Memorie-2019

 

 

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DA ROMA ALLA TERZA ROMA

XXXVIII SEMINARIO INTERNAZIONALE DI STUDI STORICI

Campidoglio, 20-21 aprile 2018

 

 

Lobrano-1Giovanni Lobrano

Università di Sassari - Già Preside

della Facoltà di Giurisprudenza

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RUOLO DELLE CITTÀ NELLA TRADIZIONE ROMANA: ESEMPI RUSSO E SARDO

 

 

 

SOMMARIO: Ipotesi di lavoro. a. Continuità e cambiamento, tra Antichi e Moderni, nel rapporto tra: pluralità delle Città e unicità del Governo; b. Tensione contemporanea; c. Esempi russo e sardo (si parva licet componere magnis). – 1. Età antica. Contro i Regni: Repubblica imperiale delle Città. a. Divenire storico [α. Conquista del Mediterraneo secondo Livio (ab urbe condita, libri 21-45:) vittoria dei Popoli contro i Re; β. Democrazie, Repubblica e Città; γ. Le non-Città dei Regni; δ. Civitas e urbs]; b. Esito storico: Repubblica imperiale delle Città e Concili provinciali di Città. – 2. Età medievale e moderna. Ritorno dei Regni: Feudalesimo e Leviatano. a. Divenire storico [α. Völkerwanderungen”: di Gefolgschaften’ non di Popoli; β. Ritorno dei Regni; γ. Sistema feudale: rigetto/metabolizzazione delle Città e creazione dei Borghi]; b. Esito storico: centralismo e decentramento statali. – 3. Russia: “Terra di Città”. a. Natura non feudale delle istituzioni storiche della Russia; b. Russia “Terra di Città”; c. Dialettica tra Città e Zar. – 4. Sardegna giudicale: Concili di piccole Città. a. Natura non feudale delle istituzioni storiche della Sardegna; b. Assemblee di (piccole) Città; c. Trattato tra il Popolo sardo e il re d’Aragona. – Prospettiva di lavoro.

 

 

 

Ipotesi di lavoro

a. Continuità e cambiamento, tra Antichi e Moderni, nel rapporto tra: pluralità delle Città e unicità del Governo

Le Città sono elemento (se non l’elemento)[1] sia di continuità sia di cambiamento tra: la storia antica, mediterranea, la storia medievale-moderna, europea, e la storia contemporanea, “mondiale”.

La continuità è data dalla presenza costante del rapporto tra la pluralità delle Città, territorialmente diffuse, e la unicità del Governo, funzionalmente centrale.

Il cambiamento è dato dalla natura mutevole di tale rapporto, insieme alla quale natura mutano anche (con una relazione certa ma in cui non è agevole distinguere tra causa ed effetto) le nature sia delle Città sia del Governo.

Il cambiamento si sviluppa durante ciascuna delle due epoche storiche (antica e medievale-moderna) manifestandosi pienamente nei rispettivi esiti istituzionali.

L’esito della storia antica romana è una grande e tendenzialmente universale organizzazione democratica e complessa. È la Repubblica, divenuta imperiale, costituita dal sistema delle Città-Comunità, l’“Impero di Città”, strutturato dai Concili provinciali delle Città e servito dal forte Governo centrale dell’Imperatore[2].

L’esito della storia medievale-moderna europea (a noi noto soprattutto nel contesto della Europa occidentale) è una molteplicità di organizzazioni oligarchiche e semplici. Sono i Regni feudali europei divenuti Stati/Leviatani, costituiti dai rispettivi Governi centrali, i quali sono serviti da una molteplicità di Città-Amministrazioni[3].

 

b. Tensione contemporanea

L’esito della storia contemporanea, ancora in divenire, resta da determinare.

La storia contemporanea è iniziata con l’espresso confronto-scontro scientifico-politico (sviluppato nel Secolo dei Lumi e precipitato nella Grande Rivoluzione) tra i due ‘esiti’ storici precedenti e si è sviluppata con il loro scontro[4].

In tale confronto-scontro è prevalso – sinora – l’‘esito’ feudale-statale, europeo e medievale-moderno. Tuttavia (seppure senza consapevolezza scientifica e quindi senza chiarezza di programmazione politica) non sono venute meno la domanda e la ricerca di quello repubblicano-imperiale, mediterraneo e antico[5].

 

c. Esempi russo e sardo (si parva licet componere magnis)

Nella misura in cui possono essere accostate dimensioni così diverse, appare interessante l’accostamento della esperienza istituzionale russa, esemplare nella pars orientis, alla esperienza istituzionale sarda, eccezionale nella pars occidentis dell’Impero.

Dall’Amico e Collega, Giovanni Maniscalco Basile, il quale ora ci guarda da una più alta prospettiva, imparo e, con lui, qui mi limito a ripetere che in continuità con la logica repubblicana-imperiale romana appare anche il genus istituzionale della grande Russia: “terra delle città”[6].

In ‘Occidente’, la – relativamente – piccola Sardegna è doppiamente una isola: geografica nel Mare Mediterraneo e istituzionale nel mare feudale. La espressione politica-giuridica più caratteristica del genus istituzionale sardo è la organizzazione “giudicale”[7]: democratica su base civica. La eccezionalità sarda si spiega con la continuità – direi, per quanto possibile, perfetta – con la organizzazione repubblicana-imperiale romana[8], conservata – dopo le migrazioni/invasioni barbariche nella pars occidentis dell’Impero [9] nella pars orientis e, da questa, alla Sardegna.

Sul terreno della indagine e della riflessione su natura e ruolo delle Città – e sempre nella misura in cui possono essere accostate dimensioni così diverse – una cooperazione scientifica e politica sarda-russa è pensabile e può essere proficua.

 

 

1. – Età antica. Contro i Regni: Repubblica imperiale delle città

a. Divenire storico

α. Conquista del Mediterraneo secondo Livio (ab urbe condita, libri 21-45:) vittoria dei Popoli contro i Re

Nella scrittura liviana (libri 21-45 ab urbe condita) la storia antica del formarsi della unità tri-continentale mediterranea intorno alla Città di Roma è la storia del confronto/scontro tra Popoli e Re; ovverosia tra democrazie, delle quali la Repubblica romana è il perfezionamento giuridico, da un lato, e monarchie o Regni, dall’altro lato[10].

Non possiamo sapere cosa sono la democrazia e la repubblica se non sappiamo cosa è una Città. E vice-versa. «Le vrai sens du mot Cité sʼest presque entièrement effacé chez les modernes»[11] e altrettanto avviene con quelli di democrazia e repubblica. La “democrazia” è, per noi “moderni”, affascinante ma di difficile accettazione e, pertanto, sostituita con suoi falsi, come l’ossimoro “democrazia rappresentativa”. La “repubblica” non è proprio compresa. Dobbiamo, dunque, provare a recuperare il senso di queste “grandi parole”[12].

 

β. Democrazie, Repubblica e Città

La parola greca democrazia e, ancora oltre, la parola romana repubblica significano tipi di organizzazioni umane oggettivamente stra-ordinari.

La “democrazia” è, nel lessico greco, la costituzione (politeia) della koinonía (in particolare di quella a fini generali) la quale è essenzialmente e necessariamente adespota. Si tratta, in altri termini, della koinonía di uomini i quali stanno insieme senza avere né potere avere un “capo”, perché il potere su di loro risiede esclusivamente in loro stessi e si esprime nella loro “assemblea”[13].

È specie del genus della politeia democratica la istituzione giuridica romana della Repubblica. La Repubblica è la organizzazione unitaria degli uomini in una specifica koinonía: la “societas”. La societas è una “res iuris[14], ottenuta unendo più uomini “non in un modo qualsiasi” ma con un preciso contratto, mediante – cioè – il consenso a “obbligarsi” reciprocamente nel perseguimento della “comunione della utilità” (Cic., rep. 1.39). Quando è costituita in unità, la societas “ha un corpus” (Gai. D. 3.4.1; ex distantibus: Pomp. D. 41.3.30 pr.).

La parola societas significa in maniera tecnica-giuridica quel genus di organizzazione umana che noi oggi con parola – forse più emozionale – chiamiamo comunità.

Per il ‘perseguimento’ della “comunione della utilità” la societas/corpus adotta un regime affatto particolare e innovativo. Esso è la scansione dell’atto volitivo collettivo e la sua articolazione in un iter volitivo, composto di due semi-atti, necessitanti l’uno dell’altro per giungere a fine. I due ‘semi-atti’ sono il “comando generale” (At. Cap. apud Gell., noct. Att. 10.20, ovvero il mandatum[15]) da parte dei soci nella loro assemblea e la sua esecuzione – comando particolare da parte dei loro magistri o magistratus, i quali ne sono non i “capi” ma i “servi” (ovvero i mandatari)[16]. Tra i due semi-atti è inserita una magistratura di natura ‘sindacale’, incaricata di mantenerne il corretto rapporto. Nelle societates a fini generali, questo ‘corpus’ è il Popolo (vedi i testi giuridici, appena citati) e la magistratura di mediazione è il Tribunato (Cic., leg. 3.15 s.; Eutr., brev. a.u.c. 1.11).

Nella esperienza politica greca (il cui schema teorico è settenario: sette politeiai, tre buone [monarchia, aristocrazia e democrazia], tre degeneri [tirannia/despotismo, oligarchia, oclocrazia/demagogia] e una mista[17]) la politeia democratica è teoricamente possibile ed è storicamente realizzata soltanto con quella ‘entità’ che noi, oggi, chiamiamo “comunità locale”: la Città.

Nella esperienza giuridica romana (il cui schema teorico è seccamente binario: due sole politeiai, una buona [repubblica] e una cattiva [regno]) la Città, in quanto necessariamente società (Cic., rep. 1.49) è anche necessariamente democratica, anzi repubblicana.

Anche dal punto di vista della scienza economica, il modo di produzione antico, greco e soprattutto romano, è centrato sulla Città, la quale è una comunità essenzialmente di coltivatori (Cat. apud Quint., inst. or. 11.1) proprietari uguali e liberi, dei quali Cincinnato (VI-V sec. a.C.) è lo storico/leggendario archetipo.

La Città democratica è intrinsecamente piccola. Il problema del limite dimensionale viene risolto, in Grecia, mediante unioni o riunioni di Città. Le Città sono le ‘cellule’ democratiche e le loro unioni o riunioni sono le “Leghe”[18]. In Roma, lo stesso problema è risolto prima accostando a (e poi fondendo con) l’istituto societario del foedus, omologo ma non uguale a quello greco della lega, l’istituto, affatto originale, dell’inserimento (anzi del continuo inserimento) di più Città (municipia) in un sempre più grande (“crescente”)[19] “corpo”: la “Repubblica” sopra-cittadina, società di società, composta di molteplici piccole Repubbliche cittadine (municipales).

La soluzione romana, che, come appena detto, è ottenuta mediante la fusione tra gli istituti del foedus e del Municipio (fusione non facile e che, infatti, riesce a realizzarsi soltanto a conclusione del bellum sociale del 1° secolo a.C., quando le civitates foederate con la Repubblica di Roma entrano a farne parte)[20], è resa possibile dall’“iter volitivo”, prima brevemente descritto.

 

γ. Le non-Città dei Regni

Il Regno è l’insieme degli uomini e del territorio sottomessi a un Re (o, addirittura, in sua “proprietà”)[21], i quali, così esentati da- e impossibilitati a perseguire una utilità comune, perseguono esclusivamente quelle individuali[22].

Il Regno, a differenza della politeia democratica, può diventare grande pur restando mono-cellulare. Tuttavia, anche all’interno dei Regni possono esservi insiemi circoscritti di uomini, stanziati su una porzione del territorio regnicolo.

La natura di questi insiemi umani, che indichiamo come Città è, in realtà, completamente diversa da quella delle Città democratiche, cosicché persino il nome di “Città” (civitas) non si conviene loro[23].

Le ‘Città’ dei Regni sono, infatti, non la sede della società-comunità ma la sede del potere regio. Ciò perché gli insiemi umani, la cui ragione dello stare insieme è la subordinazione ad un potere a loro esterno, sono non società né comunità ma soltanto riunioni così come i loro membri sono non “cittadini” ma “sudditi”[24].

La Città dove risiede il Re è il rovescio della (piccola) Città repubblicana, è la (grande) “Città capitale”, sede prima del potere regio. Sono, infatti, sedi del potere regio anche le ‘Città’ dove risiedono soltanto funzionari regi; seppure a gradi via via tanto più bassi, secondo una logica discendente e divisiva. È ciò che oggi chiamiamo “decentramento”[25].

A proposito della Città capitale e, in genere, delle Città dei Regni possiamo ripetere ciò che Jean-Jacques Rousseau ha detto della Città capitale («è un baratro»)[26] e Giorgio La Pira ha detto della Città di New York («non è una città»)[27].

 

δ. Civitas e urbs

Alla essenziale differenza giuridica tra vere Città, cioè democratiche-repubblicane, e cosiddette Città, cioè di Regni, corrisponde una altrettanto essenziale differenza urbanistica.

Nel lessico romano, per significare la Città, si trova la illuminante endiadi “urbs civitas[28]. La civitas è la “società dei cives (i quali sono il Popolo). L’urbs è il manufatto architettonico il quale adempie a due funzioni: collega la civitas al territorio e le fornisce lo spazio per ‘agire’, cioè – essenzialmente – per ‘volere’ unitariamente, ciò che spiega la “piazza” (agorá, forum) al suo centro[29].

Al centro delle ‘Città’ dei Regni è, invece, il “palazzo”[30].

 

b. Esito storico: Repubblica imperiale delle Città e Concili provinciali di Città

Lo scontro mediterraneo antico tra Città e Regni, la cui potissima pars è descritta da Livio, si conclude con il trionfo delle Città ovvero della democrazia cittadina.

La Repubblica imperiale romana (la quale ingloba l’area mediterranea, andando da Britannia e Germania ad Arabia ed Egitto e dalla costa atlantica di Europa e Nord-Africa a Romania e Turchia odierne) è (come è stato detto già nella antichità) un “Impero di Città”[31], le quali sono organizzate al proprio interno con Assemblee di Cittadini e al proprio esterno con Assemblee (concilia) provinciali di Città[32].

La Città al centro dell’Impero e in cui risiede l’Imperatore è non una “Città capitale” (non almeno nel senso appena detto) ma (direi, in prima approssimazione) una Città – da un lato – “matrice” o “modello” delle altre Città e – da altro lato – loro “servente”, nella misura in cui (secondo il diritto repubblicano) il “governo” è un “servizio”[33].

Lungo il trascorrere del tempo, il fondamentale ma delicato equilibrio nella dialettica tra potere dell’Imperatore (necessariamente direttamente proporzionale alle dimensioni dell’Impero)[34] e potere del sistema delle Città non è immune da variazioni. Tuttavia, tali variazioni – per quanto importanti – hanno grande difficoltà a giungere a cambiare la natura profonda delle Città.

La eredità lasciata dai Romani – in particolare – all’Europa è la «confederazione delle Città» (Th. Mommsen)[35] la cui «aria – come si dirà nel Medioevo – rende liberi»[36].

 

 

2. – Età medievale e moderna. Ritorno dei Regni: Feudalesimo e Leviatano

a. Divenire storico

α. “Völkerwanderungen”: di ‘Gefolgschaften’ non di Popoli

Tra i secoli IV e VI, su questo tessuto civico-urbano – democratico nella essenza e repubblicano negli sviluppi – si innestano le “migrazioni” (“Völkerwanderungen”) o, a seconda del punto di vista, “invasioni”[37] di Genti o Nazioni germaniche, che i Greci e i Romani chiamano “Barbari”.

Queste Genti o Nazioni non sono urbane o civiche, in quanto se non propriamente nomadi certamente in movimento.

Esse neppure sono “Popoli”, in quanto anche la parola ‘Popolo’ come la parola ‘civitas’ è, consacrata – dalle definizioni ciceroniane – a indicare la “società volontaria”.

Esse, invece, sono tenute insieme: ideologicamente, da legami di sangue e, organizzativamente, dalla subordinazione di ciascuno al ‘Führer’, il cui ‘Führertum’ li riunisce in ‘Gefolgschaft[38].

 

β. Ritorno dei Regni

Nel V secolo, tali migrazioni o invasioni giungono a interrompere la sequenza degli Imperatori di un Impero romano d’Occidente in crisi oramai grave: nel 476, l’Imperatore Romolo Augustolo è destituito ad opera del capo germanico Odoacre, il quale prende il titolo di Re.

Mille anni dopo la “cacciata dei Re” e la creazione della Repubblica, queste Genti/Nazioni, oramai stabilitesi in Europa, la ri-organizzano in Regni.

 

γ. Sistema feudale: rigetto/metabolizzazione delle Città e creazione dei Borghi

Tale ri-organizzazione assume – nella propria maturità – una fisionomia specifica, la quale sarà compendiosamente indicata con il nome di “feudalesimo”. Sulla nozione di feudalesimo si è addensata una importante quantità di studi[39], possiamo tuttavia definirlo compendiosamente come la ‘stanzializzazione’ della ‘Gefolgschaft’ ovvero come la traduzione in dettagliato sistema locale del principio organizzativo del ‘Führertum’. La sua struttura è caratterizzata dal totale centralismo del potere e la sua dinamica dalla esclusiva irradiazione del potere.

Nei confronti della antica “confederazione” e, poi, medievale “rete” delle Città, lasciata dai Romani[40], il Sistema feudale oscilla tra il loro rigetto (facendone una sorta di arcipelago di eccezioni) e la loro metabolizzazione (facendone sedi di esercizio del proprio potere: centrale e decentrato).

Inoltre, il Sistema feudale, costruisce le proprie, nuove ‘Città’. Anche queste ‘Città’ (come già quelle dei Regni antichi) sono sui generis; esse, cioè, non appartengono al genus delle civitates. Sono i cosiddetti “Borghi”. A differenza delle antiche colonizzazioni greche e romane, delle quali la fondazione della nuova Città è l’obiettivo e la società-comunità di cives il nucleo, i Borghi feudali sono una formazione secondaria, che si aggrega intorno e sotto il nucleo costituito dal Castello (‘Burg’, in lingua tedesca) del Signore feudale[41], la cui creazione è il vero oggetto del fiat ovvero del nutum del Re. Per il Borgo feudale, la dipendenza dal Centro è più che una caratteristica è l’elemento primo del suo patrimonio genetico.

La Città moderna, erede del Borgo medievale, ha al proprio centro il “Palazzo”: del Governo o (come Bruxelles) della Banca.

 

b. Esito storico: centralismo e decentramento statali

Il Borgo feudale è il vero archetipo nord-europeo di ‘Città’, sia per quanto concerne l’urbs, sia per quanto concerne la civitas.

Le antiche Città, sopravviventi nella forma dei Comuni, sono anche esse ridotte alla natura di Borghi, con il nuovo regime della loro volizione unitaria, introdotto da Edoardo I d’Inghilterra (1295) per il funzionamento del “Model Parliament”; cioè: con la riduzione del “mandato” dei Comuni ai propri delegati al Parlamento in mero conferimento agli stessi del proprio “pieno potere” (plena potestas).

La ulteriore novità della concezione della unità collettiva come ente astratto (il Leviathan di Hobbes, 1651) è ‘soltanto’ la più tarda giustificazione teorica di quel regime.

La combinazione delle due novità si ritrova nell’ordinamento federale degli Stati Uniti d’America (1787) i cui Comuni decentrati decantati da Alexis de Tocqueville (De la démocratie en Amérique, I, 1835, ch. V, §§ 1-4) sono in definitiva la versione odierna dei Borghi feudali[42].

 

 

3. – Russia: “Terra di Città

 

a. Natura non feudale delle istituzioni storiche della Russia

In questo brevissimo paragrafo, mi limito a ripetere le informazioni esposte – peraltro sinteticamente – da Giovanni Maniscalco Basile nella sua ultima e recentissima opera sulla storia russa[43].

Secondo Maniscalco, innanzi tutto, la natura della organizzazione ‘politica’ russa non è feudale.

Tale negazione ‒ oltre ad essere notevole in sé ‒ è ulteriormente notevole per i giudizi che la fondano, e che a me appaiono correttissimi. Essi sono: α) la equiparazione del sistema feudale al decentramento e β) la sua contrapposizione al sistema delle Città. La negazione è, infatti, così sintetizzata: «il sistema delle città russe non aveva alcun bisogno di stabilire un sistema di governo “decentrato” sotto il controllo di un “centro”: dato che non esisteva un vero e proprio “centro” come invece nell’ambito delle monarchie medievali in Occidente».

Rispetto a questa sintesi, si impone soltanto una precisazione[44]. Il sistema feudale è caratterizzato non tanto dalla presenza in esso di un “Centro” quanto piuttosto dalla sua riduzione al “Centro” e agli enti conseguentemente definiti “decentrati”, i quali sono mere emanazioni (del potere) del Centro.

 

b. Russia “Terra di Città”

In Russia – direi: anche in Russia ‒ tale ‘riduzione’ è resa im-possibile dalla presenza qualificante delle Città.

«Per un lungo periodo […] il pensiero politico e storico russo continua a ragionare in termini non di “stati”, di “imperi” o di “regni” ma di “città”».

La Città è la organizzazione umana locale per eccellenza: la idea di Città è “totalizzante”.

Lo stesso nome antico della Russia è “Terra di Città”.

E «tutto quello che non è Città è un “mesto”, semplicemente un “luogo”, un “posto”». Anzi, il territorio non organizzato in Città è addirittura il luogo in qualche modo già qualificato dalla attesa delle Città che vi possono e vi devono essere fondate. In un testo del 1510 si racconta di un viaggio nel quale il principe russo Aleksandr Michajlovič “vede” le “città non fondate”[45].

«Sino alla fine del secolo XV, la Russia era una costellazione di Città libere» ciascuna di esse governata da un proprio “Principe” e abbiamo notizia di Città nelle quali «le assemblee cittadine [... veče ...] potevano eleggere e deporre i principi».

 

c. Dialettica tra Città e Zar

La indicazione della Russia come “Moscovia” si afferma con la «opera di centralizzazione» degli Zar Ivan III (Zar dal 1462 al 1585) e Ivan IV (Zar dal 1547 al 1584). In particolare con Ivan IV, Mosca è «la “Città imperante” (Carstvujuščij Grad oppure Car’grad, Città dello Car’)». Anche «Costantinopoli, la Seconda Roma, nelle fonti russe del XVI secolo viene sempre chiamata “Car’grad”».

Tuttavia, almeno con Michele Fiodorovic Romanov (Zar dal 1613 al 1745) abbiamo un esempio di Zar eletto dalla assemblea dei notabili provenienti «da tutte le Città dell’Impero russo»[46].

 

 

4. – Sardegna giudicale: Concili di piccole Città

a. Natura non feudale delle istituzioni storiche della Sardegna

 

La istituzione medievale sarda per eccellenza, il “Giudicato” (secoli IX-XV), non appartiene al sistema feudale ma è propria dell’Impero romano[47].

Ciò dipende dalla straordinaria continuità del rapporto della Sardegna con l’Impero. La Sardegna (con la Corsica) ne è una Provincia, governata da un praeses o iudex provinciae, e – quodam modo – tale resta fino alla fine secolo XIV; eccezion fatta per i circa 80 anni della dominazione vandala, iniziata nel 456 e terminata nel 534 ad opera dell’Imperatore Giustiniano (cfr. Codex Iustiniani 1.27) poco prima che, nella penisola italiana, arrivino i Longobardi (568).

A partire dal secolo ottavo, la presenza in Sardegna del governo imperiale è sempre più rarefatta (a causa dell’indebolimento militare di questo, specialmente sul mare) la organizzazione di provincia imperiale, tuttavia, si mantiene. Mentre nella Europa – cosiddetta – occidentale si diffonde e consolida la organizzazione feudale (nell’847, il “Capitolare di Meerssen”, promulgato dal Re franco Carlo il Calvo, sollecita tutti gli uomini ancora liberi a scegliersi un signore e mettersi sotto la sua protezione) i cives sardi si ‘limitano’ a dividere il governo della propria provincia tra quattro Giudici locali e conservano, repubblicanamente: α) la natura non patrimoniale ma pubblica della propria organizzazione; β) il metodo della articolazione del potere tra il governo del “Giudice/Presidente” e la titolarità e l’esercizio del potere ‘sovrano’ da parte delle comunità locali (“villae/biddas”) mediante il sistema di diete inter-cittadine a due livelli (“Coronas de Curatorias” e “Corona de Logu[48]: l’equivalente cioè degli antichi concilia provinciali); γ) il, conseguente, mandato (‘imperativo’) ad ogni nuovo Giudice e il, connesso, controllo del suo operato (che poteva giungere alla destituzione-uccisione)[49].

 

b. Assemblee di (piccole) Città

 

Enrico Besta ha osservato la specificità della istituzione della corona (considerata dai conquistatori Spagnoli una specificità della Sardegna, un mos sardicus per eccellenza) sottolineandone somiglianze e analogie con le curiae dell’Italia meridionale e della repubblica di Venezia e ritenendola una formazione del diritto volgare[50].

Aldo Checchini, però, storico del diritto padovano di «notevoli attitudini dommatiche»[51], il quale ha insegnato anche presso la Università di Cagliari e ha studiato la istituzione comunale romana, ha sostenuto con forza la origine romana delle assemblee popolari sarde. Premesso lo stretto rapporto tra corona e sinotu (assemblea popolare della Sardegna giudicale) Checchini scrive: «Le assemblee sarde, […] riproducono […] perfettamente, non soltanto nel nome, ma anche nel loro ordinamento e funzionamento, i conventus romani. Il sinotu, nella sua essenza, è proprio l'assemblea romana della provincia, adattata, naturalmente, alle nuove e diverse circoscrizioni territoriali. Come quelle romane, le assemblee sarde venivano convocate in luoghi stabilmente destinati a tali riunioni […] luoghi nei quali il capo della circoscrizione si recava, in epoche pure stabilmente determinate». Checchini concludeva affermando di avere «dimostrato che di origine romana è l'ordinamento della corona»[52].

 

c. Trattato tra il Popolo sardo e il re d’Aragona

La manifestazione più eclatante della specificità romana della organizzazione sarda rispetto a quella feudale è anche l’ultima epifania del Popolo sardo dei cittadini: precisamente in occasione del trattato di pace, sottoscritto, a Sanluri il 24 gennaio 1388, tra il Re Giovanni I d'Aragona e il Giudice Eleonora d'Arborea. Colpisce, nell’esaminare questo trattato, il fatto che la firma del Giudice sardo, è ‘accompagnata’ da «circa 3500 nomi e cognomi» dei delegati delle Città che hanno approvato il trattato[53]. Così come colpisce la continuità di questa approvazione con il potere del popolo romano di ratificare i trattati, specificamente menzionato da Polibio (6.12.9)[54].

Alberto Boscolo ha scritto: «L'introduzione del feudalesimo, che ebbe luogo con la conquista aragonese […], annullò in Sardegna l'ordinamento precedente, basato su istituzioni di tipo comunale, e sconvolse la società»[55].

L’unico tentativo serio di scuotere il giogo feudale, operato dal “giacobino sardo” Giovanni Maria Angioy, il quale unisce le “Ville” sarde in “patti” contro gli Stamenti feudali (1795) è fallito[56].

Dopo di lui si è alzata la voce del “monarcomaco sardo” Giovanni Battista Tuveri (1815-1887) il quale difende i “Comuni” sardi contro il “Governo” piemontese, erede e continuatore di quegli Stamenti[57].

 

 

Prospettiva di lavoro

 

Ci sono, oggi, nelle zone più ricche del Pianeta, rivendicazioni egoistiche e miopi di separatismo istituzionale ed economico. «Salva te stesso»[58]. Non ci interessano.

C’è, però, anche una diffusa domanda di partecipazione istituzionale e di equità economica; domanda che diventa grido quando viene da Paesi poveri, come è stato all’inizio di questo decennio in molti Paesi arabi e come è in questo 2019 in vari Paesi andini.

Questa domanda è oggettivamente, profondamente sapiente e lungimirante. «Ama il prossimo tuo come te stesso»[59]. Dobbiamo provare a rispondere a questa domanda, sapendo che risponderle significa dare risposte anche alle nostre Comunità, ai nostri Paesi e, in definitiva, a noi stessi.

La strada giuridica appare – obbligatoriamente – quella della riscoperta scientifica e della riapplicazione normativa del modo di volizione partecipativo e unitivo proprio delle società-comunità locali (di “vecinos”, come si dice acutamente in lingua spagnola) ovvero del sistema delle Città piccole o molto piccole della antica e attuale tradizione democratica-repubblicana.

 

 



 

[Un evento culturale, in quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende impossibile qualsiasi valutazione veramente anonima dei contributi ivi presentati. Per questa ragione, gli scritti di questa parte della sezione “Memorie” sono stati valutati “in chiaro” dal Comitato promotore del XXXVIII Seminario internazionale di studi storici “Da Roma alla Terza Roma” (organizzato dall’Unità di ricerca ‘Giorgio La Pira’ del CNR e dall’Istituto di Storia Russa dell’Accademia delle Scienze di Russia, con la collaborazione della ‘Sapienza’ Università di Roma, sul tema: «IMPERO UNIVERSALE, CITTÀ, COMMERCI: DA ROMA A MOSCA, A NERČINSK») e dalla direzione di Diritto @ Storia]

[1] Sul fondamentale ruolo politico (che dovrebbe essere ovvio) delle Città ha fortemente richiamato la attenzione – durante la seconda metà del ‘900 – lo studioso e uomo politico italiano Giorgio La Pira, ai cui scritti rinvio.

[2] J.-J. Rousseau, Du contrat social, 1762, 3.1 “Du gouvernement en général” «le gouvernement, pour être bon, doit être relativement plus fort à mesure que le peuple est plus nombreux».

[3] Sullo scambio dei ruoli di dominus ed esecutore, nel passaggio dalla storia antica a quella moderna, vedi già M. Weber, Wirtschaft und Gesellschaft. Grundriß der verstehenden Soziologie, 1a ed., Tübingen 1921-22.

[4] Per una ricostruzione del dibattito e dello scontro tra organizzazione municipale e organizzazione parlamentare, vedi G. Lobrano, Per la Repubblica: «rifondare la città con le leggi». Dal codice civico al codice civile attraverso le Assemblee di Città, in Città e Diritto. Studi per la partecipazione civica. Un «Codice» per Curitiba, a cura di D. D’Orsogna - G. Lobrano - P.P. Onida, Napoli 2017, §§ II. 1. a. Il ruolo delle Assemblee di Città per e nella ‘Grande Révolution’. - b. Il fondamento e la nervatura municipali della prima Costituzione repubblicana. - c. “Modello romano” chiaro: “la confederazione di piccole Città” (Jean-Jacques Rousseau). - 2. a. Il ruolo delle Assemblee di Città per la Indipendenza latino-americana. - b. Le Città nel costituzionalismo per la Indipendenza latino-americana.

[5] G. Lobrano, Perché e come riformare la Autonomia Speciale della Sardegna (e la Costituzione italiana), in Autonomia speciale della Sardegna: studi per una riforma, atti informatici dell’omonimo Seminario Isprom, Cagliari 24-25 settembre 2015, § “II. Che fare? Contro gli elementi negativi: comprendere i segnali per il cambiamento e produrre una agenda conseguente; 1. La riforma democratica ‘disegnata’ negli ultimi 25 anni”.

[6] Sulla dottrina della continuità dell’Impero russo con l’Impero romano, rinvio alla Collezione «Da Roma alla Terza Roma. Documenti e Studi» diretta da P. Catalano e P. Siniscalco.

Sulla definizione della Russia come “Terra di Città”, vedi, infra, il § 3.b.

[7] A. Marongiu, Aspetti della vita giuridica sarda. Condaghi di Trullas e Bonarcado, in Id., Saggi di storia giuridica e politica sarda, Padova 1975; C. Casula, Storia di Sardegna, Firenze 1992.

[8] Vedi, infra, § 4.a.

[9] Vedi, infra, § 2.a.α.-β.

[10] G. Lobrano, Res publica: sui libri 21-45 di Tito Livio, in Roma e America. Diritto Romano Comune 36, 2015, 37-78 (‘on-line’); ripubblicato con il titolo I ‘modi di formazione della volontà collettiva’, omologhi ma non uguali, dei Popoli greci e del Popolo romano. Elementi attuali di storia e sistema della «Repubblica»: democratica e imperiale, in Scritti per Alessandro Corbino, 4, a cura di Isabella Piro, Tricase (Le) 2017, 342 ss.

[11] J.-J. Rousseau, Du Contrat social, 1762, §1.6 "Du pacte social", nt. 4.

[12] Per la nozione di “grandi parole”, vedi Lenin, Che fare?, 1902, § 4. “Il primitivismo degli economisti e l'organizzazione dei rivoluzionari”, e “Organizzazione «cospirativa» e «democrazia»” e “Conclusione”.

[13] Per fonti e dottrina sulla “democrazia” in Grecia e, in particolare nella Atene del IV secolo a.C., vedi M.H. Hansen, The Athenian Democracy in the Age of Demostenes. Structures, Principles and Ideology, Oxford 1991; ed. it. a cura di A. Maffi, La democrazia ateniese nel IV secolo a.C., Milano 2003.

[14] Sulla nozione di societas: A. Guarino, Societas consensu contracta, Napoli 1972; cfr. R. Cardilli, Societas vitae in Cic. off. 3.17.70 e obligatio consensu contracta, in Bullettino dell’Istituto di Diritto romano ‘Vittorio Scialoja’ 105, 2011, 185 ss.

[15] Su cui P.P. Onida, Concretezza giuridica del mandato. Il problema della formazione e articolazione della volontà, in Città e Diritto, cit., 139 ss.; G.C. Seazzu, Iussum e mandatum. Alla origine delle actiones adiecticiae qualitatis, I. Ipotesi di lavoro e stato della dottrina, Cagliari 2018.

[16] Su cui non possiamo qui indugiare ma che sarebbe ora di studiare; vedi G. Lobrano e P.P. Onida, Rappresentanza o/e partecipazione. Formazione della volontà «per» o/e «per mezzo di» altri. Nei rapporti individuali e collettivi, di diritto privato e pubblico, romano e positivo, in Diritto@Storia 14, 2016 (http://www.dirittoestoria.it/14/contributi/Lobrano-Onida-Rappresentanza-o-e-partecipazione.htm ); tradotto in lingua spagnola da Orisel Fernandez come Representación o/y ParticipaciónFormación de la voluntad «por» o/y «por medio de» otros. En relaciones individuales y colectivas, de derecho privado y público, romano y positivo, in Roma e America. Diritto Romano Comune 38, 2017, 149 ss. Cfr., ora, P.P. Onida, «Agire per altri» o «agire per mezzo di altri». Appunti romanistici sulla «rappresentanza» I. Ipotesi di lavoro e stato della dottrina, Napoli 2018.

Inoltre, dobbiamo qui almeno menzionare il potere dei tribuni plebis (poi del defensor civitatis) di mantenere l’equilibrio di volontà tra la comunità sovrana (mandante) e il magistrato esecutore (mandatario).

[17] Per un approccio al tema: D. Taranto, La miktè politéia tra antico e moderno. Dal "quartum genus" alla monarchia limitata, Milano 2006.

[18] Risalente ma sempre utile la trattazione fattane da Mario Attilio Levi e Andrea Rapisardi Mirabelli nella ‘voce’ “Federazione” della Enciclopedia Italiana Treccani, 1932.

[19] Pomp. D. 1.2.2.7, su cui P. CatalanoDiritto e persone. Studi su origine e attualità del sistema romano, Torino 1990, XIV s. e, quindi, Maria Pia BaccariIl concetto giuridico di civitas augescens: origine e continuità, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 61, 1995 [= Studi in memoria di Gabrio Lombardi II (Roma 1996)] 759 ss.; Ead., Cittadini popoli e comunione nella legislazione dei secoli IV-VI, Torino 1996, 47 ss.

[20] In proposito: G. Lobrano, Res publica: Sui libri 21-45 di Tito Livio, cit., 37 ss. (= I ‘modi di formazione della volontà collettiva’, omologhi ma non uguali, dei Popoli greci e del Popolo romano. Elementi attuali di storia e sistema della «Repubblica»: democratica e imperiale, cit., 342 ss.).

[21]Mancipia”: Liv. 36.44; vedi anche 37.54 (discorso della ambasceria dei Rodii a Roma, durante la guerra contro Antioco III Re di Siria).

[22] Per gli sviluppi statual-contemporanei, si pensi alla dottrina smithiana della “mano invisibile del mercato”.

[23] Vedi, infra, nt. 27.

[24] Vedi, infra, § 2.a, in part. 2.a.α.

[25] Vedi, infra, § 2.b.

[26] J.-J. Rousseau, Projet de constitution pour la Corse, 1765: «Une capitale est un gouffre où la nation presque entière va perdre ses mœurs, ses lois, son courage et sa liberté».

[27] G. La Pira, in Testimonianze 25, 1960, 380 ss. [= G. La PiraScritti editi, vol. XII, 270 ss.]: «Ci sono delle città che ancora non sono città. Nuova York non è una città, ha ancora da formarsi. Mi capite vero?».

[28] Adoperata nel IV secolo d.C. dal grammatico Carisio (Ars grammatica 1.152 ed. Keil).

[29] Afferma Erodoto (st. 1.153.2) che lo stesso re persiano Ciro, rispondendo a un ambasciatore spartano, individua nell’uso greco di riunire i Cittadini nella piazza centrale della Città la differenza di fondo con i costumi del proprio regno (Ch. Westfall Oughton, Scripting the Persians: Herodotus’ Use of the Persian ‘Trivium’ (Truth Telling, Archery, and Horsemanship) in the Histories, Austin - Texas 2011, 48; S. Mazzarino, Fra Oriente e Occidente, in La Città antica. Guida storica e critica, a cura di C. Ampolo, Bari 1980, 178, osserva il carattere essenziale, al fine della definizione della Città antica, della presenza della piazza centrale, la ‘agorà’; vedi anche F. De Martino, Il modello della città–stato, in A.a.V.v., Storia di Roma, IV, Torino 1989, 436 s.).

[30] Sulla “economia di palazzo” C.F.S. Cardoso, Sociedades do Antiguo Ortiente Próximo, Sáo Paulo 1986, Cap. 1 “Palácios, templos e aldeias: o "modo de produção asiático". Cfr. Eva Cantarella, Norma e sanzione in Omero: contributo alla protostoria del diritto greco, Milano 1979, 25 ss.; G. Maddoli, La Civiltà micenea: guida storica e critica, Roma-Bari 1992, 87 e 245; M. Marazzi, La società micenea, Roma 1994, 122 ss.

[31] G. Lobrano, La respublica romana, municipale-federativa e tribunizia: modello costituzionale attuale, in Diritto@Storia 3, 2004, 1-28, http://www.dirittoestoria.it/3/Memorie/Organizzare-ordinamento/Lobrano-Res-publica-Romana-modello-costituzionale-attuale.htmId., Città, Municipi, Cabildos, in Roma e America 18, 2004, 169 ss.; L. Capogrossi Colognesi, La genesi dell’impero municipale, in Roma e America 18, 2004, 243 ss.

[32] Vedi, supra, nt. 16.

[33] C.M. Moschetti, Gubernare navem, gubernare rem publicam. Contributo alla storia del diritto marittimo e del diritto pubblico romano, Milano 1966.

[34] Vedi, supra, nt. 2.

[35] «Seitdem [dopo il bellum sociale] ist die römische Bürgerschaft rechtlich vielmehr die Conföderation der sämtlichen Bürgergemeinden. […] Wie die Republik in notwendiger Consequenz endigt mit Verwandlung des italienischen Städtebundes in die Roma communis patria, so endigt der Principat damit die Provinzialgemeinden alle erst zu städtischen Gestaltung zu führen und dann gleichfalls in Bürgerstädte umzuwandeln. Das Ergebnis dieser Entwickelung, wiedergelegt wie es ist in römischen Rechtsbrüchen, hat insbesondere durch diese mächtige und zum Theile segensreich auf diejenige Entwickelung von Staat und Gemeinde eingewirkt, welche das Fundament unserer Civilisation ist» Th. Mommsen, Römisches Staatsrecht, III.2, Leipzig 1888, § 21 “Das Municipalrecht in Verhältnis zum Staate. Die Stadt im Staat”, 773 e 781.

[36] H. Pirenne, Historia económica y social de la edad media, (tr. sp. di S. Echavarría dall’or. fr. Histoire économique et sociale du Moyen-Âge, Paris 1933) México D.F. 1975, 44 [vedi anche Id., Les villes et les institutions urbaines, Paris-Bruxelles 1925, 35 ss.]. Nello stesso senso L. Mumford, The City in History, New York 1961, cap. IX.

[37] Osserva G. Halsall, Barbarian Migrations and the Roman West, 376-568, New York 2007, 10 s. che, mentre gli autori di lingua neolatina come i Francesi o gli Spagnoli usano il termine "invasione", gli autori di lingua germanica o slava usano il termine "migrazione" (Völkerwanderung in tedesco, Migration period in inglese, Stehování národu in ceco).

[38] R. Fiori, Sodales. Gefolgschaften’ e diritti di associazione in Roma arcaica (VIII-V Sec. A.C.), in Societas - Ius. Munuscula di allievi a Feliciano Serrao, Napoli 1999, 101 ss.; L. Canfora, La Germania di Tacito da Engels al nazismo, Napoli 1979; Id., La Democrazia. Storia di un’ideologia, Bari 2004.

[39] A partire dagli studi di Marc Bloch e di François-Louis Ganshof: M. Bloch, La société féodale [Collection L'évolution de l'humanité, vol. XXXIV et XXXIV bis], t. I: La formation des liens de dépendance, Paris 1939; t. II: Les classes et le gouvernement des hommes, Paris 1940; F.-L. Ganshof, Qu'est-ce que la féodalité?, Bruxelles 1944.

[40] Vedi, supra, nt. 35, la citazione di Mommsen.

[41] Sulla sua successiva trasformazione a opera del ceto dei mercanti, vedi H. Pirenne, Historia económica y social de la edad media, cit., 37 s. e 47.

[42] De la démocratie en Amérique, I e II, 1835-1840.

Gli antifederalisti. I nemici della centralizzazione in America (1787-1788), a cura di L.M. Bassani, Torino 2011.

[43] G. Maniscalco Basile, Aeternum foedus tra Russia e Cina. Il Trattato di Nerčinsk (1689) [= Da Roma alla Terza Roma. Lessici - II], Roma 2017, cap. “Presupposti ideologici del potere imperiale russo”: §§ “La terra delle città”, “L’eredità del padre”, “Mosca: città dell’Impero”, 113 ss.

[44] Peraltro presente nel prosieguo della esposizione di Maniscalco Basile.

[45] «Nell’Epistola di Spiridon-Savva, in cui si delinea la discendenza dei Principi russi da Cesare Augusto, nella parte che riguarda la genealogia dei Principi lituani racconta: “Il Gran Principe Aleksandr Michajlovič trattenuto per non poco tempo presso l’Orda e infine lasciato andare dall’Orda dalla Car’ al Gran Principato di tutta la Rus’ vide che vi erano molte città ancora non fondate e che poca gente si riuniva”». Di G. Maniscalco Basile, vedi anche Città e territorio del potere nella Russia del XVI secolo, in Diritto@Storia 15, 2017, http://www.dirittoestoria.it/15/memorie/Maniscalco-Basile-Citta-territorio-potere-Russia-XVI-secolo.htm (Atti del XXXVII Seminario internazionale di studi storici da Roma alla Terza Roma, Campidoglio, 21-22 aprile 2017).

Cfr. Prince André Kourbsky, Histoire du Règne de Jean IV (Ivan Le Terrible), “Préface” e tr. di M. Forstetter, “Avant-propos” ed edizione annotata di Alexander V. Soloviev, Genève 1965, 114: «ces hommes [i “martiri” delle persecuzioni di Ivan IV] n’ont-ils point peiné honorablement? N’ont-ils souffert beaucoup, en défendant les pauvres chrétiens contre les barbares qui faisaient irruption dans leurs terres, en détruissant, par leur héroïsme, des royaumes entiers d’infidèles et les souverains impies; en élargissant les frontières de l’Empire chrétien jusqu’à la mer Caspienne, en fondant des villes dans ce contrées, en y élevant des autels et en y convertissant de nombreux païens?».

[46] «con il sobor di elezione di Michail Fëdorovič Romanov, una funzione pubblica di grande rilievo viene attribuita alle altre città che fanno ora parte della Moscovia: vengono chiamati uomini saggi dalle città perché partecipino all’elezione del nuovo Car’».

[47] In questo paragrafo riprendo un ‘discorso’ già formulato in G. Lobrano, La Constitutio Antoniniana de civitate peregrinis danda del 212 D.C. Il problema giuridico attuale di ri-comprendere scientificamente la cittadinanza per ri-costituirla istituzionalmente, in La cittadinanza tra impero, stati nazionali ed Europa. Studi promossi per il MDCCC anniversario della constitutio Antoniniana, a cura di M. Barbulescu, E. Silverio e M. Felici, Roma 2017.

[48] Cui si deve aggiungere la assemblea intra-cittadina di cives: “Corona de Bidda”.

[49] Per un approccio: E. Besta, La Sardegna medioevale, II. Le istituzioni politiche, economiche, giuridiche, sociali, Palermo 1909; A. Solmi, Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel Medioevo, Cagliari 1917 (ripubbl. Cagliari 1965 e Nuoro 2001); A. Boscolo, La Sardegna bizantina e alto giudicale, Cagliari 1978; Id., La Sardegna dei Giudicati, Cagliari 1979; M. Caravale, Lo Stato giudicale, questioni ancora aperte, in Atti del convegno internazionale Società e Cultura nel Giudicato d'Arborea e nella Carta de Logu, Oristano 1995; F. Sini, Comente comandat sa lege. Diritto romano nella Carta de Logu d’Arborea [Università degli Studi di Sassari - Dipartimento di Scienze Giuridiche - Pubblicazioni del Seminario di Diritto romano, 11 - Collana a cura di G. Lobrano e F. Sini], Torino 1997.

[50] E. Besta, La Sardegna medioevale, II. Le istituzioni politiche, economiche, giuridiche, sociali, cit., 97 ss.; nello stesso senso A. Solmi, Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel medio evo, cit., 186 ss.

[51] Vedi la voce “Checchini, Aldo” in Enciclopedia Italiana Treccani - III Appendice, 1961.

[52] A. Checchini, Note sull'origine delle istituzioni processuali della Sardegna medioevale, in Id., Scritti giuridici e storico-giuridici, II, cit., 212 ss., in particolare 217 s. e 224 s.

Anche Raffaele Di Tucci sostiene la derivazione romana della corona in Id., L'organismo giudiziario sardo: la Corona, in Archivio Storico Sardo XII, 1916-1917, 29 ss. ma opta, poi, per quella germanica in Id., Nuove ricerche e documenti sull'ordinamento giudiziario e sul processo sardo nel Medio Evo, Cagliari 1923, 5 ss.; Id., Il diritto pubblico della Sardegna nel Medio Evo, in Archivio Storico Sardo XV, 1924, 94 ss.

Occorre notare che, a fronte delle diffuse idee (di ascendenza montesquieuiana e di maturazione ottocentesca) dell’Impero romano come “monarchia autocratica” e della “libertà germanica”, connettere le istituzioni democratiche sarde all’Impero romano è la lectio difficilior, sebbene la più logica in considerazione della loro accertata specificità nella esperienza medievale ‘occidentale’.

[53] Vedi A. Mattone, v. “Eleonora”, in Dizionario biografico degli Italiani, 42, 1993. L’autore ricorda che il testo del trattato menziona, pertanto, anche “300 toponimi”.

[54] Vedi L. Polverini, Democrazia a Roma? La costituzione repubblicana secondo Polibio, in Popolo e potere nel mondo antico, a cura di G. D’Urso, Firenze 2004, 85 ss.

Livio Tanfani (Contributo alla storia del Municipio romano, 1906 [r. an. Roma 1970], 38 s.) osserva essere tra le competenze originarie dei comizi municipali quella «di ratifica dei trattati» per cui abbisognano della delibera comiziale «l’ospizio e il patronato che, pur essendo conferiti a cittadini romani, conservano le forme esterne di un trattato».

[55] A. Boscolo, Premessa, in Il Feudalesimo in Sardegna, a cura di Id., Cagliari 1967. Cfr. M. Tangheroni, Il feudalesimo in Sardegna in età aragonese, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, Classe di Lettere e Filosofia s. III, 3, 1973, 861-892 [poi in Sardegna Mediterranea, Roma 1983]; Id., Città e feudalesimo in Sardegna nel Quattrocento: il caso di Iglesias, in La corona d’Aragona e il Mediterraneo: aspetti e problemi comuni, da Alfonso il Magnanimo a Ferdinando il Cattolico, 1416-1516 [Società napoletana di Storia Patria, 2], Napoli 1982, 299 ss.

[56] F. Francioni, Giovanni Maria Angioy nella storia del suo tempo, Cagliari 1985.

[57] G. Solari, Il pensiero politico di Giovanni Battista Tuveri: un monarcomaco sardo del secolo 19. [discorso letto il 15 novembre 1914 nella R. Università di Cagliari dal prof. Gioele Solari], Cagliari 1915.

[58] Luca 23.35-43.

[59] Matteo 22.37-40, in part. 39 e Marco 12.29-31, in part. 31 (cfr. Matteo 16.21-27, in part. 25); Paolo, Gal. 5.13-15, in part. 14 (cfr. Id., 1a Cor. 12.4 ss.),

Si noti che l’“ateo militante” Flores d’Arcais descrive il «circolo vizioso per cui praticare la solidarietà effettiva e il primato del tu implica un dovere di sacrificarsi (perché l’uguale dignità non resti retorica) che riesce in genere solo se si ha fede in un Altro (inteso proprio come Dio padre) [...] La pietra d’inciampo per l’ateo è l’incapacità della carità» (Dio esiste?, in MicroMega n. 2, anno 2000; dello stesso autore vedi, però, il convenzionale saggio “La democrazia ha bisogno di Dio” Falso!, Roma-Bari 2013).