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1318850340078LA COMBINAZIONE DOLO-COLPA NELLA PRETERINTENZIONE: CONTRO IL REGRESSO AL DOLUS INDIRECTUS

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GIAN PAOLO DEMURO

Università di Sassari

Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza

 

 

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Ricorsi storici: la nascita della preterintenzione. – 3. Il dibattito attuale sulla preterintenzione. – 3.1. La preterintenzione come dolo più responsabilità oggettiva. – 3.2. La preterintenzione come dolo indiretto (o dolo rafforzato). – 3.3. La preterintenzione come abbinamento dolo-colpa: in particolare il contenuto della colpa. – 4. Una soluzione comune anche per i delitti aggravati dall'evento. – 5. La combinazione dolo-colpa: un modello generalizzabile?.Abstract.

 

 

1. – Premessa

 

Dolo e colpa, le due forme di imputazione soggettiva previste nel nostro codice penale, contrassegnano come tali (dolose o colpose) le fattispecie in cui sono inserite, in via ordinaria per il dolo e invece con necessità di richiamo espresso per la colpa (art. 42 comma 2 c.p.). Sono sempre più frequenti però forme di convivenza tra le due forme di atteggiamento psicologico nell'ambito della stessa fattispecie, con riferimento a elementi diversi di essa. In altri ordinamenti ai problemi di imputazione soggettiva mista è stata data risposta o con la creazione di un tertium genus di figure soggettive autonome come la Recklessness nel sistema anglosassone o la Mise en danger délibérée in quello francese ovvero con la soluzione, la più vicina al nostro sistema, delle Vorsatz-Fahrlässigkeit-Kombinationen: il § 111.2 dello StGB tedesco riconosce espressamente questo modello di combinazione quando afferma che si considera doloso (agli effetti di tentativo, concorso di persone, commisurazione della pena) il fatto dei delitti dove sia richiesto il dolo rispetto alla condotta, ma basti la colpa rispetto alle conseguenze[1].

L'idea preferita del Codice del 1930 era che la forma di accompagnamento al dolo fosse la responsabilità oggettiva: oggi la combinazione con la colpa avviene sul piano normativo (in tema di circostanze aggravanti, di aberratio delicti e di ignoranza dell'età della persona offesa nei reati sessuali), applicativo (nonostante l’art. 42 comma 4 c.p. preveda che le contravvenzioni possano essere commesse sia con dolo che per colpa, la giurisprudenza procede a imputazioni miste per elementi differenti all’interno della stessa fattispecie) ed ermeneutico (in tema di preterintenzione, di delitti aggravati dall'evento, di condizioni di punibilità).

Prenderemo in considerazione tra le tante ipotesi la preterintenzione, nella quale la combinazione avviene in via interpretativa, e che rappresenta ancora il modello verso il quale sono sempre pressanti i tentativi di regresso – soprattutto da parte della giurisprudenza – verso forme (mascherate) di responsabilità oggettiva. Sarà interessante anche comprendere se dolo e colpa – imputazioni soggettive diverse per contenuto psicologico, rimproverabilità e stigma – mantengano in questa combinazione i loro tratti essenziali o tale vicinanza condizioni in qualche modo le rispettive caratteristiche.

 

 

2. – Ricorsi storici: la nascita della preterintenzione

 

La possibilità di combinazioni dolo-colpa nello stesso fatto concreto si affaccia nel diritto comune con i primi tentativi di superamento della doctrina Bartoli, dominante nella dottrina e nella prassi, secondo il cui precetto per l'imputazione dolosa bastava che la condotta illecita iniziale recasse in sé la tendenza all’ulteriore evento (ciò che accade sempre in presenza di atti di violenza che sfociano in conseguenze più gravi). L’essenza della teoria era cioè che – data la palese tendenza oggettiva dell’azione a realizzare l’evento – l’autore doveva (non poteva non) esserne conscio: quindi egli agiva con dolo[2]. Un dolo dunque gonfiato a dismisura per comprendervi anche la finalizzazione oggettiva della tipologia di condotta.

Gradualmente si aprirono delle crepe in questo abbinamento (quasi immedesimazione) dolo – responsabilità oggettiva. Una smentita dell'impostazione dominante arrivò in un caso citato dalle fonti: un tale aveva dato incarico di «dare una lezione» a un suo rivale, vietando però espressamente di ucciderlo; era invece sopravvenuta la morte. Stando alla dottrina di Bartolo il mandante avrebbe dovuto rispondere di omicidio doloso: come diceva Baldo degli Ubaldi, «ac si mandasset homicidium fieri». Filippo Decio, altro grande giurista, ribatteva: «quantum ad homicidium secutum, fuit in culpa e non in dolo», mancando infatti l’«animus committendi homicidium, quia limitata fuit voluntas in vulneribus»; che poi l’atto di ferire possa sfociare nella morte, è circostanza utile per diagnosticare la colpa non il dolo. Dunque chi, come Bartolomeo Cipolla, seguiva alla lettera Bartolo confondeva il dolo con la colpa. Sempre Cipolla poneva una distinzione tra i casi in cui il contesto iniziale è lecito e quelli dall’origine illeciti: secondo invece Filippo Decio, questa distinzione era priva di senso. Non importa infatti che l’atto sia in origine contrassegnato dal dolo (e sia illecito): rispetto all’evento non voluto, un fatto per sua natura colposo resta tale sia che la condotta base sia lecita che illecita[3].

Le prime critiche alla doctrina Bartoli – di comune applicazione – non furono solo di Filippo Decio. Nello stesso periodo, Ippolito Marsili, altro influente autore, poneva l’accento sulla voluntas e sul propositum quali elementi necessari per la responsabilità dolosa; e dunque quando alcune persone aggrediscono taluno senza “animus occidendi” ma “animo et intentione bastonandi”, e l’aggredito muore, “isti interfectores de occiso non tenetur, sed aliter mitius puniuntur, cum ultra propositum delinquerint”. Dunque la pena ordinaria era da limitare ai fatti commessi con il corrispondente animus; una pena più mite era invece da infliggere per i fatti commessi ultra propositum[4]. Si completa così l'evoluzione: la combinazione dolo-colpa non serve solo a limitare la responsabilità dolosa ma giustifica attraverso questa distinzione sanzionatoria la nascita di una nuova figura (ultra propositum), quello che oggi è il delitto preterintenzionale («oltre l'intenzione» nell'art. 43 comma 1 n. 2 c.p.).

 

 

3. – Il dibattito attuale sulla preterintenzione

 

In via interpretativa la combinazione dovrebbe crearsi nelle fattispecie originariamente pensate dal legislatore come combinazioni dolo-responsabilità oggettiva, in particolare dunque nella preterintenzione e nei delitti aggravati dall’evento.

Il dibattito odierno sulla preterintenzione sembra riprodurre gli schemi del passato.

Sono diversi gli spunti ermeneutici che possono portare al superamento dell'originaria impostazione legislativa che abbina il dolo del delitto base con la responsabilità oggettiva. Sul piano dell'interpretazione sistematica la teoria della combinazione dolo-colpa (meglio questa formula che quella consueta del dolo misto a colpa, la quale potrebbe far pensare che dolo e colpa si mescolino anziché accompagnarsi) sarebbe in grado di spiegare la preterintenzione come forma intermedia nell'elenco dell'art. 43, intitolato all'elemento psicologico del reato. Ma, sempre sul piano sistematico, è l'interpretazione orientata alla Costituzione che – con il principio di colpevolezza e il necessario rimprovero almeno di colpa all'autore - indirizza verso la combinazione dolo-colpa[5]. Così, nel solco delle sentenze della Corte Costituzionale 364/88 e 1085/88 si inseriscono pronunce come quella che afferma maggiormente coerente con il principio di colpevolezza «l'orientamento dottrinale e giurisprudenziale secondo il quale l'elemento psicologico del delitto preterintenzionale deve essere ravvisato nel dolo misto a colpa, riferito il primo al reato meno grave e la seconda all'evento più grave in concreto realizzatosi», e richiede, ai fini dell'imputazione, la verifica di volta in volta della «concreta prevedibilità dell'evento maggiore»[6]. L'interpretazione secondo il principio della responsabilità per fatto proprio colpevole trova conforto anche in quanto avvenuto per la fattispecie di cui all'art. 586 c.p., per la quale egualmente si pone il problema dell'imputazione dell'evento più grave causalmente collegato alla condotta illecita dell'autore: qui a sezioni unite la Suprema Corte ha chiarito che «l'unica interpretazione conforme al principio costituzionale di colpevolezza è quella che richiede, anche nella fattispecie di cui all'art. 586 c.p., una responsabilità per colpa in concreto»[7].

D'altro canto però l'imputazione oggettiva è più severa dal punto di vista politico-criminale e di maggiore facilità probatoria, e dunque le resistenze giurisprudenziali non mancano e anzi si affinano. Accanto a (più o meno) espresse affermazioni della struttura della preterintenzione come affiancamento in unica fattispecie di dolo e responsabilità oggettiva, bastando accollare l'evento più grave all'agente sulla base del solo nesso di causalità[8], vi sono altre pronunce nelle quali si preferisce piuttosto caricare il dolo del delitto base di una innata carica pericolosa (o addirittura finalistica) e concentrare su questo il rimprovero. Così, ad avviso anche recente di una parte della giurisprudenza di legittimità, l'elemento soggettivo del delitto preterintenzionale è costituito «non già da dolo e responsabilità oggettiva, né da dolo misto a colpa», ma «unicamente dalla volontà di infliggere percosse o lesioni», giacché «la disposizione dell'art. 43 assorbe la prevedibilità di un evento più grave nell'intenzione di risultato, per il quale i parametri di negligenza, imprudenza o imperizia, men che d'inosservanza di norme sono assolutamente irrilevanti». In particolare, secondo tale tesi «la prevedibilità» non assurgerebbe «a carattere distinto dell'omicidio preterintenzionale» perché «il rischio di evento omogeneo più grave è insito nel danno o pericolo che si arreca alla persona fisica. E nel sistema l'interesse primario, che accomuna i beni essenziali della persona, è complessivamente tutelato in ragione dell'idea (categoria) di inevitabilità dell'evento più grave, conseguente al processo naturale attivato con la condotta umana». Insomma: «La prevedibilità dell'evento più grave è in caso di delitto preterintenzionale categoria irrilevante per la struttura dell'elemento psicologico, assorbita nel dolo di percosse o lesioni»[9].

Questa impostazione, che potremmo definire di "dolo rinforzato" (o come vedremo, in continuità storica, "dolo indiretto"), non si ritiene indebolita ma trova addirittura elementi di conferma almeno nella prospettiva di queste sentenze in quanto enunciato nella sentenza Ronci, date le «notevoli differenze» che si ritiene intercorrano tra le due ipotesi, «perché nella ipotesi dell'omicidio preterintenzionale l'agente intende conseguire un evento lesioni o percosse del tutto omogeneo a quello più grave in concreto verificatosi» e, dunque, solo in quest'ultimo caso «il rischio di evento omogeneo più grave è insito nel danno o pericolo che si arreca alla persona fisica», «essendo assolutamente probabile [...] che da una azione violenta contro una persona possa derivare la morte della stessa»[10].

Anche se esistono sfumature per ognuno di essi, possiamo dunque individuare tre filoni interpretativi nella individuazione della struttura della preterintenzione: a) la preterintenzione come dolo più responsabilità oggettiva; b) la preterintenzione come dolo indiretto (o rafforzato); c) la preterintenzione come abbinamento dolo-colpa.

 

 

3.1. – La preterintenzione come dolo più responsabilità oggettiva

 

La prima impostazione, la sequenza dolo-delitto base e responsabilità oggettiva per l'evento ulteriore, è in un certo senso la più "pura". Nell'omicidio preterintenzionale il dolo di percosse e lesioni ha come oggetto il fatto tipico degli articoli 581 e 582 senza essere contaminato dall'evento ulteriore, la cui imputazione avviene sul piano meramente oggettivo del nesso causale tra gli atti diretti a percuotere o ledere e la morte di un uomo. Ha il pregio della chiarezza, anche nell'esporsi alla critica della violazione del principio di colpevolezza. Secondo uno schema consolidato, nelle sentenze rientranti in questa impostazione si afferma che l'elemento soggettivo della preterintenzione è costituito unicamente dalla volontà – anche nella forma del dolo eventuale[11] – di infliggere percosse o provocare lesioni, collegando l'aggravamento di pena proprio dell'art. 584 c.p. unicamente alla «condizione che la morte dell'aggredito sia causalmente conseguente alla condotta dell'agente», o, detto altrimenti, fermo il dolo della prima fase, è sufficiente sussista un «rapporto di causa ed effetto» tra gli atti diretti a percuotere o ledere e l'evento morte [12]. E in passato si era stati anche più risoluti nell'affermare il carattere oggettivo dell'evento più grave, affermando che per esso si prescinde da ogni indagine di volontarietà, colpa o prevedibilità, e concludendo dunque che la preterintenzione è «pur sempre un reato doloso in cui si introduce una componente fortuita»[13]. Infine quasi a suggello di questa impostazione rimane la vecchia massima per la quale la responsabilità oggettiva non è certo un istituto estraneo al nostro codice penale, posto che essa è prevista («La legge determina i casi nei quali l'evento è posto altrimenti a carico dell'agente, come conseguenza della sua azione od omissione») nel terzo comma dell'art. 42 dopo l'enunciazione della responsabilità per dolo, colpa o preterintenzione[14]. Le più recenti sentenze appartenenti a questo indirizzo – tra le quali quelle prima citate – insistono però molto sulla carica di violenza che sarebbe propria degli atti diretti a percuotere o ledere[15], preparando così quell'ampliamento del dolo espresso nella teoria (che definiamo) del dolo indiretto.

Appartiene poi sempre a questo indirizzo (o al limite al seguente) l'abbinamento del dolo con la c.d. colpa per inosservanza di legge: l'evento più grave non voluto conseguirebbe alla violazione della norma penale che vieta l'azione dolosa diretta a commettere il reato meno grave[16]. In una pronuncia del 1989 – dunque appena dopo le sentenze della Corte costituzionale 364 e 1085 sul principio di colpevolezza – di fronte all'opinione del giudice di merito che richiedeva un quid pluris dal punto di vista soggettivo rispetto al dolo del delitto base (e dunque un effettivo comportamento colposo), la suprema Corte invece afferma che «l'elemento soggettivo (colpa) va ricercato nell'aver disatteso il precetto di non porre in essere atti diretti a percuotere o ledere», giacché sta proprio nella legge – la cui ratio sta nel porre una difesa avanzata al bene della vita dei consociati – la valutazione intorno alla prevedibilità dell'evento. Si tratterebbe cioè di una sorta di prevedibilità in re ipsa e "naturalistica", considerando che «non raramente da atti diretti a ledere (percosse lesioni) possa, naturalisticamente (ancorché involontariamente) sopravvenire la morte del soggetto passivo, data la delicatezza degli equilibri biologici e la condizione di generica (difficilmente) ottimale normalità nel funzionamento degli organismi viventi»[17]. La sentenza, e in generale questa impostazione, confonde le norme repressive con quelle cautelari, le sole che possono dar luogo a rimprovero per colpa, ma al di là della sua palese inaccettabilità contiene comunque il riferimento alla carica di pericolosità naturalistica del fatto base utilizzato anche nella ulteriore teoria che stiamo per descrivere.

La teoria del dolo seguito da responsabilità oggettiva è logicamente la più debole sul versante psicologico: ci si accontenta addirittura di un dolo eventuale riferito a un fatto che può anche semplicemente rivestire gli estremi del tentativo (o anche meno!), bastando che esso sia comunque in grado di innescare il meccanismo causale che poi porta alla realizzazione dell'evento ulteriore e più grave.

 

 

3.2. – La preterintenzione come dolo indiretto (o dolo rafforzato)

 

La seconda teoria, quella che rafforza il dolo del delitto base, in una delle sue più chiare enunciazioni, sostiene che l'elemento soggettivo nella preterintenzione è costituito, non già da dolo e responsabilità oggettiva, né da dolo misto a colpa, ma unicamente dal dolo di percosse e lesioni, «in quanto la disposizione di cui all'art. 43 assorbe la prevedibilità di evento più grave nell'intenzione di risultato»[18]. Si tratta, come vedremo, di un raffinamento della impostazione precedente, presente in diverse sentenze, forse le più recenti, che appunto caricano il fatto tipico oggetto del dolo di una intrinseca carica offensiva nei confronti dell'evento più grave, così da non citare espressamente la responsabilità oggettiva e offrendo una parvenza di rispetto del principio di colpevolezza.

Questa teoria potrebbe essere definita del dolo indiretto, visto che, senza infingimenti, riecheggia il dolus indirectus di Carpzov (ispirato a sua volta dalla doctrina Bartoli), recentemente rivalutato da settori della dottrina tedesca. Il dolus indirectus copriva le conseguenze che derivano abitualmente da una determinata azione, equiparando dunque al dolo di omicidio il dolo di lesioni, sulla base della considerazione che la ferita potrebbe portare immediate et per se (per potenzialità intrinseca) alla morte[19]. Così come nella versione di oggi, la ratio dell'istituto sta in esigenze politico-criminali e probatorie: impedire al reo di potere eccepire, dopo l’avvenuta morte, che egli aveva voluto solo ferire la vittima, giacché «verisimiliter aut cogitavit vel cogitare potuit, aut saltem (almeno) cogitare debebat». Il dolo dunque abbraccia (indirettamente) non solo gli effetti considerati, ma anche, trattandosi di un fatto illecito e con intrinseca potenzialità lesiva ulteriore, quelli non considerati ma che avrebbero potuto o (almeno) dovuto essere presi in considerazione[20]. L'unica differenza è che in Carpzov il dolus indirectus riceveva la stessa sanzione (poena ordinaria) dell'omicidio volontario, era una forma di dolo, invece nella versione vagheggiata (inconsapevolmente) da queste sentenze comporta il passaggio a un diverso tipo di elemento psicologico, la preterintenzione, meno gravemente sanzionato (si pensi alla differenza di pena tra omicidio volontario e omicidio preterintenzionale, artt. 575 e 584 c.p.).

Lo schema mentale proprio della teoria del dolus indirectus è dunque tutt'altro che superato. Non solo, come appena visto, esso alberga in chi oggettivizza il momento volitivo nel c.d. pericolo del dolo (Vorsatzgefahr), creato dall’autore nei confronti del bene giuridico[21], ma esso porta a rimodulare (rivalutandola) la vecchia Gleichgültigkeitstheorie (teoria dell'indifferenza, originariamente risalente a Engisch): il dolus indirectus – si afferma – non è responsabilità oggettiva, perché aggredendo pesantemente l'integrità fisica della vittima l'autore mostra "indifferenza" per la conseguenza mortale, e questa indifferenza è un atteggiamento soggettivo che è ancora dolo[22]. La critica, per ieri e per oggi, è facile e immediata: ritenere provata l’effettiva previsione da parte dell’agente sulla base della rappresentazione potenziale, cioè di quanto è normalmente prevedibile, significa distruggere lo spartiacque tra dolo e colpa e accettare una oggettivizzazione del concetto di dolo[23].

È vero, d'altro canto, che nell'impostazione giurisprudenziale accennata lo schema del dolus indirectus è usato non per descrivere il dolo ma una figura diversa che è la preterintenzione, ma la critica rimane, per due motivi: innanzitutto perché è la «volontà di infliggere percosse e lesioni», e dunque il dolo di queste fattispecie, a rappresentare il nucleo della preterintenzione; e poi perché una preterintenzione così rimodellata è indistinguibile dal dolo eventuale. La giurisprudenza si sofferma ripetutamente sulla distinzione tra omicidio volontario e omicidio preterintenzionale, ravvisandola nel diverso elemento psicologico, una volta sul piano della previsione effettiva nel primo e della mera prevedibilità nel secondo, più spesso sul piano volitivo, richiedendo nell'ipotesi dell'art. 584 una volontà diretta a percuotere o ledere, con esclusione assoluta di ogni previsione dell'evento morte, nella fattispecie dell'art. 575 il c.d. animus necandi «ossia il dolo intenzionale, nelle gradazioni del dolo diretto o eventuale»: a parte la discutibile sistemazione delle forme del dolo (quasi che il dolo intenzionale sia il genus e dolo diretto ed eventuale le species e non invece tre diverse gradazioni), in questa e in altre pronunce l'accento è posto correttamente sugli indicatori, cioè su elementi oggettivi desunti dalle concrete modalità della condotta (per esempio, nel caso di armi, «i mezzi usati, la direzione e l'intensità dei colpi, la distanza dal bersaglio, la parte del corpo attinta, la situazione di tempo e di luogo che favoriscano l'azione cruenta»)[24].

Anche con queste precisazioni rimane il dubbio su come sia possibile distinguere tra dolo eventuale e preterintenzione quando il fatto base – oggetto del dolo – sia descritto come dotato di una innata carica pericolosa, di rischio per la vita stessa, e il dolo eventuale venga usato nella sua abituale accezione giurisprudenziale di accettazione del rischio. Procedere all’accertamento del dolo eventuale utilizzando la logica della progressione omogenea di offesa usata nei delitti contro la persona rischia di rendere indefinibili i confini con la preterintenzione, con la quale, infatti, il dolo eventuale per secoli ha vissuto più o meno indifferenziato sotto tetti comuni variamente nominati. Ascrivendo cioè all’agente, a titolo di dolo, tutte le conseguenze che egli si sia prospettato, anche solo in termini di possibilità, si leverebbe spazio applicativo al delitto preterintenzionale, che sussisterebbe solo quando l’esito non sia in alcun modo prevedibile dal responsabile ma solo sulla base del parametro della miglior scienza ed esperienza, parametro causale che riporterebbe la preterintenzione all’alveo della responsabilità oggettiva.

Si pensi a una recente pronuncia nel filone del dolo indiretto, la quale, dopo aver affermato che l'elemento soggettivo dell'omicidio preterintenzionale è costituito unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione dell'art. 43 «assorbe la prevedibilità di evento più grave nell'intenzione di risultato», sostiene che: «la valutazione relativa alla prevedibilità dell'evento … è nella stessa legge, essendo assolutamente probabile che da un'azione violenta contro una persona possa derivare la morte della stessa»[25]. In un'altra significativa sentenza, il limite si confonde ancora di più: dopo l'assunto che nell'omicidio preterintenzionale l'evento più grave deve costituire il prodotto della specifica situazione di pericolo generata dal reo con la condotta intenzionale volta a ledere o percuotere una persona, si pone come unico limite che l'evento appartenga all'area di rischio attivato con la condotta iniziale[26]. Di fronte a un fatto concreto connotato dalla "prevedibilità" e dalla "assoluta probabilità" dell'evento o comunque da un'area di rischio, come accertare la mancanza di accettazione del rischio e dunque la sola preterintenzione?

Considerata la difficoltà di distinguere sul piano oggettivo saranno qui forse decisivi (in negativo) indicatori soggettivi del dolo, quelli che la giurisprudenza ha definito come «riconducibili all’autore del fatto, come, ad esempio, la causale del delitto, l’indole del reo, le manifestazioni dell’animo», da prendere in considerazione, appunto, «solo quando gli elementi oggettivi non consentano deduzioni univoche»[27].

 

 

3.3. – La preterintenzione come abbinamento dolo-colpa: in particolare il contenuto della colpa

 

La teoria della combinazione dolo-colpa, che pure trova argomenti letterali e sistematici (es. l'art. 43 ricomprende la preterintenzione tra le forme di «elemento psicologico del delitto»[28]), deve la sua affermazione alla fedeltà al principio costituzionale di colpevolezza (per fatto proprio colpevole, secondo l'interpretazione dell'art. 27 comma 1 Cost. che parte dalle sentenze 364 e 1085 del 1988)[29]. In questa teoria il dolo mantiene la sua struttura tipica: il dubbio è se altrettanto valga per la colpa. È stata posta una contestazione di principio: non potrebbe esserci colpa, o comunque non sarebbe vera colpa, perché l'agente dovrebbe essere destinatario, a un tempo, del divieto di tenere la condotta delittuosa e dell'obbligo di porla in essere con prudenza e diligenza; sarebbe cioè precluso (impensabile) in sede di accertamento della colpa fare ricorso alla figura di un agente modello in attività illecita[30]. Pertanto non sarebbe ammissibile parlare di violazione di regole cautelari in ipotesi di agire illecito di base, e l’unica regola di condotta ipotizzabile sarebbe l’astensione. Alla negazione assoluta della combinazione dolo-colpa si preferisce però una posizione più cauta, per la quale cioè il principio di colpevolezza è soddisfatto con il solo giudizio della prevedibilità in concreto[31].

Appare però dominante l'impostazione secondo la quale non solo la combinazione dolo-colpa è ammissibile, ma in essa il secondo elemento della combinazione è vera e propria colpa, la stessa cioè che si innesta nelle ordinarie attività lecite. Che la colpa possa operare come criterio di imputazione anche in attività illecite è poi dimostrato inequivocabilmente dalla nuova disciplina legislativa dell’imputazione delle circostanze aggravanti: il nuovo art. 59 comma 2 c.p. richiede infatti tra l’altro che le circostanze aggravanti «siano ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa»; e questa colpa si innesta, appunto, su un fatto che già costituisce reato. E alla colpa in attività illecita pensa infine la stessa Corte costituzionale nella sentenza 1085/88 quando mette in risalto che «dal primo comma dell’art. 27 Cost. … risulta indispensabile … il collegamento (almeno nella forma della colpa) tra soggetto agente e fatto»: il che vale, naturalmente, per i casi in cui il problema del rispetto del principio di colpevolezza si pone, cioè per l’imputazione dell’evento, ulteriore o diverso, non voluto in un contesto di base illecito[32]. Ora questi argomenti trovano espressa conferma nella già citata pronuncia della Cassazione a sezioni unite[33]: in essa si sostiene infatti – con affermazioni di principio che vanno oltre l’oggetto specifico della sentenza, cioè l’art. 586 c.p.[34] – in continuità logica con la sentenza 1085/88 e con l’intervento legislativo sull’art. 59 comma 2 c.p., che «si deve ammettere la possibilità di concepire e praticare una colpa in attività illecite, la quale non è solo riconosciuta esplicitamente in molti ordinamenti positivi (che imputano per colpa l’evento non voluto, aggravante o qualificante, derivante dalla commissione di un delitto doloso), ma è anche ammessa da tempo dalla gran parte della dottrina italiana, che ha evidenziato come le norme cautelari di condotta valgano tanto per chi agisce legittimamente quanto per chi opera illegittimamente». Infine le Sezioni Unite precisano che la colpa in attività illecite è la “normale” colpa, in quanto «anche in ambito illecito … occorre pur sempre che il fatto costitutivo del reato colposo sia una conseguenza in concreto prevedibile ed evitabile dell’inosservanza di una regola cautelare».

Anche dopo questa forte affermazione di principio rimane dubbio che davvero il modello colposo in attività illecita sia identico a quello delle attività lecite: nulla vieta di pensare alla colpa in attività illecita come un qualcosa di diverso da quella in attività lecita, considerato che il codice penale nella definizione della colpa lascia ampi margini di apprezzamento così come per il dolo, ed è forse più complicato ridurre tale tipologia di colpa negli schemi di quella in attività lecita piuttosto che affermarne qualche scostamento sempre comunque compatibile con la definizione dell'art. 43.

Questa osservazione di base si arricchisce poi in dottrina di ulteriori considerazioni. Innanzitutto la teoria generale della colpa si riferisce a fattispecie semplici interamente colpose (omicidio colposo, incendio colposo, ecc.), mentre qui siamo in presenza di fattispecie composte di un fatto principale (generalmente doloso) e di un evento ulteriore appunto colposo[35]. Il dubbio sull'identità dalla struttura si trasferisce al contenuto: premesso che tutto dipende logicamente da come viene inteso il concetto base (quello in contesto lecito), si osserva che la figura dell'homo eiusdem professionis et condicionis, il concetto cioè di agente modello tipico del normale illecito colposo[36], viene sostituito da una tipologia, giudicata più generica e scarna, quale quella dell'uomo razionale idealmente collocato nella medesima posizione dell'agente concreto[37]. Ciò potrebbe dipendere dal disagio nel configurare un modello di agente impegnato nel compimento di un'attività illecita[38], anche se – d'altro canto – poco cambia con l'idea dell'uomo razionale, a maggior ragione pensando ai molteplici casi pratici in cui il dolo del delitto base (nella preterintenzione) è solitamente nella forma d'impeto.

Comunque sia, spostato il centro dell'attenzione dal modello alla figura di uomo razionale, tutto dipende dai contorni assegnati a tale razionalità: cioè fino a che punto ci si spingerà nel ritagliare poi la figura dell'uomo razionale sul singolo agente, potendosi giudicare la razionalità sulla base di una prevedibilità oggettiva (rischi evidenti) e dunque di una razionalità media, oppure potendo essere rapportata tale razionalità non solo a rischi evidenti ma anche a quelli che lo sono meno, suscettibili tuttavia di rientrare nella prevedibilità soggettiva dell'agente in concreto. Il rispetto del principio di colpevolezza – da cui è mossa la ricostruzione della preterintenzione in termini di combinazione dolo-colpa – impone per coerenza di personalizzare al grado massimo il rimprovero e dunque ritagliare sul singolo agente il giudizio di prevedibilità, da svolgere pertanto strettamente in concreto.

Da altra parte della dottrina si sostiene invece che la colpa in attività illecita abbia la medesima fisionomia e vada accertata col medesimo procedimento (parametro dell'agente modello) della colpa presente nei "normali" reati colposi[39]. Per ricostruire (in estrema sintesi) il parametro dell'omologo agente ideale dovrebbe pertanto seguirsi il seguente procedimento: a) prendere le mosse dall'agente concreto; b) individuare in tale agente le note distintive che fungano da indici di selezione del circolo di rapporti che nella situazione concreta risulta più prossimo all'agente concreto; c) pensare all'interno di tale circolo l'agente ideale: un soggetto ragionevole, coscienzioso, avveduto espressione di quel circolo. Nella più completa analisi sul tema, si portano numerosi esempi a sostegno della tesi per la quale la connotazione di illiceità della condotta di base dell'agente reale (es. lesioni personali) non esercita influenza né sulla individuazione del circolo di rapporti a egli più prossimo, né conseguentemente sull'individuazione dell'agente ideale esponente di quel circolo[40].

I tratti tendenziali della colpa quando si combina col dolo possono essere così immaginati.

Anche quando la colpa si innesta in un fatto illecito (doloso) il criterio di individuazione della regola cautelare è dato dalla prevedibilità dell'evento e dei tratti essenziali del rapporto causale, e il giudizio sulla violazione di essa andrà largamente personalizzato e concretizzato sull'autore. La fonte della regola è di origine sociale e assume verosimilmente la qualifica di "imprudenza", di trasgressione cioè di una regola di condotta che da cui discende l'obbligo di non realizzare una determinata azione (oppure di compierla con modalità diverse da quelle tenute). Scendendo poi nei dettagli della condotta, il carattere colposo sarà dato fondamentalmente dal mancato riconoscimento del pericolo, essendo più difficilmente immaginabile che esso possa consistere nella mancata neutralizzazione o riduzione del pericolo riconosciuto. In una delle rarissime pronunce che vanno al di là della mera affermazione di principio della combinazione dolo-colpa, e che dunque descrive seppur sinteticamente il contenuto effettivo della colpa che segue il dolo, si afferma espressamente che l'evento più grave in concreto realizzato deriva da una «mancanza di attenzione nell'attività esecutiva del reato»[41]. Più problematico il nesso tra colpa ed evento, la cosiddetta causalità della colpa, sempre necessaria nel delitto preterintenzionale (e nei delitti aggravati dall'evento) proprio per la sua (loro) struttura di reato(i) di evento: deve cioè esserci un nesso causale tra imprudenza ed evento tipico analogo a quello della causalità tra condotta ed evento[42]; e pur essendo sul piano logico le due relazioni identiche, esse devono costituire oggetto di due accertamenti distinti, per evitare una responsabilità oggettiva occulta, magari anche nella forma della colpa per inosservanza di leggi. Il rapporto tra colpa ed evento arriva dopo il nesso di condizionamento tra azione ed evento e ordinariamente richiede – perché possa dirsi esistente – la prova di tre passaggi[43]: a) della violazione di una o più regolari cautelari (valide nel circolo dei rapporti o delle professioni cui appartiene o in cui si è inserito l'imputato); b) che la norma cautelare violata mirava a prevenire una serie di eventi tra i quali rientra quello effettivamente verificatosi; c) che l'adozione della regola cautelare inosservata avrebbe evitato l'evento sulla base di una valutazione dotata di alta credibilità razionale: tale credibilità dipenderà dal grado di capacità impeditiva della regola cautelare violata e da quanto sarà possibile escludere nel caso concreto la presenza di fattori aggiuntivi. Quest'ultima valutazione si basa nella giurisprudenza non tanto e non solo su leggi scientifiche, quanto piuttosto su regole di esperienza generalizzate tratte spesso dal senso comune[44]. Ed è proprio il criterio dell'evitabilità a sembrare difficile da inquadrare (e forse anche da pensare) nel caso di colpa su base illecita, posto che, a rigore, l'evento ulteriore è evitabile in re ipsa mediante l'astensione dalla condotta integrante il fatto base illecito; senza dimenticare poi la genesi del criterio dell'evitabilità, nato con funzione integratrice e correttiva di quello della prevedibilità, con esclusivo riguardo al settore delle attività intrinsecamente rischiose ma autorizzate dall'ordinamento[45].

Possiamo dunque concludere che nella combinazione dolo-colpa propria del delitto preterintenzionale – almeno secondo la stretta interpretazione del principio di colpevolezza – il ruolo di protagonista spetta al criterio della prevedibilità: la base del giudizio è quanto più possibile concreta, costituita dalle circostanze della situazione reale conoscibili e correttamente valutabili da un soggetto modello (homo eiusdem professionis et condicionis o uomo razionale) calato nelle condizioni di tempo e di luogo in cui opera il soggetto reale[46]. In sintesi, nel delitto preterintenzionale si risponde solo se un uomo ragionevole poteva rappresentarsi l’intervento del fattore causale che ha fatto degenerare le percosse o le lesioni nella morte della vittima.

 

 

4. – Una soluzione comune anche per i delitti aggravati dall'evento

 

Lo schema (e le soluzioni) della preterintenzione si presta a essere applicato anche ai casi di delitti aggravati dall'evento, in particolare a quelli che condividono con la preterintenzione stessa la presenza di un fatto base pericoloso e la omogeneità nella progressione di lesione del bene giuridico[47]. Una soluzione, questa dell'ampliamento della categoria del delitto preterintenzionale, basata sulla analogia di struttura, ma che consente anche di dare un senso alla preterintenzione come categoria generale, di solito invece immiserita, inverosimilmente, nella unica ipotesi dell'omicidio preterintenzionale (art. 584)[48].

I delitti aggravati dall'evento sono il prototipo storico del versari in re illicita.

La teoria del “versari in re illicita” deriva dal diritto canonico (disciplinare e penale)[49] e sorge per la valutazione dei fatti di omicidio, trovando la sua più chiara espressione tra il dodicesimo e il tredicesimo secolo[50]. Secondo questa teoria, per il giudizio di colpevolezza innanzitutto si accerta se la morte sia conseguenza di una condotta non consentita: se si risponde affermativamente (dat operam rei illicitae) il soggetto agente dovrebbe risponderne; se si risponde negativamente (dat operam rei licitae) si dovrebbe adeguatamente provare se l’autore nel compiere un atto consentito abbia usato o no la necessaria cura[51]. Dall’inizio del tredicesimo secolo, accanto al dolo e alla colpa, a costituire la base dell’imputazione del fatto è dunque necessaria, ma anche sufficiente, solamente una condotta non consentita. Tutte le conseguenze gravano sull’accusato, anche quando l’evento mortale si verifica per caso: “Versanti in re illicita (operam danti rei illicitae) imputantur omnia quae sequuntur ex delicto[52].

Ancora oggi il nostro codice penale contiene numerose ipotesi di fattispecie concepite secondo questo schema: si pensi ai delitti nei quali il verificarsi di morte o lesioni aggrava, e di molto, la pena per fatti-base già di per se pericolosi per la vita e l'integrità fisica, come p. es. l'abuso dei mezzi di correzione (art. 571), i maltrattamenti contro familiari o conviventi (art. 572), la rissa (art. 588), l'abbandono di persone minori o incapaci (art. 591), le gare di velocità con veicoli a motore in violazione dell'art. 9 ter comma 1 del codice della strada. Per tutte queste fattispecie si pone il problema della natura dell'evento aggravante: si discute infatti se esso rappresenti circostanza del reato o elemento costitutivo di un'autonoma figura di reato. La via più semplice per ricondurre l'imputazione sul piano del principio di colpevolezza è realizzare la combinazione dolo-colpa in via normativa aderendo alla tesi che ravvisa l'evento aggravante come circostanza: qui dopo la riforma del 1990 l'imputazione delle circostanze aggravanti assume i caratteri della conoscenza o conoscibilità del fatto integrante la circostanza (art. 59 comma 2)[53]; più precisamente, trattandosi di circostanze consistenti in eventi futuri, la colpa consisterà qui in rappresentazione o rappresentabilità o in previsione o prevedibilità[54]. Ma anche se la via è più complicata è preferibile realizzare la medesima combinazione in via interpretativa, seguendo i percorsi già visti per la preterintenzione, se si considera l'evento aggravante come elemento costitutivo. L'orientamento del codice del 1930 era infatti quello di inquadrare l'evento come elemento costitutivo e proprio ai delitti aggravati dall'evento deve ritenersi pensata la previsione della responsabilità oggettiva come titolo autonomo di imputazione nell'art. 42 comma 3; non va inoltre sottaciuto il rischio (seppur abbastanza teorico) derivante dal dover sottoporre l'evento circostanza aggravante al giudizio di bilanciamento[55].

In giurisprudenza non si ritrovano orientamenti univoci quanto alla natura dell'evento aggravante: in una recente sentenza si sostiene che il delitto di cui all'art. 9-ter, comma secondo, cod. strada, il quale punisce la violazione del divieto di gareggiare in velocità cui consegua la morte di una o più persone, non costituisce una circostanza aggravante della fattispecie prevista dal comma primo del citato art. 9-ter ma una fattispecie autonoma di reato nella quale l'evento morte è elemento costitutivo dell'illecito penale[56]. D'altro canto in tema di maltrattamenti in famiglia (art. 572, ora «contro familiari e conviventi»), la morte che da essa derivi viene considerata circostanza aggravante. È però significativo, in quest'ultimo caso, che sul piano dell'imputazione soggettiva si arrivi al massimo (qui possibile) di colpevolezza, a quella prevedibilità in concreto che abbiamo visto (dovrebbe) caratterizzare la colpa nella sua combinazione col dolo nella preterintenzione[57]; e ciò espressamente perché «per attribuire l'evento più grave e non voluto al soggetto agente deve necessariamente postularsi la sua colpevolezza, altrimenti si rischia di incorrere nel divieto della responsabilità oggettiva statuito dall'art. 27 Cost., commi 1 e 3»[58].

 

 

5. – La combinazione dolo-colpa: un modello generalizzabile?

 

La combinazione dolo-colpa ben si presta nella preterintenzione e nel delitti aggravati dall'evento (almeno in quelli che presentano la medesima progressione omogenea di offesa) ad arginare la responsabilità oggettiva, anche mascherata da dolus indirectus. Dobbiamo in conclusione chiederci se questo modello sia generalizzabile anche in altri campi, che non si valgono della lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale propria della preterintenzione.

Lo schema è estensibile alle ipotesi in cui da un delitto base si diparte una progressione omogenea di offesa. Così accade per la discussa figura delle condizioni di punibilità intrinseche, relative cioè a eventi che rendono attuale l’offesa al bene giuridico protetto dalla norma o ne rappresentano, appunto, una progressione: classico esempio il pericolo per la pubblica incolumità espressamente menzionato in molti delitti contro l’incolumità pubblica, come l’incendio di cosa propria (art. 423 comma 2 c.p.). Quando si prevede una tale progressione, nella prassi il dolo tenderà (spesso e inevitabilmente) a sostanziarsi nella forma eventuale dell’accettazione del rischio (e non dell’evento) e in definitiva non sarà accertato in concreto ma ritenuto in re ipsa nella conformità al tipo. La proposta di imputazione intermedia (dolo-colpa) non trova grande spazio ermeneutico nell’art. 44 c.p. (è vero che il suo dettato sembra escludere il solo dolo e non anche la colpa, ma nel titolo reca l’aggettivo “obiettiva” riferito alla condizione), ma si ricava comunque agevolmente dal punto di vista costituzionale del rispetto del principio di colpevolezza (Corte cost. 13 dicembre 1988, n. 1085), come, appunto, per la preterintenzione e per i delitti aggravati dall’evento[59].

De lege ferenda poi, ancora con riferimento ai reati di comune pericolo, quelli cioè dove la fattispecie esige, spesso espressamente, talvolta implicitamente, un pericolo che colpisce un numero indeterminato e incerto di soggetti (es. incendio inondazione, frana, crollo, avvelenamento di acque, adulterazione di sostanze alimentari, “disastri” in generale) si propone di pensare a un nuovo tipo di imputazione, nel quale rilevi oltre alla percezione (dolo di pericolo) anche la percepibilità di un pericolo per più persone, in caso di colpa grave. Si individua in questo modo un illecito “misto”, di dolo-colpa grave alternativi o affiancati, che ammette cioè la presenza o del solo dolo di pericolo o della sola colpa o ancora del dolo rispetto alle violazioni cautelari e della colpa grave rispetto al risultato di pericolo astratto-concreto[60].

La tecnica di combinazione delle due forme di imputazione soggettiva (dolo e colpa) in unica fattispecie è dunque da impiegare nelle frequenti ipotesi in cui per evitare la responsabilità oggettiva si sacrifica la struttura del dolo (tornando a figure del passato come il dolus indirectus) attraverso l’inserimento di un elemento attinente alla colpa. Più che snaturare il dolo, è preferibile descrivere questa realtà come una differente imputazione soggettiva (dolo e colpa) di elementi del medesimo fatto tipico. Ci sembra anzi da condividere l'applicazione di tale schema sul piano legislativo per singole fattispecie. Le alternative potrebbero essere in realtà due: o appunto la fattispecie unica composta per una parte di dolo e per una parte di colpa, oppure due fattispecie di cui una dolosa e l’altra colposa. Mentre questa seconda alternativa può essere solo frutto dell’intervento del legislatore, la prima si può già proporre – lo afferma la stessa Corte costituzionale nella sentenza 322/2007 con un inciso forse non abbastanza sottolineato – sul piano interpretativo in tutti i casi di elementi del fatto tipico che dovrebbero essere altrimenti imputati a titolo di responsabilità oggettiva.

La pronuncia della Corte costituzionale, appena citata, aveva riguardato l'art. 609-sexies, il quale, con il disporre che quando i delitti contro la libertà sessuale sono commessi in danno di un minore di quattordici anni «il colpevole non può invocare, a propria scusa, l’ignoranza dell’età della persona offesa», poneva una sorta di presunzione iuris et de iure di conoscenza dell’età della persona offesa[61]: ne risultavano fattispecie (quelle degli artt. 609 bis, 609 quater, 609 quinquies e 609 octies c.p.) con un dolo sostanzialmente svuotato di contenuto perché nel suo oggetto non rientrava proprio quell’elemento che permea la dimensione offensiva del fatto. La norma è stata poi riformata (con l'aggiunta dell'inciso «salvo che si tratti di ignoranza inevitabile», sul modello dell'analogo intervento sull'art. 5 c.p.) nel senso indicato dalla Corte, che già aveva tentato il recupero di una dimensione soggettiva per queste fattispecie, configurando reati puniti sì a titolo di dolo (cioè con la pena del reato doloso) ma con coefficiente psicologico variabile (dal dolo fino alla forma più lieve di colpa con riferimento all’elemento dell’età).

Su un piano generale, significativa in questa sentenza è l'affermazione secondo la quale l’inserimento della colpa in fattispecie dolose sarebbe consentito perché «il legislatore ben può ‘graduare’ il coefficiente psicologico di partecipazione dell’autore al fatto, in rapporto alla natura della fattispecie e degli interessi che debbono essere preservati», affinché la norma continui a pretendere dai consociati «un particolare ‘impegno’ nell’evitare la lesione dei valori esposti a rischio da determinate attività». In tal modo la Corte costituzionale avrebbe contemperato istanze di politica criminale e principio di colpevolezza attraverso un “dosaggio differenziato” dell’intensità dell’elemento soggettivo rispetto a ciascun elemento del fatto[62], ripetendo così la soluzione di altri ordinamenti, e soprattutto, con l’«accontentarsi dell’imputazione colposa pur nell’ambito di una fattispecie dolosa», avrebbe fornito soluzione adeguata ai casi – come quello in esame – in cui «è meno facile del solito per il soggetto conoscere con precisione un qualche presupposto del reato», poiché esso «non si manifesta nella sua caratteristica rilevante per la legge ictu oculi»[63]. Se la Corte ha cercato di salvaguardare il principio di colpevolezza, non ha potuto però preservare il principio di proporzione tra gravità del reato e misura della sanzione, con il rischio di sanzionare con una pena pensata per un delitto doloso un fatto che per la sua parte essenziale può risultare rimproverabile all’agente a titolo di colpa. La sproporzione può risultare in concreto sopportabile quando si sia in presenza di colpa grave. Quando così non sia, non rimane che “sperare” che la cornice di pena preveda un’escursione tale tra minimo e massimo da consentire di adeguare – seppur sempre solo parzialmente – la sanzione al fatto concretamente commesso con colpa (non grave), eventualmente anche con l’impiego dell’attenuante speciale per i «casi di minore gravità» dell’art. 609 quater comma 4 c.p.[64].

Insomma, sul piano costituzionale, il modello dolo-colpa adottato in via ermeneutica consente il rispetto del principio di colpevolezza, ma presenta ancora problemi di compatibilità con quello di proporzione[65]. Una sproporzione irragionevole tra misura della pena e grado della colpevolezza si ritiene infatti esistente anche nell'omicidio preterintenzionale e nei delitti aggravati dall'evento che presentano – come visto – una struttura simile alla preterintenzione: le pene previste risultano infatti notevolmente più gravi di quelle che deriverebbero dal concorso formale di reati (tra un delitto doloso e un omicidio o una lesione colposa). D'altro canto si riconosce che in un'ipotetica riforma il legislatore ben potrebbe prevedere – rispetto alla pena che risulterebbe dal concorso formale – un ragionevole e contenuto aggravamento di pena per queste particolari ipotesi in cui un omicidio colposo (o una lesione colposa) deriva dalla commissione di un delitto doloso.

Anche considerata quest'ultima considerazione, possiamo pertanto concludere che, in attesa di una (al momento) non in vista riforma delle figure analizzate, la soluzione della combinazione dolo-colpa – imposta dal principio di colpevolezza – dovrà comunque essere sopportata sul piano sanzionatorio, data l'escursione edittale (di pene pensate nella prospettiva del versari in re illicita) e la prossimità comunque della forma meno intensa di dolo e di quella più forte di colpa.

 

 

Abstract

 

The combination of malice-negligence in unpremeditation: against the regression to dolus indirectus

The combination malice-negligence with reference to different elements of the same type of  offence represents a framework which is becoming more frequent in the Italian criminal justice system. This combination should be valid also in the interpretation of unpremeditated offences, where the recent jurisprudence, differently, enhances a form of liability which is very close to dolus indirectus theorized by Carpzov and which covered the consequences usually deriving from a specific action. Affirming that in the malice of blows and injuries there is always the risk for the more serious event means to render unnoticeable the unpremeditation from dolus eventualis and accept an hidden objective liability. The principle of culpability imposes the scrutiny of a real negligence, even if it is discussed if it is realised in the same way in which it comes from licit activities.

 

La combinazione dolo-colpa nella preterintenzione: contro il regresso al dolus indirectus

La combinazione dolo-colpa con riferimento a elementi diversi della stessa fattispecie rappresenta uno schema che si sta sempre più affermando nel sistema penale italiano. Tale combinazione deve valere in via interpretativa anche per la preterintenzione, dove invece la recente giurisprudenza valorizza una forma di imputazione che si avvicina al dolus indirectus teorizzato da Carpzov e che copriva le conseguenze che derivano abitualmente da una determinata azione. Affermare che nel dolo di percosse e lesioni sta sempre il rischio per l'evento più grave significa rendere indistinguibile la preterintenzione dal dolo eventuale e accettare una responsabilità oggettiva occulta. Il principio di colpevolezza impone invece l'accertamento di una vera colpa, anche se è discusso se essa si concretizzi nello stesso modo in cui scaturisce da attività lecite.

 

 

 



 

[Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Contributi” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind]

 

[1] JESCHECK – WEIGEND, Lehrbuch des Strafrechts. Allgemeiner Teil, 5. Aufl., Berlin 1996, 570 ss. Si tratta di uno schema utile per descrivere i delitti qualificati dall’evento e per fattispecie poste a tutela di beni collettivi con eventi di pericolo, che si innestano su inosservanze dolose di regole per lo più di tipo amministrativo (es. §§ 315 ss. StGB). Si pensi al delitto di messa in pericolo del traffico stradale (§ 315c), nel quale al dolo di pericolo della condotta si può accompagnare una realizzazione meramente colposa del pericolo (§ 315c, Abs. 3, n. 1). Sulle Vorsatz-Fahrlässigkeit-Kombinationen, vedi anche JAKOBS, Strafrecht, Allgemeiner Teil. Die Grundlagen und die Zurechnungslehre, Berlin - New York 1983, 269 ss. Su queste combinazioni dolo-colpa nella legislazione tedesca, BASILE, La colpa in attività illecita. Un’indagine di diritto comparato sul superamento della responsabilità oggettiva, Milano 2005, 354.

 

[2] ENGELMANN, Die Schuldlehre der Postglossatoren und ihre Fortentwicklung. Eine historisch-dogmatische Darstellung der kriminellen Schuldlehre der italianischen Juristen des Mittelalters seit Accursius, 2. verbesserte Aufl., Aalen 1965 (1. Aufl. Leipzig 1895), 80. Fondamentali anche LÖFFLER, Schuldformen des Strafrechts. In vergleichend-historischer und dogmatische Darstellung, Leipzig 1895, 149 ss., e SCHAFFSTEIN, Die Allgemeinen Lehren vom Verbrechen. In ihrer Entwicklung durch die Wissenschaft des gemeinen Strafrechts – Beiträge zur Strafrechtsentwicklung von der Carolina zur Carpzov, Darmstadt 1973, Neudruck der Ausgaben 1930-1932, 108 ss. Amplius su queste ricostruzioni dei grandi nomi nella storia del dolo, sia consentito il richiamo a DEMURO, Il dolo. I: svolgimento storico del concetto, Milano 2007, passim.

 

[3] Filippo Decio conferma questa massima in altri consilia (ENGELMANN, Schuldlehre der Postglossatoren, cit., 94). Così ancora: «licet quis daret operam rei illicitae, non tamen tenetur pro homicidio, nisi precise habuit animum occidendi»; e porta come esempio un rapimento sfociato in omicidio e afferma che non necessariamente la responsabilità per la morte del rapito è dolosa giacché «actus rapiendi est illicitum» ma «actus rapiendi penitus separatus ab homicidio et nullo modo erat ordinatus ad homicidium». Ugualmente (stavolta in un contesto di base lecito) non risponde di omicidio doloso il proprietario che ha installato un offendiculum ad capiendum nel quale un ladro è incappato rimanendo ucciso, perché la sua intenzione era di catturare il ladro, non di ucciderlo.

 

[4] ENGELMANN, Schuldlehre der Postglossatoren, cit., 94-97. Cfr. FINZI, Il “delitto preterintenzionale”, Torino 1925, 8 ss. e BONDI, I delitti aggravati dall’evento tra ieri e domani, Napoli 1999, 277-278.

 

[5] Così decisamente MARINUCCI-DOLCINI, Manuale di Diritto Penale, Parte generale, 5ª ed. (aggiornata da Dolcini e Gatta), Milano 2015, 365. Vedi anche, ben prima delle pronunce del 1988 della Corte costituzionale, DE ASUA, Il delitto preterintenzionale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1962, 10 ss.

 

[6] Cass. pen., sez. I, 26 aprile 2006, n. 19611, in Dir. pen. proc., 2006, 1394. Nella giurisprudenza di merito, Corte ass. Reggio Emilia, 12 gennaio 2015, in Dir. pen. cont. 24 dicembre 2015, con nota di FINOCCHIARO, Anche nell'omicidio preterintenzionale il criterio di imputazione dell'evento è la colpa in concreto? Una pronuncia della Corte d'assise di Reggio Emilia.

 

[7] Cass. pen., sez. un., 22 gennaio 2009, Ronci, CED 243381.

 

[8] Cass. pen., sez. V, 27 giugno 2012, Tarantino, CED 253536. In dottrina, FIANDACA-MUSCO, Diritto penale. Parte generale, 7ª ed., Bologna 2014, 686, che infatti ne auspicano l'eliminazione tramite un intervento legislativo. Vedi anche ZUCCALÀ, Il delitto preterintenzionale, Palermo 1952, 42, e SPASARI, Osservazioni sulla natura giuridica del cosiddetto delitto preterintenzionale, in Arch. pen., I, 1957, 229 ss.

 

[9] Le citazioni sono tratte da Cass. pen., Sez. V, 14 aprile 2006, n. 13673, Haile, CED 234552, riprese nella giurisprudenza di merito p. es. da Corte Ass. App. Milano, 19 dicembre 2012, con nota di AIMI, Omicidio preterintenzionale e principio di colpevolezza, in Dir. pen. cont. 30 maggio 2013. L'orientamento è riprodotto anche recentemente dalla giurisprudenza di legittimità, v., da ultimo: Cass. pen., Sez. V, 8 marzo 2013, Palazzolo, CED 254386; Cass. pen., Sez. V, 12 luglio 2012, S., CED 253744; Cass. pen., Sez. V, 17 maggio 2012, n. 40389, Perini, CED 253357.

 

[10] Cass. pen., Sez. V, 14 aprile 2006, n. 13673, Haile, cit., e Cass. pen., Sez. V, 8 marzo 2013, n. 791, Palazzolo, cit.

 

[11] Tra le più recenti, Cass. pen., sez. I, 13 ottobre 2010, Gesuito, CED 248438; Cass. pen., sez. V, 11 dicembre 2008, De Nunzio e altro, CED 242965, dove si afferma con chiarezza risolvendo in senso positivo il dubbio sulla compatibilità del tentativo col dolo eventuale che la direzione degli atti va intesa come semplice requisito strutturale oggettivo dell'azione comprendente anche quelli costituenti semplice tentativo; Cass. pen., sez. V, 12 novembre 2008, Sorrentino e altro, CED 242224.

 

[12] Rispettivamente Cass. pen., sez. V, 27 giugno 2012, Tarantino e altri., CED 253536, e Cass. pen., sez. V, 16 marzo 2010, Baldissin e altri, CED 247267. Ancor prima tra le tante, Cass. pen., sez. V, 4 marzo 1992, Carmignani, CED 190087.

 

[13] Cass. pen., sez. I, 30 giugno 1986, De Nunzio, CED 174619; così anche Cass. pen., sez. I, 5 giugno 1978, Nigretti, CED 140004. Più recentemente, Cass. pen., sez. V, 2 marzo 2004, Finelli, CED 229113, dove è contenuto l'inciso «ancorché imprevedibile» riferito all'evento più grave. Per la sufficienza del «solo rapporto di causalità materiale», Cass. pen., sez. I, 13 dicembre 1974, Mendicino, CED 130728.

 

[14] Cass. pen., sez. V, 16 dicembre 1966, Faussone, CED 103454.

 

[15] Vedi anche Cass. pen., sez. V, 6 febbraio 2004, Morrone, CED 228497.

 

[16] BETTIOL, Diritto penale, 11ª ed., Padova 1982, 480; DE ASUA, Il delitto preterintenzionale, cit., 10 ss.

 

[17] Cass. pen., sez. IV, 15 novembre 1989, Paradisi, CED 182907. Il medesimo "spirito" ha ispirato la giurisprudenza prima che la sentenza Ronci (Cass. pen., sez. un., 22 gennaio 2009, Ronci, CED 243381) virasse in modo chiaro verso il principio di colpevolezza anche in merito alla fattispecie dell'art. 586 c.p. (Morte o lesioni come conseguenza di altro delitto), dove pure il riferimento alla colpa è espresso nel rimando all'art. 83 e 589-590: in una sentenza (Cass. pen., sez. III, 6 dicembre 1995, CED 204469) si afferma che è vero che il delitto di cui all'art. 586 cod. pen. (morte o lesione come conseguenza di altro delitto) è imputabile a titolo di colpa (per il richiamo all'art. 83 stesso codice), ma la colpa stessa consiste specificamente nella violazione di legge commessa col delitto doloso presupposto. Non solo: si sostiene anche che per valutare, ai fini della commisurazione ex art. 133 c.p., il grado di colpa del delitto conseguente, si tiene conto dell'intensità del dolo relativo al delitto presupposto.

 

[18] Cass. pen., sez. V, 8 marzo 2006, cit.

 

[19] Eb. SCHMIDT, Die Carolina, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, germanische Abteilung, 1933, 172. Qui la derivazione da Bartolo e da Baldo degli Ubaldi è evidente: così KLEE, Der dolus indirectus als Grundform der vorsätzlichen Schuld, Berlin 1906, 11.

 

[20] SCHAFFSTEIN, Allgemeinen Lehren, cit., 118; LESCH, Dolus directus, indirectus und eventualis, in JA, 1997, 803-804; JAKOBS, Gleichgültigkeit als dolus indirectus, in ZStW (114), 2002, 590.

 

[21] Cfr. PUPPE, Der Vorstellungsinhalt des dolus eventualis, in ZStW (103), 1991, 41 ss. e ID., Vorsatz und Zurechnung, Heidelberg 1992, 32 ss., e in senso critico ROXIN, Zur Normativierung des dolus eventualis und zur Lehre von der Vorsatzgefahr, in Festschrift Rudolphi, Neuwied 2004, 243 ss.

 

[22] Aggiunge PUPPE, Der Vorstellungsinhalt des dolus eventualis, cit., 27, che lo spirito del vecchio dolus indirectus esiste oggi, nonostante il nome contrario, persino nel dolo diretto, dove si normativizza la necessaria proiezione nella mente del soggetto dell’evento non intenzionalmente perseguito ma il cui verificarsi è certo o altamente probabile. Vedi anche JAKOBS, Gleichgültigkeit als dolus indirectus, in ZStW (114), 2002, 590-591.

 

[23] MARINUCCI, Il diritto penale messo in discussione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, 1041.

 

[24] Cass. pen., sez. I, 5 dicembre 2013, Cutrufello e altri, CED 259014; Cass. pen. sez. I, 30 giugno 2009, Montagnoli, CED 244743; Cass. pen., sez. I, 8 giugno 2007, Marin, CED 237177.

 

[25] Cass. pen., Sez. V, 8 marzo 2013, Palazzolo, cit. Partendo da questo principio la Corte ha confermato la condanna ex art. 584 di un imputato, per avere durante una colluttazione colpito la vittima, la quale era caduta a terra ed era deceduta per «un accidente cardiovascolare acuto in soggetto cardiopatico».

 

[26] Cass. pen., sez. V, 3 dicembre 2002, Belquacem, CED 224903. Qui invece era stata esclusa la responsabilità ex art. 584 di un uomo che aveva spinto a terra una donna, e credendola morta e per simularne il suicidio le aveva posto un cuscino sul volto e aveva staccato il tubo del gas, cagionandone la morte per soffocamento con tali ulteriori condotte.

 

[27] Così, a proposito della distinzione tra indicatori (la Corte li chiama "elementi") oggettivi («tutte le circostanze esteriori che normalmente costituiscono espressione del fatto psicologico da provare, come, ad esempio, il modo dell’aggressione, il mezzo omicida, la condotta dell’imputato durante e dopo il fatto») e soggettivi, Cass. pen., sez. II, 23 giugno 1986, in Cass. pen., 1988, 605.

 

[28] Vedine una chiara ed esauriente elencazione in MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, 9ª ed., Padova 2015, 357-358.

 

[29] La combinazione dolo-colpa nella preterintenzione fu anche ipotizzata in termini originali dalla dottrina positivista. Così GRISPIGNI, nella sua recensione al volume di Zuccalà, Il delitto preterintenzionale, in Scuola pos., 1952, 647, affermava che la preterintenzione realizza congiuntamente gli estremi del dolo e della colpa: infatti colui che pone in essere una condotta oggettivamente idonea a cagionare un evento di morte, avendo l'intenzione di cagionare soltanto una lesione personale, rivela da un lato insensibilità morale (aspetto affettivo) per l'evento doloso e nello stesso tempo una insufficienza della sfera conoscitiva (aspetto intellettivo) per non aver avuto consapevolezza della capacità causale della condotta posta in essere.

 

[30] Così in generale sulla configurabilità della colpa rispetto a chi versa in re illicita già PAGLIARO, Imputazione obiettiva dell’evento, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 804 ss. Cfr. anche GIUNTA, Illiceità e colpevolezza nella responsabilità colposa, Padova 1993, 195 ss. e nella giurisprudenza della suprema Corte, Cass. pen. sez. V, 13 febbraio 2002, n. 13114, in Cass. pen., 2003, 1561.

 

[31] Questo genere di impostazione pare richiamare la figura proposta da PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte generale, 7ª ed., Milano 2000, 326 ss., della responsabilità da rischio totalmente illecito, che ricorre infatti anche nel caso dell’art. 116 c.p., fondata sull’assunzione di un rischio appunto totalmente illecito per violazione della norma penale e delimitata dal duplice contrassegno della prevedibilità ed evitabilità dell’evento. In questo senso Cass. pen. sez. I, 29 gennaio 1997, CED 207274.

 

[32] DOLCINI, Responsabilità oggettiva e principio di colpevolezza. Qualche indicazione per l’interprete in attesa di un nuovo codice penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, 869-871. Sul tema in generale, fondamentale, BASILE, La colpa in attività illecita. Un’indagine di diritto comparato sul superamento della responsabilità oggettiva, cit., passim.

 

[33] Cass. pen., sez. un., 22 gennaio 2009, n. 22676, in Foro it., II, 2009, cc. 450 ss., con nota di TESAURO, Responsabilità dello spacciatore per la morte del tossicodipendente: le sezioni unite optano per la colpa in concreto.

 

[34] Così sottolineano MARINUCCI – DOLCINI, Manuale, cit., 362.

 

[35] ANGIONI, Condizioni di punibilità, cit, 1512.

 

[36] Cfr. ANGIONI, Note sull’imputazione dell’evento colposo con particolare riferimento all’attività medica, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, II, Milano 2006, 1294, e le riserve di GIUNTA, La normatività della colpa penale. Lineamenti di una teoria, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, 96 ss. Parla di «uomo coscienzioso e avveduto nella situazione data e nel concreto ruolo sociale dell'agente», M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, I (art. 1-84), 3ª ed., Milano 2004, 458.

 

[37] FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., 681.

 

[38] Ritiene CANESTRARI, Dolo eventuale e colpa cosciente. Ai confini tra dolo e colpa nella struttura delle tipologie delittuose, Milano 1999, 207, che in un contesto illecito non sia rintracciabile una figura-parametro sulla quale fissare la misura di cura, potendosi anzi arrivare al paradosso di pensare quale agente modello al "delinquente ragionevole". Nello stesso senso DONINI, Teoria del reato, in Dig. disc. pen., XIV, Torino 1999, 375, e CARMONA, Il versari in re illicita «colposo», in Indice pen., 2001, 230. Invece per BASILE, La colpa in attività illecita, cit., 309, tale obiezione si dissolve qualora si rifletta sulle indicazioni che ci offre il nostro stesso ordinamento giuridico che, con la figura dell'eccesso colposo (art. 55), prevede proprio un caso di agente "ideale" in una situazione di illiceità.

 

[39] BASILE, La colpa in attività illecita, cit., 299 ss. Tale orientamento può ritenersi tradizionale nella dottrina italiana: era già proprio di CARRARA, Opuscoli di diritto criminale, vol. III, opera XXXI, Sul caso fortuito, 5ª ed., Firenze 1898, 20, sarà seguito da ANTOLISEI, La colpa per inosservanza di leggi, in Giust. pen., 1948, II, 11; nella dottrina tedesca all'inizio del secolo scorso von HIPPEL, Vorsatz, Fahrlässigkeit, Irrtum, in Vergleichende Darstellung, AT, III, Berlin 1908, 571.

 

[40] BASILE, La colpa in attività illecita, cit., 308. L'esempio è il seguente: nel caso del chirurgo Tizio che esegue un intervento invasivo, le cautele alle quali deve attenersi il chirurgo stesso al fine di evitare che il paziente Caio deceda nel corso dell'operazione, sono le medesime sia che manchi il consenso, e dunque in presenza di condotta illecita (lesioni personali dolose), sia che il consenso ci sia, e pertanto l'attività sia lecita (in quanto scriminata dal consenso dell'avente diritto).

 

[41] Cass. pen., sez. I, 24 gennaio 1979, Donzelli, CED 141563.

 

[42] Su tale nesso, MAZZACUVA, Il disvalore di evento nell'illecito penale. L'illecito commissivo doloso e colposo, Milano 1983, 310 ss. Osserva MARINUCCI, Non c'è dolo senza colpa. Morte dell'"imputazione oggettiva dell'evento" e trasfigurazione nella colpevolezza?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1991, 17, che è proprio tale requisito di causalità che esprime la ragione più profonda dell'imputazione colposa dell'evento, che non è costituita dalla nuda somma di colpa più evento, ma è il prodotto dei due elementi, uno per l'altro. Vedi FORTI, Colpa ed evento nel diritto penale, Milano 1990, 422. Secondo ANGIONI, Note sull’imputazione dell’evento colposo, cit., 1309, solo valorizzando appieno questa compenetrazione si ottempera nella sostanza al divieto di responsabilità oggettiva. Per la rilevanza giurisprudenziale del nesso, BLAIOTTA, Causalità e colpa nella professione medica tra probabilità e certezza, in Cass. pen., 2000, 1216.

 

[43] Vedili elencati, con ampio corredo logico, dottrinale e giurisprudenziale, in ANGIONI, Note sull’imputazione dell’evento colposo, cit., 1319.

 

[44] Per una attenta analisi della giurisprudenza, PIRAS, Il giudizio causale in assenza di leggi scientifiche, in Cass. pen., 2004, 2387 e nt. 9.

 

[45] ANGIONI, Condizioni di punibilità, cit., 1512. Anche JESCHECK, Lehrbuch des Strafrechts. AT, 3. Aufl., 1978, 463, e WEGSCHEIDER, Zum Begriffder Leichtfertigkeit, in ZStW, 1986, 655.

 

[46] Con l'ovvio limite del livello massimo di individualizzazione, che deve essere di poco inferiore allo stesso soggetto agente, perché altrimenti tutto ciò che egli non ha previsto finirebbe per dover essere giudicato imprevedibile. È la classica impostazione di base della prevedibilità come criterio di imputazione soggettiva di ENGISCH, Der Unrechtstatbestand im Strafrecht, in Hundert Jahre Deutsches Rechtsleben. Festschrift zum hundertjährigen Bestehen des Deutschen Juristentages 1860-1960 , I, Karlsruhe 1960, 429, seguita da ANGIONI, Condizioni di punibilità, cit., 1513-1514.

 

[47] Per l'inserimento nello schema del delitto preterintenzionale di questa tipologia di delitti, GROSSO, Struttura e sistematica dei c.d. delitti aggravati dall'evento, in Riv. it. dir. proc. pen., 1963, 443, e TAGLIARINI, I reati aggravati dall'evento, Padova 1979, 209 ss.

 

 

[48] Così MANTOVANI, Diritto penale, cit., 391. Assolutamente residuale l'altra ipotesi comunemente riconosciuta come preterintenzionale, la figura di aborto prevista dall'art. 18 comma 2 legge 194/78.

 

[49] KOLLMANN, Die Lehre vom versari in re illecita im Rahmen des corpus juris canonici, in ZStW (35), 1914, 46 ss. Sul tema, oltre Kollmann, e con differenti opinioni sull’origine specificamente canonistica o (vagamente) romanistica GLASER, Handbuch des Strafprozesses, Bd. 1, Leipzig 1883, 77; ENGELMANN, Schuldlehre der Postglossatoren, 75 e 211; LÖFFLER, Schuldformen, cit., 139 ss.; KLEE, Der dolus indirectus, cit., 7 ss.; BOLDT, Pflichtwidrige Gefährdung im Strafrecht. Zugleich ein Beitrag zur Lehre von der Fahrlassigkeit im kommenden Recht, in ZStW (55), 1936, 46; MÄRKER, Vorsatz und Fahrlässigkeit bei jugendlichen Straftätern, Frankfurt 1995, 78-79; BONDI, I reati aggravati dall’evento tra ieri e domani, Napoli 1999, 243 ss. Esattamente osserva BASILE, La colpa in attività illecita, cit., 358 (nt. 3), sulla base delle fonti citate, che originariamente la regola del versari in re illicita aveva una finalità di garanzia, in quanto limitava l’imputazione delle conseguenze non volute purché fossero derivanti da un fatto-base illecito. Sul fondamento di tale regola – continua Basile – il presbitero che avesse cagionato per mero fortuito un omicidio, veniva escluso dalla possibilità di assumere cariche ecclesiastiche non in ogni caso ma solo qualora avesse cagionato la morte altrui attraverso un’attività di per sé già illecita: «la regola del versari apponeva, dunque, un limite alla responsabilità per il mero caso, imperante in quei secoli in cui la tradizione romanistica non era stata ancora appieno recuperata».

 

[50] LÖFFLER, Schuldformen, cit., 139, cita al proposito la Summa decretalium di Bernardo da Pavia degli anni 1191-1198. l’autore del Breviarium extravagantium, nel libro V titolo 10, intitolato de homicidio volontario vel casuali. Osserva Löffler (140) che Bernardo porta a conforto della teoria del versari in re illicita, alcuni passi del diritto romano, e riporta in generale questa teoria non come un novum ma come una “sperimentata verità”: secondo Löffler i frammenti romanistici offrirebbero in realtà un debolissimo appoggio alla teoria. Quanto alla frequenza nelle fonti, l’Autore afferma che essa ricorre come summa in numerosi canoni (citati a 141 nt. 14). Così il canonista Raimondo di Penyafort (DAHM, Das Strafrecht Italiens im ausgehenden Mittelalter, Berlin-Leipzig 1931, 260 nt. 46) a proposito dello svolgimento di tornei: «Poena pugnantium ibi est, quod si aliquis exercens tale torneamentum aliquem occidit, etiam casu, reus est homicidii, et irregularis erit, quia ludus talis noxius et illicitus est; et ideo quidquid ex eo sequitur, imputandum est ei». All’origine i tornei erano veri e propri scontri cruenti con morti e feriti: furono dunque condannati e vietati per la loro violenza in due decretali di papa Alessandro III (1159-1181). L’altro iniziale settore di applicazione della dottrina del versari in re illicita fu l’esercizio da parte dei chierici dell’attività chirurgica (LÖFFLER, Schuldformen, cit., 140 nt. 12), dato che il diritto canonico vietava ai chierici il contatto con il sangue.

Peraltro, nella dottrina canonistica, l’origine del principio si fa risalire a san Basilio, nell’ambito della patristica greca del IV secolo. Per i casi e per i richiami dottrinali, VENTRELLA MANCINI, L’elemento intenzionale nella teoria canonistica del reato, Torino 2002, 66 ss.

 

[51] KOLLMANN, Die Lehre vom versari in re illecita, cit., 75 ss. Vedi anche BOLDT, Johann Samuel Friedrich von Böhmer und die gemeinrechtliche Strafrechtswissenschaft, Berlin-Leipzig 1936, 192.

 

[52] LÖFFLER, Schuldformen, cit., 139. Secondo DAHM, Strafrecht Italiens, cit., 259-260, la differenza della teoria del versari in re illicita rispetto al paradigma della actio libera in causa sta proprio nel fatto che non era strettamente necessario che la böse Wille che caratterizzava la prima infrazione fosse causale anche per il successivo decorso degli avvenimenti; la categoria della actio libera in causa fu elaborata invece dalla teologia morale per inquadrare le ipotesi in cui, pur mancando la libera volontà al momento dell’atto esteriore, il peccato sussiste egualmente in quanto può essere riportato causalmente a un precedente libero atto del volere.

 

[53] Il modello di imputazione soggettiva differenziata ha trovato riconoscimento quando il legislatore nel 1990 ha armonizzato l’imputazione delle circostanze aggravanti al principio di colpevolezza, prevedendo che tali circostanze possono essere poste a carico dell’agente solo se gli si può muovere un rimprovero di colpa. Ed è importante notare che qui il legislatore aveva in mente una regola di applicazione diversa, a seconda che la circostanza aggravante accedesse a un reato doloso o a un reato colposo: l’effettiva conoscenza sarebbe stata richiesta soltanto rispetto a un illecito base attribuito a titolo di dolo, mentre rispetto a un reato colposo sarebbe stato sufficiente che il reo, pur potendo conoscere l’aggravante, non ne avesse conosciuto per colpa l’esistenza. Si è invece imposta l’interpretazione che ammette la combinazione dolo – colpa: basta cioè in ogni caso che il reo abbia ignorato per colpa l’esistenza della circostanza aggravante, anche quando essa accede a un reato base doloso.

 

[54] FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., 690.

 

[55] Vedi MARINUCCI-DOLCINI, Manuale, cit., 531-532, anche per ulteriori argomenti a sostegno della natura di elemento costitutivo dell'evento aggravante.

 

[56] Cass. pen., sez. IV, 14 gennaio 2016, Raco, CED 266960.

 

[57] Cass. pen., sez. VI, 15 ottobre 2009, P.G. in proc. D.N., CED 245478, la cui massima reca: «In tema di maltrattamenti in famiglia, l'imputazione soggettiva dell'evento aggravatore, non voluto, della morte della vittima per suicidio, ne richiede la prevedibilità in concreto come conseguenza della condotta criminosa di base, in modo da escludere che sia stato oggetto di una libera capacità di autodeterminarsi della vittima».

 

[58] Così in Cass. pen., sez. VI, 29 novembre 2007, Passafiume, CED 239585.

 

[59] Sul tema, ANGIONI, Condizioni di punibilità e principio di colpevolezza, in Riv. it. dir. proc. pen., 1989, 1498.

 

[60] DONINI, Modelli di illecito penale minore. Un contributo alla riforma dei reati di pericolo contro la salute pubblica, in La riforma dei reati contro la salute pubblica, a cura di Donini e Castronuovo, Padova 2007, 201 ss. e particolarmente 312 ss.

 

[61] Corte cost., 24 luglio 2007, n. 322, rel. Flick: in Dir. pen. proc., 11, 2007, 1461 ss., con commento di RISICATO, L’errore sull’età tra error facti ed error iuris: una decisione “timida” o “storica” della Corte costituzionale?; in Cass. pen., 2008, 21 ss., con nota di ARIOLLI, L’ignoranza dell’età della vittima nell’ambito dei delitti contro la libertà sessuale: un necessario contemperamento tra il principio di colpevolezza e le esigenze di tutela dell’intangibilità sessuale dei soggetti più deboli; in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 1340 ss., con nota di VIZZARDI, Ignoranza dell’età della persona offesa e principio di colpevolezza. La Corte anche in passato si era più volte pronunciata su questa disposizione, salvaguardandone la vigenza con argomentazioni varie (tutte riduttive del significato dell’art. 27 comma 1 Cost.), mosse comunque dall’esigenza di una tutela rafforzata del minore: vedi in particolare Corte cost., 30 giugno 1983, n. 209: in Riv. it. dir. proc. pen., 1984, 429 ss. con nota di PADOVANI, L’intangibilità sessuale del minore degli anni quattordici e l’irrilevanza dell’errore sull’età: una presunzione ragionevole ed una fictio assurda; e in Foro it., 1983, I, cc. 2652 ss., con nota di FIANDACA, Inescusabilità dell’errore sull’età della persona offesa nella violenza sessuale e principi costituzionali.

 

[62] Così VIZZARDI, Ignoranza dell’età della persona offesa, cit., 1538, che parla di «reati a coefficiente psicologico misto», il cui tratto peculiare sarebbe la “graduazione” dei coefficienti di colpevolezza all’interno della stessa fattispecie criminosa.

 

[63] CADOPPI, commento all’art. 609 sexies, in Commentario delle norme contro la violenza sessuale e contro la pedofilia, 4ª ed., Padova 2006, 723, secondo il quale la soluzione, poi accolta dalla Corte, dell’imputazione colposa rispetto all’elemento dell’età, sarebbe stata funzionale all’imposizione al soggetto agente di un dovere di informazione sull’eventuale sussistenza nella situazione concreta del presupposto essenziale dell’età.

 

[64] Il soccorso dell’attenuante è proposto da VIZZARDI, Ignoranza dell’età della persona offesa, cit., 1362.

 

[65] Sul punto MARINUCCI-DOLCINI, Manuale, cit., 372 ss.