguardo al frammento di Ulpiano, mi pare che possano ormai considerarsi superate sia le affermazioni contrarie alla genuinità del testo (F. Schulz, I principii del diritto romano, trad. it. a cura di V. Arangio-Ruiz, Firenze 1949, p. 23 nt. 33; U. von Lübtow, Das römische Volk. Sein Staat und sein Recht, Frankfurt am Main 1955, p. 618), sia dubbi e perplessità (B. Albanese, Premessa allo studio del diritto privato romano, Palermo 1978, p. 192 nt. 295); cfr., fra gli altri, G. Nocera, Ius publicum (D. 2, 14, 38). Contributo alla ricostruzione storico-esegetica delle regulae iuris, Roma 1946, pp. 152 ss.; F. Wieacker, Doppelexemplare der Institutionen Florentins, Marcians und Ulpians, in Mélenges De Visscher, II, Bruxelles 1949, p. 585; P. Catalano, La divisione del potere in Roma (a proposito di Polibio e di Catone), in Studi in onore di Giuseppe Grosso, VI, Torino 1974, p. 676; C. Nicolet, Notes complémentaires, in Polybe, Histoires, Livre VI, a cura di R. Weil, Paris 1977, pp. 149 s.; F. Sini, Documenti sacerdotali di Roma antica, I. Libri e commentarii, Sassari 1983, pp. 213 s. Per una rassegna completa degli studi, cfr. Giuseppina Aricò Anselmo, ‘Ius publicum’ - ‘ius privatum’ in Ulpiano, Gaio e Cicerone, in “Annali del Seminario giuridico dell’Università di Palermo” XXXVII (1983), pp. 455 ss.

 

[61] Cfr. nello stesso senso anche le Istituzioni di Giustiniano (Inst. 1, 1, 4: Huius studii duae sunt positiones, publicum et privatum. Publicum ius est, quod ad statum rei Romanae spectat, privatum, quod ad singulorum utilitatem pertinet. Dicendum est igitur de iure privato, quod est tripertitum: collectum est enim ex naturalibus praeceptis aut gentium aut civilibus). Per l’analisi del frammento ulpianeo nella prospettiva che qui interessa, vedi F. Stella Maranca, Il diritto pubblico romano nella storia delle istituzioni e delle dottrine politiche, in Id., Scritti vari di diritto romano, Bari 1931, pp. 102 ss.; Silvio Romano, La distinzione fra ius publicum e ius privatum nella giurisprudenza romana, in Scritti giuridici in onore di Santi Romano, IV, Padova 1940, pp. 157 ss.; A. Carcaterra, L’analisi del ‘ius’ e della ‘lex’ come elementi primi. Celso, Ulpiano, Modestino, in “Studia et documenta historiae et iuris” XLVI (1980), pp. 272 ss.; H. Ankum, La noción de "ius publicum" en derecho romano, in “Anuario de historia del derecho español” LIII (1983), pp. 524 ss.; F. Sini, Bellum nefandum. Virgilio e il problema del “diritto internazionale antico”, Sassari 1991, p. 223 nt. 112; fra la letteratura più recente, vedi ora P. Stein, Ulpian and the Distinction between ius publicum and ius privatum, in Collatio iuris Romani. études dédiées à Hans Ankum à l’occasion de son 65ème anniversaire, II, Amsterdam 1995, pp. 499 ss.

 

[62] Cfr. V. Finzi, Questioni giuridiche esplicative della Carta de Logu, in “Studi sassaresi” I (1901), pp. 125 ss.; A. Era, Le così dette questioni giuridiche esplicative della Carta de Logu, in Studi di storia e diritto in onore di Enrico Besta per il XL anno del suo insegnamento, II, cit., pp. 377 ss.

 

[63] Su Gerolamo Olives (1505-1571?), giurista di elevata cultura e avvocato fiscale presso il Consiglio Superiore d’Aragona, sono davvero scarne le notizie biografiche che ci sono pervenute: cfr. P. Martini, Biografia Sarda, II, Cagliari 1837-38, pp. 339 ss.; e P. Tola, Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, ossia storia della vita pubblica e privata di tutti i sardi che si distinsero per opere, azioni, talenti, virtù e delitti, III, Torino 1838, pp. 29 ss.

 

[64] Hieronimi Olives sardi utriusque censurae doctoris et militis Regii Consiliari ac in sacro supremo Regio Consilio domini nostri Regis Hispaniarum Fisci et regii patrimonii advocati. Commentaria et glosa in Cartam de logu legum et ordinationum Sardarum noviter recognitam et veridice impressam cum repertorio operis et tabula propria capitolorum quae erat in impressione veteri quod repertorium et tabula habentur infra post finem operis. Matriti in aedibus Alonsi Gomezii et Petri Gosun Typographorum MDLXVII. Per le citazioni ho seguito l'edizione sassarese del 1617, cit. supra in nt. 33. Quanto alla qualità del testo della Carta de Logu stabilito dall’Olives, vedi brevemente E. Besta, La Carta de Logu quale monumento storico-giuridico, in E. Besta - P. E. Guarnerio, Carta de Logu de Arborea. Testo con prefazioni illustrative, cit., p. 7: «l’editore si valse oltre che della vetus impressio di un manoscritto, disgraziatamente infetto da una assai mendosa litera e spesso capricciosamente corretto e supplito».

 

[65] Più in generale, sulle peculiarità della cultura romanistica dell'Olives, cfr. C. G. Mor, Sul commento di Girolamo Olives Giureconsulto sardo del sec. XVI alla Carta de logu di Eleonora d'Arborea, in Testi e documenti per la storia del Diritto agrario in Sardegna, cit., pp. 57 s.: «Singolare è la sua cultura giuridica, solidamente fondata sui testi romanistici del Corpus Iuris, sulla glossa, sui dottori del secolo XIV e del principio del XV: ma, fatto degno di nota, nelle sue citazioni non compaiono, invece, giuristi quasi contemporanei, del XVI, che come Alciato, Cuiacio ecc., dovevano essere noti anche nelle scuole spagnole, e salvo il Simancas, nessun giurista iberico: ciò può esser segno di una cultura arretrata non tanto del nostro scrittore, quanto dell'ambiente in generale, e fors'anche della scuola».

 

[66] I. Birocchi, La consuetudine nel diritto agrario sardo, riflessioni sugli spunti offerti dagli Statuti sassaresi, in Gli Statuti sassaresi. Economia, Società, Istituzioni a Sassari nel Medioevo e nell'Età Moderna, cit., p. 336: «Nelle differenti visioni emerge così quella che è stata definita la teoria degli “elementi costitutivi”, apertamente presente nel Brandileone, ma che solca le opere del Solmi, con particolare riferimento al tema dell'influenza pisana sugli istituti del diritto sardo, e, seppure in minor misura, i lavori dello stesso Besta e del Leicht».

 

[67] Cfr. A. Solmi, Prefazione, in Testi e documenti per la storia del Diritto agrario in Sardegna, cit., pp. VII-VIII, riteneva invece che nella Sardegna giudicale si fossero conservate sostanzialmente intatte le forme del diritto romano. Contro, invece, F. Brandileone, Lezioni di storia del diritto italiano, Roma 1922, pp. 136 s.

 

[68] G. Zirolia, Ricerche storiche sul governo dei Giudici in Sardegna e relativa legislazione, cit., supra in nt. 4. Sul personaggio, vedi A. Era, Necrologio, in “Studi sassaresi”, Serie II, XIV (1937), pp. 175 ss.

 

[69] F. Brandileone, Note sull'origine di alcune istituzioni giuridiche in Sardegna durante il medioevo, in “Archivio storico italiano”, V Serie, XXX (1902), pp. 275-325 = Id., Scritti di storia giuridica dell'Italia meridionale, a cura di C. G. Mor, Bari 1970, pp. 163 ss. Commossa rievocazione della figura dell’illustre studioso in F. Calasso, Storicità del diritto, Milano 1966, pp. 25 ss.

 

[70] E. Besta, Il diritto sardo nel medioevo, cit. in nt. 3; Nuovi studi sulle origini, la storia, l'organizzazione dei Giudicati sardi, in “Archivio storico italiano”, Ser. V, XXVII (1901), pp. 24 ss.; La Carta de Logu quale monumento storico-giuridico, in E. Besta - P. E. Guarnerio, Carta de Logu de Arborea. Testo con prefazioni illustrative, cit., pp. 5 ss.; Per la storia d'Arborea nella 1ª metà del secolo decimoterzo, in “Archivio storico sardo” III (1907), pp. 323 ss.; Legislazione medioevale di Sardegna, Palermo 1908; La Sardegna medioevale, 2 voll., Palermo 1908-1909 [rist. an. Bologna 1979].

 

[71] A. Solmi, La Sardegna e gli studi storici, in “Archivio storico sardo” I (1905), pp. 5 ss.; Sulla storia della Sardegna nel medioevo, in “Archivio storico sardo” IV (1908), pp. 56 ss.; Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel medio evo, Cagliari 1917.

 

[72] R. Di Tucci, L'organismo giudiziario sardo: la Corona, in “Archivio storico sardo” XII (1916-1917), pp. 87 ss.; Le leggi agrarie di Sardegna dal sec. XIV al XX, Cagliari 1922; Nuove ricerche e documenti sull'ordinamento giudiziario e sul processo sardo nel Medio Evo, Cagliari 1923; Il diritto pubblico della Sardegna nel Medio Evo, in “Archivio storico sardo” XV (1924), pp. 3 ss.; “Cicero pro Scauro”. Elementi giuridici romani e consuetudini locali nella Società medioevale Sarda, in “Archivio storico sardo” XXI (1938), pp. 26 ss.

 

[73] A. Checchini, Note sull'origine delle istituzioni processuali della Sardegna medioevale, Aquila 1927 = Id., Scritti giuridici e storico-giuridici, II. Storia del processo - Storia del diritto privato, Padova 1958, pp. 207 ss.

 

[74] A. Era, Lezioni di Storia delle istituzioni giuridiche ed economiche sarde. Parte I e II § 1, Corso litografato, Roma 1934; Le così dette questioni giuridiche esplicative della Carta de Logu, in Studi di storia e diritto in onore di Enrico Besta per il XL anno del suo insegnamento, II, cit., pp. 377 ss.; Le ‘Carte de logu’, in Università degli Studi di Sassari. Annuario per l’anno accademico 1959-60, cit., pp. 17 ss.; Le “Carte de Logu”, in “Studi sassaresi” XXIX, cit., pp. 1 ss.

 

[75] Fra i lavori di A. Marongiu, espressamente dedicati a temi di storia giuridica sarda dell’età giudicale, vedi: Aspetti della vita giuridica sarda nei Condaghi di Trullas e di Bonarcado (sec. XI-XIII), in “Studi economico-giuridici della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Cagliari” XXVI (1938), pp. 624 ss.; Sul probabile redattore della Carta de Logu, Ibidem XVII (1939), pp. 19 ss.; Delitto e pena nella Carta de logu d’Arborea, in Studi in onore di Carlo Calisse, I, cit., pp. 107 ss.; Saggi di storia giuridica e politica sarda, Padova 1975; Il matrimonio alla “sardesca”, in “Rendiconti dell'Accademia Nazionale dei Lincei”, Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, VIII serie, 1980 (ma 1981), pp. 471 ss.

 

[76] Di E. Cortese, mette conto ricordare, soprattutto, la raccolta di saggi intitolata: Appunti di storia giuridica sarda, Milano 1964; ivi, particolarmente importante il saggio Diritto romano e diritto comune in Sardegna (pp. 119-143). Dello studioso vedi anche il più recente lavoro di interesse “sardo”: L’opera di Antonio Era nella storiografia giuridica. - Nel ricordo di Antonio Era: una proposta per la datazione della “Carta de Logu” d'Arborea, cit.in nt. 11 = Nel ricordo di Antonio Era. Una proposta per la datazione della “Carta de Logu” d'Arborea, in “Quaderni sardi di storia” III (1983), pp. 25 ss.; infine la mirabile sintesi dedicata alle istituzioni della Sardegna nel suo recentissimo manuale: Il diritto nella storia medievale, II. Il basso medioevo, cit., pp. 341 ss.

 

[77] Per gli aspetti generali della cultura (principalmente di stampo italiano) del Giudicato di Arborea nell’età della compilazione di Eleonora, vedi F. C. Casula, La cancelleria sovrana dell’Arborea dalla creazione del “Regnum Sardiniae” alla fine del giudicato (1297-1410), in “Medioevo. Saggi e rassegne” III (1977), pp. 75 ss.; Id., Cultura e scrittura nell'Arborea al tempo della Carta de Logu, in Aa. Vv., Il mondo della Carta de Logu, cit., pp. 71 ss.; da ultimo, alcuni saggi pubblicati nel 1996 in Società e cultura nel Giudicato d’Arborea e nella Carta de Logu. Atti del Convegno internazionale di studi, cit., con particolare riferimento ai contributi di L. Cicu, Il latino nel Giudicato d’Arborea (pp. 121 ss.) e di G. Mele, Culto e cultura nel Giudicato d’Arborea. Aspetti storici e tradizione manoscritta (pp. 253 ss.).