Università di Sassari/Seminario di Diritto Romano/Pubblicazioni-2

 

Francesco Sini

 

Documenti sacerdotali di Roma antica

I. Libri e commentarii

 

Sassari, Libreria Dessì Editrice, 1983

pp. 234

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cap. III

 

LE FONTI LATINE

 

Sommario: 1. Elenco dei passi che menzionano libri e commentarii. – 2. Una testimonianza sacerdotale: Cicerone. – 3. La ricerca filologico-antiquaria: i libri sacerdotali negli scritti di Varrone. – 4. Verrio Flacco e Sesto Pompeo Festo. – 5. Tito Livio. – 6. Seneca, Plinio, Quintiliano, Censorino, Arnobio, Mario Vittorino. – 7. Servio e Servio Danielino. – 8. Dai Saturnalia di Macrobio. – 9. Le fonti epigrafiche.

 

 

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1. – Elenco dei passi che menzionano libri e commentarii

 

Come abbiamo veduto in precedenza, la radicale diversità di atteggiamenti con cui la dottrina romanistica contemporanea affronta il problema della distinzione (e precisazione) del contenuto dei libri e dei commentarii sacerdotali si basa essenzialmente su due modi contrastanti di leggere le fonti[1]. Si rende perciò necessario procedere, in maniera sistematica, all’esame di quelle fonti latine, in cui i termini libri e commentarii sono usati per indicare documenti di provenienza sacerdotale[2]; poiché solo attraverso la verifica testuale si possono ricavare indicazioni risolutive: capaci, cioè, di confermare – compatibilmente con lo stato delle fonti – una delle prospettive presenti in dottrina su tale problema. Si tratta, insomma, di stabilire se la distinzione del contenuto dei libri da quello dei commentarii trovi conferma nello stato delle fonti, oppure se tale distinzione sia contraddetta proprio dal dato testuale.

Ma vi è una ulteriore ragione che suggerisce il riesame complessivo di queste fonti. Non bisogna, infatti, dimenticare che a partire dall’inizio di questo secolo, in concomitanza con l’affermarsi in seno alla dottrina dell’opinione contraria alla distinzione tra libri e commentarii, si è andato diradando fra gli studiosi il ricorso al dato testuale: si è preferito, insomma, richiamarsi, sempre più spesso, alla lettura che delle fonti avevano dato gli autori precedenti[3], le cui tesi erano state peraltro

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già accolte e sintetizzate negli articoli relativi a documenti e collegi sacerdotali pubblicati nelle grandi opere enciclopediche[4].

Fra i testi che citano libri e commentarii sacerdotali, va fatta intanto una prima distinzione. Da una parte, troviamo un certo numero di passi in cui i termini in questione non appaiono riferibili immediatamente ad un determinato collegio, sebbene il contesto di tali passi mostri senza alcun dubbio che si tratta di documenti provenienti dagli archivi sacerdotali: basti pensare, ad esempio, ad espressioni quali libri sacerdotum populi Romani[5], commentarii sacrorum[6] ed altre simili[7]. Dall’altra parte, abbiamo un certo numero di passi in cui il termine libri o commentarii si trova in un contesto tale da rendere ben esplicito il riferimento a documenti dell’archivio di uno dei collegi sacerdotali romani.

Seguendo il criterio di attenerci rigidamente al dato testuale, affronteremo soltanto l’esame di questi ultimi passi, riportandone anzitutto, di seguito, l’elenco (dal quale sono stati omessi quelli riguardanti i libri sibillini)[8]. I passi da esaminare contengono le seguenti espressioni:

 

libri pontificii: Cicerone, De re publ. 2, 54; De nat. deor. 1, 84; Varrone, De ling. Lat. 5, 98; Festo, p. 488 Lindsay;

 

libri pontificales: Seneca, Epist. 108, 31; Servio, Aen. 7, 190; 12, 603; Ecl. 5, 66; Georg. 1, 344; Servio Dan., Georg. 1, 21. 270; C.I.L. VI, 2195 b;

 

libri pontificum: Cicerone, De domo 33; De orat. 1, 193; Orazio, Epist. 2, 1, 26; Festo, p. 204 L.; Macrobio, Sat. 1, 12, 21; Arnobio, Adv. nat. 4, 18; Mario Vittorino, Gramm. Lat. (ed. Keil) 6, 12, 20;

 

libri augurales: Cicerone, De re publ. 1, 63; 2, 54; De div. 1, 72; Epist. ad fam. 3, 11, 4; Festo, p. 298 L.; Seneca, Epist. 108, 31; Servio Dan., Aen. 9, 20;

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libri augurum: Cicerone, De domo 39; Ad. Att. 9, 3; Varrone, De ling. Lat. 5, 21. 58; 7, 51; Servio Dan., Aen. 3, 537; 4, 45; 8, 95; Macrobio, Sat. 1, 16, 19;

 

libri saliorum: Varrone, De ling. Lat. 6, 14;

 

commentarii pontificum: Cicerone, Brut. 55; De domo 136; Livio 4, 3, 9; 6, 1, 2; Quintiliano, Inst. orat. 8, 2, 12; Plinio, Nat. hist. 18, 14;

 

commentarii augurales: Cicerone, De div. 2, 42; Festo, p. 420 L.; Servio Dan., Aen. 1, 398;

 

commentarii XVvirorum: Censorino, De die nat. 17, 9. 10. 11; C.I.L. VI, 2312;

 

commentarii fratrum Arvalium: C.I.L. VI, 2103 a 4; C.I.L. VI, 2104 b 30;

 

commentarii VII virum Epulonum: C.I.L. VI, 2319 b.

 

 

2. – Una testimonianza sacerdotale: Cicerone

 

Come risulta dal prospetto, lo scrittore più antico, nelle cui opere troviamo menzionati libri e commentarii sacerdotali, è M. Tullio Cicerone, il quale in ben dodici passi cita tali generi di documenti. Non mi pare affatto necessario dilungarsi qui in considerazioni di carattere generale circa l’attendibilità ed il valore della testimonianza ciceroniana[9]; è certo infatti che egli, consolare, augure dal 53 a.C.[10], possedeva tutti quei requisiti che lo ponevano in grado di avere, oltre che una profonda cultura giuridica[11], una indiscutibile competenza su ciò che riguarda i documenti sacerdotali; in quanto augure

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anche a voler accettare la tesi dell’inaccessibilità degli archivi[12], era in grado di accedere di persona almeno ai documenti conservati nell’archivio del suo collegio[13]. Senza contare che nelle sue opere vi sono numerosi altri luoghi, in cui l’oratore fa intendere chiaramente di utilizzare materiali provenienti dagli archivi sacerdotali, pur senza specificare in concreto da quali documenti siano tratti[14]. Possiamo quindi concludere che la sua testimonianza sull’attività e sulla documentazione dei principali collegi sacerdotali si presenta come assolutamente fededegna[15].

Ma veniamo ai passi: nove riguardano i libri (degli auguri e dei pontefici), gli altri tre i commentarii (sempre degli auguri e dei pontefici).

 

De re publ. 2, 54: Provocationem autem etiam a regibus fuisse declarant pontificii libri, significant nostri etiam augurales[16].

 

De nat. deor. 1, 84: At primum, quot hominum linguae, tot nomina deorum; non enim ut tu Velleius, quocumque veneris, sic idem in Italia Volcanus, idem in Africa, idem in Hispania. Deinde nominum non magnus numerus ne in pontificiis quidem nostris, deorum autem innumerabilis[17].

 

De domo 33: Quid est enim aut tam adrograns quam de religione, de rebus divinis, caerimoniis, sacris pontificum collegium docere conari, aut tam stultum quam, si quis quid in vestris libris invenerit, id narrare vobis, aut tam curiosum quam ea scire velle, de quibus maiores nostri vos solos et consuli et scire voluerunt?[18].

 

De orat. 1, 193: Nam, sive quem haec Aeliana studia delectant, plurima est in omni iure civili et in pontificum libris et in XII tabulis antiquitatis effigies, quod et verborum vetustas prisca cognoscitur et actionum genera

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quaedam maiorum consuetudinem vitamque declarant[19].

 

De domo 39: Venio ad augures, quorum ego libros, si qui sunt reconditi, non scrutor: non sum in exquirendo iure augurum curiosus: haec, quae una cum populo didici, quae saepe in contionibus responsa sunt, novi. Negant fas esse agi cum populo, quum de caelo servatum sit[20].

 

De re publ. 1, 63: Nam dictator ab eo appellatur quia dicitur. Sed in nostris libris vides eum, Laeli, magistrum populi appellari[21].

 

Ad Att. 9, 9, 3: Nos autem in libris habemus non modo consules a praetore sed ne praetores quidem creari ius esse, id factum esse nusquam: consules eo non esse ius quod maius imperium a minore rogari non sit ius, praetores autem cum ita rogentur ut collegae consules sint, quorum est maius imperium[22].

 

De div. 1, 72: Quorum alia sunt posita in monumentis et disciplina, quod Etruscorum declarant et haruspicini et fulgurales et rituales libri, vestri etiam augurales[23].

 

Epist. ad fam. 3, 11, 4: Nam augurales libros ad commune utriusque nostrum otium serva; ego enim, ad te quum tua promissa per litteras flagitabam, ad urbem te otiosissimum esse arbitrabam, nunc tamen, ut ipse polliceris, pro auguralibus libris orationes tuas confectas omnes exspectabo[24].

 

Dalla lettura di questi passi si può trarre dunque qualche considerazione:

a) In alcuni casi in cui Cicerone utilizza il termine libri, sembra riferirsi a documenti di grande antichità: per i libri dei pontefici sottolinea testualmente la plurima effigies antiquitatis; mentre la vetusta espressione magister populi, con cui

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si indicava il dictator nei libri degli auguri, data in epoca risalente la formazione di questi libri.

b) Il termine libri è sottinteso da Cicerone per indicare quei documenti sacerdotali che contenevano gli elenchi, certo assai antichi, dei nomina deorum, cioè di quelle invocazioni rituali delle divinità che venivano chiamate indigitamenta.

c) La denominazione libri sembra anche riguardare documenti in cui si tramandavano precetti e procedure di carattere giuridico-religioso: come, ad esempio, quelle relative alla provocatio[25], o il divieto di agi cum populo quum de caelo servatum sit[26].

Nei commentarii si raccoglieva e si conservava la memoria dell’attività interpretativa dei collegi:

 

De domo 136: Sed, ut revertar ad ius publicum dedicandi, quod ipsi pontifices semper non solum ad suas caerimonias, sed etiam ad populum iussa accomodaverunt, habetis in commentariis vestris C. Cassium Censorem de signo Concordiae dedicando ad pontificum collegium retulisse eique M. Aemilium pontificem maximum pro collegio respondisse, nisi eum populus Romanus nominatim praefecisset atque eius iussu faceret, non videri eam posse recte dedicari[27].

 

Brutus 55: Possumus (...) suspicari disertum (.....) Ti. Coruncanium, quod ex pontificum commentariis longe plurimum ingenio valuisse videatur[28].

 

De div. 2, 42: Itaque in nostris commentariis scriptum habemus: “Iove tonante, fulgurante comitia populi habere nefas”[29].

 

Era così possibile conoscere da tali documenti le decisioni dei pontefici e degli auguri[30], come il responso sul caso del censore C. Cassio[31], di cui Cicerone riassume il contenuto; allo stesso modo, ancora al tempo del nostro autore, si poteva

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valutare l’opera del grande pontefice massimo Tiberio Coruncanio[32] ex pontificum commentariis[33].

Come si vede, Cicerone non discute mai in maniera sistematica del contenuto degli archivi sacerdotali, sicché non appare possibile, sulla base dei passi citati, ricostruirne in modo completo il quadro complessivo. Questo fatto non implica, tuttavia, che i passi in questione non siano utili per la ricerca sui libri e sui commentarii: al contrario in essi abbiamo elementi assai significativi, che ci consentono di intravvedere l’esistenza di una qualche distinzione tra questi due generi di documenti, almeno per le parti di materie di volta in volta concretamente attribuite a ciascuno di essi.

 

 

3. – La ricerca filologico-antiquaria: i libri sacerdotali negli scritti di Varrone

 

Da numerosi passi delle opere di M. Terenzio Varrone[34] si intuisce che quest’autore aveva una conoscenza diretta e minuziosa dei documenti conservati negli archivi dei sacerdoti romani, sebbene non risulti che egli sia stato membro di alcuno dei grandi collegi[35]. Certamente l’antiquario deve aver consultato tali documenti nel comporre le Antiquitates rerum divinarum[36], ma anche, più in generale, nel vastissimo lavoro di ricerca storico-filologica, i cui risultati fecero di Varrone il più insigne studioso del suo tempo[37]. A questo proposito, mette conto ricordare che le Antiquitates furono dedicate a C. Giulio Cesare (il quale era anche pontefice massimo e proprio in tale veste destinatario della dedica)[38] forse anche come segno di ringraziamento per l’accesso ai documenti pontificali da lui consentito all’antiquario reatino[39].

Da quanto si è detto, sia sulla conoscenza dei documenti, sia sui modi con cui Varrone avrebbe avuto praticamente accesso agli archivi sacerdotali, risulta evidente la necessità di maggiori approfondimenti da parte della dottrina in merito

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al problema, peraltro fondamentale per la comprensione della teologia varroniana[40], del rapporto tra questa e la teologia “tradizionale” romana, quale si può ricostruire attraverso i documenti dei sacerdoti[41].

Abbiamo cinque passi[42] del De lingua Latina[43] in cui Varrone usa il termine libri con preciso riferimento a documenti sacerdotali: le espressioni utilizzate in questi passi sono: libri pontificii, libri augurum e libri saliorum:

 

De ling. Lat. 5, 98: Aries † qui eam dicebant ares, veteres nostri ariuga, hinc ariugas. Haec sunt quorum in sacruficiis exta in olla, non in veru coquuntur, quas et Accius scribit et in pontificiis libris videmus. In hostis eam dicunt † ariugem quae cornua habeat[44].

 

ib. 5, 58: Terra enim et Caelum, ut <Sa>mothracum initia docent, sunt dei magni, et hi quos dixi multis nominibus, non quas <S>amo<th>racia ante portas statuit duas virilis species aeneas de [i]mag[i]ni, neque ut vulgus putat, hi Samot<h>races dii, qui Castor et Pollux, sed hi mas et femina et hi quos augurum libri scriptos habent sic “divi qui potes” pro illo quod Samot<h> races “theœdynatœ”[45].

 

ib. 7, 51: Supremum a superrumo dictum: itaque Duodecim Tabulis dicunt: solis occasu diei suprema tempestas esto. Libri augurum pro tempestate tempestutem dicunt supremum augurii tempus[46].

 

ib. 5, 21: Terra dicta ab eo, ut Aelius scribit, quod teritur. Itaque tera in augurum libris scripta cum R uno[47].

 

ib. 6, 14: In libris Saliorum quorum cognomen Agonensium, forsitam hic dies ideo appelletur potius Agonia[48].

 

La lettura del primo passo potrebbe confermare la tesi

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che Varrone avesse una certa familiarità con i libri pontificum: si spiegherebbe, in tal modo, il fatto che metta sullo stesso piano i libri citati ed un autore a lui sicuramente accessibile come Accio, «quas et Accius scribit et in pontificiis libris videmus»; inoltre, lo stesso contenuto del passo fa ritenere che l’espressione libri pontificii non abbia un significato generico, ma piuttosto che indichi l’esatta denominazione dei documenti da cui Varrone ha tratto l’informazione tecnica su quel tipo di vittima[49].

Anche nel caso dell’espressione libri saliorum, mi pare indiscutibile il riferimento ad una formula di preghiera tratta per l’appunto da tali “libri[50]. Per quanto riguarda poi le citazioni dei libri augurum, la prima sembra essere una formula d’invocazione, mentre le altre due sono riportate come esempio di antichità; De ling. Lat. 7, 51 contiene invece un’interessante notazione sul tempo dell’augurium, risalente di certo all’antichissimo periodo in cui la disciplina augurale ha fissato i suoi precetti fondamentali[51].

Va infine detto che i passi citati pongono un problema di non facile soluzione. Varrone non menziona mai (né nel De lingua Latina, né in frammenti delle altre opere variamente pervenuti) altri documenti sacerdotali. Ciò potrebbe costituire una ulteriore dimostrazione della mancanza di qualche apprezzabile diversità di contenuto tra libri e commentarii, in quanto lo stesso Varrone userebbe il termine libri nel significato generico di “documenti” o “archivio” sacerdotali.

A questa conclusione si possono, tuttavia, opporre valide obiezioni. In primo luogo è da sottolineare, ancora una volta, la parzialità della nostra conoscenza dell’insieme dell’opera varroniana, e, soprattutto, la perdita delle Antiquitates rerum divinarum (in cui, con molta probabilità, vi dovevano essere riferimenti ai documenti sacerdotali).

La seconda obiezione, più legata al dato testuale, si fonda sulla constatazione che dai passi esaminati si ricava un significato non generico del termine libri, a cui fa riscontro un significato altrettanto “tecnico” del termine commentarii, laddove

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si citano i commentarii consulares[52].

 

 

4. – Verrio Flacco e Sesto Pompeo Festo

 

Un’altra fonte importante per questo lavoro è la famosa opera di Verrio Flacco[53], grammatico dell’età augustea, intitolata De verborum significatu[54]. Com’è noto, l’opera di Verrio è andata perduta, ma larga parte del suo contenuto ci è pervenuta nel compendio di Sesto Pompeo Festo[55], scritto intorno al 200 d.C., e attraverso l’epitome di questo ultimo ad opera di Paolo Diacono (VIII sec. d.C.).

Da Festo vengono citati due volte i libri dei pontefici, una volta i libri ed i commentarii56[56] degli auguri, ed ugualmente ai libri degli auguri sembra riferirsi un altro passo, di non facile lettura:

 

v. Opima spolia, p. 204 L.: M. Varro ait opima spolia esse, etiam si manipularis miles detraxerit, dummodo duci hostium . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . non sint ad aedem Iovis Feretri poni, testimonio esse libros pontificum; in quibus sit: Pro primis spoliis bove, pro secundis solitaurilibus, pro tertiis agno publice fieri debere; esse etiam Pompili regis legem opimorum spoliorum talem: “Cuius auspicio classe procincta opima spolia capiuntur, Iovi Feretrio darier oporteat, et bovem caedito, qui cepit aeris CC<C> ... Secunda spolia, in Martis ara in campo solitaurilia utra voluerit caedito... Tertia spolia, Ianui Quirino agnum marem caedito, C qui ceperit ex aere dato. Cuius auspicio capta, dis piaculum dato”[57].

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v. Tesca, p. 488  L.:. . . . . . . <Tesca sun>t loca augurio desig<nata> . . . . . . ino finis in terra auguri. Op<[p]illus>. . . . . . . lius loca consecrata ad . . . . . . . . . sit. Sed sancta loca undique . . . . . . . . . . nt  pontifici[s] libri, in quibus . . . . . . . . . . . que sedemque tescumque . . . . . . . . . . . . . dedicaverit, ubi eos ac . . . . . . . . . . propitiosque[58].

 

v. Paludati, p. 298 L.: Paludati in libris auguralibus significat, ut ait Veranius, armati, ornati. Omnia enim mimitaria ornamenta paludamenta dici[59].

 

v. Sarte, p. 428 L.: Sa>rte in augu<ralibus pro inte>gro ponitur: <“sane sarctequ>e audire vi...[60].

 

v. Sanqualis, p. 420 L.: Sanqualis avis ap ... <com>mentaris augura<libus ..... ossifra>ga dicitur, quia in <Sanci dei> tutela est[61].

 

Fare un discorso sul contenuto dei libri e commentarii sulla base dei passi citati non è certamente facile. Uno di essi, totalmente corrotto, non consente alcuna ipotesi, mentre gli altri, seppure con molti limiti, mi sembra si prestino a qualche considerazione non marginale.

Di grande interesse appare ad esempio il primo, poiché da esso si ricava che le disposizioni che regolavano il complesso rituale degli spolia opima[62] erano contenute in libri pontificum: fonte di Verrio è in questo caso Varrone[63]. Ma l’interesse del passo non sta solo in questo: più avanti si dice che anche una legge di Numa Pompilio confermava quanto ricavato dai libri pontificum a proposito degli spolia opima. Dal discorso di Varrone non si comprende se la citazione della lex Pompili regis sia tratta da libri pontificum, o se invece l’autore abbia consultato una raccolta di leges regiae[64], autonoma

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rispetto ai documenti dell’archivio dei pontefici; in ogni caso, mi sembra debba essere fatta rimarcare ancora una volta l’identità di contenuto tra alcune leges regiae e parte della materia attribuita a libri pontificum[65].

Il contesto in cui sono poste le due citazioni di non meglio precisati libri augurum mi pare confermi l’ipotesi che si tratti di formule solenni ricavate da documenti dell’archivio del collegio degli auguri: una riguardante l’esercito (la fonte di Verrio è l’autorevole studioso di diritto augurale Veranio)[66] l’altra di non facile precisazione.

 

 

5. Tito Livio

 

Due rapidi accenni ai commentarii pontificum rappresentano tutto ciò che è utilizzabile, riguardo alla distinzione tra libri e commentarii, del prezioso materiale documentario contenuto nei superstiti libri ab urbe condita di Tito Livio[67]. L’opera liviana, peraltro, si dimostra complessivamente assai preziosa per un serio lavoro di ricostruzione dei documenti contenuti negli archivi sacerdotali, poiché in essa è possibile reperire numerosi “frammenti” di documenti degli stessi archivi sacerdotali[68].

Ma veniamo ai passi in questione:

 

4, 3, 9: Quin etiam, si dis placet, nefas aiunt esse consulem plebeium fieri. Obsecro vos, si non ad fastos, non ad commentarios pontificum admittimur, ne ea quidem scimus, quae omnes peregrini etiam sciunt, consules in locum regum successisse nec aut iuris aut maiestatis quicquam habere, quod non in regibus ante fuit?[69]

 

6, 1, 2: Res cum vetustate nimia obscuras, velut quae magno ex intervallo loci vix cernuntur, tum quod parvae

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et rarae per eadem tempora litterae fuere, una custodia fidelis memoriae rerum gestarum, et quod, etiam si quae in commentarios pontificum aliisque publicis privatisque erant monumentis, incensa urbe pleraeque interiere[70].

 

La riflessione della dottrina sul significato da attribuire al termine commentarii nel contesto liviano è stata in generale alquanto carente: si è sostenuto, da più parti, che nei passi citati esso sia usato come sinonimo dell’intero archivio del collegio dei pontefici[71]; mentre per altri studiosi i commentarii a cui si fa cenno sarebbero da intendere più semplicemente come annales pontificum[72], poiché in questi ultimi documenti sarebbe più logico ricercare le «memoriae rerum gestarum» di cui si parla in Liv. 6, 1, 2. Mette conto sottolineare la schematicità di tali opinioni; semmai si sarebbe dovuto riflettere sul rapporto di reciproca connessione tra il materiale contenuto nei commentarii e quello degli annales e sul probabile carattere recenziore dei secondi rispetto ai primi[73].

 

 

6. - Seneca, Plinio, Quintiliano, Censorino, Arnobio, Mario Vittorino

 

Abbiamo raggruppato in questo paragrafo, soltanto per comodità di esposizione, autori per il resto poco assimilabili. Anche il valore di questi passi è assai dissimile: di fronte alle importanti testimonianze di Plinio e di Censorino sono chiaramente di secondario interesse quelle di Seneca, Quintiliano, Arnobio e Mario Vittorino.

Non molto significativa appare la citazione dei libri augurales e pontificales contenuta in una delle Epistulae di Seneca:

 

Epist. 108, 31: Praeterea notat (sott. Cicerone) eum quem nos dictatorem dicimus et in historiis ita nominari legimus,

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apud antiquos magistrum populi vocatum. Hodieque id extat in auguralibus libris et testimonium est quod qui ab illo nominatur magister equitum est. Aeque notat Romulum perisse solis defectione; provocationem ad populum etiam a regibus fuisse: id ita in pontificalibus libris et aliqui sunt argui qui putant et Fenestella[74];

 

poiché la fonte diretta delle affermazioni del filosofo non sembra essere alcun documento sacerdotale (anche se l’espressione hodieque id extat può far supporre almeno la conoscenza dei libri augurales), ma piuttosto le opere di Cicerone[75] e di Fenestella.

 

Più problematico si presenta, invece, il passo di Plinio[76]:

 

Nat. hist. 18, 14: Ita enim est in commentariis pontificum: Augurio canario agendo dies constituantur, priusquam frumenta vaginis exeant et[77] antequam in vaginas perveniant[78].

 

A prima vista può sembrare strano che nei commentarii pontificum si trovassero delle disposizioni che riguardavano il tempo dell’augurio canario[79]. Questa perplessità si supera facilmente in considerazione del fatto che al collegio dei pontefici era demandata la sorveglianza e la direzione complessiva del culto patrio, e che inoltre, nel caso dell’augurio canario, essi stessi presiedevano la cerimonia[80]. Si spiega così che questo decreto (o responso) fosse contenuto nei commentarii dei pontefici[81].

Infine, non mi pare che in questo caso - di fronte ad una citazione così precisa - sia rilevante discutere l’eventualità che l’autore non abbia attinto il passo direttamente dai commentarii, ma si sia servito dell’opera di qualche scrittore contemporaneo o di poco anteriore[82]: poiché, qualsiasi ipotesi si preferisca, non viene inficiato il valore della testimonianza di Plinio.

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Anche Quintiliano cita i commentarii pontificum nella sua Institutio oratoria:

 

8, 2, 12: At obscuritas fit verbis iam ab usu remotis, ut si commentarios quis pontificum et vetustissima fœdera et exoletos scrutatus auctores id ipsum petat ex his, quae inde contraxerit, quod non intellegantur[83].

 

Il passo non ci aiuta certamente molto nel tentativo di individuare lo specifico contenuto dei commentarii sacerdotali; il suo contributo non va oltre la conferma dell’esistenza e dell’antichità di quei documenti. Tuttavia, non per questo si può condividere l’opinione di quegli studiosi che utilizzano il passo per sostenere l’impossibilità di distinguere concretamente fra i vari documenti provenienti dagli archivi sacerdotali[84].

In tre paragrafi del De die natali di Censorino[85] si leggono importanti accenni al contenuto dei commentari dei Quindecimviri sacris faciundis. Tali citazioni attestano che in questi commentarii si raccoglievano tutti i resoconti, compilati ufficialmente dal collegio, attinenti alle celebrazioni dei diversi ludi saeculares svoltisi a Roma fino al tempo dello scrittore:

 

17, 9: At <moris esse> contra ut decimo centesimoque anno repetantur tam Commentarii XVvirorum quam divi Augusti edicta testari videntur...

 

17, 10: Quae dissensio temporum, si veterum revolventur annales, longe magis in incerto invenietur. Primos enim ludos saeculares exactis regibus post Romam conditam annis CCXLV a Valerio Publicola institutos esse <accepimus; sed> ad XVvirorum Commentarios, anno CCXCVIII M. Valerio Spurio Verginio conss. <Secundos ludos> anno post Urbem conditam octavo et quadrigentesimo, ut vero in Commentariis XVvirorum scriptum est, anno CCCC et decimo M. Valerio Corv{in}o II

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C. Pœtelio conss. Tertii ludi fuerunt, Antiate Livioque auctoribus, P. Claudio Pulchro L. Iunio Pullo conss.; <XVviris autem testibus,> anno quingesimo duodevigesimo, P. Cornelio Lentulo C. Licinio Varo conss.

 

17, 11: De quartorum ludorum anno triplex opinio est. Antias enim et Varro et Livius relatos esse prodiderunt L. Marcio Censorino M’. Manilio conss., post Romam conditam anno DCV; at Piso Censorius et Cn. Gellius sed et Cassius Hemina, qui illo tempore vivebat, post annum factos tertium adfirmat, Cn. Cornelio Lentulo Lucio Mummio Achaico conss., id est anno DC<V>III; in XVvirorum autem Commentariis notantur sub anno DCXXVIII, <M.> Aemilio Lepido L. Aurelio Oreste conss.[86].

 

Menzione di libri dei pontefici si trova anche in un passo di Arnobio:

 

Adv. nat. 4, 18: Aut si ponderis extimatis nullius haec esse, aboleantur omnes libri quos de diis habetis compositos theologorum, pontificum, nonnullorum etiam philosophiae deditorum[87];

 

e nella Ars grammatica di Mario Vittorino:

 

Gramm. Lat. 6, 12, 20 (ed. Keil): Ex quibus Q et fuisse apud Graecos quare desiderat fungi vice litterae, cognoscere potestis, si pontificum libros legeretis[88].

 

Ma dai passi citati appare assai difficile ricavare indicazioni sostanziali riguardo a questi documenti sacerdotali denominati libri pontificum.

 

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7. - Servio e Servio Danielino

 

Per qualsiasi ricerca su libri e commentarii sacerdotali, il commento in Vergilii carmina del grammatico Servio[89] rappresenta una fonte di eccezionale ricchezza. In quest’opera[90] si trovano infatti numerosi passi in cui i termini libri e commentarii appaiono usati per indicare documenti di provenienza sacerdotale. Si tratta di libri pontificales, augurales, augurum, mentre un passo riguarda i commentarii (augurales). Vediamo, in primo luogo, proprio questo passo:

 

Serv. Dan., Aen. 1, 398: Multi tamen adserunt cycnos inter augurales aves non inveniri neque auguralibus commentariis eorum nomen inlatum, sed in libris reconditis lectum esse, posse quamlibet avem auspicium adtestari, maxime quia non poscatur[91].

 

Questo passo in cui si menzionano i commentarii augurali è stato variamente interpretato dalla dottrina. La sua importanza deriva - giova sottolinearlo - dal fatto che in esso si trovano assieme i termini libri e commentarii, e per di più in reciproca contrapposizione. Qualche studioso ha voluto trarne la distinzione tra libri e commentarii del collegio degli auguri[92], ma l’identificazione dei libri reconditi con i libri augurales viene generalmente rifiutata dalla dottrina[93], in quanto i primi, come attestano anche altri passi del Servio Danielino[94], atterrebbero piuttosto alla disciplina etrusca.

I passi che seguono riguardano invece quelle materie che sembrerebbero costituire il contenuto dei libri augurales (o augurum):

 

Serv. Dan., Aen. 3, 537: Sane figurate “equos omen”; diversa enim significatione idem dixit. Sed multis de libris augurum tractum tradunt: iugetis[95] enim dicitur augurium quod ex iunctis iumentis fiat. Observatur enim, ne prodituro

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magistratui disiunctis bobus plaustrum obviam veniat[96].

 

Serv. Dan., Aen. 9, 20: In auguralibus libris inter ostenta etiam caelum discessisse dicitur[97].

 

Serv. Dan., Aen. 4, 45: Varro de pudicitia ait auspices in nuptis appellatos † auspici bisque ab marito et nova nupta per hos auspices captabantur in nuptiis. Iunone secunda vel quae praeest coniugiis, quae pronuba appellatur: quamvis et ipsa in libris augurum praeesse dicatur auspiciis: aut quia Carthaginem fovet[98].

 

Serv. Dan., Aen. 8, 95: superant flexus “superant” transeunt, ut fontem superare Timavi. Et hic ostendit non esse alveum fluminis rectum: quia Tiberim libri augurum colubrum loquuntur, tamquam flexuosum[99].

 

In libri degli auguri sarebbero stati, dunque, fissati i princìpi fondamentali della disciplina augurale, concernenti l’augurium (così i passi Aen. 3, 537; 9, 20) e l’auspicium, nonché le formule solenni del rituale (da una di esse derivava quasi certamente il termine colubrum, attributo augurale del fiume Tevere)[100].

Molteplice si presenta in Servio e Servio Danielino il contenuto attribuito ai libri pontificales:

 

Serv., Aen. 12, 603: et nodum informis leti alii dicunt, quod Amata inedia se interemerit. Sane sciendum quia cautum fuerat in pontificalibus libris, ut qui laqueo vitam finisset, insepultus abiceretur: unde bene ait “informis leti”, quasi mortis infamissimae[101].

 

Serv. Dan., Georg. 1, 21: More pontificum, (per) ritu veteri in omnibus sacris post speciales deos, quos ad ipsum sacrum, quod fiebat, necesse erat invocari, generaliter omnia

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numina invocabantur. Quod autem dicit “studium quibus arva tueri”, nomina haec numinum in indigitamentis inveniuntur, id est in libris pontificalibus, qui et nomina deorum et rationes ipsorum nominum continent, quae etiam Varro dicit. Nam, ut supra diximus, nomina numinum ex officiis constat imposita, verbi causa ut ab occatione deus Occator dicatur, a sarritione Sarritor, a stercoratione Sterculinus, a satione Sator[102].

 

Serv., Ecl. 5, 66: Sane quaeritur, cur duo altaria Apollini se positurum dicat, cum constet supernos deos impari gaudere numero, infernos vero pari, ut numero deus impare gaudet, quod etiam pontificales indicant libri[103].

 

Serv., Georg. 1, 344: Nam superfluum est quod quidam dicunt, contra religionem dixisse Vergilium, licere Cereri de vino sacrificari: pontificales namque hoc non vetant libri[104].

 

Serv. Dan., Georg. 1, 270: Sane quae feriae a quo genere hominum vel quibus diebus observentur, vel quae festis diebus fieri permissa sint, siquis scire desiderat, libros pontificales legat[105].

 

Serv., Aen. 7, 190: Fabula autem talis est. Picus amavit Pomona, pomorum dea, et eius volentis est sortita coniugium. Postea Circe, cum eum amaret et sperneretur, irata eum in avem, picum Martium, convertit: nam altera est pica. Hoc autem ideo fingitur, quia augur fuit et domi habuit picum, per quem futura noscebat: quod pontificales indicant libri. Bene autem supra ei lituum dedit, quod est augurum proprium: nam ancile et trabea communia sunt cum Diali vel Martiali sacerdote[106].

 

Nei libri pontificales era dunque possibile trovare sia disposizioni di diritto sacro (quali il precetto qui laqueo vitam finisset,

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insepultus abiceretur), sia indigitamenta, sia regolamenti di sacrifici e altri riti (Ecl. 5, 66; Georg. 1, 344). Merita infine particolare considerazione il fatto che con l’espressione libri pontificales si designasse anche il calendario delle solennità religiose e le regole di comportamento, che i singoli dovevano seguire in tali circostanze.

Non va però neanche dimenticato che alcuni passi di Servio sono stati utilizzati da una parte della dottrina per dimostrare l’assoluta impossibilità di pervenire ad una qualche distinzione tra il contenuto di libri e commentarii. Questa impostazione critica si basa sulla constatazione che nei due commentatori di Virgilio vi sarebbe una certa approssimazione e qualche confusione nell’attribuire determinati contenuti a libri o commentarii: in alcuni passi, ad esempio, con il termine libri si indicherebbero più propriamente gli annales[107]; in altri, i riferimenti a libri non sembrano riguardare specifici generi di documenti, ma piuttosto riferirsi genericamente a tutto l’archivio.

Questo fatto, che pure avrebbe richiesto maggiori approfondimenti, non mi pare possa impedire di riaffermare la bontà della testimonianza serviana, che, peraltro, si allinea abbastanza con quelle degli altri autori antichi finora esaminati: nel senso che, tutti indistintamente, sembrano attestare quanto meno l’esistenza di una qualche differenziazione, formale o sostanziale, tra libri e commentarii sacerdotali.

 

 

8. – Dai Saturnalia di Macrobio

 

I libri pontificum e augurum sono citati anche in due passi dei Saturnalia di Macrobio[108].

 

1, 12, 21-22: Auctor est Cornelius Labeo huic Maiae id est terrae aedem kalendis Maiis dedicatam sub nomine

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Bonae Deae et eandem esse Bonam Deam et terram in ipso ritu occultiore sacrorum doceri posse confirmat. Hanc eandem Bonam Faunamque, Opem et Fatuam pontificum libris indigitari: Bonam quod omnium nobis ad victum bonorum causa est, Faunam quod omni usui animantium favet, Opem quod ipsius auxilio vita constat, Fatuam a fando quod ut supra diximus, infantes partu editi non prius vocem edunt quam attingerint terram[109].

 

1, 16, 19: Vitabant veteres ad viros vocandos etiam dies qui essent notati rebus adversis, vitabant etiam ferias sicut Varro in augurum libris scribit in haec verba: viros vocare feriis non oportet; si vocavit, piaculum esto[110].

 

Il primo passo mi pare riporti un esempio concreto di indigitamentum, ricavato dai libri pontificum, da utilizzare nelle preghiere rivolte alla Bona Dea[111]; il passo fornisce inoltre la spiegazione teologica degli epiteti rituali, che potrebbe però non risalire ai libri pontificum, ma piuttosto essere frutto della riflessione di C. Labeone[112].

Il secondo passo ci offre un ulteriore elemento sui libri augurum[113]: in essi stavano anche disposizioni della disciplina augurale, che fissavano precise modalità temporali all’esercizio dei poteri magistratuali, connessi agli auspicia: in questo caso si tratta del ius agendi cum populo[114].

 

 

9. – Le fonti epigrafiche

 

Restano infine da esaminare, per concludere questa rassegna di fonti, alcune testimonianze epigrafiche relative a libri e commentarii sacerdotali:

 

CIL VI, 2103 a 4: ... [detulit Primus Cor]nel(ianus) public(us)

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a comm(entariis) [fratrum arvalium];

 

C.I.L. VI, 2104 b 30: Primus Corne[lianus pub]l(icus) [a c]omm(entariis) fratr(um) arv(alium)[115];

 

C.I.L. VI, 2195 b: Ti. Claudius Natalis a libris pontifical(ibus)[116];

 

C.I.L. VI, 2312: Dis Manibus Myrini Domitiani publici a commentaris XVvir(um) s(acris) f(aciundis) Arruntia Doliche fecit coniugi carissimo[117];

 

C.I.L. VI, 2319 b: ... lianus Flavianus a comme[nt(ariis) sa]cerdoti VII virum epulonu(m).

 

I primi due passi sono tratti da iscrizioni ufficiali dei fratres Arvales (rispettivamente degli anni 214 e 218 d.C.) e riguardano lo stesso personaggio: Primus Cornelianus. Da essi si evince che i fratres Arvales avevano propri commentarii (forse quegli stessi documenti che dal Marini in poi vengono comunemente denominati acta?[118]) alla cui redazione materiale erano preposti degli ausiliari del collegio, publici[119], quali appunto il menzionato Primo Corneliano.

Particolare attenzione merita la terza delle iscrizioni, non tanto perché abbia un testo diverso dalle altre, quanto per il genere dei documenti citati: i libri pontificales.

La quarta iscrizione, lapide funeraria dedicata ad un certo Myrinus Domitianus qualificato publicus a commentariis dei Quindecimviri sacris faciundis, costituisce una conferma significativa dell’esistenza di commentarii del collegio dei quindecimviri; commentarii citati, peraltro, anche nel De die natali di Censorino (vedi supra pp. 105-106).

L’ultima iscrizione rappresenta, almeno finora, l’unica fonte in cui sono menzionati i commentarii dei septemviri Epulones[120]: si completa così il quadro dei materiali d’archivio riferibili ai quattro amplissima collegia dei sacerdoti romani,

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i quali sembrano competenti, in piena autonomia, per la redazione e conservazione dei documenti attinenti alla specifica funzione giuridico-religiosa di ciascuno di essi[121].

Dall’analisi delle testimonianze epigrafiche emerge dunque nel materiale degli archivi una diversità, almeno terminologica, fra documenti denominati libri ed altri denominati commentarii. Né è da sottovalutare l’importanza di questa terminologia agli effetti del nostro discorso.

La terminologia delle epigrafi, sebbene di per sé non sia sufficiente a chiarire la reale differenza di contenuto tra libri e commentarii sacerdotali, attesta però in maniera assai convincente il permanere, anche in età imperiale avanzata, della distinzione tra questi importanti generi di documenti. La qualità stessa delle iscrizioni non consente poi alcun dubbio sul carattere prettamente tecnico di tale terminologia; infatti, le qualifiche a libris e a commentariis si presentano utilizzate in atti ufficiali di collegi sacerdotali e in epigrafi funerarie, riferibili ai primi tre secoli dell’impero, per indicare propriamente il nomen officii dei personaggi menzionati. Ancora più degna di nota appare infine questa diversità terminologica nella titolatura ufficiale degli ausiliari dei collegi sacerdotali, se si considera che in quest’epoca, già da tempo, ai significati originari dei termini libri e commentarii si erano sovrapposti nel sentire comune significati diversi o genericamente più ampi: emblematico in questo senso il noto passo di Ulpiano (D. 32, 52, pr.): «Librorum appellatione continentur omnia volumina, sive in charta sive in membrana sint sive in quavis alia materia: sed et si in philyra aut in tilia (ut nonnulli conficiunt) aut in quo alio corio, idem erit dicendum».

 

 



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NOTE

 

[1] Cfr., ad esempio, la diversa conclusione, riguardo alla possibilità di distinguere praticamente tra libri e commentarii, di studiosi come lo Schwegler e il Marquardt (sui quali vedi supra pp. 43 s. e 47) o il Bouché-Leclercq e il Regell (supra pp. 48 ss.), le cui posizioni si fondano in primo luogo sulla valutazione differente delle stesse fonti latine.

 

[2] L’uso che dei termini libri e commentarii si fa nella lingua latina è invero assai ampio e multiforme; sui molteplici significati e sulla utilizzazione di tali termini si vedano le relative voci del Thesaurus Linguae Latinae: commentarius (red. W. BANNIER), in Thesaurus III (1911), coll. 1856 ss.; liber (red. J. v. KAMPTZ), in Th. VII, 2 (1974) coll. 1271 ss.

Nella scelta delle fonti ho seguito il criterio di esaminare solamente quei passi, in cui i termini libri e commentarii appaiano riferibili testualmente ad uno dei collegi sacerdotali romani: sia per mezzo di un aggettivo (pontificii, augurales, ecc.), sia per mezzo di un genitivo (pontificum, augurum, ecc.).

Non va tuttavia dimenticato che nelle fonti si trovano i termini libri e commentarii anche per indicare documenti attribuiti a re e magistrati. Così abbiamo menzione di commentarii dei re (Cicerone, Pro Rabir. perd. 15: Hic se popularem dicere audet, me alienum a commodis vestris, cum iste omnis et suppliciorum et verborum acerbitates non ex memoria vestra ac patrum vestrorum sed ex annalium monumentis atque ex regum commentariis conquisierit); di libri e commentarii di Numa (Plinio, Nat. hist. 28, 4: L. Piso primo Annalium auctor est Tullum Hostilium regem ex Numae libris eodem, quo illum, sacrificio Iovem caelo devocare conatum, quoniam parum rite quaedam fecisset, fulmine ictum; Livio 1, 31, 8: Ipsum regem tradunt volventem commentarios Numae, cum ibi quaedam occulta solemnia sacrificia Iovi Elicio facta invenisset, operatum his sacris se abdidisse; sed non rite initum aut curatum id sacrum esse, nec solum nullam ei oblatam caelestium speciem, sed ira Iovis sollicitati prava religione fulmine ictum cum domo conflagrasse; 1, 32, 2: Qui (Anco Marcio) ut regnare coepit, et avitae gloriae memor et quia proximum regnum, cetera egregium, ab una parte haud satis prosperum fuerat, aut neglectis religionibus aut prave cultis, longe antiquissimum ratus sacra publica ut ab Numa instituta erant facere, omnia ea ex commentariis regis pontificem in album elata proponere in publico iubet); di commentarii di Servio Tullio (Livio 1, 60, 4: Duo consules inde comitiis centuriatis a praefecto urbis ex commentariis Servii Tulli creati sunt).

Libri magistratum sono menzionati genericamente in Livio (4, 7, 10; 4, 20, 8; 39, 52, 4); più precise appaiono invece le citazioni dei libri censorii

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da parte di Gellio (Noct. Att. 2, 10, 1-2: Servius Sulpicius, iuris civilis auctor, vir bene litteratus, scripsit ad M. Varronem rogavitque, ut rescriberet, quid significaret verbum, quod in censoris libris scriptum esset. Id erat verbum “favisae Capitolinae”); e dei commentarii consulares da parte di Varrone (De ling. Lat. 6, 88: in commentariis consularibus scriptum sic inveni: «qui exercitum imperaturus erit, accenso dicit hoc: “Calpurni, voca inlicium omnes Quirites huc ad me”. Accensus dicit sic: “omnes Quirites, inlicium visite huc ad iudices”. “C. Calpurni”, cos. dicit, “voca ad conventionem omnes Quirites huc ad me”. Accensus dicit sic: “omnes Quirites, ite ad conventionem huc ad iudices”. Dein consul eloquitur ad exercitum: “impero qua convenit ad comitia centuriata”»).

 

[3] Un’affrettata discussione delle fonti si ritrova, invero, in quasi tutti gli studiosi di questo secolo, che in qualche modo si sono occupati della distinzione tra libri e commentarii sacerdotali: cfr., ad esempio. H. PETER, Historicorum Romanorum fragmenta, I, rist. Stuttgart 1967, pp. 4 ss.; N. TURCHI, La religione di Roma antica, Bologna 1939, pp. 39 s.; G. B. PIGHI, La religione romana, Torino 1967, pp. 41 ss.; ridiscute invece le fonti G. ROHDE, Die Kultsatzungen der römischen Pontifices, Berlin 1936, pp. 14 ss.

 

[4] Sugli articoli relativi a documenti e collegi sacerdotali, pubblicati nelle principali opere enciclopediche, vedi supra p. 77 nn. 75 ss.

 

[5] Gellio, Noct. Att. 13, 23, 1: Comprecationes deum immortalium, quae ritu Romano fiunt, expositae sunt in libris sacerdotum populi Romani et in plerisque antiquis orationibus; cfr. ibidem, 10, 15, 1; Dion. Alicar. 8, 56.

 

[6] Così in Festo, v. Malluvium, p. 152 L.: “Malluvium latum” in commentario sacrorum significat manus qui lavet; v. Nectere, p. 160 L.: Nectere ligare significat, et est apud plurumos auctores frequens: quin etiam in commentario sacrorum usurpatur hoc modo: “Pontifex minor ex stramentis napuras nectito”, id est funiculos facito, quibus sues adnectantur; v. Tauri verbenaeque, p. 494 L.: Tauri verbenaeque in commentario sacrorum significat ficta farinacea.

 

[7] Quali, ad esempio, libri sacri, in Serv., Georg. 1, 270; Aen. 2, 143; libri caeremoniarum, in Tacito, Ann. 3, 58; monumenta, in Cicerone, De domo 140.

 

[8] Le citazioni dei libri sibyllini ricorrono assai frequentemente nelle “Storie” di Livio: per l’esatto computo di esse, vedi ora D. W. PACKARD, A Concordance to Livy, Cambridge (Massachusetts) 1968, III, p. 85.

 

[9] Per maggiori approfondimenti bibliografici, rimando all’articolo di P. BOYANCÉ, Travaux récents sur Cicéron (1939-1958), in Association G. Budé. Actes du congrès de Lyon, Paris 1960, pp. 254 ss. (= Études sur l’humanisme cicéronien, Bruxelles 1970, pp. 36 ss.); ed a quello più recente di A. MICHEL, Cicéron et les grands courants de la philosophie antique: Problèmes généraux (1960-1970), in Lustrum. Internationale Forschungsberichte aus dem Bereich des klassischen Altertums 16, 1970-1971, pp. 80 ss. Cfr., inoltre, R. J. ROWLAND, A survey of selected Ciceronian bibliography (1965-1974), in The Classical World 71, 1978, pp. 289 ss.

 

[p. 117]

[10] Plutarco, Cic. 36; Cicerone, Brut. 1; Phil. 2, 4. Cfr. T. R. S. BROUGHTON, The Magistrates of the Roman Republic, II, New York 1952, p. 233, e da ultimo, J. LINDERSKI, The Aedileship of Favonius, Curio the Younger and Cicero’s Election to the Augurate, in Harvard Studies in Classical Philology 76, 1972, pp. 181 ss., special. 190 ss.

 

[11] Si vedano in tal senso le opere, ormai classiche, di A. GASQUY, Cicéron jurisconsulte, Paris 1887, e di E. COSTA, Cicerone giureconsulto, 2 voll., Bologna 1927 (rist. Roma 1964); ma anche i lavori più recenti di M. PALLASSE, Cicéron et les sources du droit, Paris 1946; V. ARANGIO-RUIZ, Cicerone giurista, in Marco Tullio Cicerone, scritti nel bimillenario della morte, Roma 1961, pp. 1 ss. (= Scritti di diritto romano, IV, Camerino 1977, pp. 259 ss.); D. NÖRR, Cicero Topika und die römische Rechtsquellenlehre, in Romanitas 9, 1970, pp. 419 ss.; F. HERNÁNDEZ-TEJERO, El pensamiento jurídico en Cicerón: de officiis (libro II), in Revista de la Facultad de Derecho de la Universidad de Madrid 15, 1971, pp. 7 ss.; risulta inoltre assai utile, seppure «con intenti limitati agli aspetti lessicali e nomenclatori», l’articolo di F. CANCELLI, Per l’interpretazione del De legibus di Cicerone, in Rivista di cultura classica e medioevale 15, 1973, pp. 185 ss. Sulla cultura giuridica di Cicerone vedi, ora, gli Atti del II Colloquium Tullianum (Roma 3-5 ottobre 1976): Cicerone e il diritto = Ciceroniana n. s. 3, 1979.

 

[12] La tesi che l’archivio degli auguri, come del resto gli altri archivi sacerdotali, non fosse accessibile agli estranei, è stata riproposta da F. CASSOLA, Livio, il tempio di Giove Feretrio e la inaccessibilità dei santuari in Roma, in Rivista storica italiana 82, 1970, p. 24: «Si ritiene che gli auguri non abbiano avuto una sede; è certo però che avevano un locale destinato ad archivio. In esso, probabilmente, erano custoditi i commentarii augurum, la cui conoscenza era rigorosamente vietata a chi non fosse membro del collegio».

 

[13] Basta ricordare i numerosi esempi di decreta e di responsa sacerdotali, che Cicerone riporta nelle sue opere: cfr. De div. 2, 73; De leg. 2, 31; De domo 39-40; In Vat. 20.

 

[14] La descrizione delle leggi religiose e delle funzioni sacerdotali, così come sono esposte in De leg. 2, 19-22, sembra essere desunta dagli schemi dei documenti ufficiali dei sacerdoti: cfr. in tal senso REGELL, De augurum publicorum libris, Vratislaviae 1878, pp. 24 n. 1 e 25 n.; ma vedi anche M. VAN DE BRUWAENE, Précision sur la loi religieuse du de legibus II 19-22 de Cicéron, in Helikon 1, 1961, pp. 40 ss., il quale ritiene sostanzialmente genuine le leggi religiose ivi riportate, supponendo però che «Cicéron rapporte un texte qui n’a pas fait partie des textes officiels et semble appartenir à des exercices d’école». Questo testo, databile tra il 100 e il 54 a.C., potrebbe essere attribuito al giurista P. Rutilio Rufo, di cui Cicerone fu uditore tra il 79 e il 77, o al suo allievo C. Aurelio Cotta: «Il n’est pas imprudent de chercher du côté de Rutilius ou de Cotta pour voir si ces juristes n’avaient pas élaboré un code réformé en s’inspirant de vieilles dispositions conservées dans les familles» (op. cit., p. 42).

 

[p. 118]

[15] In generale, sull’attendibilità di Cicerone come fonte storica, rimando al lavoro di M. RAMBAUD, Cicéron et l’histoire romaine, Paris 1953; cfr. inoltre i più recenti lavori di E. RAWSON, Cicero the Historian and Cicero the Antiquarian, in The Journal of Roman Studies 62, 1972, pp. 33 ss.; K. A. SINKOVICH, Cicero historicus, in Rivista di studi classici 22, 1974, pp. 164 ss.; B. SHIMRON, Ciceronian Historiography, in Latomus 33, 1974, pp. 232 ss. Per quanto riguarda poi il periodo monarchico di Roma e la rimeditazione storico-politica di esso nel pensiero ciceroniano, si vedano: J. KROYMANN, Die Stellung des Königtums in 1 Buch von Ciceros Staat, in Harvard Studies in Classical Philology 63, 1958, pp. 309 ss.; R. KLEIN, Königtum und Königzeit bei Cicero, Diss. Erlangen 1962; J. MICHELFAIT, Der König und sein Gegenbild in Ciceros Staat, in Philologus 108, 1964, pp. 266 ss.

In rapporto alle istituzioni religiose, rimane indispensabile la lettura di M. VAN DEN BRUWAENE, La théologie de Cicéron, Louvain 1937; tenendo però conto anche del recente lavoro di R. J. GOAR, Cicero and the State Religion, Amsterdam 1972. Sul tema, cfr. inoltre, P. DEFOURNY, Les fondaments de la religion d’après Cicéron, in Les études classiques 22, 1954, pp. 241 ss., 366 ss.; R. D. SWEENEY, Sacra in the Philosophic Works of Cicero, in Orpheus 12, 1965, pp. 99 ss.; U. HEIBGES, Religion and Rhetoric in Ciceros Speeches, in Latomus 28, 1969, pp. 833 ss.; J. GUILLÉN, Dios y los dioses en Cicerón, in Helmantica 25, 1974, pp. 511 ss.; J. KROYMANN, Cicero und die römische Religion, in Ciceroniana. Hommages à Kazimirz Kumaniecki, Leiden 1975, pp. 116 ss.; risulta utile anche l’articolo di E. RAWSON, The Interpretation of Cicero’s “De Legibus”, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt I, 4, Berlin-New York 1973, pp. 334 ss. (in part. pp. 342 ss.).

 

[16] Sul passo vedi: F. A. BRAUSE, Librorum de disciplina augurali ante Augusti mortem scriptorum reliquiae, Lipsiae 1875, p. 43: fragm. 31; P. PREIBISCH, Fragmenta librorum pontificiorum, Tilsit 1878, p. 14: fragm. 68; cfr. da ultimo S. MAZZARINO, Intorno ai rapporti fra l’annalistica e il diritto: problemi di esegesi e di critica testuale, in La critica del testo, II, Firenze 1971, p. 452.

Più in generale, sui problemi connessi al De re publica, si vedano, fra gli altri: N. WILSING, Aufbau und Quellen von Ciceros Schrift “de re publica”, Diss. Leipzig 1929; V. PÖSCHL, Römischer Staat und griechisches Staatsdenken bei Cicero. Untersuchungen zu Ciceros Schrifit De re publica, Berlin 1936 (rist. 1974); E. HECK, Die Bezeugung von Ciceros Schrift De re publica (Spudasmata, 4), Hildesheim 1966; F. HERNÁNDEZ-TEJERO, El pensamiento jurídico de Cicerón en De re publica, in Revista de la Facultad de Derecho de la Universidad de Madrid 10, 1966, pp. 345 ss.; W. RICHTER, Einige Rekonstruktions- und Quellenprobleme in Cicero de re publica, in Rivista di filologia e d’istruzione classica 97, 1969, pp. 55 ss., 273 ss. Per una bibliografia più completa è assai utile l’informatissimo lavoro di P. L. SCHMIDT, Cicero “De re publica”. Die Forschung der letzten fünf Dezennien, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt I, 4, cit., pp. 262 ss.

 

[17] «The word libris is understood, as often with annales»: A. S. PEASE, M. Tulli Ciceronis De natura deorum, I, Darmstadt 1968 (rist. della 1a ediz. 1955), p. 426; cfr. anche l’edizione curata da M. VAN DEN BRUWAENE,

[p. 119]

Cicéron, De natura Deorum. Livre premier (Coll. Latomus 107), Bruxelles 1970, p. 146: «dans nos livres pontificaux». Il ROHDE, Die Kultsatzungen der römischen Pontifices, cit., pp. 18-19, suggerisce l’ipotesi che in questo caso Cicerone abbia attinto alle Antiquitates rerum divinarum di Varrone: «Woher diese Vorstellung stammt, ist nicht zu sagen; doch darf nicht vergessen werden, dass zur Zeit, als Cicero seine philosophischen Schriften abfasste, Varros Antiquitates bereits an das Licht getreten waren, und dass Cicero dieses Werk kannte».

 

[18] Cfr. ROHDE, Die Kultsatzungen der römischen Pontifices, cit., pp. 17 s.

 

[19] Il ROHDE, Die Kultsatzungen der römischen Pontifices, cit., p. 18, nega che il termine libri indichi specificamente un particolare tipo di documento: «Hier sind ganz offenbar pontifikale Schriften, die im Zusammenhang mit den Zivilrecht standen, gemeint».

 

[20] BRAUSE, Librorum de disciplina augurali, cit., p. 45: fragm. 1; P. REGELL, Fragmenta auguralia, Hirschberg 1882, p. 21: fragm. 18.

Il MARQUARDT, Römische Staatsverwaltung, III, 2a ediz., Leipzig 1885, p. 400, trae da questo passo l’erronea conclusione che nell’archivio degli auguri si trovassero, oltre i libri augurum o augurales e i commentarii, anche i libri reconditi, dei quali però egli stesso non sa dare una definizione convincente. Su tali documenti, e sull’origine etrusca di essi, si veda infra n. 93.

 

[21] BRAUSE, Librorum de disciplina augurali, cit., p. 42: fragm. 28; REGELL, Fragmenta auguralia, cit., p. 20: fragm. 13. Cfr., da ultimo, F. SINI, A proposito del carattere religioso del “dictator” (Note metodologiche sui documenti sacerdotali), in Studia et documenta historiae et iuris 42, 1976, p. 420.

 

[22] Per il testo ho seguito quello stabilito da J. BAYET, nella edizione da lui curata per le Belles-Lettres: Cicéron, Corrispondence, V, Paris 1964. A proposito dei libri citati da Cicerone, il Bayet (p. 302), scrive: «Auguraux: les auspicia étant primordiaux à tout acte de la vie publique». Per quanto riguarda la gerarchia di potere fra le diverse magistrature, cfr. il fondamentale passo del De auspiciis dell’augure Messala, conservatoci da Aulo Gellio: Noct. Att. 13, 15, 4.

 

[23] Ho seguito il testo di A. S. PEASE, M. Tulli Ciceronis De divinatione libri duo, Darmstadt 1968 (rist. dell’edizione del 1920-1923), ivi commento a pp. 216 ss. Sottolinea l’importanza del passo per quanto riguarda la disciplina augurale, P. CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale, Torino 1960, p. 49.

 

[24] Dal contesto del passo non è chiaro, se in questo caso Cicerone intenda riferirsi a documenti ufficiali del collegio, o ad opere di diritto augurale, come in Ep. ad fam. 3, 4, 1.

 

[25] A. SCHWEGLER, Römische Geschichte, I, Tübigen 1853, p. 33, in conseguenza dello schema da lui adottato riguardo alla distinzione del contenuto dei libri da quello dei commentarii, riteneva che il passo in questione

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dovesse collocarsi in questi ultimi; al contrario, secondo il PREIBISCH, Quaestiones de libris pontificiis, Vratislaviae 1874, pp. 42 s., vi è una spiegazione assai convincente del fatto che nei libri si trattasse anche della provocatio: a suo avviso, Cicerone in questo caso riporterebbe il contenuto di un decreto pontificale (non va dimenticato che per il Preibisch la grande massa dell’archivio dei pontefici era costituita da decreta), che regolava, sulla base di un vetusto precedente, il compimento di solenni riti di espiazione per qualche gravissimo fatto di sangue. Anche il ROHDE, Die Kultsatzungen der römischen Pontifices, cit., pp. 15 s., sembra aderire alla tesi prospettata dal Preibisch. Da ultimo, insiste sul collegamento profondo tra provocatio ad populum e documenti pontificali, S. TONDO, Leges regiae e paricidas, Firenze 1973, pp. 25 ss.

Il rapporto tra provocatio e libri augurum è stato ben chiarito dal BRAUSE, Librorum de disciplina augurali, cit., pp. 43 s., il quale ritiene che «in libris auguralibus praeceptum infuisse verisimile est pertinens ad ea auguria quae in expiando aliquo facinore captari oportebat cf. Fest. 297. Fortasse etiam inter praecepta ad ius pomerii spectantia provocationis Horatianae mentio fieri poterat. Namque in pomerii ambitu verberari nemo debuisse videtur secundum legis vetustae quae in provocatione Horatiana usu veniebat formulam: “verberato vel intra pomerium vel extra pomerium”»; cfr., inoltre, CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale, cit., p. 555.

 

[26] Nega che il precetto possa attribuirsi ai libri, P. REGELL, De augurum publicorum libris, cit., pp. 34 s., il quale, peraltro, riguardo al materiale proveniente dall’archivio degli auguri, non accetta la distinzione tra libri e commentarii (si veda supra p. 49).

 

[27] PREIBISCH, Fragmenta librorum pontificiorum, cit., p. 9: fragm. 41.

 

[28] A torto J. V. LE CLERC, Des journaux chez les Romains, Paris 1837, p. 364, include il passo tra gli Annalium Maximorum fragmenta. Per quanto riguarda Tiberio Coruncanio concorda con la testimonianza di Cicerone anche quella del giurista Pomponio: D. 1, 2, 2, 35. 38.

 

[29] Sul passo, vedi BRAUSE, Librorum de disciplina augurali, cit., p. 44: fragm. 1 (cfr. ibidem, p. 38); REGELL, Fragmenta auguralia, cit., p. 21: fragm. 17; cfr. In Vat. 20; Phil. 5, 7; De nat. deor. 2, 65. Per quanto riguarda la dottrina, si vedano: REGELL, De augurum publicorum libris, cit., pp. 40 s.; G. WISSOWA, Augures, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 2, 2, Stuttgart 1896, col. 2335; Religion und Kultus der Römer, 2a ediz., München 1912, p. 533 n. 1; PEASE, M. Tulli Ciceronis De divinatione, cit., pp. 424 s.

 

[30] Lo stesso Cicerone ci dà notizia di riunioni del collegio degli auguri commentandi causa: De div. 1, 90; De am. 7; cfr. P. REGELL, De augurum publicorum libris, cit., p. 24.

 

[31] In questo responso dei pontefici S. TONDO, Leges regiae, cit., pp. 43-44, ritiene di vedere il punto terminale del complesso sviluppo del

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regime della dedicatio: si sarebbe passati, cioè, secondo il Tondo, da una primitiva situazione in cui la competenza alla dedicatio veniva considerata dal collegio pontificale «come emanazione esclusiva della potestà consolare» (ai consules «peraltro erano equiparati dictator e praetor»), ad una più avanzata, in cui si considerava «ormai acquisita, anche agli occhi dei pontefici», la possibilità di estendere ad altri magistrati tale competenza.

 

[32] Le fonti sul cursus honorum di Tiberio Coruncanio sono in T. R. S. BROUGHTON, The Magistrates of the Roman Republic, II, cit., pp. 190 s., 210, 216, 218; i legami politici del pontefice massimo plebeo sono invece esaminati da F. CASSOLA, I gruppi politici romani nel III secolo a.C., Trieste 1962, pp. 136, 159 ss.; per una visione d’insieme, vedi KUNKEL, Herkunft und soziale Stellung der römischen Juristen, Weimar 1952, pp. 7 s.; testi in F. P. BREMER, Iurisprudentiae antehadrianae, I, Lipsiae 1896, p. 8.

Il carattere innovatore dell’opera di Tiberio Coruncanio era già stato sostenuto, tra gli altri, da P. JÖRS, Römische Rechtswissenschaft zur Zeit der Republik, I, Berlin 1888, pp. 73 ss., e da A. BERGER, Iurisprudentia, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 10, 1, Stuttgart 1917, col. 1161; ora, vedi anche G. NOCERA, “Iurisprudentia”. Per una storia del pensiero giuridico romano, Roma 1973, p. 84; C. A. CANNATA, Lineamenti di storia della giurisprudenza europea. I. La giurisprudenza romana e il passaggio dall’antichità al medioevo, 2a ediz., Torino 1976, p. 32. Al contrario F. SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana, trad. ital., Firenze 1968, pp. 27, 44, ritenne le testimonianze di Pomponio frutto di una tarda tradizione: «La notizia – si legge a p. 27 – perde così ogni valore: anche prima di Coruncanio i pontefici, all’occasione, debbono aver dato responsa in pubblico. Quanto poco Coruncanio segni una rottura può essere desunto dal fatto che non conosciamo nessun suo allievo importante».

Ma l’opinione dello Schulz viene solitamente rifiutata dalla dottrina: così P. FREZZA, Corso di storia del diritto romano, 3a ediz., Roma 1974, pp. 368 s.; A. GUARINO, Storia del diritto romano, 5a ediz., Napoli 1975, pp. 239, 308. Una recentissima messa a punto di tutta questa problematica si trova nell’articolo di F. D’IPPOLITO, Sul pontificato massimo di Tiberio Coruncanio, in Labeo 23, 1977, pp. 131 ss.; cfr. ID., I giuristi e la città. Ricerche sulla giurisprudenza romana della repubblica, Napoli 1978, pp. 27 ss.

 

[33] Tale è anche l’opinione di F. D’IPPOLITO, Sul pontificato massimo di Tiberio Coruncanio, cit., p. 139, il quale ritiene possibile «che Cicerone abbia potuto leggere i commentari dei pontefici e farsi un’idea dell’eloquenza e dell’impegno del giurista».

 

[34] Ci si riferisce qui a frammenti di Varrone conservati in opere di altri autori: cfr., ad esempio, Nonio pp. 853; 559, ed. Lindsay; Festo, v. opima spolia, p. 204 L.; Macrobio, Sat. 1, 16, 19. Per i passi delle opere superstiti di Varrone, vedi supra nel testo. Mette conto precisare che alcuni, in quanto non contengono i termini libri o commentarii, sono rimasti fuori dalla trattazione: particolarmente significativa è, ad esempio, la formula augurale in De ling. Lat. 7, 8 (ed. Goetz-Schoell): in terris dictum templum locus augurii aut auspicii causa quibusdam conceptis verbis finitus. Concipitur verbis non isdem usque quaque; in arce sic: “[i] tem<pla> tescaque †

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me ita sunto quoad ego † eas te lingua[m] nuncupavero. Ullaber arbos quirquir est, quam me sentio dixisse, templum tescumque[m] + festo in sinistrum. Ollaner arbos quirquir est, quod me sentio dixisse te<m>plum tescumque[m] + festo dextrum. Inter ea conregione conspicione cortumione utique ea erectissime sensi”. La ricostruzione di questa formula augurale è stata oggetto di numerosi studi: E. NORDEN, Aus altrömischen Priesterbüchern, Lund-Leipzig 1939, pp. 3 ss.; G. B. PIGHI, La poesia religiosa romana, Bologna 1958, p. 86; e da ultimo E. PERUZZI, La formula augurale di Varrone l. l. VII 8, in Atti del Congresso internazionale di studi varroniani (Rieti settembre 1974), Rieti 1976, II, pp. 449 ss., per il quale non sembrano sussistere dubbi sul fatto che in questo caso «il Reatino riporta letteralmente i concepta verba per la delimitazione del templum così come erano scritti nei commentarii augurales»: op. cit., p. 456.

 

[35] Si veda in tal senso, BROUGHTON, The Magistrates of the Roman Republic, II, cit., p. 625. Sembra invece ritenere possibile che Varrone sia stato membro del collegio dei quindecimviri sacris faciundis C. CICHORIUS, Römische Studien, Leipzig 1922, p. 199: «Es ist schon vielfach hervorgehoben worden, dass in das collegium der quindecemviri, dessen amtliches Wirken sich vorwiegend auf Griechisches erstreckte, vor allem Persönlichkeiten mit geistigen und wissenschaftlichen Interessen gewählt worden sind. Es würde nun im höchsten Grade befremden müssen, wenn der hervorragendste Kenner des römischen Sakralwesens, Varro, der Verfasser des Hauptwerkes auf dem Gebiete der römischen Religion und des römischen Kultus, der antiquitates divinae, der zudem eine so angesehene Stellung eingenommen und so nahe Beziehungen zu den einflussreichsten Staatsmännern seiner Zeit gehabt hat, nicht einem der grossen Priesterkollegien angehört haben sollte. Es ist mir deshalb von jeher als sehr wahrscheinlich erschienen, dass Varro quindecemvir sacrorum gewesen ist. Gerade dieses Priestertum musste seinen Interessen in ganz hervorragendem Masse entsprechen und gerade für die quindecemiviri musste die Mitarbeit eines Sachkenners wie Varro von allergrösstem Werte sein».

 

[36] Dell’opera varroniana vi è ora la recente ricostruzione critica curata da B. CARDAUNS, M. Terentius Varro Antiquitates rerum divinarum, 2 Teil (I. Die Fragmente; II. Kommentar), Wiesbaden 1976, che raccoglie in modo pressoché completo i frammenti dei sedici libri. Tuttavia, anche perché il Cardauns adotta nella raccolta dei frammenti un criterio piuttosto restrittivo, risulta ancora utile la consultazione del lavoro di R. AGAHD, M. Terenti Varronis Antiquitates rerum divinarum. Libri I XIV XV XVI. Praemissae sunt quaestiones varronianae, in Jahrbücher für classische Philologie, Supplementband 24, (Leipzig) 1898, pp. 1-220; e della raccolta curata da A. G. CONDEMI, M. Terenti Varronis Antiquitates rerum divinarum. Librorum I-II fragmenta, Bologna 1965 (per una breve valutazione critica di questa raccolta, vedi rec. di J. C. RICHARD, in Revue des études latines 45, 1967, pp. 546 s.).

 

[37] Già Cicerone, Acad. post. 9, scriveva: Nam nos in nostra urbe peregrinantis errantisque tamquam hospites tui libri quasi domum reduxerunt, ut possemus

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aliquando qui et ubi essemus agnoscere. Tu aetatem patriae, tu discriptiones temporum, tu sacrorum iura, tu sacerdotum, tu domesticam, tu bellicam disciplinam, tu sedem regionum, locorum, tu omnium divinarum humanarumque rerum nomina, genera, officia, causas apersuisti; per altre testimonianze di scrittori antichi, si v. CARDAUNS, Antiquitates rerum divinarum, cit., I, p. 13.

Su Varrone giurista e antiquario si vedano i recenti lavori di A. CENDERELLI, Varroniana. Istituti e terminologia giuridica nelle opere di M. Terenzio Varrone, Milano 1973 (ma sull’impostazione del Cenderelli vedi i giusti rilievi critici di L. LABRUNA, Varrone Giureconsulto? [Materiali per un seminario romanistico 1], Camerino 1974-1975) e di R. GELSOMINO, Varrone e i sette colli di Roma, Roma 1975. Nuovi ed interessanti contributi alle questioni varroniane in Atti del Congresso internazionale di studi varroniani, 2 voll., Rieti 1976 (ivi relazioni di B. RIPOSATI, A. GARZETTI, F. DELLA CORTE, P. BOYANCÉ, H. DAHLMANN, A. TRAGLIA, V. PISANI, J. H. WASZINK, J. IJSEWIJN, E. PARATORE). Per una messa a punto complessiva della bibliografia, vedi da ultimo B. RIPOSATI - A. MARASTONI, Bibliografia varroniana, Milano 1974.

 

[38] Della dedicatio ad Caesarem delle Antiquitates rerum divinarum di Varrone ci danno notizia Lattanzio, Inst. div. 1, 6, 7; e Agostino, De civ. dei 7, 35: i passi sono raccolti in CARDAUNS, Antiquitates rerum divinarum, cit., I, p. 14.

 

[39] La possibilità che Varrone ed altri abbiano avuto accesso, grazie a Cesare, agli archivi pontificali, è sostenuta da F. SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana, cit., pp. 79-80: «Ma nella seconda metà del primo secolo anche i laici cominciarono ad occuparsi di diritto sacro: per esempio, i giureconsulti Servio Sulpicio e C. Trebazio, M. Terenzio Varrone, l’eminente antiquario, e un altrimenti ignoto Granio Flacco. Questi uomini trovarono a portata di mano ampi materiali nelle opere già pubblicate sul diritto sacro; inoltre, tutti e quattro, appartenevano al circolo di Giulio Cesare, e questi, come pontifex maximus, era naturalmente in grado di aprire loro gli archivi pontificali».

Più in generale, sui rapporti tra Cesare e Varrone, vedi F. DELLA CORTE, Varrone, il terzo gran lume romano, Firenze 1970, pp. 117 ss.; N. HORSFALL, Varro and Caesar: three chronological problems, in Bulletin of the Institute of Classical Studies of the University of London 19, 1972, pp. 120 ss.

 

[40] Il sistema della teologia varroniana, theologia tripertita, conosciuto attraverso testimonianze di autori posteriori all’antiquario reatino, ma soprattutto attraverso l’esposizione di Sant’Agostino in ampi passi del De civitate dei (sul rapporto Sant’Agostino-Varrone, vedi da ultimo G. BARRA, La figura e l’opera di Terenzio Varrone Reatino nel De civitate dei di Agostino, Napoli 1969; i passi sono raccolti in AGAHD, Antiquitates rerum divinarum. Libri I XIV XV XVI, cit., pp. 142 ss.; CONDEMI, Antiquitates rerum divinarum. Librorum I-II fragmenta, cit., pp. 14 ss.; CARDAUNS, Antiquitates rerum divinarum, I, cit., pp. 18 ss.), è stato oggetto in passato di numerosi studi ed oggi gode di un rinnovato interesse degli studiosi. Sarebbe invero assai dispersivo citare in questa nota tutti i lavori in proposito: per maggiori

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approfondimenti si veda l’articolo, davvero esauriente, di G. LIEBERG, Die “Theologia tripertita” in Forschung und Bezeugung, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, I, 4, cit., pp. 63 ss. (a pp. 107 ss. sono raccolte le fonti fondamentali per la conoscenza della theologia tripertita), in cui sono discussi i contributi anteriori al 1970. Successivamente a tale data, mette conto citare P. BOYANCÉ, Étymologie et théologie chez Varron, in Revue des études latines 53, 1975, pp. 99 ss.; ID., Les implications philosophiques des recherches de Varron sur la religion romaine, in Atti del Congresso internazionale di studi varroniani, cit., I, pp. 137 ss.; H. DAHLMANN, Zu Varros antiquarisch-historichen Werken, besonders den Antiquitates rerum humanarum et divinarum, ibidem, pp. 163 ss.; J. PÉPIN, Remarques sur les sources de la theologia tripertita de Varron, in Varron. Grammaire antique et stylistique latine (Recueil offert à J. Collart), Paris 1978, pp. 127 ss.; ed infine G. LIEBERG, Die theologia tripertita als Formprinzip antiken Denkens, in Rheinisches Museum für Philologie 125, 1982, pp. 25 ss.

 

[41] Il legame tra l’elaborazione teologica di Varrone e la teologia ufficiale dei sacerdoti romani, quando non sia espressamente negato (come da F. DELLA CORTE, Varrone, il terzo gran lume romano, cit., p. 98: «L’ordine non era senza una ragione: anziché far provenire gli uomini dagli dei, l’antiquario sapeva che gli uomini e non gli dei avevano istituito i culti divini; e come il pittore preesisteva alla pittura, l’architetto all’edificio, così le città preesistevano alle loro istituzioni, e fra le istituzioni v’era anche il culto degli dei. Se egli fosse stato un teologo, come certa critica ha voluto raffigurarcelo, avrebbe trattato prima degli dei e poi degli uomini. Ma il suo illuminismo e il suo gusto antiquario lo salvarono dal pericolo di uno sconfinamento teologico, gli impedirono di affrontare quel problema sull’essenza degli dei, che invece alletterà, un decennio dopo, Cicerone»), è comunque quasi sempre trascurato dagli studiosi, assai più propensi a riflettere sul carattere filosofico dell’elaborazione varroniana: così, ad esempio, P. BOYANCÉ, Sur la théologie de Varron, in Revue des études anciennes 57, 1955, pp. 57 ss. (= Études sur la religion romaine, Rome 1972, pp. 253 ss.); ID., Les implications philosophiques des recherches de Varron sur la religion romaine, in Atti del Congresso internazionale di studi varroniani, cit., pp. 137 ss.; J. PÉPIN, La théologie tripartite de Varron. Essai de reconstitution et recherche de sources, in Revue des études augustiniennes 2, 1956, pp. 265 ss. Né sembrano convincenti, d’altra parte, quei tentativi di utilizzare la quadripartizione varroniana (peraltro di derivazione pitagorica) per sistemare i frammenti dei libri pontificum: è il caso della raccolta curata da P. PREIBISCH, Fragmenta librorum pontificiorum, cit. supra in n. 16. Che in taluni casi Varrone abbia utilizzato classificazioni molto arcaiche, forse di provenienza pontificale, è stato dimostrato da L. GERSCHEL, Varron logicien, in Latomus 17, 1958, pp. 65 ss.

Sulla necessità di confrontare la famosa quadripartizione varroniana con i dati provenienti dai documenti sacerdotali, ha posto da ultimo l’accento P. CATALANO, Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano. Mundus, templum, urbs, ager, Latium, Italia, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, II, 16. 1, Berlin-New York 1978, p. 448 n.

Ben maggiore fra gli studiosi è invece la fortuna di Varrone “grammatico”:

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vedi, fra gli altri, H. DAHLMANN, Varro und die hellenistische Sprachtheorie, Kiel 1932 (rist. anast. 1964); J. COLLART, Varron grammairien latin, Paris 1954; R. SCHRÖTER, Studien zur varronischen Etymologie I, Wiesbaden 1960; infine, A. TRAGLIA, L’ars grammatica vista da Varrone in rapporto alle altre arti, in Atti del Congresso internazionale di studi varroniani, cit., I, pp. 177 ss.; V. PISANI, «Non solum ad Aristophanis lucernam, sed etiam Cleanthis»: la teoria grammaticale e quella filologica nell’etimologia di Varrone, in Atti, cit., I, pp. 197 ss.

 

[42] Esistono altri due passi di Varrone in cui si citano i libri: nel primo, in Festo, v. Opima spolia, p. 204 L. (per il testo, vedi supra p. 98), si menzionano quelli dei pontefici; nel secondo, riportato in Macrobio, Sat. 1, 16, 19 (supra p. 109), si tratta invece di quelli degli auguri.

 

[43] Del De lingua Latina vi è ora in italiano la notevole traduzione di A. TRAGLIA, Opere di Marco Terenzio Varrone, Torino 1974: cfr. la recensione di B. RIPOSATI, in Athenaeum 64, 1976, pp. 531 ss. Quanto alla lettura dei testi riportati, ho preferito seguire l’edizione teubneriana, curata da G. GOETZ e F. SCHOELL, M. Terenti Varronis De lingua Latina quae supersunt, Lipsiae 1910; per i passi del V libro, ho tenuto conto anche dell’ottimo lavoro di J. COLLART, Varron De lingua latina livre V, Paris 1954.

 

[44] PREIBISCH, Fragmenta librorum pontificiorum, cit., p. 18: fragm. 110.

 

[45] BRAUSE, Librorum de disciplina augurali, cit., pp. 18 ss.: fragm. 5; REGELL, Fragmenta auguralia, cit., p. 16: fragm. 9; CARDAUNS, Antiquitates rerum divinarum, cit., I, p. 113 (Appendix ad lib. XVI, a); II, p. 238.

 

[46] BRAUSE, Librorum de disciplina augurali, cit., p. 37: fragm. 21; REGELL, Fragmenta auguralia, cit., p. 16: fragm. 7; GIRARD, Textes de droit romain, 2a ediz., Paris 1895, p. 11; CENDERELLI, Varroniana, cit., p. 56: fragm. 239.

 

[47] BRAUSE, Librorum de disciplina augurali, cit., p. 37: fragm. 22; REGELL, Fragmenta auguralia, cit., p. 16: fragm. 6; CARDAUNS, Antiquitates rerum divinarum, cit., I, p. 41 (Appendix ad lib. III, g); II, p. 164.

 

[48] CENDERELLI, Varroniana, cit., p. 42: fragm. 123; CARDAUNS, Antiquitates rerum divinarum, cit., I, p. 54 (Appendix ad lib. VIII); II, p. 176. Cfr., anche, W. MOREL, Fragmenta poetarum latinorum epicorum et liricorum praeter Ennium et Luculium, 2a ediz., 1927 (rist. Stutgardiae 1963), p. 5: carmen saliare fragm. 20.

 

[49] Non mi pare da condividere l’osservazione del ROHDE, Die Kultsatzungen der römischen Pontifices, cit., p. 20, il quale, a proposito del passo citato, così scrive: «Hier gibt Varro nicht eine Einzelheit, sondern eine allgemeine Feststellung auf Grund seiner Kenntnis der pontifikalen Ritualanweisungen. Das videmus vor allem lässt auf wirkliche Kenntnis der Urkunden schliessen. Die Stelle ist nun freilich schon wegen der Nennung des Accius

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nicht ganz klar; man kann im Zweifel darüber sein, was denn nun eigentlich aus den Pontifikalbüchern zu sehen war».

 

[50] Per fonti e bibliografia sul carmen saliare, vedi supra, cap. I n. 9.

 

[51] Già il REGELL, De augurum publicorum libris, cit., pp. 7 ss., riteneva che «iam regum temporibus fuisse quaedam auguralia monumenta» (p. 13), e comunque aveva dimostrato che al tempo delle dodici tavole tutti i princìpi fondamentali della disciplina augurale erano sicuramente contenuti nei libri; cfr. anche WISSOWA, Augures, cit., coll. 2323 s.

Anche fra gli studiosi più recenti non vi sono dubbi sull’antichità della disciplina augurale: si v. in tal senso, per tutti, P. DE FRANCISCI, Primordia civitatis, Roma 1959, pp. 477 ss.; P. CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale, cit., pp. 107 ss.; G. DUMÉZIL, La religion romaine archaïque, 2a ediz., Paris 1974, pp. 98 ss., 584 ss. (cfr. trad. ital. La religione romana arcaica, Milano 1977, pp. 87 ss., 507 ss.); Idées romaines, Paris 1969, pp. 80 ss.

 

[52] I commentarii consulares sono citati da Varrone in De ling. Lat. 6, 88: testo riportato supra in n. 2.

 

[53] Sui problemi relativi alla biografia ed alla molteplice produzione di Verrio Flacco vedi, per tutti, M. SCHANZ - C. HOSIUS, Geschichte der römischen Literatur, II, 4a ediz., München 1935 (rist. anast. 1959), pp. 361 ss. (ivi ampiamente citata la letteratura precedente); A. DIHLE, Verrius, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 8 A 2, Stuttgart 1958, coll. 1636 ss.; le citazioni del testo si riferiscono all’edizione curata da W. M. LINDSAY, Sexti Pompei Festi De verborum significatu quae supersunt cum Pauli epitome, Leipzig 1913 (rist. Hildesheim 1965).

 

[54] Intorno al metodo di composizione delle glosse verriane ed alle probabili fonti di esse, sono veramente fondamentali gli studi di R. REITZENSTEIN, Verrianische Forschungen, Breslau 1887, e di L. STRZELECKI, Quaestiones Verrianae, Warszawa 1932; resta per molti versi ancora valida la prefazione di C. O. MÜLLER, Sexti Pompei Festi De verborum significatione quae supersunt cum Pauli epitome, Lipsiae 1839.

Questi temi sono stati recentemente riaffrontati, con penetrante intuizione, in un lavoro significativo di F. BONA, Contributo allo studio della composizione del «De verborum significatu» di Verrio Flacco, Milano 1964.

 

[55] R. HELM, Pompeius Festus, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 21, 2, Stuttgart 1952, coll. 2316 ss.

 

[56] Invero nell’opera di Festo troviamo usato più volte il termine commentarii (o anche commentarius-um) con riferimento a documenti di provenienza sacerdotale, senza che però sia possibile precisare con sicurezza il collegio a cui appartengono: vedi supra i passi citati alla n. 6. Il ROHDE, Die Kultsatzungen der römischen Pontifices, cit., p. 25, suppone che si tratti di documenti appartenenti al collegio dei pontefici e che tali documenti, in alcuni casi, possano essere stati direttamente consultati da Verrio Flacco:

[p. 127]

«Diese Tatsache - scrive lo studioso tedesco - allein genügt aber nicht zum Erweis, dass Verrius Flaccus die aus commentarii sacrorum zitierten Worte Schriftstellern entnommen habe; vielmehr spricht nichts dagegen, dass er die zitierten sakralen Urkunden selbst gesehen hat. Wir dürfen annehmen, dass Verrius Flaccus viel öfter, als uns der dürftige Auszug des Paulus ahnen lässt, sakrale Urkunden anführte».

 

[57] PREIBISCH, Fragmenta librorum pontificiorum, cit., p. 14: fragm. 66 A; GIRARD, Textes de droit romain, cit., p. 7: fragm. 4; S. RICCOBONO, Fontes iuris romani antejustiniani, I, 2a ediz., Florentiae 1968, p. 10: fragm. 2. Cfr. ROHDE, Die Kultsatzungen der römischen Pontifices, cit., pp. 20 ss.

 

[58] PREIBISCH, Fragmenta librorum pontificiorum, cit., p. 15: fragm. 74. Il passo è corrotto e la ricostruzione appare molto problematica: il Preibisch, accettando le integrazioni di Orsini e Scaligero accolte nell’ediz. del Müller, propone la seguente lettura: Sancta loca (undique saepta doce)nt pontifici libri, in quibus (scriptum est: templum)que sedemque tescumque (sive deo sive dea) dedicaverit, ubi ac(cipiat volentes) propitiosque; ma vedi, anche, la recente interpretazione di P.- Y. CHANUT, Les «tesca» du Capitole, in Revue de philologie, de litterature et d’histoire anciennes 54, 1980, pp. 295 ss. (in part. 300 s.). Per quanto riguarda la fonte di questo passo, ne attribuisce la paternità ad Elio Stilone, sostituendo la lettura comunemente accettata <Tesca Verrius ai>t con <Tesca Aelius> ait, H. FUNAIOLI, Grammaticae Romanae fragmenta, I, Lipsiae 1907, p. 76: fragm. 75, con la seguente argomentazione: «Verrius certe qui vulgo suppletur reieci debet, quippe qui semper ultimus a Festo afferatur». Su questo problema, e più in generale sulle glosse derivate da questo grammatico, cfr. F. BONA, Contributo allo studio della composizione del «De verborum significatu», cit., pp. 142 ss., in part. 147 n.

 

[59] BRAUSE, Librorum de disciplina augurali, cit., p. 43: fragm. 30; REGELL, Fragmenta auguralia, cit., p. 15: fragm. 5; BREMER, Iurisprudentiae antehadrianae, cit., II, 1, p. 5: fragm. 3.

 

[60] BRAUSE, Librorum de disciplina augurali, cit., p. 25: fragm. 12; REGELL, Fragmenta auguralia, cit., p. 16: fragm. 8. Cfr. Carisio, Art. grammat. 2, 285, 10 B: Sarcte pro integre. Sarcire enim est integrum facere. Hinc “sarta tecta uti sint” opera publica pubuce locatur, et ut Porphyrio ex Verrio et Festo “in auguralibus ‘inquit’ libris ita est, sane sarcteque”.

 

[61] F. A. BRAUSE, Librorum de disciplina augurali, cit., p. 44: fragm. 2, accetta la ricostruzione del passo proposta dall’Orsini (accolta anche dal MÜLLER, Sexti Pompei Festi de verborum significatione, cit., p. 317 b): «sanqualis avis a(ppellatur quae in com)mentariis augura(libus ossifra)ga dicitur quia in (Sangi dei) tutela est»; individuando anzi in esso un’ulteriore riprova della distinzione tra libri e commentarii augurali: «Etiam hac fragmento – scrive il B., loc. cit. – discrimen quod intercedit inter libros et commentarios valde confirmatur. Nam “sanqualis” appellatio quin in libris auguralibus fuerit ex eis testimoniis quae in altera particula huius libelli erunt proferenda

[p. 128]

(imprimis ex Appii libris apud Festum 197 s. v. oscines) dubium esse non potest. Commentarii autem eius scilicet temporibus compositi quibus quae ea avis esset non amplius accurate sciretur sanqualem avem eandem esse atque ossifragam interpretati sunt».

Tale ricostruzione è invece rifiutata, coerentemente con la posizione che non distingue tra libri e commentarii, da P. REGELL, De augurum publicorum libris, cit., pp. 39 s., il quale propone la seguente lettura: Sanqualis avis a(ppellatur in com)mentaris augura(libus quae ossifra)ga dicitur, quia in (Sangi dei) tutela est; cfr. inoltre: Fragmenta auguralia, cit., p. 13: fragm. 1; Commentarii in librorum auguralium fragmenta specimen, Hirschberg 1893, p. 14: fragm. 1.

 

[62] L’esatta determinazione del rituale legato all’offerta di spolia opima appare tuttora problematica. La stessa nozione di spolia opima si presenta controversa anche nelle testimonianze degli scrittori antichi, i quali conoscevano due versioni di essa. La prima definisce opima solo quegli spolia quae dux populi Romani duci hostium detraxit, ritiene che in ogni caso si dovessero offrire a Iuppiter Feretrius e tende a sottolineare l’eccezionalità della circostanza: Livio 4, 20, 5-6: Omnes ante me autores secutus A. Cornelium Cossum tribunum militum secunda spolia opima Iovis Feretrii templo intulisse exposui; ceterum, praeterquam quod ea rite opima spolia habentur, quae dux duci detraxit, nec ducem novimus, nisi cuius auspicio bellum geritur, titulus ipse spoliis incriptus illos meque arguit consulem ea Cossum cepisse; Festo, p. 202 L.: Opima spolia dicuntur originem quidem trahentia ab Ope Saturni uxore; quod ipse agrorum cultor habetur, nominatus a satu, tenensque falcem effingitur, quae est insigne agricolae. Itaque illa quoque cognominatur Consiva, et esse existimatur terra. Ideoque in Regia colitur a populo Romano quia omnes opes humano generi terra tribuat; ergo et opulenti dicuntur terrestribus rebus copiosi; et hostiae opimae praecipue pingues; et opima magnifica et ampla. Unde spolia quoque, quae dux populi Romani duci hostium detraxit; quorum tanta raritas est, ut intra annos paulo .......... trina contigerint nomini Romano: una, quae Romulus de Acrone; altera, quae (consul) Cossus Cornelius de Tolumnio; tertia, quae M. Marcellus <Iovi Feretrio de> Viridomaro fixerunt.

Stando alla seconda versione, che si fonda su una citazione di Varrone (Festo, loc. cit., testo supra p. 100), gli spolia opima esisterebbero ogni qualvolta soccomba nella battaglia un comandante supremo dell’esercito nemico, anche se ad ucciderlo non sia stato il comandante romano medesimo. In questo caso si parla ugualmente di spolia prima, secunda e tertia, però la classificazione appare fondata, non tanto sul dato temporale, ma su precise esigenze rituali, corrispondenti alla triade arcaica delle divinità romane: cfr. DUMÉZIL, La religion romaine archaïque, cit., pp. 178 ss. (cfr. trad. ital., cit., pp. 158 ss.); ma contra A. PARIENTE, “Opimus” y la llamada “lex de spoliis opimis”, in Emerita 42, 1974, pp. 233 ss., il quale propone una discutibile ricostruzione della lex, il cui titolo a suo avviso doveva essere: Quomodo spolia darier oporteat: vedi part. 251 ss., 259. Di questa tripartizione rituale K. LATTE, Römische Religionsgeschichte, cit., pp. 204-205, dà una interpretazione che in parte si discosta dal lato testuale: «So wird - scrive lo studioso tedesco - die Weihung der Waffen eines erschlagenen feindlichen Führers an Iuppiter Feretrius an die Bedingung geknüpft, dass der Römer, der ihn getötet hat,

[p. 129]

ein selbständiges Kommando mit eigenen Auspizien geführt hat. Dementsprechend werden secunda und tertia spolia unterschieden, je nachdem die Tat von dem Führer einer römischen Abteilung ohne selbständiges Kommando oder von einem gewöhnlichen Soldaten vollbracht ist. Dann dürfen sie nicht Iuppiter Feretrius geweiht werden, sondern im ersten Fall dem Mars, in zweiten dem Ianus Quirinus»; ritenendo che la regolamentazione di questo complesso cerimoniale evidenzi «der Einfluss der Pontifices bei der Systematisierung der römischen Religion». Anche il TONDO, Leges regiae, cit., pp. 24 s., fa risalire ad ambienti pontificali «l’associazione di Ianus a Quirinus», realizzata attraverso l’attrazione del primo nell’orbita del secondo, come testimonia l’offerta dell’agnus mas, mentre si sa che l’animale sacro a Giano era l’aries; questo adeguamento sarebbe avvenuto in età assai antica, e ciò, secondo il Tondo, sarebbe confermato dall’arcaicità della forma Ianui.

Che l’espressione Ianus Quirinus sia assai risalente è sostenuto anche da R. SCHILLING, Ianus. Le dieu introducteur. Le dieu des passages, in Mélanges de l’École française de Rome 72, 1960, p. 116 (= ID., Rites, cultes, dieux de Rome, Paris 1979, p. 247); C. KOCH, Quirinus, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 24, 1, Stuttgart 1963, coll. 1314 s. Tuttavia una parte considerevole della dottrina si orienta nel senso di ritenere l’epiteto Quirinus di origine augustea: più precisamente, legato alla politica religiosa di Ottaviano ed al particolare interesse che questo aveva per il culto di Quirino. Vedi, in tal senso, J. POUCET, Recherches sur la légende sabine des origines de Rome, Kinshasa 1967, pp. 37 ss., (ivi bibliografia) il quale, muovendo dalla constatazione che «les autres passages traitant des spolia opima mentionnent toujours comme destinataires divins Juppiter, Mars et Quirinus» (cfr. Servio, Aen. 6, 859; Plutarco, Marc. 8, 5; per una visione d’insieme delle fonti, si v. F. LAMMERT, Spolia opima, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 3 A, 2, Stuttgart 1929, coll. 1845 s.) afferma che molto probabilmente «sous la plume de Verrius Flaccus recopiant la loi “de Numa”, Ianus Quirinus a dû se substituter à Quirinus»: op. cit., p. 40. Concorda sostanzialmente col Poucet anche G. CAPDEVILLE, Les épithètes cultuelles de Janus, in Mélanges de l’École française de Rome 85, 2, 1973, p. 420, n. 2; ugualmente contrario alla arcaicità del testo della lex sugli spolia opima è il recente lavoro di R. M. RAMPELBERG, Les dépouilles opimes à Rome, des débuts de la République à Octave, in Revue historique de droit français et étranger 56, 1978, pp. 191 ss.

 

[63] Che le opere di Varrone abbiano costituito una fonte importante per Verrio Flacco è sostenuto, fra gli altri, da F. BONA, Contributo allo studio della composizione del «de verborum significatu» di Verrio Flacco, cit., pp. 35 ss.

 

[64] Bibliografia sulle leges regiae: vedi supra, cap. I, n. 23.

 

[65] L’importanza della questione è stata di recente sottolineata da S. TONDO, Leges regiae e paricidas, cit., pp. 24 s., del quale si veda anche il commento alla lex sugli spolia opima. Per quanto riguarda questa lex Numae, non va dimenticato che da più parti è stato messo in dubbio il suo carattere di lex regia: si orienta ad esempio in tal senso, fra gli altri, J. CARCOPINO, Les prétendues lois royales, in Mélanges de l’École française de Rome 54, 1937,

[p. 130]

pp. 344 ss. Ma contro questa impostazione si vedano le argomentazioni, assai convincenti, di G. Ch. PICARD, Les trophées romains, Paris 1957, p. 131, alle quali si riferisce anche G. DUMÉZIL, La religion romaine archaïque, loc. cit. in n. 62.

 

[66] Di Veranio Flacco (o Q. Veranio), antiquario e giurista di diritto sacro dell’età augustea, si sa che scrisse anche un’opera sugli auspici, intitolata probabilmente Auspicorum libri: così SCHANZ-HOSIUS, Geschichte der römischen Literatur, I, cit., p. 600. In generale vedi E. A. GORDON, Veranius, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 8 A, 1, Stuttgart 1955, col. 937. I frammenti sono raccolti in F. P. BREMER, Iurisprudentiae antehadrianae, cit., II, 1, pp. 5 ss. Il REITZENSTEIN, Verrianische Forschungen, cit., p. 47, n. 1, ritiene che anche altre glosse di Festo possano essere tratte dalle opere di Veranio.

 

[67] Per una valutazione complessiva dell’opera di Tito Livio, vedi, fra gli altri: H. BORNECQUE, Tite-Live, Paris 1933; P. ZANCAN, Tito Livio. Saggio storico, Milano 1940; L. CATIN, En lisant Tite-Live, Paris 1944; P. G. WALSH, Livy, His Historical Aims and Methods, Cambridge 1961; G. WILLE, Der Aufbau des livianischen Geschichtswerks, Amsterdam 1973; T. J. LUCE, Livy. The Composition of His History, Princeton 1977; utile anche la lettura di Ph. A. STADTER, The structure of Livy’s History, in Historia 21, 1972, pp. 287 ss. Per quanto riguarda le fonti, oltre il vecchio lavoro di W. SOLTAU, Livius’ Geschichtswerk. Seine Komposition und seine Quellen, Leipzig 1897 (rist. anast. Roma 1971), sono da vedere: A. KLOTZ, Livius und seiner Vorgänger, Leipzig-Berlin 1940-1941; R. M. OGILVIE, A Commentary on Livy. Books 1-5, Oxford 1965, pp. 5 ss.; J. BRISCOE, A Commentary on Livy. Books XXXI-XXXIII, Oxford 1973, pp. 1 ss.; A. HUS, La composition de IVe et Ve décades de Tite-Live, in Revue de Philologie 47, 1973, pp. 225 ss.

Sugli aspetti ideologici dell’opera liviana, vedi R. SYME, Livy and Augustus, in Harvard Studies in Classical Philology 64, 1959, pp. 27 ss. (= Roman Papers, edited by E. Badian, Oxford 1979, I, pp. 400 ss.); H. HAFFTER, Rom und römische Ideologie bei Livius, in Gymnasium 71, 1964, pp. 236 ss. (= Römische Politik und römische Politiker, Heidelberg 1967, pp. 74 ss.); S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico, Bari 1966, II, 2, pp. 42 ss.; E. PIANEZZOLA, Traduzione e ideologia. Livio interprete di Polibio, Bologna 1969; si sofferma in particolare sulla praefatio M. MAZZA, Storia e ideologia in Tito Livio. Per un’analisi storiografica della praefatio ai libri ab Urbe Condita, Catania 1966.

Per una messa a punto della bibliografia più recente, vedi V. VIPARELLI, Rassegna di studi liviani, in Bollettino di studi latini 4, 1974, pp. 49 ss.

 

[68] Basterà qui ricordare, giusto a titolo esemplificativo, il nutrito elenco di prodigi presenti nell’opera liviana, certo improntati - direttamente o indirettamente - agli Annales Maximi: vedi in tal senso, E. DE SAINT-DENIS, Les énumerations de prodiges dans l’oeuvre de Tite-Live, in Revue de Philologie 16, 1942, pp. 126 ss.; J. Ph. PACKARD, Official notices in Livy’s fourth decade: style and treatment, Ann Arbor 1970, pp. 125 ss.; e

[p. 131]

da ultima E. RAWSON, Prodigy lists and the use of Annales Maximi, in The Classical Quarterly 21, 1971, pp. 158 ss. Né vanno dimenticati gli esempi di solenni formule giuridico-religiose quali: la formula dell’inauguratio (Liv. 1, 18, 6 ss.); del foedus (Liv. 1, 24, 3 ss.); dell’indictio belli (Liv. 1, 32, 11 ss.); della deditio (Liv. 1, 38, 2); della devotio (Liv. 8, 9, 4 ss.); del ver sacrum (Liv. 22, 10, 1 ss.). G. DUMÉZIL, La religion romaine archaïque, cit., pp. 104 ss. (cfr. trad. ital. cit., pp. 93 ss.), ha dimostrato in maniera incontestabile la sostanziale autenticità di tali formule, discutendone alcune in modo assai approfondito: né appaiono convincenti le perplessità manifestate su queste formule da K. LATTE, Römische Religionsgeschichte, cit., p. 5 (sul quale, peraltro, vedi DUMÉZIL, loc. cit.); d’altronde, lo stesso J. BAYET, Introduction a Tite-Live, Histoire romaine, livre I, Paris 1965, pp. XXXVIII s., per il resto assai cauto nella valutazione dell’opera di Livio, sottolinea come pienamente attendibili quelle parti in cui si tratta di istituzioni politiche, giuridiche e religiose: «Très Romain par sa haine de la superstitio et l’importance qu’il attache à l’exactitude des rites, Tite-Live a eu l’immense mérite de soupçonner l’importance du phénomène religieux dans l’ancienne histoire; il a eu aussi la délicatesse de ne pas l’y introduire sous forme d’exempla, mais par de notations, précises jusqu’à la nudité, de présages, de cérémonies, de formulaires».

Più in generale, sul rapporto tra Livio e la religione tradizionale, vedi G. STÜBLER, Die Religiosität des Livius, Stuttgart-Berlin 1941 (rist. Amsterdam 1964); I. KAJANTO, God on Fate in Livy, Turku 1957; W. LIEBESCHUETZ, The Religious Position of Livy’s History, in The Journal of Roman Studies 57, 1967, pp. 45 ss.

 

[69] Per un inquadramento più ampio del passo, vedi OGILVIE, A Commentary on Livy, cit., p. 535.

 

[70] Il testo è quello dell’edizione curata da W. WEISSENBORN - H. J. MÜLLER, Titi Livi ab urbe condita libri, Berlin 1880 (rist. 1965): dei quali vedi anche il commento ai passi citati.

 

[71] Vedi in tal senso REGELL, De augurum publicorum libris, cit., p. 33; ed anche JÖRS, Römische Rechtswissenschaft, cit., p. 42 n. 2, il quale ritiene che in questi casi il termine commentarii «Wird ..... für das pontificale Archiv gebraucht».

 

[72] «So sind bei Liv. VI 1, 2 unter pontificum commentarii zweiffellos die annales maximi oder ihre nichtliterarischen Vorläufer zu verstehen»: ROHDE, Die Kultsatzungen der römischen Pontifices, cit., p. 15; cfr. inoltre p. 21. Peraltro che i due passi riguardassero gli annales era già sostenuto da J. V. LE CLERC, Des journaux chez les Romains, cit., p. 120: «puisqu’il ne s’agit que d’ouvrages historiques, tels que les fastes qui commençaient à Publicola et à Brutus, et que tous les faits que le tribun rappelle ensuite, pour reprocher aux patriciens du vouloir les cacher au peuple, sont des faits de l’histoire de Rome»; limitatamente a Liv. 6, 1, 2, anche da E. HÜBNER, Die annales maximi der Römer, in Jahrbücher für classische Philologie 79, 1859, p. 408.

 

[p. 132]

[73] Per un attento riesame dell’intera problematica, si veda il recente lavoro di E. PERUZZI, Origini di Roma, II, cit., pp. 175 ss.

 

[74] Il passo di Seneca non sembra interessare solitamente la dottrina: brevissimi cenni soltanto in BOUCHÉ-LECLERCQ, Les pontifes de l’ancienne Rome, cit., p. 21; ed in BRAUSE, Librorum de disciplina augurali, cit, p. 42.

 

[75] Quanto ai passi di Cicerone, vedi supra, pp. 94 s.

 

[76] Il testo è quello dell’edizione curata da H. LE BONNIEC, Pline l’Ancien, Histoire naturelle, livre XVIII, Paris 1972.

Su Plinio e sulle sue fonti resta ancora fondamentale l’opera di F. MÜNZER, Beiträge zur Quellenkritik der Naturgeschichte des Plinius, Berlin 1897, la quale rende pressoché superfluo il ricorso agli studiosi anteriori; utile risulta anche la consultazione dell’articolo di W. KROLL, Plinius der Ältere, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 21, 1, Stuttgart 1951, coll. 425 ss. Linguaggio, stile e grammatica sono analizzati da A. ÖNNERFORS, Pliniana. In Plinii maioris Naturalem historiam studia grammatica semantica critica, Upsaliae 1956; per quanto riguarda la religione, si veda Th. KÖVES-ZULAUF, Reden und Schweigen. Römische Religion bei Plinius Maior, München 1972. Per maggiori approfondimenti è da consultare la rassegna di Kl. SALLMANN, Plinius der Altere 1938-1970, in Lustrum. Internationale Forschungsberichte der klassischen Altertums 18, 1975, pp. 5-300: esposizione della letteratura sul XVIII libro della Naturalis Historia, pp. 214 ss. (ed anche il volumetto di H. LE BONNIEC, Bibliographie de l’histoire naturelle de Pline l’Ancien, Paris 1946); del SALLMANN, si veda anche: Die Geographie des älteren Plinius in ihren Verhältnis zu Varro. Versuch einer Quellenanalyse, Berlin-New York 1971.

 

[77] Correggeva et in nec già K. L. URLICHS, Chrestomantia Pliniana, Berlin 1857, seguito da D. Detlefsen e da C. Mayhof: cfr. H. LE BONNIEC, Pline l’Ancien, Histoire naturelle, livre XVIII, cit., p. 63. Peraltro la correzione dello Urlichs appare generalmente seguita dagli studiosi: L. DELATTE, Recherches sur quelques fêtes mobiles du calendrier romain. IV. Augurium canarium, in L’antiquité classique 6, 1937, p. 93; P. CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale, cit., p. 346; ma su questo punto mi pare esauriente l’argomentazione svolta da J. BAYET, Les “Feriae sementivae” et les indigitations dans le culte de Cérès et de Tellus, in Revue de l’histoire des religions 137, 1950, p. 186 n. 2.

 

[78] PREIBISCH, Fragmenta librorum pontificiorum, cit., p. 8: fragm. 34. È interessante osservare che il passo di Plinio costituisce l’unico testo in cui si parla di augurium canarium, laddove le altre fonti parlano tutte di un sacrificio: così, Festo, p. 358 L.: Rutilae canes, id est non procul a rubro colore, immolantur, ut ait Ateius Capito, canario sacrificio pro frugibus deprecandae saevitiae causa sideris caniculae; Paolo, Fest. Epit., p. 39 L.: Catularia porta Romae dicta est, quia non longe ab ea ad placandum caniculae sidus frugibus inimicum rufae canes immolabantur, ut fruges flavescentes ad maturitatem perducerentur; Servio Dan., Georg. 4, 424: Sirius stella in ore canis. Hac

[p. 133]

oriente maximi calores et ex his graves morbi: ideoque Romae omnibus annis sacrum canarium fit per publicos sacerdotes. Cfr. P. CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale, cit., p. 346.

Per quanto riguarda invece l’utilizzazione rituale del cane, vedi il recente lavoro di M. A. MARCOS CASQUERO, El perro y la religión romana, in Durios 5, 1977, pp. 25 ss.

 

[79] Sull’augurio canario, si veda WISSOWA, Augures, cit., coll. 2341 ss.; ID., Religion und Kultus, cit., p. 196; L. DELATTE, Recherches sur quelques fêtes mobiles du calendrier romain. IV. Augurium canarium, cit., pp. 93 ss.; LATTE, Römische Religionsgeschichte, cit., p. 68; DUMÉZIL, La religion romaine archaïque, cit., p. 585 (cfr. trad. ital., cit., p. 508); ID., Idèes romaines, cit., p. 98; ma soprattutto CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale, cit., pp. 346 ss.

 

[80] Il CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale, cit., p. 350, ritiene che, a proposito dell’augurio canario, si possa parlare di «una festa mobile che durava più giorni: il tempo degli atti che la costituivano era determinato dai pontefici e dalla inaugurazione degli auguri»; quanto poi al sacrificio, cioè alla determinazione di chi fosse competente a compierlo, egli rifiuta la tesi che esso fosse compiuto dagli auguri, poiché è da ritenere, piuttosto, «che si trattasse di una cerimonia complessa, cui partecipavano diversi sacerdoti» (p. 351).

 

[81] Il fatto che in Plinio l’augurium canarium sia messo in relazione con i commentarii pontificum ha indotto qualche studioso a ritenere che il sacrificio delle cagne rosse fosse compiuto dai pontefici: questa soluzione è proposta, ad esempio, dal WISSOWA, Religion und Kultus der Römer, cit., p. 524 n. 3, il quale corregge così quanto da lui sostenuto in precedenza nell’articolo Augures, cit., col. 2329; ma, contro, vedi le argomentazioni del CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale, cit., p. 351.

 

[82] In tal senso si pronuncia G. ROHDE, Die Kultsatzungen der Römischen Pontifices, cit., p. 26: «Dass Plinius die priesterlichen Aufzeichnungen selbst eingesehen habe, ist nicht anzunehmen. Doch lässt sich nicht mit Sicherheit sagen, welchem der im Quellenverzeichnis zu Buch XVIII genannten Schriftsteller er diese wörtliche Anführung aus den Commentarii pontificum verdankt, ob dem Masurius Sabinus, dem Verrius Flaccus, dem Varro oder dem Ateius Capito». H. LE BONNIEC, Histoire naturelle, livre XVIII, cit., Introduction, p. 17, ritiene probabile che in questo caso si tratti di Verrio Flacco: «Sans doute faut-il attribuer à Verrius l’étymologie de adoria qui concorde avec celle donnée par l’abrégé de Paulus; c’est probablement à lui qu’est empruntée la citation des commentarii pontificum 14) relative à l’Augurium canarium»; tale opinione è peraltro ampiamente condivisa nella dottrina: cfr. op. loc. cit., n. 3.

 

[83] Vedi la valutazione giuridica del passo in M. Fabii Quintiliani, Institutionis oratoriae libri XII (Corpus Iuris Romani publici, I.B, 7.1), Milano 1976, pp. 29, 50, 115.

 

[p. 134]

[84] Già J. V. LE CLERC, Des journaux chez les Romains, cit., p. 127, riteneva probabile che in questo caso Quintiliano si riferisse agli annales pontificum; così anche A. SCHWEGLER, Römische Geschichte, I, cit., p. 32 n. 5. Questa tesi è stata in seguito ripresa da P. REGELL, De augurum publicorum libris, cit., p. 33, il quale però vedeva nel passo in questione un’ulteriore riprova dell’impossibilità di distinguere tra libri e commentarii sacerdotali sulla base delle testimonianze degli autori antichi; in tal senso vedi anche G. ROHDE, Die Kultsatzungen der römischen Pontifices, cit., p. 15.

 

[85] Vedi G. WISSOWA, Censorinus, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 3, 2, Stuttgart 1899, coll. 1908 ss.; SCHANZ-HOSIUS, Geschichte der römischen Literatur, III, 2a ediz., München 1922 (rist. 1959), pp. 219 ss.

 

[86] Quanto al testo ho seguito quello accolto da G. B. PIGHI, De ludis saecularibus populi Romani Quiritium. Libri sex, Milano 1941, pp. 33 ss.

 

[87] Ho seguito il testo dell’edizione del REIFFERSCHEID: Arnobii Adversus nationes libri VII, recensuit et commentario critico instruxit Augustus Reifferscheid, Vindobonae 1875 (rist. New York 1968).

 

[88] Per quanto riguarda biografia ed opere di M. Vittorino, vedi SCHANZ-HOSIUS, Geschichte der römischen Literatur, IV, 1, rist. München 1970, pp. 149 ss. (ivi bibliografia precedente).

 

[89] Riguardo a Servio e al Servio danielino, oltre SCHANZ-HOSIUS, Geschichte der römischen Literatur, cit., IV, 1, pp. 172 ss., e P. WESSNER, Servius, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 2 A 2, Stuttgart 1923, coll. 1834 ss., si vedano: E. THOMAS, Essai sur Servius et son commentaire sur Vergile, Paris 1880; L. HACKERMANN, Servius and his sources in the commentary on the Georgics, New York 1940; N. MARINONE, Elio Donato, Macrobio e Servio commentatori di Virgilio, Vercelli 1946; ID., Per la cronologia di Servio, in Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino (Classe di scienze morali, storiche e filologiche) 104, 1969-1970, pp. 181 ss.; E. TURK, Les «saturnales» de Macrobe source de Servius danielis, in Revue des études latines 41, 1963, pp. 327 ss.; e da ultimo H. NAUMANN, Die Arbeitsweise des Servius, in Rheinisches Museum für Philologie 118, 1975, pp. 166 ss.

 

[90] Per i passi citati in questo lavoro, ho seguito il testo proposto nell’edizione curata dal THILO e dallo HAGEN, Servii grammatici qui feruntur in Vergilii carmina commentarii, Lipsiae 1877.

 

[91] BRAUSE, Librorum de disciplina augurali, cit., p. 35: fragm. 18; REGELL, Fragmenta auguralia, cit., p. 13: fragm. 2; ID., Commentarii in librorum auguralium, cit., p. 16: fragm. 2.

 

[92] F. A. BRAUSE, Librorum de disciplina augurali, cit., pp. 12 ss., riteneva il passo di fondamentale importanza in quanto, a suo avviso, attraverso di esso si rendeva possibile operare la distinzione tra libri e

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commentarii augurali. La congettura del Brause si fondava sull’identificazione dei libri augurali con i libri reconditi, che solitamente viene però rifiutata dalla dottrina: vedi infra n. 93.

 

[93] L’assimilazione dei libri reconditi ai libri augurales, già rifiutata da C. O. MÜLLER, Die Etrusker, Breslau 1828, II, p. 113, trova invero ben scarsi consensi nella dottrina: vedi, in questo senso, P. REGELL, De augurum publicorum libris, cit., p. 35; A. BOUCHÉ-LECLERCQ, Histoire de la divination dans l’antiquité, cit., IV, p. 182 n. 1; C. THULIN, Die etruskische Disciplin, III, Göteborg 1909, pp. 109 ss.; anche P. CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale, cit., p. 80, sostiene che i libri reconditi «sono libri etruschi»; e da ultimo, A. J. PFIFFIG, Religio Etrusca, Graz 1975, p. 145.

 

[94] Cfr. Servio Dan., Aen. 2, 649; 6, 72.

 

[95] Nei codici si legge iuge eis; la correzione in Iugetis risale allo Scaligero: si vedano, in tal senso, le annotazioni del MÜLLER a Paolo 104, v. iuges; cfr., inoltre, REGELL, Commentarii in librorum auguralium, cit., p. 18 n. 45. Continua invece a leggere iuge enim eis F. A. BRAUSE, Librorum de disciplina augurali, cit., p. 36: fragm. 19.

 

[96] BRAUSE, Librorum de disciplina augurali, loc. e fragm. cit. in n. 95; REGELL, Fragmenta auguralia, cit., p. 14: fragm. 4. Per quanto riguarda lo iuges auspicium (vedi anche: Cicerone, De div. 2, 77; Paolo, Fest. epit., p. 92 L.) sono da ricordare alcuni studi di G. DUMÉZIL, cfr. La religion romaine archaïque, cit., pp. 98 ss., ivi bibliogr. degli altri lavori.

 

[97] BRAUSE, Librorum de disciplina augurali, cit., p. 35: fragm. 17. Nega, invece, che il passo possa riferirsi ai libri degli auguri, il REGELL, Commentarii in librorum auguralium, cit., p. 22 n. 58, il quale sostiene che «Huic signo non in auguralibus sed in fulguralibus haruspicum libris locum esse».

 

[98] BRAUSE, Librorum de disciplina augurali, cit., p. 17: fragm. 1; REGELL, Fragmenta auguralia, cit., p. 17: fragm. 11.

 

[99] BRAUSE, Librorum de disciplina augurali, cit., p. 17: fragm. 3 b; REGELL, Fragmenta auguralia, cit., p. 17: fragm. 10. Cfr. J. A. AMBROSCH, Über die Religionsbücher der Römer, Bonn 1843, p. 40.

 

[100] Dalle fonti risulta che il Tevere era invocato, oltre che nelle preghiere degli auguri (come conferma, vedi anche Cicerone, De nat. deor. 3, 52: in augurum precatione Tiberinum, Spinonem, Anemonem, Nodinum, alia propinquorum fluminum nomina videmus), anche negli indigitamenta dei pontefici: cfr. Servio Dan., Aen. 8, 330; Servio, Aen. 8, 63; 8, 72: sic enim invocatur in precibus “adesto, Tiberine, cum tuis undis”.

Gli aspetti storico-religiosi del culto del Tevere sono stati approfonditi da J. LE GALL, Recherches sur le culte du Tibre, Paris 1953. Per quanto riguarda l’interesse del collegio degli auguri al culto del Tevere, e più in generale dei fiumi, l’a. così scrive (op. cit., p. 61): «Les augures n’avaient

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à s’occuper que des auspices, cette prière, andressée aux cours d’eau qu’on devait franchir dès que l’ont quittait l’Urbs, est certainement celle qui permettait aux magistrats titulaires des auspices de le faire sans les perdre. Quel que fût le cours d’eau sur lequel on passait, on les invoquait tous simultanément». Sull’appellativo coluber cfr. anche K. LATTE, Römische Religionsgeschichte, cit., p. 132.

Non va inoltre dimenticato che nel periodo più antico il Tevere segnava il confine fra l’ager Romanus e la terra Etruria e che tale dovette essere considerato dalla disciplina augurale anche in seguito, sulla base degli agrorum genera da essa elaborati: sulla funzione del Tevere come linea di confine, cfr. LE GALL, Le Tibre, fleuve de Rome, dans l’antiquité, Paris 1952, pp. 46 s.; e brevemente CATALANO, Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano, cit., supra in n. 41.

In generale sul nome del Tevere vedi da ultimo C. DE SIMONE, Il nome del Tevere. Contributo per la storia delle più antiche relazioni tra genti latino-italiche ed etrusche, in Studi etruschi 43, 1975, pp. 119 ss.

 

[101] PREIBISCH, Fragmenta librorum pontificiorum, cit., p. 13: fragm. 57; cfr. ROHDE, Die Kultsatzungen der römischen Pontifices, cit., p. 40.

 

[102] CARDAUNS, Antiquitates rerum divinarum, cit., I, p. 64: fragm. 87; lo studioso ritiene peraltro che il passo in questione sia un frammento tratto dal XIV libro delle Antiquitates rerum divinarum di Varrone: «Man darf also Serv. georg. 1, 21 (fr. 87) mit guter Wahrscheinlichkeit auf RD XIV zurückführen und der Einleitung des Buches zuweisen, in der Varro auf Indigitamenta als wichtige - doch sicher nicht einzige - Quelle hinweis. Dass auch die bei Servius folgenden Ausführungen und vor allem die Zwölfgötterreihe den RD entstammen, ist möglich, aber ungewiss»: op. cit., II, p. 184.

 

[103] PREIBISCH, Fragmenta librorum pontificiorum, cit., p. 13: fragm. 56.

 

[104] Cfr. ROHDE, Die Kultsatzungen der römischen Pontifices, cit., pp. 36 s.

 

[105] Cfr. ROHDE, op. cit., pp. 40 s.

 

[106] PREIBISCH, Fragmenta librorum pontificiorum, cit., p. 5: fragm. 25; cfr. ID., Quaestiones de libris pontificiis, cit., pp. 3 s.

 

[107] A tale conclusione, secondo il BOUCHÉ-LECLERCQ (Les pontifes de lancienne Rome, cit., pp. 20 s.; Libri, in Dictionnaire des antiquités grecques et romaines 3, 2, Paris 1904, pp. 1236-1237), condurrebbe il passo di Servio, Aen. 7, 190; su questa linea risulta anche la posizione del ROHDE, Die Kultsatzungen der römischen Pontifices, cit., p. 39, il quale, sempre a proposito del passo citato, scrive: «Es ist ausgeschlossen, dass hier mit libri pontificales die annales maximi gemeint sind, in denen die von Servius erzählte Sage berichtet gewesen wäre; nichts deutet darauf hin, dass die annales, quibus nihil potest esse ieiunius, Raum für solche Erzählungen geboten hätten»; inoltre, anche P. REGELL, De augurum publicorum libris, cit., p. 33, aveva sostenuto che «Servius ad Aen. 1, 373 commentarios appellat ipsos annales».

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L’interpretazione del passo serviano proposta dal Bouché-Leclercq non viene invece condivisa dal PREIBISCH, Quaestiones de libris pontifìciis, cit., pp. 3-4: «Bouché-Leclercq – scrive lo studioso tedesco – extrema verba “quod pontificales indicant libri” ad totam fabulam refert. Sed praeterquam quod credo, “quae” pro quod scribi oportuisse, si is sensus, quem Bouché-Leclercq vult, exprimendus erat, nusquam alias indicia inveniuntur, quibus commoveamur ut tales fabulas a pontificibus traditas esse arbitremur. Ego puto hoc voluisse illum scriptorem dicere, fabulam de Pico in avem mutato fictam esse, quia Picus augur fuisset isque (scil. augur) picum domi habere consuesset, per quem futura nosceret; atque eiusmodi decretum de pico in auguris domicilio sustinendo in libris pontificum scriptum fuisse. Quamquam ita subiecti mutatio apud Servium statuenda est in predicatis “fuit” et “habuit”, tamen illi compilatori grammaticalem licentiam quam summis religionum Romanorum arbitris fabulae paene puerilis fictionem atque traditionem malim tribuere».

 

[108] La biografia di Macrobio è assai incerta, la sua stessa identificazione è tuttora controversa, anche se appare più sicuro riconoscere lo scrittore nel praefectus Italiae citato nel Codex thedosianus 12, 6, 33: così S. MAZZARINO, La politica religiosa di Stilicone, in Rendiconti dell’Istituto lombardo di Scienze e Lettere 71, 1938, pp. 235 ss., in particolare 255 ss.; A. CAMERON, The date and identity of Macrobius, in The Journal of Roman Studies 56, 1966, pp. 25 ss., in particolare n. 26; S. CHRISTO, Some thoughts on the dating of the Saturnalia, in Athenaeum 55, 1977, pp. 314 ss. Contra però A. ROSTAGNI, Storia della letteratura latina, III, 3a ediz., Torino 1964, p. 461. Il problema è stato ampiamente ridiscusso nel recente lavoro di J. FLAMANT, Macrobe et le néo-platonisme latin, à la fin du IVe siècle, Leiden 1977, pp. 96 ss.; lo studioso ritiene di poter identificare l’autore dei Saturnalia nel Macrobio proconsole d’Africa nel 410 (p. 126). Cfr., anche, S. DÖPP, Zur Datierung von Macrobius Saturnalia, in Hermes 106, 1978, pp. 619 ss.

Per quanto riguarda le fonti dei Saturnalia: G. WISSOWA, De Macrobii Saturnaliorum fontibus capita tria, Diss. Breslau 1880; ed i più recenti, A. LA PENNA, Studi sulla tradizione dei Saturnali di Macrobio, in Annali della Scuola Normale di Pisa, s. II, 12, 1953, pp. 225 ss.; E. TÜRK, Macrobe et les Nuits Attiques, in Latomus 24, 1965, pp. 381 ss.; N. MARINONE, Frammenti di storiografi latini in Macrobio, in Studi Urbinati di storia, filosofia e letteratura 49, n. s. B (= Atti del congresso: Gli storici latini tramandati in frammenti), 1975, pp. 493 ss. Vasta bibliografia nell’introduzione di N. MARINONE a I Saturnali di Macrobio Teodosio, Torino 1967, pp. 83 ss.

 

[109] Per il testo ho seguito l’edizione curata da I. WILLIS, Ambrosii Theodosii Macrobii Saturnalia, Lipsiae 1963. R. AGAHD, Antiquitates rerum divinarum. Libri I XIV XV XVI, cit., pp. 116 s., attribuisce il passo alle Antiquitates di Varrone, esattamente al XVI libro; sul passo cfr. anche G. ROHDE, Die Kultsatzungen der römischen Pontifices, cit., pp. 44 s. Da ultimo, P. MASTANDREA, Un neoplatonico latino, Cornelio Labeone (testimonianze e frammenti), Leiden 1979, pp. 51 s., nega decisamente che questo frammento dei Fastorum libri di Labeone possa essere di derivazione varroniana: «In relazione a questo passo fu condotta in passato una ricerca di supposte “Zwischenquellen”

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labeoniane, ma senza che si siano raggiunti risultati apprezzabili; in particolare mi sembra si possa respingere con sicurezza il nome di Varrone, suggerito dal Kahl e dall’Agahd»; invece secondo lo studioso: «La fonte cui ricorreva Labeone in questa circostanza erano dunque i Libri pontificales, gli archivi dei pontefici romani ove si conservano gelosamente le norme e gli ordinamenti del rito e del culto».

 

[110] BRAUSE, Librorum de disciplina augurali, cit., p. 41: fragm. 26; REGELL, Fragmenta auguralia, cit., p. 21: fragm. 17; CARDAUNS, Antiquitates rerum divinarum, cit., I, pp. 41 (Appendix ad libr. III, c) e 56 (Appendix ad libr. VIII, e).

 

[111] In generale, per quanto riguarda il culto di Bona dea vedi E. CAETANI LOVATELLI, L’antico culto di Bona dea in Roma, in La nuova antologia 136, 1894, pp. 421 ss.; G. WISSOWA, Bona dea, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 3, 1, Stuttgart 1897, coll. 686 ss.; ID., Religion und Kultus, cit., pp. 216 ss.; K. LATTE, Römische Religionsgeschichte, cit., pp. 228 ss.; G. PICCALUGA, Bona dea. Due contributi all’interpretazione del suo culto, in Studi e materiali di storia delle religioni 35, 1964, pp. 195 ss.; G. RADKE, Die Götter Altitaliens, Münster 1965, pp. 73 s. Più in particolare, sul tardo rapporto tra il culto di Bona dea e la religiosità degli schiavi nella Roma imperiale, vedi F. BÖMER, Untersuchungen über die Religion der Sklaven in Griechenland und Rom, I, Wiesbaden 1957, pp. 154 ss.

 

[112] Su Cornelio Labeone, antiquario ed esperto di diritto sacro, vedi: W. KAHL, Cornelius Labeo, in Philologus (Suppl. 5), 1889, pp. 717 ss.; AGAHD, M. Terenti Varronis Antiquitates rerum divinarum, cit., pp. 113 ss.; WISSOWA, De Macrobii saturnaliorum fontibus, cit., pp. 35 ss.; ID., Cornelius Labeo, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 4, 1, Stuttgart 1900, coll. 1351 ss.; SCHANZ-HOSIUS, Geschichte der römischen Literatur, III, cit., pp. 181 ss.; infine, P. MASTANDREA, Un neoplatonico latino Cornelio Labeone, cit. supra in n. 109.

 

[113] Sull’attribuzione di questo frammento ai libri augurum, concordo con l’opinione espressa dal BRAUSE, Librorum de disciplina augurali, cit., p. 41: «Nullo modo dubium esse potest quin hoc praeceptum auguralibus libris attribuamus. Namque etiamsi hoc fragmentum a Macrobio e Varronis antiquitatum libro tertio quem de auguribus scripsit desumptum esse statuimus attamen totius praecepti color verborumque sollemnium gravitas efficit ut Varronem auguralium librorum praeceptum protulisse conici opporteat. Quamquam ne ego quidem locum sanum esse putaverim. Namque pluralis numerus “augurum libri” nullo modo explicari potest. Unum enim librum tertium rerum divinarum Varro de auguribus scripsit neque aliorum eiusdem de disciplina augurali librorum ulla vestigia supersunt». Anche il CARDAUNS, Antiquitates rerum divinarum, cit., II, p. 164, è orientato nel senso di ritenere la citazione di Varrone tratta dai libri augurum, negando risolutamente l’attribuzione di essa al liber de auguribus: lo studioso tedesco ne reputa, infatti, più probabile la derivazione dall’ottavo libro delle Antiquitates R.D. (p. 176): «Herkunft aus RD VIII ist möglich: nicht aus RD

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III de auguribus». Contra vedi BREMER, Iurisprudentiae antehadrianae quae supersunt, I, cit., p. 124, il quale sembra propendere per considerare il frammento derivato da un’opera di Varrone intitolata augurum libri.

 

[114] Così ritiene il BRAUSE, Librorum de disciplina augurali, cit., p. 41.

 

[115] Commento al passo in HENZEN, Acta fratrum arvalium, Berolini 1874, p. 134; vedi inoltre, anche per quanto riguarda C.I.L. VI, 2103 a 4, A. VON PREMERSTEIN, Commentarii, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 4, 1, Stuttgart 1900, col. 731; E. DE RUGGIERO, Commentarii, in Dizionario epigrafico di antichità romane 2, 1, Roma s. d. (rist. anast. 1961), p. 546.

 

[116] Per R. F. ROSSI, Libri, in Dizionario epigrafico di antichità romane, 4, Roma 1958, p. 968, quest’epigrafe «ricorda un apparitore adibito probabilmente agli archivi dei pontefici».

 

[117] Vedi VON PREMERSTEIN, Commentarii, cit., col. 731; DE RUGGIERO, Commentarii, cit., p. 546.

 

[118] Il DE RUGGIERO, loc. cit. in nota precedente, basandosi sul fatto che le epigrafi attestano l’esistenza di un commentariensis, ritiene di poter concludere: «che i documenti epigrafici a noi conservati e che dal Marini in poi sono noti col nome di Atti, non sono strettamente acta, ma piuttosto commentarii».

 

[119] Su questi publici, in generale, vedi MARQUARDT, Le culte chez les Romains, I, cit., pp. 269 ss.; WISSOWA, Religion und Kultus der Römer, cit., pp. 496 s.: appena un cenno in LATTE, Römische Religionsgeschichte, cit., p. 409, in part. n. 5; per quanto riguarda più specificamente la loro condizione giuridica, vedi MOMMSEN, Römisches Staatsrecht, cit., I, pp. 306 s. (cfr. Droit public romain, cit., I, pp. 366 ss.). Per una più recente messa a punto della questione vedi, ora, W. EDER, Servitus publica. Untersuchungen zur Entstehung, Entwicklung und Funktion der öffentlichen Sklaverei in Rom, Wiesbaden 1980, pp. 41 ss.

 

[120] In generale sul collegio, si veda LATTE, Römische Religionsgeschichte, cit., pp. 398 s.

 

[121] In età imperiale l’autonomia dei sacerdozi subì forti limitazioni, si ebbe probabilmente anche un assiduo controllo del princeps sugli archivi sacerdotali; si spiegherebbe, in tal modo, la funzione del liberto imperiale dell’iscrizione C.I.L. VI, 8878: D.T.M. Aelio Aug. lib. Titiano prox(imo) a libr(is) sacerdotal(ibus): cfr. WISSOWA, Religion und Kultus der Römer, cit., p. 497 n. 2; F. R. ROSSI, Libri, cit., p. 968.