Note-&-Rassegne-2019 

 

 

Puggioni-foto cv_2Incapacità di intendere e di volere e finzione di imputabilità

 

aNgelica PuggionI

Università di Sassari

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SOMMARIO: 1. L’ubriachezza. Uno sguardo d’insieme fra rilevanza naturalistica ed irrilevanza giuridica. – 2. Quando l’ubriachezza è vera ma l’imputabilità è solo finta. – 3. L’incontrastato orientamento giurisprudenziale.

 

 

1. – L’ubriachezza. Uno sguardo d’insieme fra rilevanza naturalistica ed irrilevanza giuridica

 

L'accertamento della colpevolezza nel soggetto in stato di ubriachezza è uno degli aspetti più discussi e controversi della disciplina dedicata dal codice penale all'imputabilità[1]: si tratta di stabilire se l’atteggiamento psicologico vada accertato con riferimento alla presenza del dolo o della colpa nel momento della commissione del fatto ovvero con riguardo al carattere volontario o colposo dello stato di ebbrezza alcoolica.

La giurisprudenza ormai consolidata, con riferimento all'incidenza della condizione di alterazione conseguente all'assunzione di sostanze alcoliche sull'elemento psicologico doloso, stabilisce come «in linea di principio e secondo la previsione di cui all'art. 92 cod. pen., che disciplina l'ipotesi dell'ubriachezza non derivata da caso fortuito o forza maggiore, gli effetti delle sostanze di abuso volontariamente assunte non pregiudicano l'imputabilità»[2].

È incontroverso in giurisprudenza[3] il principio di diritto secondo cui «la colpevolezza di una persona in stato di ubriachezza deve essere valutata secondo i normali criteri di individuazione dell'elemento psicologico del reato e, poiché gli artt. 92 e 93 cod. pen., nel disciplinare l'imputabilità del reo, non dispongono alcunché in ordine alla sua colpevolezza, questa deve essere apprezzata alla stregua delle regole generali dettate dagli artt. 42 e 43 cod. pen.». Precisa, altresì, che è compito del giudice «accertare di volta in volta, secondo la giurisprudenza corrente, il titolo di colpevolezza (dolo o colpa), sulla base dell'atteggiamento psicologico assunto dall'ubriaco al momento in cui commise il fatto».

Infine, con riferimento specifico all'elemento psicologico, ha chiarito che «l'azione esercitata sulla psiche del soggetto dall'alcool o dagli stupefacenti volontariamente assunti, seppur incidente sul piano naturalistico delle determinazioni assunte, non impedisce di ravvisare gli estremi del dolo diretto – ma le argomentazioni sono valide anche per il dolo eventuale[4]per la cui esistenza non è necessaria un'analisi lucida della realtà, ma solo che il soggetto sia in grado, nonostante la perturbazione psichica e la riduzione del senso critico determinate dalle sostanze assunte, di attivarsi in modo razionalmente funzionale a cagionare l'evento antigiuridico rappresentato e voluto»[5].

Dottrina maggioritaria e giurisprudenza oramai incontrastata propendono per considerare l'intossicato incapace alla stessa stregua di un soggetto capace, con conseguente necessità di accertare qual era l'atteggiamento psichico che ha sorretto l'agente al momento del fatto. La peculiarità della disciplina ex art. 92 cod. pen. risiede proprio in ciò: l'autore del fatto di reato deve rispondere penalmente come se fosse rimasto capace di intendere e di volere nel momento in cui lo commise; ciò postula che si debba prendere in considerazione l'atteggiamento da lui tenuto in quell'occasione per identificare l'elemento psicologico che caratterizza la condotta[6] e non già quello della messa in opera della situazione che ha determinato la perdita o la menomazione dell'imputabilità[7]. Risponderà, allora, a titolo di omicidio colposo chiunque, in stato di ubriachezza, cagioni la morte di un uomo per il mancato rispetto delle regole cautelari imposte in materia di circolazione stradale; di converso, risponderà a titolo di omicidio volontario l'ubriaco che abbia sfogato la sua ira scagliandosi sulla vittima[8].

Dal punto di vista naturalistico, però, l'intossicazione da sostanza alcoolica, ancorché non cronica, è in grado di escludere o scemare grandemente la capacità di intendere e di volere: è indubbio che l'uso eccessivo di alcool comporti gravi perturbazioni nello stato di mente, alterando ovvero attenuando il senso critico dell'uomo e determinando l'irregolare funzionamento dei freni inibitori[9]. Ciononostante, la rilevanza dell'ubriachezza ai fini del giudizio di imputabilità è subordinata alla natura della causa che l'ha provocata; il discrimen è dato dall'ascrivibilità della stessa ad un comportamento volontario o colpevole del soggetto. Ne discende un'articolata trattazione codicistica che dispone un differente trattamento per ogni “tipologia” – rectius causa – di ubriachezza.

La colonna portante dell'impianto normativo in materia di imputabilità[10] è rappresentata dall'art. 85 cod. pen., a mente del quale «Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile», specificando al comma II che «è imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere». Gli artt. 91 e 95 cod. pen. statuiscono, rispettivamente, che quando causa dell'ubriachezza è il caso fortuito o la forza maggiore, ovvero quando si tratta di intossicazione cronica, il soggetto non è pienamente capace di intendere e volere e, pertanto, si rinvia alle ipotesi di cui all'art. 88 se il soggetto non è imputabile per via della c.d. ubriachezza “piena”, e di cui all'art. 89 cod. pen. se il soggetto è semimputabile perché l'ubriachezza non è piena e la capacità di intendere e di volere è grandemente scemata[11]. Nelle altre ipotesi di ubriachezza, invece, lo stato di alterazione psicofisica conseguente all'assunzione di alcool non è considerato idoneo ad escludere o diminuire l'imputabilità. In questo la disciplina in materia di reati commessi sotto l'effetto di sostanze alcooliche o stupefacenti costituisce una delle più evidenti deroghe alla regola generale sancita all'art. 85 del codice[12].

Il nodo cruciale della disciplina dell'ubriachezza è rappresentato proprio dall'art. 92 cod. pen. che, al comma I, disciplina l'ipotesi dell'ubriachezza volontaria o colposa, cioè quella, secondo quanto specificato nel corpo della disposizione, “non derivata da caso fortuito o forza maggiore". In altre parole, essa si verifica allorquando l'agente ha voluto ubriacarsi (ubriachezza volontaria), ovvero si è ubriacato per imprudenza o negligenza ben potendo prevedere che, ingerendo quella sostanza in quella quantità, si sarebbe ubriacato e, ciononostante, ha assunto alcool in misura superiore alla sua capacità di tolleranza (ubriachezza colposa)[13]. In siffatte ipotesi l'incapacità conseguente all'assunzione di bevande alcoliche incidente sulla psiche del soggetto e il grado di ebbrezza sono irrilevanti. Dice, infatti, la disposizione normativa: «l'ubriachezza non derivata da caso fortuito o forza maggiore non esclude né diminuisce l'imputabilità». Viene, altresì, considerato imputabile, e punito più aspramente, colui che al momento della commissione del fatto era incapace di intendere e di volere per aver assunto sostanze alcoliche al fine di commettere il reato o prepararsi una scusa, la c.d. ipotesi di “ubriachezza preordinata”. Stando al dettato codicistico il giudice non può compiere alcuna indagine relativamente agli effetti che lo stato di ubriachezza volontaria può aver prodotto sullo stato di incapacità di intendere e volere dell'imputato e, conformemente alla presunzione iuris et de iure contenuta nella disposizione in esame, deve darne come presupposta la sussistenza al momento del fatto. Invero, una volta accertato che l'incapacità dovuta all'ingestione di sostanze alcooliche o stupefacenti non rientra nelle ipotesi di cui agli artt. 88, 89, 91, 95, 96, 97, 98 cod. pen., il giudice dovrebbe sempre concludere per la piena imputabilità del soggetto ai fini penali[14]; la sola indagine che gli è consentita è quella relativa all'atteggiamento psichico che aveva l'imputato nel momento in cui commise il fatto di reato che gli viene ascritto[15].

 

 

2. – Quando l’ubriachezza è vera ma l’imputabilità è solo finta

 

La ratio legis è chiara: chi si ubriaca volontariamente non può essere scusato e, nel momento in cui pone in essere un fatto di reato, deve risponderne come se fosse pienamente capace di intendere e di volere.

Il rigore legislativo espresso dall'art. 92 cod. pen. mal si concilierebbe, però, sul piano ontologico con il dato fattuale[16] rappresentato dall'incapacità del soggetto agente nel tempus commissi delicti[17]. La piena imputabilità dell'agente, sancita all'art. 92 cod. pen. ancorché il soggetto agisca in stato di alterazione psichica conseguente all'ubriachezza volontaria o colposa costituisce una mera fictio iuris[18], imposta in modo tanto rigoroso dalla necessità di difesa sociale in un'ottica di prevenzione generale[19]. L'esigenza criminale sottesa a tale scelta legislativa è quella di evitare l'impunità per coloro che hanno commesso il fatto di reato in uno stato che porta con sé un significativo effetto criminogeno[20]. Il codice Rocco, mosso dall’esigenza di tutelare in massimo grado la salute pubblica, aveva, dunque, accentuato le preoccupazioni politico-repressive con una disciplina particolarmente rigorosa, volta a reprimere energicamente il fenomeno dell'alcoolismo[21].

Questa severità ha, però, originato numerosi discussioni, in modo particolare relativamente al titolo di attribuzione della responsabilità, nonché dubbi di legittimità costituzionale. Una lettura sistematica mette in luce come l'art. 92 cod. pen. costituisca una deroga al principio generale di cui all'art. 85 del codice[22]. Con riferimento, invece, ai principi di rango costituzionale, si contesta che la finalità di difesa sociale finisce col prevalere sul principio di colpevolezza[23], laddove viene data rilevanza, ai fini dell'esclusione dell'imputabilità, solo all'ubriachezza accidentale ed alla cronica intossicazione.

La contraddizione fra il dato normativo, che attribuisce piena imputabilità all'ubriaco, e il dato fattuale, in quanto la sostanza alcoolica determina l'irregolare funzionamento dei freni inibitori[24], fa sì che ancora sia aperto il dibattito circa la natura della responsabilità[25] in cui si incorre laddove l'ubriachezza sia piena[26].

Una parte della dottrina[27], sull'assunto che fuori dall'ipotesi di ubriachezza preordinata al reato non possa ammettersi che agisca con dolo colui che commette un reato in stato di incapacità intellettiva e volitiva, si interroga su quale sia il fondamento della piena imputabilità di chi agisce in stato di completa ubriachezza[28] nei reati dolosi e preterintenzionali[29]. Atteso che il soggetto ubriaco non è in condizioni di normalità, poiché le sue percezioni e le sue reazioni sono potentemente influenzate dallo stato di incapacità in cui versa, l'atteggiamento psichico al momento del fatto è ritenuto tanto abnorme da non poter essere ricondotto alle tipiche forme che si pongono a fondamento dell'accertamento della responsabilità penale in soggetto capace. Si prospetta dunque, come già detto, una fictio di imputabilità del soggetto nel tempus commissi delicti ed a tale momento deve ricondursi l'accertamento del nesso psichico e del conseguente titolo di responsabilità[30].

Certa dottrina ritiene che, attribuendo la penale responsabilità - che secondo quanto stabilito dall'art. 27 Cost. è personale - ad un soggetto che non è imputabile ma si presume tale, il regime dell'intossicazione finisce con il diventare una forma occulta di responsabilità oggettiva[31]. Questa obiezione non trova, però, fondamento, atteso che la legge richiede il concorso del dolo ovvero della colpa.

Il punto nodale, in definitiva, non è l'assenza dell'elemento soggettivo, bensì il momento in cui esso debba sorreggere la condotta, ossia se debba essere valutato l'elemento psicologico al momento in cui il soggetto si è posto in stato di incapacità, ovvero nel momento in cui ha commesso il fatto costituente reato.

Un filone dottrinale individua nella colpa il titolo di responsabilità, circoscrivendo la punibilità ai soli delitti per i quali la legge contempla la figura colposa[32].

Un orientamento che ha riscosso maggiori consensi, al fine di conciliare la disciplina dell'art. 92 cod. pen. con l'art. 27 Cost., ha postulato la necessità di utilizzare lo schema dell'actio libera in causa[33], anticipando l'accertamento dell'elemento psicologico dell'agente al momento in cui si è posto in stato di incapacità[34]: se si è ubriacato intenzionalmente risponderà a titolo di dolo; se si è ubriacato per imprudenza o negligenza risponderà a titolo di colpa[35]. Più specificamente, se l'incapacità è piena il soggetto risponderà del reato commesso a titolo di dolo eventuale allorquando si è posto in stato di incapacità prevedendo ed accettando il rischio del reato[36]; risponderà a titolo di colpa per il delitto previsto nella corrispondente forma l'agente che, nel momento in cui ubriacandosi si è reso incapace, ha previsto il reato ma non lo ha accettato o, se il reato era comunque prevedibile come conseguenza dell'incapacità e per questo evitabile, sempre che si tratti di reato previsto ex lege anche nella forma colposa[37].

Queste teorie, aventi quale scopo comune quello di superare la frizione fra la finzione di imputabilità ed il principio costituzionale di colpevolezza[38], non hanno mai trovato accoglimento nelle pronunce della giurisprudenza[39].

La prima teoria presta il fianco a numerose critiche. Lascerebbe, infatti, impunite le fattispecie criminis per le quali non è prevista la corrispondente fattispecie colposa. Così, ad esempio, resterebbe impunito il ladro che abbia perpetrato il furto in stato di ubriachezza.

Avverso la teoria che scorge nell'ipotesi di cui all'art. 92 cod. pen. un'ipotesi di actio libera in causa[40], si obietta che, così opinando, si confonderebbe lo status psicologico che provoca la condizione di ubriachezza con quello che accompagna la successiva commissione del fatto di reato, con il rischio di punire come dolosi dei delitti involontari e, viceversa, come colposi dei delitti dolosi[41].

 

 

3. – L’incontrastato orientamento giurisprudenziale

 

La perentorietà della disposizione normativa in esame, unitamente ai numerosi dibattiti che ne sono derivati, ha fatto sì che la Suprema Corte si pronunciasse avendo quale fine quello di coniugare da un lato la presunzione assoluta di imputabilità ex art. 92 co. I cod. pen., dall'altro la necessità di reperire criteri di colpevolezza[42]. Così, a base delle sua pronuncia, la Cassazione pone la sentenza della Corte costituzionale n° 33/70 con cui venivano dichiarate infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 92 cod. pen., per contrasto con gli articoli 3 e 27 Cost.[43].

Con riferimento alla violazione del principio di uguaglianza il giudice delle leggi ha statuito che «la ragione della differente normativa tra ubriachezza derivata e ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore sta nell'intento del legislatore di prevenire e reprimere l'ubriachezza come male sociale e, soprattutto, come situazione che, in certi soggetti, può spingere al delitto. Il che basta per giustificare, sotto il profilo costituzionale, la norma impugnata: l'ubriaco, che abbia commesso un reato, risponde per una condotta antidoverosa, cioè per essersi posto volontariamente o colposamente in condizione di commetterlo». L'art. 92 cod. pen., inoltre, non osta al principio di responsabilità penale in quanto la colpevolezza, che si compone di dolo e colpa, sussisterebbe nella condotta iniziale che ha condotto all'ubriachezza, né il precetto costituzionale esclude che sia responsabilità personale per fatto proprio quella di chi, incapace nel momento in cui commette il reato, non lo sia stato quando si è posto in condizione di commetterlo.

In definitiva, a norma dell'art. 92 cod. pen., l'ubriachezza volontaria o colposa non esclude né diminuisce l'imputabilità e, poiché questa si identifica con la capacità di intendere e di volere, che a sua volta costituisce il presupposto del dolo, lo stato di ubriachezza non accidentale, cioè volontario o colposo, sul piano giuridico è pienamente conciliabile con la capacità di versare in dolo o colpa[44].

Per questa ragione, la colpevolezza del soggetto che ha agito in stato di ubriachezza deve essere valutata secondo i normali criteri d'individuazione dell'elemento psicologico[45] e, dato che l'art. 92 cod. pen. nulla dice in ordine alla di lui colpevolezza, questa deve essere apprezzata alla stregua delle regole dettate dagli artt. 42 e 43 del codice[46]. Il titolo di responsabilità soggettiva alla stregua del quale l'agente verrà punito (dolo, colpa o preterintenzione) non deve essere valutato con riferimento al momento nel quale il soggetto si ubriaca, bensì risponderà sulla base del dolo o della colpa, sia pure sui generis in ragione dello stato di ubriachezza[47]. L'obiezione secondo cui in caso di ubriachezza piena lo stato di confusione in cui si trova la mente non permette di stabilire se vi fu o no il dolo, viene tradizionalmente confutata con la celebre espressione del Battaglini, secondo cui l'intelligenza soppressa e l'assenza di volontà dell'ubriaco sono una creazione di fantasia, “nessuno lo vide mai sul banco degli imputati”[48].

La disciplina del codice uniforma il trattamento di varie ipotesi che, in concreto, possono andare da una reale colpevolezza fino alla sua radicale assenza: un'ubriachezza volontaria può essere accompagnata dalla rappresentazione ed accettazione del fatto criminoso; parimenti, un'ubriachezza volontaria o colposa può essere accompagnata sia dalla previsione che dalla prevedibilità di futuri comportamenti, volontari o colposi, atti a creare nocumento in danno di terzi[49].

Il difetto dell'elemento soggettivo in stato di ubriachezza può essere invocato solo se tale difetto sia stato determinato da causa indipendente dall'ubriachezza stessa: se la causa che esclude il dolo è dipendente dall'ubriachezza, essa è irrilevante e l'imputabilità è presunta. Invero, ai fini dell’esclusione del dolo, sia generale che specifico, rilevano esclusivamente le cause derivanti da un altro fatto, che avrebbero operato anche in assenza dello stato di ebbrezza alcoolica[50].

Si può, però, davvero dire che le motivazioni adottate dal Supremo Collegio siano sufficienti a chiudere in modo definitivo ogni questione sul punto? Se ci si muove in una prospettiva di tutela le motivazioni parrebbero appaganti.

 

 



[1] In tal senso si esprime anche T. PADOVANI, Diritto penale, X ed., Milano 2012, 196.

[2] Così, Cass. Pen., sez. I, n° 29250 del 26/03/2018 (dep. 26/06/2018), Cherifi, est. Boni, inedita, revocata ex art. 625–bis cod. proc. pen. da Cass. Pen., sez. V, n° 57481 del 13/11/2018 (dep. 19/12/2018), est. Scarlini, inedita. La Suprema Corte veniva chiamata a pronunciarsi in materia di accertamento della colpevolezza in soggetto in stato di ubriachezza. Nel merito, il Tribunale di Bologna quale giudice di prime cure e la Corte d'Appello di Bologna in secondo grado, si erano pronunciati affermando la penale responsabilità di Naoual Cherifi, accusata di tentato omicidio in danno di Greta Andreotti. La dinamica dei fatti veniva così ricostruita: un gruppo di sette ragazze, tra cui la persona offesa, giungeva presso un pub, luogo in cui scoppiava una lite tra costoro e le sorelle Cherifi. All'uscita dal locale l'imputata, sotto l'effetto di sostanze alcooliche, si sarebbe, poi, posta alla guida della sua autovettura e si sarebbe scagliata contro l'Andreotti. In conseguenza di tale condotta la persona offesa riportava lesioni personali giudicate guaribili in quattro mesi. Nel primo e nel secondo grado di giudizio, la Corte d'Assise e la Corte d'Assise d'Appello hanno ritenuto che la condotta della Cherifi, consistita nel mettersi alla guida e scagliarsi sulla Andreotti, fosse sorretta dall'intenzione di uccidere la vittima, individuando il movente nella vendetta per la lite occorsa durante la serata; di converso, hanno escluso profili di colpa per imperizia nella condotta di guida. La difesa della Cherifi proponeva ricorso per Cassazione adducendo, fra i motivi di impugnazione, l'erronea applicazione dell'art. 42 cod. pen. Secondo le doglianze della difesa, la Corte Territoriale, nel confermare la condanna dell'imputata a titolo di tentato omicidio, avrebbe omesso di valutare lo stato di alterazione della stessa dovuto all'assunzione di bevande alcooliche prima della condotta ritenuta di rilevanza penale.

[3] Cfr. Cass. Pen., sez. VI, n° 38513 del 22/05/2008, Fiamenghi, in Cassazione Penale XII, 2009, 473; Cass. Pen., sez. I, n° 42387 del 28/09/2007, Bruschi, in Cassazione Penale XI, 2008, 4183.

[4] Più specificamente, in materia di circolazione stradale il reato può essere ascritto a titolo di dolo eventuale se si abbraccia una concezione di dolo come scelta antigiuridica, la cui prova è data dall’analisi di due indicatori in particolare: la messa in pericolo di interessi propri e la mancata adozione di contromisure. In tal senso G.P. DEMURO, Ubriachezza e dolo eventuale nella guida spericolata, nota a Cass. pen., Sez. V, 2 novembre 2016, n° 45997, in Giurisprudenza Italiana IV, 2017, 945-951. Cfr. G. DE SANTIS, Il dolo eventuale come adesione volontaria alla lesione del bene: le SS. UU. «Thyssen» e il commiato della formula dell’accettazione del rischio, in Responsabilità Civile e Previdenza, II, 0640B.

[5] Cfr. Cass. Pen., sez. I, n° 29250 del 26/06/2018, Cherifi, inedita. In senso conforme, ex plurimis, anche Cass. Pen., sez. V n° 45997 del 14/07/2016, Beti, in Archivio giuridico della circolazione e dei sinistri stradali I, 2017, 26; Cass. Pen., sez. VI, n° 39957 del 09/10/2008, Filippini, in Cassazione Penale IX, 2009, 3456; Cass. Pen., sez. I, n° 5175 del 17/12/2012, Selvaggio, in C.E.D. Cass., n° 255179; Cass. Pen., sez. VI, n° 31749 del 09/06/2015, Gambina, in C.E.D. Cass., n° 264428.

[6] L'accertamento sulla colpevolezza, in relazione all'elemento psicologico, atteso che vige la fictio di imputabilità, deve essere accertato secondo le regole ordinarie e secondo i parametri riferibili alla persona non alterata dall'uso di bevande alcoliche. Vedasi T. PADOVANI, Diritto penale, cit., 198.

[7] A riguardo si veda A. CRESPI – G. FORTI – G. ZUCCALÀ, Commentario beve al codice penale, Padova 2011, 534 e ss.

[8] In questo senso F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte generale, XVI edizione, Milano 2003, 639.

[9] Ciò è sostenuto in dottrina, ex plurimis, da F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, cit., 636.

[10] Per maggiori approfondimenti si rinvia a M.T. COLLICA, v. Imputabilità, in AA.VV., Il diritto – Enciclopedia giuridica, Roma 2008, 21-30 e EAD., v. Imputabilità, in F. GIUNTA, Diritto penale, Roma 2008, 276-286.

[11] La Corte costituzionale con ordinanza n° 250/2019 ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 94 e 95 cod. pen. per contrasto con gli artt. 3, 27 e 111 Cost. sollevata dal Tribunale ordinario di Fermo. Ivi precisa, richiamando la pronuncia del giudice a quo: «per potersi correttamente invocare lo stato di intossicazione cronica occorre una alterazione non transitoria dell’equilibrio biochimico del soggetto tale da determinare un vero e proprio stato patologico psicofisico dell’imputato e, dunque, una corrispondente e non transitoria alterazione dei processi intellettivi e volitivi», con la conseguenza che «l’accertamento dell’imputabilità vien fatto ruotare in ogni caso attorno ad un concetto di “infermità” necessariamente riconducibile, sul piano gnoseologico, ai mutevoli contributi dell’esperienza clinica», in tal modo dissolvendo «proprio quei rischi di aperta contraddizione tra scienza e norma». 

[12] Secondo taluni autori l'ubriachezza dovrebbe essere equiparata sempre all'infermità. In questo senso G. BETTIOL, Diritto penale, Padova 1978, 430 e M. PORTIGLIATTI BARBOS e G. MARINI, La capacità di intendere e di volere nel sistema penale italiano, Milano 1964, 159.

[13] Così G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, VI ed., Milano 2017, 413.

[14] Cfr. Cass. Pen. sez. VI, n° 9933 del 05/03/2020, in Redazione Giuffrè, 2020, in cui si precisa che: «L'elemento soggettivo del reato di cui all' art. 572 c.p. è costituito dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di sottoporre la vittima a sofferenze fisiche e morali continuate, con la conseguenza che è irrilevante, ai fini dell'accertamento del dolo, la circostanza che i singoli episodi costituenti la condotta delittuosa siano stati commessi in uno stato di tossicodipendenza non accidentale»; come in dottrina M. PORTIGLIATTI BARBOS – G, MARINI, La capacità di intendere e di volere nel sistema penale italiano, cit., 101 e ss.

[15] Cfr. Cass. Pen. 28 giugno 1984 n° 65005 precisa che: «In caso di ubriachezza volontaria o colposa, l'imputabilità rimane integra, quali che siano gli effetti dell'alcol sulla capacità di intendere e di volere del soggetto, il quale risponde perciò del reato commesso, sempre che sia accertata l'esistenza dell'elemento psicologico proprio del reato stesso». Nel medesimo senso si esprime anche Cass. Pen. 6 giugno 1957, in Giustizia Penale II, m. n° 1025, 907: «L'indagine che il giudice può e deve compiere concerne l'esistenza di un legame psicologico fra l'imputato e l'evento, oltre che la direzione della volontà posta in essere, e non la qualità del legame stesso. Ciò perché il problema dell'imputabilità nel caso di ubriachezza volontaria è stato già risolto dal legislatore nel senso che, per ragioni di politica criminale, deve presumersi l'esistenza della capacità di intendere e di volere e deve soltanto indagarsi se un legame unisca l'evento alla personalità dell'agente e se a tale evento fosse o meno diretta l'azione dell'agente stesso, a nulla rilevando che si tratti di un legame abnorme».

[16] «Nella valutazione medico-legale della capacità di intendere e di volere relativamente ai reati commessi in stato di ubriachezza si ha veramente un contrasto tra il concetto medico-psicologico ed il principio fissato dalla legge». Così M. PORTGLIATTI BARBOS e G. MARINI, La capacità di intendere e di volere nel sistema penale italiano, cit., 159.

[17] In questo senso G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale, parte generale, V ed., Bologna 2007, 338.

[18] L'accezione da attribuire al termine “finzione” è quello di divario fra la categoria naturalistica e quella normativa. In ossequio all'art. 92 c.p., per una deviazione operata dal legislatore rispetto ai criteri biopatologici, nonché in virtù di considerazioni di politica criminale, l'ubriaco doloso o colposo deve ritenersi capace di intendere e di volere. Così F. BRICOLA, Fatto del non imputabile e pericolosità, Milano 1961, 4 e ss. Tale finzione di imputabilità presuppone la piena capacità del soggetto sul piano naturalistico nel momento in cui si procurava lo stato di ubriachezza, per cui l’applicabilità dell’art. 92 c.p. dovrebbe ritenersi preclusa ogniqualvolta l’ebrietà risvegli nel soggetto attivo uno sfondo patologico, e rendano il soggetto affetto da un’infermità di mente a carattere non transitorio. In tal senso M. SERRAINO, Appunti su azione di sostanza psicoattiva e imputabilità penale (Notes about a crion of drugs and criminal accountability), in Rivista Italiana di Medicina Legale II, 2015, 445 e ss.

[19] Ex plurimis, F. PALAZZO, Corso di diritto penale, parte generale, VI ed., Torino 2016, 441 e ss. Per un approfondimento creativo al bilanciamento fra le ragioni di prevenzione generale ed il principio di colpevolezza si rimanda a M. DONINI, Critica dell’antigiuridicità e collaudo processuale delle categorie. I bilanciamenti d’interessi dentro e oltre la giustificazione del reato, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale II, 2016, 0559D. Sulla difficoltà di armonizzare la disciplina dell’ubriachezza – qualificabile come ipotesi di colpa d’autore in cui il giudizio di disapprovazione è espresso esclusivamente avverso l'atteggiamento interiore del soggetto ovvero le scelte esistenziali di quest'ultimo e sulla singola offesa al bene giuridico – con il principio di responsabilità penale e, più nello specifico, con un diritto penale di fatto, vedasi D. D’AURIA, Un primo passo verso la sanitarizzazione del trattamento sanzionatorio dei non imputabili in attesa di una riforma complessiva dell’imputabilità (The first move toward the health care of unchargeable’s penalities, waiting for a total reform of chargeability), in Cassazione penale II, 2014, 0718B.

[20] Il fenomeno dell'etilismo era stato preso in considerazione dal legislatore perché avvertito come fenomeno di criminogenesi. Lo stretto legame intercorrente fra questi fenomeni è espresso anche in R. GAROFOLI, Manuale di diritto penale. Parte generale, XVI ed., Molfetta 2019, 793 e ss. La Relazione ministeriale sul progetto, I, 143 si esprime nei termini che seguono: «La giustificazione di ordine sociale è riposta nella necessità di combattere, con norme di rigore, contro forme di intossicazione che attaccano alle radici la forza, e con questa l'avvenire, della stirpe. Inoltre è da ricordare che le indagini statistiche offrono sempre risultati molto preoccupanti sul numero e sulla gravità dei delitti commessi in stato di ubriachezza, e perciò appare urgente la necessità di una maggiore difesa contro tale forma di delinquenza». Nella Relazione al Re, n° 55, si legge: «I delitti commessi in stato di ubriachezza, comunque procuratasi, sono purtroppo assai frequenti ed allarmanti, ed è buona politica penale cercare di porre freno a questa forma di delinquenza, negando all'ubriachezza, non derivante da caso fortuito o da forza maggiore, effetto sull'imputabilità». Vedasi anche C.F. GROSSO – M. PELISSERO – D. PETRINI – P. PISA, Manuale di diritto penale, parte generale, II ed., Milano 2017, 432.

[21] Per la giurisprudenza C. cost. n°33/70, in Giurisprudenza Costituzionale I, 1970, 445, secondo cui l’intento del legislatore è quello di «prevenire e reprimere l'ubriachezza come male sociale, e, soprattutto, come situazione che, in certi soggetti, può spingere al delitto. […] L'ubriaco, che abbia commesso un reato, risponde per una condotta antidoverosa, cioè per essersi posto volontariamente o colposamente in condizione di commetterlo». Sul punto anche M. BERTOLINO, L'imputabilità penale: tra vincoli definitori, evidenze empiriche e prospettive politico-criminali – Empiria e normatività nel giudizio di imputabilità per infermità di mente, in La legislazione penale 2006, 212-220.

[22] Invero, dal momento che la disciplina sull'imputabilità ricollega l'alterazione dello stato di mente a qualsiasi tipo di infermità, senza esigere che questa sia direttamente riconducibile ad un fenomeno psichico, deve ammettersi l'applicabilità della disciplina generale in materia anche nelle ipotesi in cui il fattore all'origine del processo di alterazione mentale si ricolleghi ad una causa di ordine fisico. Fra tanti, G. DE FRANCESCO, Diritto penale, Torino 2008, 373 e ss.

[23] Il rispetto del principio di colpevolezza imporrebbe di punire a titolo di dolo l'omicida solo se questo si è ubriacato con dolo e se il fatto era quantomeno prevedibile: in tal modo egli avrebbe comunque accettato il rischio di commettere il reato e vi sarebbe quantomeno un rimprovero riconducibile all'ambito del dolo eventuale. Negli altri casi, (ubriachezza colposa ed ubriachezza volontaria in assenza di qualsiasi prevedibilità del fatto di reato poi realizzatosi sotto l'effetto dell'alcool), il canone della colpevolezza, imposto dalla Corte cost. con la sentenza n° 364 del 24/3/1988, imporrebbe una modifica legislativa alla stregua della quale, in virtù del rimprovero mosso, fosse prevista la responsabilità del reo a titolo di colpa. Così C.F. GROSSO – M. PELISSERO – D. PETRINI – P. PISA, Manuale di diritto penale, cit., 434. «Qui il principio di colpevolezza convive con esigenze costituzionali di tutela della sicurezza collettiva, che hanno portato la giurisprudenza costituzionale anziché interpretare sistematicamente e prendere atto realisticamente della prevalenza delle seconde  ad attribuire al principio della personalità della responsabilità penale (art. 27 comma 1 Cost.) estensione variabile, aderendo in questo caso (per salvare la disciplina) alla versione minimale (e superata) del divieto di responsabilità per fatto altrui». Così G.P. DEMURO, L’interpretazione sistematica nel diritto penale, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale III, 2008, 1088 e ss.

[24] «Non può però non rilevarsi come, sul piano naturalistico, permanga l'attenuazione della capacità psichica dell'ubriaco tanto che tale attenuazione, soggiogando in modo più o meno compiuto le facoltà intellettive e volitive del soggetto, può essa stessa assurgere a causale del reato e costituire la ratio della sua punizione». Così R. BRICCHETTI - A. CADOPPI - P. VENEZIANI, Codice penale annottato con la giurisprudenza, Torino 2008, 661. Cfr. Cass. pen. sez. I, 28 aprile 1989, Filippi, in C.E.D. Cass., n° 183425 e Cass. pen. sez. I, 10 aprile 1985, Policastro, in C.E.D. Cass., n° 172622.

[25] La questione è approfonditamente trattata in dottrina fra cui, ex plurimis, G. LEONE, Il titolo della responsabilità per i reati commessi in istato di ubriachezza volontaria o colposa, in Giustizia Penale I, 1935, col. 1332 e A. JANNITTI PIROMALLO, Una forma anomala di responsabilità, in Studi per Longhi, Roma 1935.

[26] Per maggiori approfondimenti si rimanda a G. ESCOBEDO, La responsabilità dell'ubriaco per reati commessi in stato di ubriachezza piena, colposa e volontaria, in Giusizia Penale II, 1953, col. 1281; I. INGRASCÌ, Fondamento giuridico della responsabilità nei reati commessi in istato di ubriachezza piena e non accidentale, in Giustizia Penale I, 1955, col. 305 e ss.

[27] L'articolo 92 cod. pen. non è esauriente. La mancanza, sebbene non riconducibile ad una “lacuna” in senso tecnico, concerne la disciplina dell'ubriachezza volontaria. L'imputabilità non è esclusa né diminuita, ma a che titolo è addebitabile il reato posto in essere da chi versava in stato di ubriachezza non accidentale? Così M. GALLO, Diritto penale italiano, appunti di parte generale, vol. II, Torino 2015, 417 e ss.

[28] Nel caso di ubriachezza volontaria o colposa incompleta, non si ha, invece, nessuna deviazione rispetto ai principi generali in materia di dolo, poiché in questa ipotesi sussiste la capacità di intendere e di volere, quantunque una delle due, ovvero entrambe, siano grandemente scemate, senza che, fra l'altro, tale minorazione abbia efficacia attenuante. In tal senso V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, II, V ed., Torino 1961, 156.

[29] Nei verbali della Commissione parlamentare si legge: «Colui che è un imputabile, cioè persona capace di diritto penale, deve rispondere del delitto commesso in istato di ubriachezza non accidentale, perché liberamente si è posto in condizione di mal fare». Confuta questa dichiarazione la dottrina secondo la quale, l'ubriaco, che pur si è posto in condizione di “mal fare”, non si è messo in tale stato con l'intenzione di delinquere: l'ubriachezza non è di per se stessa una condizione che porti necessariamente o nel maggior numero di casi al “mal fare”; il dolo non può ravvisarsi nemmeno all'inizio, così che non possono trovar luogo i principi relativi alle actiones liberae in causa. Si rinvia a V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, cit., 154 e ss.

[30] Ex multis, F. BRICOLA, Finzione di imputabilità ed elemento soggettivo nell'art 92 co. 1 c.p., in Rivista italiana di diritto e procedura penale 1961, 486; A. MANNA, L'imputabilità e i nuovi modelli di sanzione. Dalle finzioni giuridiche alla terapia sociale, Padova 1997.

[31] Taluni sostengono che l'ubriaco risponde a titolo di responsabilità oggettiva: ogni reato perpetrato nello stato di ubriachezza deve essergli penalmente imputato come se fosse stato perpetrato dolosamente, indipendentemente da ogni ricerca di un nesso psicologico. Così G. BETTIOL, Diritto penale, cit., 431. Vedasi anche F. BRICOLA, Finzione di imputabilità ed elemento soggettivo nell'art 92 co. 1 c.p., cit., 486. In giurisprudenza Cass. Pen. 10 dicembre 1985, Policastro, in C.E.D. Cass., n° 172622.

[32] G. ESCOBEDO, La responsabilità dell'ubriaco per reati commessi in stato di ubriachezza piena, colposa e volontaria, cit., 1281 e ss. e 1489 e ss. Vedi anche G. PAOLI, L'elemento soggettivo del reato commesso in stato di ubriachezza, in Scuola Positiva II, 1935, 1. Questa teoria – che si rifà al codice penale tedesco in cui delinquere costituisce autonoma fattispecie criminis e la pena è commisurata sulla base della gravità del reato – nasce come correttivo di una precedente e superata, secondo la quale l'evento dannoso o pericoloso doveva essere attribuito all'agente a titolo di colpa, non potendosi considerare dolosa l'intenzione insorta in un individuo incapace di intendere e di volere. Vedi V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, cit., 154 ss.

[33] F. ALIMENA, L'ubriachezza ed il principio delle «actiones liberae in causa», in Giustizia Penale II, 1947, col. 214 e G. BETTIOL, Diritto penale, cit., 430-431.

[34] Fra tanti, T. PADOVANI, Diritto penale, cit., 194-195.

[35] Per approfondimenti si rimanda a O. VANNINI, Manuale di diritto penale, Firenze 1954, 88-89 e G. LEONE, Il titolo della responsabilità per i reati commessi in stato di ubriachezza volontaria o colposa, in Giustizia penale II, 1935, 1332.

[36] «Questa impostazione si presta alle obiezioni di chi rimarca la difficoltà di accertare in giudizio il dolo eventuale o la colpa rispetto alla futura commissione di reati che potrebbero anche essere sufficientemente lontani e determinati da circostanze imponderabili che sfuggono del tutto al potere di previsione e controllo di chi sta per ubriacarsi. Come può sostenersi che Tizio potesse prevedere che all'uscita da un'osteria avrebbe preso a cazzotti chi lo irrideva per la sua camminata barcollante?». Così R. GAROFOLI, Manuale di diritto penale, parte generale, XIV ed., Molfetta 2017, 801.

[37] Dolo e colpa suppongono la normalità del rapporto psicologico, che è da escludersi se il soggetto agente versa in una situazione anormale. Così G. BETTIOL, Diritto penale, cit., 432. Vedi anche F. MANTOVANI, Principi di diritto penale, Padova 2007, 301.

[38] A. CRESPI, Il problema della colpevolezza nella ubriachezza volontaria e colposa, in Rivista italiana di diritto penale 1950, 740 e ss.

[39] Per giurisprudenza costante nel caso di reato commesso in stato di ebbrezza alcoolica non accidentale né preordinata, ai fini dell'affermazione della responsabilità dell'agente è decisivo l'atteggiamento psichico, sia pure abnorme, del momento in cui il fatto si è verificato. Così Cass. Pen., sez. VI, n° 31749 del 21/07/2015, Gambina, in C.E.D.Cass., n°264428. In senso conforme Cass. Pen., sez. I, n° 2509 del 28/04/1989, Filippi, in C.E.D. Cass., n° 183426; Cass. Pen. sez. I, n° 42387 del 28/09/2007, in Cassazione penale, XI, 2008, 4183.

[40] Nella prospettiva del legislatore del 1930 gli evidenti problemi in materia di colpevolezza venivano superati facendo retroagire il rimprovero al momento in cui il soggetto si poneva nella situazione di privarsi della capacità di intendere e di volere, secondo lo schema del versari in re illicita. Vedi C.F. GROSSO – M. PELISSERO – D. PETRINI – P. PISA, Manuale di diritto penale, cit., 432.

[41] In questo senso R. GAROFOLI, Manuale di diritto penale, parte generale, XIV ed., cit., 800.

[42] «La presunzione assoluta di imputabilità, posta dall'art. 92 cod. pen. nei confronti del reo ubriaco (nel caso di ubriachezza non accidentale) non esime il giudice dall'obbligo di accertare in concreto la sussistenza della colpevolezza, sia pure come mero atteggiamento psichico di una coscienza obnubilata e di una volizione affievolita naturalisticamente dall'ebbrezza, con riferimento al momento in cui il fatto è stato commesso». Così Cass. Pen., sez. II, n° 4935 del 21/11/1973, Santinato, in C.E.D. Cass., n° 127539.

[43] L'ordinanza emessa il 1° marzo 1969 dal Pretore di Roma nel procedimento penale a carico di Baldini Pio, iscritta al n° 188 del registro ordinanze 1969 e pubblicato nella G. U. della Repubblica n° 145 l'11 giugno 1969; nonché l'ordinanza del tribunale di Livorno nel procedimento a carico di Ventura Francesco, iscritta al n° 397 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella G. U. della Repubblica n° 280 del 5 novembre 1969, hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 92 cod. pen., in riferimento, genericamente, all'art. 27 Cost. L'ordinanza emessa il 3 marzo 1969 dalla Corte d'Assise di Padova nel procedimento a carico di Piovan Giorgio, iscritta al n° 313 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella G.U. della Repubblica n° 280 del 5 novembre 1969, oltre a richiamarsi, anche all'art. 3 Cost., specifica che l'art. 27 Cost. risulterebbe violato sia al primo che al terzo comma. I motivi con cui tre ricorrenti hanno sollevato la questione possono essere sintetizzati come segue. In primo luogo si osservava che l'art. 92 cod. pen. in deroga al principio fissato nell'art. 85 cod. pen., escluderebbe ogni indagine sulla capacità di intendere e di volere dell'imputato, e violerebbe il canone della responsabilità personale in materia penale, espresso nel primo comma del ridetto art. 27 Cost. I padri Costituenti avrebbero, infatti, inteso porre un argine alla discrezionalità del legislatore ordinario proprio attraverso riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo; fra questi quello di non essere punito quando, al momento della condotta addebitata, manchi la capacità di autodeterminazione. Un'ulteriore garanzia è offerta dal principio di eguaglianza che, in tema di ubriachezza - che è tale da annullare o quanto meno da scemare la capacità di intendere e di volere - non consentirebbe di discriminare tra l'ubriachezza fortuita, e l'ubriachezza volontaria o colposa. La prima, ai sensi dell'art. 91 cod. pen., consente l'indagine su tale capacità, mentre la seconda, secondo quanto previsto dall'articolo successivo, non la consente, e conduce automaticamente a porre a carico dell'ebbro il reato commesso. Viene, altresì, rilevato che, in molti casi, l'azione compiuta dall'ubriaco, al pari di quelle dell'infermo totale di mente, è a lui riferibile solo sul piano della causalità materiale e non anche su quello della causalità psichica. Sarebbe, pertanto, assurdo e illogico il suo assoggettamento a sanzione penale, che non potrebbe trovare spiegazione neppure con riferimento all'atteggiamento psichico che ebbe a determinare l'ubriachezza, dato che, secondo la giurisprudenza, per stabilire se il fatto sia da imputare a titolo di dolo o di colpa, sarebbe da valutare l'atteggiamento della volontà al momento del fatto di reato, commesso in stato di ubriachezza. La circostanza che l'ubriachezza sia stata determinata dall'agente volontariamente o colposamente non legittima l'attribuzione della paternità psichica di un'azione od omissione che può da lui non essere voluta e di cui, comunque, l'ebbro non era in grado di valutare, in tutto o in parte, le conseguenze. Tutto ciò in violazione dell'art. 27 Cost., che sancirebbe l'esclusione di una responsabilità penale in assenza di quel minimo di capacità di intendere e di volere che consente l'autodeterminazione.

[44] Sul punto si rimanda a R. BRICCHETTI - A. CADOPPI - P. VENEZIANI, Codice penale annottato con la giurisprudenza, cit. 661.

[45] Verbali della commissione parlamentare, 142: «ALOISI (delegato del Ministro): L'articolo in esame non pregiudica la questione se il colpevole debba rispondere a titolo di dolo o colpa: risponderà di reato doloso o colposo, secondo il suo comportamento, alla cui valutazione concorrerà lo studio che il giudice dovrà fare della modalità dell'azione e in genere delle circostanze tutte del fatto».

[46] Cfr. Cass. Pen., sez. I, n° 7157 del 30/04/1990, Picchedda, in C.E.D. Cass., n° 184360. Conformemente anche Cass. pen., sez. I, n° 42387 il 28/09/2007, in Cass. pen. 2008, 11, 4183; Cass. pen., sez. VI, n° 38513 del 22/05/2008, Fiamenghi, in C.E.D. Cass., n° 241399, in Cass. Pen. 2009, 12, 4733 e Cass. Pen. sez. VI, n° 31749 del 09/06/2015, Gambina, in C.E.D. Cass., n° 264428.

[47]Secondo questa impostazione, risponderà di omicidio colposo colui che, pur essendosi ubriacato volontariamente, si dimentichi di allacciare le cinture di sicurezza del figlio minore e provochi un incidente stradale mortale per eccesso di velocità; di converso, risponderà a titolo di omicidio doloso colui che abbia colposamente superato i limiti di alcool che il suo fisico era in grado di reggere e uccida un passante che lo ha sbeffeggiato per il suo difetto fisico. Così C.F. GROSSO – M. PELISSERO – D. PETRINI – P. PISA, Manuale di diritto penale, cit., 433 e ss. Cfr. Cass. Pen., sez. I, 28 settembre 2007, n° 42387, in Cassazione penale XI, 2008, 4183, in cui si legge: «La regola secondo cui l'imputabilità non è esclusa né diminuita dall'ubriachezza […] a meno che non sia conseguenza di caso fortuito o forza maggiore, non esime dal dovere di accertamento della colpevolezza attraverso l'indagine sull'atteggiamento psicologico tenuto dall'agente al momento della commissione del fatto imputato».

[48] Così G. BATTAGLINI, Diritto penale, Padova 1949, 211.

[49] Si considerino a titolo esemplificativo l’ipotesi del soggetto violento che metta in conto la possibilità che il suo stato di ebbrezza alcoolica degeneri in maltrattamenti dei familiari e l’ipotesi di chi si ubriaca nonostante sappia che dovrà mettersi alla guida per far rientro a casa.

[50] Cfr. Cass. Pen., sez. II, n° 4935 del 21 novembre 1973, Santinato, in C.E.D. Cass., n° 127539.