N° 2 - Marzo 2003 – Lavori in corso – Contributi

 

 

L’EMERGENZA DELL’ISTITUZIONE POLITICA NELLA STORIA ISLAMICA

 

AHMED MECHERGUI

Università La Zitouna - Istituto di Teologia - Tunisi

 

 

 

Sommario: 1. L’istituzione politica all’epoca del profeta. a) la tappa della Mecca. b) la tappa di Medina. 2. La successione del profeta. a) Abù Bàkr. b) Umar ibn Al-Kattab. 3. L’istituzione politica all’epoca dei ommyadi.

 

 

Gli esperti di diritto costituzionale definiscono lo stato come un gruppo di individui che vivono insieme in permanenza su un territorio, e che sono sottomessi a un governo indipendente e che sono legati tra loro da idee politiche. Questa definizione di stato non si trova nel Corano, neanche nella sunna (la tradizione profetica) perché essa è una definizione moderna.

Però, è possibile determinare il concetto di Stato, e l’evoluzione del suo senso nel corso della storia islamica.

È certo che gli ordini politici nascono nella realtà prima di essere formati nel pensiero politico.

Per parlare dell’emergenza dell’istituzione politica nell’Islam è necessario ricordare gli avvenimenti che hanno dato origine al pensiero politico islamico cioè ritornare alla storia antica dell’Islam.

Si può dire che gli Arabi non avevano vissuto una vita politica prima dell’apparizione dell’Islam, che veniva ad annunziare l’unicità in tutti i suoi livelli, tra i quali l’unificazione delle tribù arabe in una sola comunità [la umma].

Il corano dice: «eravate nemici e v’ha posto armonia in cuore e per la sua grazia siete divenuti fratelli» (Corano III, 103).

Quella umma (comunità) si è evoluta pian piano, è diventata uno «stato», ma senza prendere la forma dello stato nel concetto moderno.

La vita sociale della nuova città dell’Islam (Medina) è stata organizzata dal profeta Muhammad secondo i principi della nuova religione, mentre gli affari privati sono stati affidati alla gente perché il profeta diceva: «siete i migliori conoscitori dei fatti vostri».

Lo stato nella storia islamica è apparso per rispondere ai bisogni e alle esigenze della nuova società islamica in campo organizzativo.

Ovviamente ogni azione che cerca di organizzare la società, implica -generalmente- l’apparizione del potere.

Però, nell’Islam antico, il potere non aveva potuto assumere la sua forma politica se non tardivamente.

È certo che il profeta Muhammad non era un governatore politico nel senso stretto del termine.

- Come è emersa l’istituzione politica: la cosiddetta «KHILAFA», (il califfato) dall’istituzione religiosa?

- e come erano i rapporti tra quelle due istituzioni nell’esperienza e la coscienza dei primi musulmani?

Per rispondere a queste due domande bisogna ricordare i momenti determinanti, che sono stati all’origine della storia politica dell’Islam antico.

- La sunna, cioè la tradizione profetica, secondo Ibn Hischem.

- le fonti storiche (AT-Tabari).

Le nostre fonti sono le seguenti

alcune fonti contemporanee come:

- la grande discordia di Hishem Dja(t)

- la ragione politica araba di Muhammad ABED AL Jabri.

 

1. L’istituzione politica all’epoca del profeta.

È certo che la missione di Muhammad non è stata un progetto politico, ma essenzialmente una missione religiosa e ciò non ci impedisce di vedere quella missione sotto un aspetto politico.

D’altronde, i suoi nemici di «Quraych» (la tribù del profeta) l’avevano visto sotto questo punto di vista.

Il periodo profetico è stato diviso in due grandi tappe:

a) la tappa della Mecca (prima dell’esodo: «AL- Higra» che era la tappa della missione (da’wa) e della pazienza.

b) La tappa di «Medina» (dopo l’esodo) che è stata considerata da alcuni studiosi come la tappa della fondazione dello stato[1].

Questo cambiamento che andava dalla «missione» allo «Stato» si basava su due fronti:

1) il fronte interno, cioè:

- l’organizzazione: della vita degli immigrati (coloro che hanno partecipato all’esodo dalla Mecca verso Medina).

- L’organizzazione dei rapporti tra gli immigrati e i residenti (al-muhagiroun e al - ansar).

- L’organizzazione tra la «umma» (la comunità musulmana) e gli altri (gli ebrei ed i cristiani), e c’era un documento della tradizione profetica che si chiama «as- sahifà»[2] una sorta di costituzione che organizzava quei rapporti.

2) Il fronte esterno: dove i primi credenti musulmani avevano praticato «la politica» di fronte agli infedeli di Quraysh. Intendiamo per «politica» qui: la guerra armata, la guerra psicologica, le invasioni delle tribù nemiche e i rapporti tra i musulmani e gli altri: i Romani, i Bizantini ecc.

Lo «Stato» della missione al tempo del profeta somigliava a un stato federale, composto da molti gruppi e tribù, le loro relazioni sono state organizzate secondo il documento di «as - sahifa».

L’alleanza politica tra quei gruppi e quelle tribù da una parte e lo stato di Medina dall’altra si faceva attraverso l’elemosina legale che è stata il simbolo dell’impegno politico.

Da ciò si capisce perché alcune tribù avevano rifiutato proprio questo pilastro (l’elemosina legale) quando avevano annunciato l’apostasia[3].

Infatti, la ribellione contro lo stato del profeta si era servita delle stesse armi usate dallo stato profetico cioè:

- il denaro (attraverso l’elemosina);

- la profezia.

La ribellione era- infatti - politica e religiosa nello stesso tempo.

E quando il profeta è morto ha lasciato una religione completa e una situazione politica molto critica a causa dell’apostasia di alcune tribù.

 

2. La successione del profeta.

Le fonti storiche e religiose sono d’accordo nel sostenere che il profeta non ha menzionato il suo successore[4].

La scelta del nuovo capo dei musulmani era il primo problema politico interno che la comunità musulmana aveva affrontato.

Ciò che ci interessa è il modo in cui i musulmani hanno scelto il primo califfo (Successore) «Abù Bakr» (570-634), e soprattutto i criteri della scelta.

Ci sono tante deduzioni:

(1) il criterio tribale era più determinante del criterio religioso[5].

(2) la maniera in cui i compagni del profeta avevano esaminato la questione della successione. Le nostre fonti mostrano che i compagni hanno considerato quella questione più da un punto di vista degli affari temporali e non religiosi.

a) Quando i primi musulmani hanno proclamato «Abù Bakr» come califfo (KHALIFA) cioè: vicario del profeta o il suo successore, era chiaro che essi non pensavano che si trattasse di un vicario religioso oppure di una eredità dell’aspetto profetico[6], ma si trattasse - semplicemente di una successione che riguardava i suoi carichi secolari o temporali. Così nacque la prima istituzione del califfato [Khilafà].

Poiché la comunità di quei tempi era una comunità religiosa e politica nello stesso tempo, il suo comandamento non poteva essere che un comandamento politico-religioso[7].

Però il califfo era nello stesso tempo:

- il capo della preghiera (Imâm)

- e anche il capo della guerra (Emir).

È chiaro quindi che in quel periodo si accettava la mescolanza di religione e politica, perciò i musulmani hanno associato il califfato e la preghiera con un solo appellativo cioè «Imàmà», ma facendo la distinzione tra la grande imàmà (il califfato) e la piccola imàmà (la preghiera).

Questa mescolanza durerà per quasi tutto il periodo dei «califfati ben diretti» (oppure «legittimi»).

Sembra che non sia stato possibile vedere emergere un’istituzione puramente politica durante quel periodo a causa della mescolanza sopra accennata.

b) Ciò che si può dedurre qui è che quella istituzione politica sebbene fosse legata all’istituzione religiosa, non aveva mai cessato di evolversi, in particolare durante l’epoca del secondo califfo OMAR. (Ì UMAR 581-644) che aveva istituito i primi ordini amministrativi, giuridici ed economici nello stato d’allora.

Il più importante di quegli ordini era il cosiddetto «Diwan»[8] un tipo d’amministrazione finanziaria destinata a gestire il denaro proveniente dalle conquiste, dalle tribù oppure dalle tasse. Ma quelle procedure non erano sufficienti per creare un’istituzione politica indipendente dall’istituzione religiosa.

Si dovrà aspettare l’epoca degli omyiadi (661-750) affinché quell’istituzione veda la luce.

Ma prima di quell’epoca erano successe numerose vicende storiche note nella tradizione islamica col nome di «Fitnà» (la grande discordia), una guerra civile che aveva diviso la società musulmana in due fazioni, e che aveva come oggetto principale il potere politico.

Ciò che ci riguarda è il significato politico di quegli avvenimenti.

Si può dire che le vicende della discordia erano l’espressione o il segno di un vuoto costituzionale[9] nel potere politico.

Le manifestazioni di questo vuoto sono:

- La mancanza di una tradizione nel designare un califfo (non c’era una maniera precisa).

- L’assenza di una legge che determina la durata del mandato del califfo.

- L’ambiguità delle competenze del califfo[10].

 

 

3. L’istituzione politica ommyadi all’epoca dei ommyadi.

 

L’arrivo del primo califfo ommyadio «MÌuawia» (551-680) al potere è stato il segno della fine di un’epoca e l’inizio di un’altra.

Se lo stato è un fenomeno politico, il potere di MÌuawia è stato veramente il fenomeno politico nella storia antica dell’Islam. Egli è stato il primo capo musulmano che ha creato effettivamente un «clima politico».

Così cominciava ad apparire nella società musulmana «il dominio politico»[11] dove la politica si praticava in sé, senza determinazione della religione.

Questo cambiamento si manifestava sulla struttura della società e dello stato.

Un Ulema malikito[12] ha riassunto questo trasferimento quando diceva:

«Prima (cioè prima degli ommyadi) i capi politici erano anche sapienti, mentre la popolazione era l’esercito. Poi le cose sono cambiate: i capi politici sono divenuti una categoria a parte, mentre i sapienti costituiscono un’altra categoria; era la stessa cosa anche per la popolazione e l’esercito che sono divenuti due categorie separate».

Era il trasferimento di un’epoca, in cui l’istituzione politica era legata all’istituzione religiosa, ad un’altra epoca in cui il califfo era divenuto un uomo puramente politico, separato dai «religiosi», così cominciava un periodo dell’evoluzione storica dell’istituzione politica islamica di cui la legittimità non si basava più sulle considerazioni religiose ma soltanto sui principi della forza e della competenza politica e niente altro[13].

Si capisce dunque perché è difficile parlare di «stato islamico» ma piuttosto dello stato nella storia islamica, e di conseguenza sarebbe difficile parlare di un modello statico dell’istituzione politica nell’Islam.

 

 



 

[1] (Muhammad al –Abed) djàbri, al-aql as-siàssi al-àràbi, Casablanca 1991, p. 91.

 

[2] (Abu Muhammàd) IBN HISCHEM, as-sirà an-nabawià, I, CAIRO 1955, p. 501.

 

[3] M.J. AT-Tabari, Tàrih al umam wa al- muluk III, 2e ed., Beyrout 1987, p. 241.

 

[4] M.J. AT-TABARI, op. cit., p. 232.

 

[5] M.A. Djàbri, al àql as – siassi, p. 132.

 

[6] M.A. djàbri, op. cit., p. 370; H. DJAÏT, al fitna, Beyrout 1992, p. 37.

 

[7] M.A. djàbri, loc. cit.

 

[8] M.J. At-Tabari, II, Tarih al umam wal- muluk, p. 570.

 

[9] Djàbri, op. cit., p. 368.

 

[10] M.A. djàbri, op. cit., p. 369.

 

[11] B. Badie, Les deux états: Pouvoir et société en terre de l’Islam, Paris1986, p. 18.

 

[12] Quello erudito si chiamava: Ibn Aràbi al Andaloussi, in: Abù Abdellah ibn lazràk, badaiÌu as - silk fi tabai Ì al – mulk, I, Bagdad 1971, p. 391.

 

[13] H. Djait, al fitnà, p. 324.