ds_gen N. 6 – 2007 – Memorie//Tribunato-plebe

 

Vacchina-Photo_003Maria Grazia Vacchina

Difensore civico della Regione Valle d’Aosta

Coordinatore della Conferenza nazionale

dei Difensori civici delle Regioni e delle Province autonome

 

Conflitti sociali e difesa civica: nuovo tribunato?

 

 

Faire des droits de l’Homme

une réalité pour tous

(Sergio Vieίra de Mello)

 

 

Sono molto onorata di prendere la parola in questa solenne Assise, in veste di Coordinatrice della Conferenza nazionale dei Difensori civici delle Regioni e delle Province autonome, sulla scia di un impegno che, negli anni, ha segnato la mia collaborazione con i Professori Pierangelo Catalano e Giovanni Lobrano, che ringrazio di cuore per l’invito a celebrare la ricorrenza di un evento di fondamentale importanza nella storia della democrazia.

A distanza di 2500 anni dalla Secessione della Plebe sul Monte Sacro – cui ha fatto seguito la nascita del Tribuno della Plebe, quale potere contrapposto ai poteri costituiti dello Stato, dominati dalla classe patrizia[1] – il tema dei conflitti sociali, delle modalità e degli strumenti relativi di gestione e soluzione, continua ad essere attuale a fronte della crescente crisi delle Istituzioni rappresentative e dell’ormai accertata debolezza dei sistemi elettorali e della tradizionale divisione dei poteri[2] quali garanzia per un’effettiva democrazia.

Che l’assunto per cui il Parlamento è la forma di esercizio della volontà popolare, attraverso la libera elezione dei suoi Rappresentanti, risulti, di fatto, insufficiente, se non fittizio, è un dato di comune esperienza. Si tratta, sostanzialmente, di una finzione, perché rifugge dagli Istituti di democrazia diretta: i Politici non si interrogano sulle effettive esigenze dei Cittadini, che spesso neppure ascoltano, e non rendono conto del proprio operato al popolo, cui chiedono il consenso con un contatto diretto che si riduce alla fase elettorale in vista del voto, perché, quando eletti, rispondono ai Partiti di appartenenza, da cui ricevono indicazioni e direttive, tanto che nelle stesse Assemblee la loro presenza può diventare simbolica.

Allo stesso modo, il principio della separazione dei poteri, risalente a Montesquieu, quale mezzo di tutela dei diritti e delle libertà dell’uomo da abusi e soprusi dei Governanti, risulta, oggi, insufficiente, se non superato. In tal senso si è espressa anche la Commissione Bicamerale per la riforma della Costituzione italiana nella “presentazione del testo di revisione del Titolo V della Costituzione” del 27.10.1993, ove si legge che il principio della divisione dei poteri non serve più in relazione all’esigenza che sta alla base dell’originaria teorizzazione, ossia il fine della limitazione del potere politico, ferma restando la sua utilità per assicurare la legalità nell’esercizio del potere, che è cosa distinta e diversa dalla limitazione del potere[3].

A fronte di tali insufficienze, è stata autorevolmente[4] prospettata l’alternativa della riproposizione, in forma moderna, del Tribunato della Plebe, quale modello istituzionale permanente attraverso il quale interpretare e verso il quale sviluppare le moderne Istituzioni preposte alla tutela dei Cittadini, soprattutto delle fasce deboli, ma anche delle classi medie (gradualmente impoverite a vantaggio dell’oligarchia politico-imprenditoriale) nei confronti dello Stato e della Pubblica Amministrazione. Tra queste trova rilievo crescente nel mondo di oggi, a fronte della crisi della “Giustizia”, l’Istituto dell’Ombudsman/Defensor del Pueblo/Médiateur/Difensore civico, secondo alcune delle terminologie in uso per indicare un Organo, che, nato nell’Europa del nord all’inizio del XVIII secolo, costituzionalmente[5] configuratosi in Svezia all’inizio del XIX e diffusosi, nel corso del ‘900, negli altri Paesi europei (sino all’istituzione nell’ambito dell’U.E. di un Médiateur européen) e nel mondo intero, si propone di garantire l’esercizio dell’azione amministrativa orientato a correttezza, trasparenza, rispetto e considerazione dei diritti e delle legittime aspettative dei singoli, secondo le due principali modalità di sviluppo dell’Istituto: quella del controllo della legalità degli atti e quella della tutela e promozione dei diritti.

Il primo modello, tipicamente europeo, corrisponde all’Ombudsman operante nei Paesi nordici, a maggiore sviluppo economico-industriale e con esperienze democratiche ormai consolidate, mentre il secondo è rinvenibile soprattutto, a livello mondiale, nei Paesi in via di sviluppo (contrassegnati da bassa qualità della vita, forte dipendenza economica e debolezza istituzionale) e, in Europa, nei Paesi del cosiddetto “secondo mondo” (che, staccatisi dall’orbita dell’ex Unione Sovietica a seguito della caduta del comunismo, si stanno aprendo al libero mercato e alla democrazia), ma altresì nei Paesi di matura democrazia, per lo più nata da una lotta sofferta contro la dittatura (esemplare il caso della Spagna), sicché se ne può dedurre che l’Istituto rappresenta, via via, il semaforo e/o la misura della democrazia “reale”[6].

Si tratta, come ho spesso sottolineato[7], di due funzioni connesse, di due aspetti complementari e qualificanti del ruolo istituzionale del Difensore civico, giacché, se, per un verso, nel momento in cui si controlla la legittimità e correttezza dell’azione amministrativa si proteggono i Cittadini da inadempienze e abusi lesivi dei loro diritti e interessi, per altro verso, tutelando adeguatamente le posizioni giuridiche dei privati (diritti, interessi e, più in generale, situazioni soggettive non sufficientemente formalizzate, benché degne di attenzione perché rilevanti in termini di equità e uguaglianza sostanziale, spesso in concorso con il diritto e non meno fondamentali per una pacifica convivenza sociale), si garantisce il corretto ed efficiente funzionamento dell’apparato pubblico.

Ma è pur vero che una scelta di fondo si impone per il Difensore civico affinché la sua stessa attività di controllo degli atti si trasformi in tutela dei diritti[8] (esemplari i casi di concorsi, appalti ecc.). Nella quotidianità, infatti, quando il controllare proteggendo ovvero il proteggere controllando possono e devono tradursi in forma mentis e modus operandi che fanno la differenza, promuovere nei Cittadini la complementare consapevolezza dei loro diritti e dei loro doveri, svolgendo una basilare funzione di informazione e presa di coscienza dell’organizzazione sociale e politica in cui si è inseriti, implica un’attività di vigilanza del rispetto dei valori protetti, a garanzia anche di una partecipazione attiva di tutti i Cittadini alla vita pubblica e alla gestione delle risorse: con ciò rendendo effettive le pari opportunità di tutti e di ciascuno.

In Italia, la difesa civica è nata e si è sviluppata in modo del tutto peculiare rispetto agli altri Paesi europei, trattandosi dell’unico Stato in cui è ancora assente il Difensore civico nazionale, anche se, grazie all’impegno profuso dalla Conferenza nazionale dei Difensori civici delle Regioni e Province autonome, ormai allargata a Rappresentanti dei Colleghi locali designati per ogni Regione, è stato elaborato un P.d.L. sulla difesa civica in Italia, istitutivo anche del Difensore civico nazionale, inoltrato dalla scrivente Coordinatrice alle competenti Istituzioni parlamentari, anche a seguito del Convegno internazionale di Firenze del 16.10.2006, e ormai ufficialmente presentato: n. 1879 del 2.11.2006, Camera dei Deputati, a firma significativamente trasversale Spini-Migliori e altri. Ad oggi, l’Italia vede operanti numerosi Difensori civici regionali (a partire dagli anni 70)[9] e locali (a partire dagli anni 90)[10], in ossequio al principio fondamentale della prossimità del servizio, auspicata anche dal C.P.L.R.E.-Congresso dei Poteri regionali e locali d’Europa, con apposita Risoluzion[11].

In qualità di Coordinatrice della Conferenza nazionale, Organo ufficialmente riconosciuto quale rappresentante della difesa civica italiana, anche nei rapporti internazionali[12], ho sempre optato per una concezione dell’Istituto più ampia rispetto a quella tradizionale (sostanzialmente riduttiva a mera protezione del Cittadino dalla cattiva amministrazione), alla ricerca di un ruolo anche sociale, convinta come sono che un’interpretazione meramente giuridica della figura ne minerebbe l’essenza e ne sminuirebbe le potenzialità. Di qui la valorizzazione delle fondamentali funzioni, a valenza sociale, proprie del Difensore civico: quella di mediazione dei conflitti tra Cittadini e Stato-amministrazione e quella propositiva di miglioramenti normativi e/o amministrativi, volti ad eliminare alla radice il malessere e il disagio espresso dai Cittadini, singoli o associati, mediante segnalazione al Legislatore e all’Amministratore degli aspetti e dell’ottica da focalizzare per gli interventi di competenza. Una strada su cui, finalmente, molti Colleghi mi seguono, alcuni con valenza esemplare.

Si tratta di due funzioni che, partendo dall’osservazione privilegiata, perché non filtrata dal consenso, dei singoli casi sottoposti ad esame, si presentano come articolazioni di un unitario e progressivo processo di composizione dei conflitti sociali, che presuppone, per essere reale e duraturo[13], la loro presa in carica istituzionale. In un primo momento, infatti, il Difensore civico, dopo aver accolto e ascoltato il Cittadino (singolo o associato), opera per la risoluzione della lite insorgente con la Pubblica Amministrazione, utilizzando gli strumenti dell’informazione e della persuasione[14] (tanto più forti ed efficaci quanto più il titolare è persona autorevole per prestigio personale e professionale). In una fase più avanzata del processo di composizione del conflitto e sempre partendo da singoli casi concreti (questa la peculiarità dell’Istituto), il Difensore civico può e deve dare voce a interessi, anche giuridicamente non riconosciuti (in ciò sta il quid pluris della difesa civica rispetto agli Istituti di tutela giurisdizionale), che costituiscono esigenze di intere fasce di popolazione, soprattutto di quelle più deboli, che spesso voce non hanno ma sanno pensare pensieri - anche giuridici - rilevanti, per farsene portatore e mediatore in seno ad Organi istituzionali competenti, Assemblee legislative e Uffici di governo.

In quest’ottica, nel segno della democrazia “reale” e “materiale”[15], la difesa civica offre un tempo singolare e uno spazio significativo di mediazione tra società civile e apparato statale, valorizzando il positivo potenziale di crescita che è insito nei rapporti conflittuali (in questo caso tra Amministratori - Politici e Funzionari - e Amministrati - singoli o associati -) quando non vengano considerati e vissuti come fenomeni meramente negativi, ma siano orientati in vista di positivi mutamenti sociali[16]. A titolo esemplificativo, desidero focalizzare l’attenzione sulla problematica, di grande attualità e rilevanza, seguita dalla scrivente, a livello sia regionale che nazionale, concernente l’accesso al pubblico impiego anche da parte di lavoratori privi della cittadinanza italiana o comunitaria, purché muniti di regolare permesso o carta di soggiorno per motivi di lavoro, problematica che fa i conti con il concetto di “cittadinanza”[17] e che incide fortemente sul processo di integrazione dei Cittadini extracomunitari, posto che il loro inserimento sociale non può prescindere dal loro collocamento lavorativo, di cui, pertanto, devono farsi carico gli Organismi pubblici, ai quali compete rimuovere ogni ostacolo che si frapponga alla realizzazione della stabilità e della pace sociale. Si tratta di problematica che riporta, peraltro, all’antica Roma e ai conflitti di classe oggetto dell’odierna celebrazione, essendo ormai assodata la dottrina che vuole l’immigrazione all’origine della Plebe, quale ceto inferiore[18].

Non ostante il “parere” negativo n. 196/2004 reso dal Dipartimento della Funzione Pubblica in data 28.09.2004, fondato sul carattere speciale e prioritario delle disposizioni di cui agli artt. 2 del D.P.R. n. 3/1957 (T.U. sugli Impiegati civili dello Stato) e del D.P.R. n. 487/1994, che indicano espressamente la cittadinanza italiana tra i requisiti di assunzione dei lavoratori da parte degli Enti pubblici, non pare condivisibile la conclusione assolutistica ivi proposta, potendosi trarre dal sistema normativo vigente, opportunamente coordinato e interpretato nel rispetto della persona e della comunità, una soluzione positiva, da avvallare alla luce della stessa evoluzione giurisprudenziale e dottrinale in materia.

Su questa strada, si è voluto evidenziare lo spazio interpretativo lasciato dalla riforma sull’impiego nelle Pubbliche Amministrazioni, che ribadisce i principi di imparzialità e buona amministrazione, ex art. 97 Cost., da realizzarsi anche attraverso la piena parità di trattamento tra lavoratori (cfr. artt. 1 e 7 del D. Lgs. n. 165/2001), che si inserisce nell’ambito di una disciplina generale del collocamento lavorativo volta a rimuovere, in direzione di una progressiva liberalizzazione, regimi di riserva di posti, sia nominatim che “per cittadinanza”, non più compatibili con i moderni rapporti di convivenza comunitaria e internazionale (cfr. art. 39 Trattato C.E. e art. II-15 c. 3 della Costituzione Europea, approvata dalla Conferenza intergovernativa il 18/6/04 e sottoscritta dai capi di Stato e di Governo in Roma il 29/10/2004, ratificata in Italia con L. n. 57/2005; art. 10 Convenzione OIL n.143 del 24.06.1975; artt. 1 e ss. Regolamento C.E. n. 1612/1968).

La Corte di Giustizia europea, dal canto suo, nel precisare l’ambito operativo dell’esclusione contenuta nell’ultima parte del citato art. 39 del Trattato C.E., concernente appunto il pubblico impiego, ha compiuto un’importante distinzione tra posti di lavoro alle dipendenze di una Pubblica Amministrazione che implicano, in maniera diretta o indiretta, la partecipazione all’esercizio dei pubblici poteri o comunque mansioni che hanno ad oggetto la tutela degli interessi generali dello Stato o delle altre collettività (il che presuppone un rapporto di solidarietà e di reciprocità di diritti e doveri che sono a fondamento del vincolo di cittadinanza) e posti che, pur dipendendo dallo Stato o da altri Enti pubblici, non implicano alcuna partecipazione a compiti spettanti alla Pubblica Amministrazione propriamente detta.

Conformemente a tale orientamento, al fine di privilegiare la più ampia ed effettiva parità di opportunità nella ricerca dell’occupazione, nell’ottica della pace sociale e della stessa privatizzazione del pubblico impiego, il D. Lgs. n. 165/2001 lascia alle singole Amministrazioni la definizione dei requisiti necessari per l’assunzione, nel rispetto dei principi generali cui deve informarsi il reclutamento del personale, ammettendo la possibilità che anche Cittadini stranieri (il riferimento esplicito è ai Cittadini dell’U.E.) possano accedere a posti di lavoro presso Amministrazioni pubbliche che non implichino esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengano alla tutela dell’interesse nazionale.

Sul fronte della normativa in materia di immigrazione, il D. Lgs. n. 286/1998 garantisce espressamente a tutti i lavoratori stranieri, purché regolarmente soggiornanti nel territorio della Repubblica italiana, parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani (art. 2, c. 3), senza escludere, come in passato (cfr. art. 9, c. 3, Legge Martelli), l’area del pubblico impiego (con l’eccezione dei casi di cui all’art. 16 della L. n. 56/1987) dalla facoltà degli extracomunitari iscritti nelle liste predisposte presso le Sezioni circoscrizionali per l’Impiego e il Collocamento (oggi Centri per l’Impiego) di stipulare contratti di lavoro. Né sembra che l’art. 51 della Costituzione contenga una riserva a favore dei Cittadini italiani, essendo la norma rivolta ad impedire che, con legge ordinaria, possano essere introdotte discriminazioni tra i Cittadini italiani per quanto concerne il loro accesso ai pubblici uffici e non certo ad escludere la possibilità di instaurare rapporti di pubblico impiego con soggetti che non abbiano la cittadinanza italiana, mentre è indiscutibile che il diritto al lavoro è diritto fondamentale e inviolabile di ogni individuo, riconosciuto e tutelato a livello costituzionale (cfr., a titolo es., art. 4 Cost. it.).

Anche la giurisprudenza, sia ordinaria che costituzionale e amministrativa, ha manifestato aperture verso l’accessibilità del pubblico impiego a prescindere dalla cittadinanza italiana, stigmatizzando ogni discriminazione fondata sulla cittadinanza (C. Cost. n. 454/1998; C. Cost. n. 249/1995; C. Cass.- Sez. Lavoro, n. 4051/2003 e altre) e affermando che limitare la possibilità di un lavoratore straniero di instaurare un rapporto lavorativo ai soli datori di lavoro privati è palesemente illogico e costituisce violazione del principio di uguaglianza, non potendosi ragionevolmente ravvisare un interesse fondamentale e inderogabile della collettività che venga leso dalla partecipazione dello straniero a pubblici concorsi per la copertura di posti che, per esplicita previsione normativa, non sono riservati in via esclusiva a Cittadini italiani (T.A.R. Liguria n. 399 del 13/4/2001). Recentemente la Corte d’Appello di Firenze ha esplicitamente preso posizione sul punto e, con decreto del 21.12.2005, ha disposto l’ammissione ad un concorso per Medici cardiologi bandito da un’A.S.L. di un candidato straniero privo di cittadinanza comunitaria, sul rilievo che «nell’ipotesi in esame, non sembra che nessun interesse fondamentale o inderogabile della collettività sia coinvolto (…), non sembrando che un dirigente medico in cardiologia svolga un lavoro che incida direttamente, o anche indirettamente, su alcuno degli interessi basilari di cui sopra», ovvero quelli sottesi all’esercizio di pubblici poteri.

A prescindere dalle diverse possibili letture di un quadro normativo piuttosto complesso e frammentario, è opportuno legittimare espressamente l’accesso al pubblico impiego anche ai lavoratori extracomunitari, da reclutare sia attraverso il ricorso alle liste di collocamento sia attraverso le ordinarie procedure selettive, quanto meno con riferimento a quei posti che comportano mansioni da svolgersi all’esterno della sede dell’Ente pubblico (es. giardiniere, autista), secondo un distinguo tra lavoro elaborato, in prima battuta, dalla dottrina giuslavoristica di estrazione tedesca. Per tali ragioni, in qualità di Coordinatrice della Conferenza nazionale dei Difensori civici delle Regioni e delle Province autonome sono intervenuta presso i competenti Ministeri per promuovere una soluzione, chiara e uniforme, che tenga conto delle posizioni soggettive dei lavoratori extracomunitari e risponda positivamente alle loro legittime aspettative nella ricerca di un’occupazione regolare, senza limiti ingiustificati al fondamentale diritto al lavoro, con riscontro di attenzione da parte del Direttore del Dipartimento della Funzione Pubblica, proprio in rapporto al problema della cittadinanza, oggi ineludibile[19]. E ciò pur nella consapevolezza della recente sentenza n. 24170/2006 della Corte di Cassazione-Sezione lavoro che stigmatizza il distinguo tra diritto al lavoro, costituzionalmente garantito, e assunzione alle dipendenze di un determinato datore di lavoro.

Il tutto sullo sfondo di un’inarrestabile crisi dello Stato nazionale, ormai inadeguato sia per dar corso ai grandi investimenti richiesti dalla tecnologia e dall’economia, sia per accogliere il crescente flusso migratorio che si registra dai Paesi più poveri verso i Paesi dell’U.E. Come noto, il tradizionale statuto di cittadinanza, segnato dall’orizzonte dello stato nazionale, è da anni messo in crisi da estesi processi di mutamento strutturale che sono trasversali alle varie realtà nazionali, interessando sia la sfera delle Istituzioni, sia la vita quotidiana delle persone e dei gruppi. Un contesto planetario, ricco di sfide positive e negative, che siamo chiamati a gestire, ognuno per la parte di competenza, se vogliamo che la crisi della democrazia - correlata alla statualità nazionale - lasci il posto ad un’organizzazione comunitaria senza esclusi e senza confini. Il che rappresenta un’opportunità storica, se ben interpretata. Di tale crisi si deve, dunque, prendere atto per svilupparla e orientarla in vista della nascita di una nuova e migliore concezione di “cittadinanza”, non più legata allo ius sanguinis e allo ius soli[20], bensì fondata sullo status giuridico di ogni uomo in quanto tale, che è, prima di tutto, cittadino del mondo: concezione di cui la nuova “cittadinanza europea” costituisce una tappa significativa. La sfida del futuro sarà capire l’essere umano come titolare di una cittadinanza che superi gerarchie e privilegi, se è vero che la democrazia è sempre inclusiva, così come è escludente la dittatura.

E poiché la mediazione civica non è riconducibile a mera professione, occorre valorizzarla e viverla come strumento interpretativo del cambiamento sociale, potendo il Difensore civico accogliere e trasformare i conflitti che insorgono tra Cittadini e Pubblica Amministrazione in intese non riconducibili a vere e proprie transazioni[21] con cui le parti si fanno reciproche concessioni, bensì configurabili come alleanze partecipate e orientate al conseguimento del bene comune. Il che presuppone la rimozione della causa del malcontento e della sfiducia nelle Istituzioni: sotto questo profilo, la mediazione del Difensore civico diventa di primaria importanza in vista di una corretta e stabile composizione del rapporto Cittadino-Pubblica Amministrazione e, più in generale, Istituzioni. Un rapporto, osa ricordare il Difensore civico, che non può essere considerato a priori in chiave conflittuale, ma deve essere pensato come ragionevolmente buono e componibile, purché venga inserito in un contesto in cui gli interlocutori si trovino sullo stesso piano e assumano responsabilmente il proprio ruolo. Sicché, a fronte del Difensore civico, il Politico e il Funzionario (con il loro ruolo da esercitare) e il Cittadino (con il suo problema da risolvere e il suo bagaglio di aspettative) vengono a trovarsi sostanzialmente alla pari in un sistema di relazioni in cui l’Ombudsman/Médiateur è co-protagonista, perché “ponte”, come vuole la stessa radice della parola svedese.

Il che è fondamentale alla luce della moderna concezione del diritto amministrativo, non più basata sull’imperium della Pubblica Amministrazione nell’ottica di un rapporto verticale e gerarchico tra Amministratori e Amministrati, bensì strutturata in relazione orizzontale e paritetica tra pubblico e privato, in vista di una ricostruzione dell’apparato amministrativo al servizio del Cittadino, aperto all’ascolto dei problemi e delle proposte, promotore di processi di comunicazione e partecipazione volti alla formazione di decisioni comprese e condivise, sicché, come previsto dall’ultimo comma del nuovo art. 118 della Costituzione italiana, il Cittadino sia risorsa e non vittima e/o intralcio. In quest’ottica, appare primario non tanto il raggiungimento dello specifico risultato, quanto il fatto che il Cittadino abbia soddisfazione dei propri diritti attraverso l’ascolto e la presa in carico del problema esposto, ottenga adeguata rivalutazione della propria dignità di persona e svolga un ruolo da protagonista delle scelte politico-amministrative, così come costituzionalmente garantito, con conseguente trasformazione della Costituzione da “formale” a “reale” grazie alla sinergia composita di quella che Mortati[22] chiama Costituzione “materiale”, nel gioco delle forze socio-politiche e della situazione economica su cui deve agire il Difensore del Cittadino.

Una conquista significativa sul piano della mediazione civica è stata conseguita in quei Paesi, anche europei, che riconoscono al Difensore civico (sia nazionale che regionale) il potere di intervenire con i cosiddetti Regolamenti di equità, una sorta di correttivo della norma giuridica, operante là dove la sua rigorosa applicazione conduca a conseguenze manifestamente inique nel caso concreto. Si tratta di soluzioni equitative del conflitto Cittadino-Ente pubblico, che il Difensore civico è legittimato a proporre, certo in precise situazioni e a precise condizioni e senza incidenza su futuri casi analoghi: uno strumento che opera su un piano diverso da quello della giustizia formale, quando, secondo i valori dell’equità e della giustizia sostanziale, in concorso con il diritto, la soluzione offerta dal sistema giuridico appaia inadeguata. In Italia, ove manca una disciplina unitaria della difesa civica e un Difensore civico nazionale, i tempi non sono maturi per un tale ruolo, non essendo ancora la figura del Difensore civico abbastanza forte e culturalmente radicata per vedersi riconosciuta ufficialmente una simile facoltà. Il che, peraltro, non è motivo di indebolimento della funzione pratica di mediazione dei conflitti derivante dalla natura stessa dell’Istituto: in altre parole, si deve lavorare in quest’ottica, se è vero che, nel campo dei diritti, da un lato la pratica può precedere il riconoscimento formale (come insegna ogni forma di secessione, sciopero compreso), dall’altro l’affermazione - soprattutto costituzionale - di un diritto deve poi trovare realizzazione effettiva, per tutti e nel quotidiano.

A fronte dei mutamenti sociali ed economici in atto, cui sembra associarsi una riduzione del Welfare State, con il conseguente ampliamento del disagio sociale, la difesa civica può operare da positivo collante nei rapporti tra categorie e nei confronti della Pubblica Amministrazione e del “potere” in genere. Si tratta di un ruolo di mediazione gratuito e, come tale, accessibile anche ai meno abbienti, una forma di tutela generalizzata e forte che, a fronte della crescente frantumazione sociale, deve favorire il recupero della responsabilità di ciascuno e la condivisa coscienza della complessità del sistema amministrativo. Il riconoscimento della responsabilità reciproca delle parti e la consapevolezza delle molteplici interdipendenze vincolanti può e deve offrire un’opportunità di positiva gestione del conflitto, un’occasione per tutti di educazione alla collaborazione: in vista della soluzione non solo del problema specifico e a favore della conseguente rinnovata fiducia nelle Istituzioni da parte dei Cittadini. L’Ombudsman/Médiateur non si limiti, dunque, alla gestione della singola lite, ma svolga un ruolo di rappresentanza e assunzione attiva del conflitto sociale (anche quando espresso dal singolo, soprattutto se “debole”), affinché la tensione si trasformi da fenomeno dirompente in occasione privilegiata di scambio e arricchimento per un processo di crescita sociale: a patto, certo, che il rispetto di ogni persona - fisica o giuridica - sia effettivo nel quotidiano.

Questo discorso si situa sulla scia dei miei ultimi interventi congressuali, in qualità di Coordinatrice della Conferenza nazionale dei Difensori civici delle Regioni e delle Province autonome, cui rimando[23], ma anche di una scelta personale convinta, esplicitata sia nel lavoro quotidiano (in Valle e, in funzione sussidiaria, nell’ambito nazionale), sia come Responsabile al vertice dell’A.O.M.F.-Association des Ombudsmans et Médiateurs de la francophonie (dal 2001 al 2005, prima come Sécrétaire Générale, poi come Présidente). Una prospettiva di impegno, un timbro di qualità, da non perdere, che sempre più riporta alla lungimiranza di Arturo Carlo Jemolo, quando affermava: «La perdita di fiducia negli organismi statali, il perenne senso di essere vittima di torti, sta logorando pilastri fondamentali, assai più che non farebbero iniziative apertamente rivoluzionarie (…) potrebbe pensarsi ad un tribuno del popolo o ad un censore, nominati a suffragio universale, o magari con un elettorato diverso da quello che elegge i membri del Parlamento»[24].

Mai come oggi è dunque utile, se non necessario, per il Difensore civico responsabile affrontare il tema dei conflitti sociali in rapporto alla difesa civica e al tribunato. Il Tribuno della Plebe nasce allo scopo e con la funzione di comporre il conflitto sociale per antonomasia, quello tra Patrizi e Plebei: per questo gli viene riconosciuto carattere sacro, con conseguente inviolabilità della persona e compiti di protezione della classe più debole nei confronti di abusi e soprusi dei forti, compiti che si esplicano attraverso il “potere negativo”[25] di intercessio, consistente nella possibilità di bloccare ogni iniziativa pregiudizievole. Il Tribuno della Plebe non assume, dunque, almeno formalmente e in origine, le vesti di vero e proprio Rappresentante e portavoce delle istanze ed esigenze plebee, non si fa promotore di specifiche iniziative a favore della classe plebea, in vista di un pieno equilibrio sociale, ma svolge, piuttosto, un ruolo di tutela volto ad impedire l’aggravio della situazione della Plebe, la cui qualificazione sociale, in termini di classe autonoma e contrassegnata da caratteri predeterminati e contrastanti rispetto alla classe patrizia, è assodata e condivisa. L’evoluzione storica della figura del Tribuno, grazie al sostanziale esercizio anche di un “potere positivo” da parte del Tribuno, dimostra, però, che l’Istituto, nato come strumento di freno allo strapotere dei patrizi, diventa, poi, strumento princeps di lotta sociale, volto a valorizzare il carattere di positiva crescita sociale che è proprio dei conflitti di classe quando non vengano considerati come meri fenomeni distruttivi e negativi, ma siano gestiti con ruolo centrale nell’ambito di una positiva evoluzione sociale.

La difesa civica non può, certo, essere specificatamente pensata come strumento di composizione dei conflitti sociali, dovendosi occupare di singoli casi concreti per trarne istanze di carattere generale di cui farsi portavoce di fronte al Legislatore e all’Amministratore, a prescindere dalla classe sociale di appartenenza dei soggetti destinatari dell’intervento. Essa non si pone, quindi, di per sé, come mezzo di realizzazione dell’equilibrio sociale o di superamento delle lotte di classe, mirando piuttosto alla realizzazione di un rapporto corretto ed equo tra Cittadini e Stato- Amministrazione. Ma poiché ha bisogno del Difensore soprattutto il più debole, il ruolo dell’Ombudsman[26] diventa anche (e forse soprattutto) quello di essere peso sul piatto della bilancia di chi non conta (e, dunque, vola): questo per realizzare l’equità sociale, che, come vuole l’etimologia della parola, vale parità, uguaglianza di livello e, dunque, di opportunità per ogni persona e categoria. Un ruolo davvero stimolante, sia nei Paesi in via di sviluppo che nei Paesi ricchi e ad ogni punto del percorso della democrazia, che non è difficile definire ma praticare, consistendo, per coerenza con la stessa pronuncia costituzionale, non in un possesso ma in un percorso.

Un bel modo per celebrare i 2500 anni della Secessione della Plebe di Roma e per viverne l’eredità nel mondo di oggi. Vi ringrazio.

 

 



 

[1] Cfr. G. Grosso, Lezioni di storia del diritto romano, V ed., Torino 1965, luoghi vari; M.G. Vacchina, L’Ombudsman-Médiateur in Italia e in Europa. Verso un nuovo Tribunato?/ El Defensor civico en Italia y en Europa. ¿Hacia una nueva defensa popular?, in Atti del XV Congresso Latino-americano di diritto romano “Secessione, Tribunato, Difensori civici e Riforme delle Costituzioni”, [Università del Michoacàn-Messico - Università di Sassari - Università “La Sapienza” di Roma] ed. video, Morelia 2006.

 

[2] Ibid. Cfr. anche P. Catalano, Crise de la division du pouvoir et tribunat, in Attualità dell’antico 6, a cura di M.G. Vacchina, Aosta 2005, 220; G. Lobrano, Il potere dei tribuni della plebe, Milano 1983.

 

[3] Cfr. S. Labriola, Relazione sulla forma dello Stato, Commissione parlamentare per le Riforme istituzionali, Camera dei Deputati, Roma 1995.

 

[4] Cfr., sulla scia della storica affermazione di Carlo Arturo Jemolo del 1965, di cui alla p. 13, G. Lobrano, Dal Defensor del Pueblo al Tribuno della plebe: ritorno al futuro. Un primo tentativo di interpretazione storico-sistematica, con particolare attenzione all’impostazione di Simon Bolivar, in Quaderni I.I.L.A.”, maggio 2002, 75-76 = Atti del Convegno Da Roma a Roma. Dal Tribuno della Plebe al Defensor del Pueblo (Roma 21-22 febbraio 2002).

 

[5] Una previsione, quella costituzionale, che manca ancora in Italia, non ostante l’intervento, in tal senso, della Conferenza (allora “Coordinamento”) nazionale dei Difensori civici delle Regioni e delle Province autonome presso la Commissione Bicamerale per le Riforme costituzionali.

 

[6] Cfr. n. 22.

 

[7] M.G. Vacchina, luoghi vari Relazioni annuali (1995-2006).

 

[8] Cfr. M.G. Vacchina, Il Difensore civico da Organo di controllo degli atti a Organo di partecipazione e tutela dei diritti, in Quaderni I.I.L.A., maggio 2002, cit., 121-130.

 

[9] Prima la Toscana, nel 1974 e, a ruota, lo stesso anno, la Liguria. Inoltre, Toscana, Liguria, Lazio, Emilia Romagna, Piemonte e Umbria hanno previsto l’Istituto del Difensore civico nei rispettivi Statuti, mentre la richiesta congiunta del Congresso delle Regioni e della Conferenza nazionale dei Difensori civici delle Regioni e delle Province autonome di estendere a tutte le Regioni la previsione statutaria dell’Istituto del Difensore civico, nella stagione, peraltro non ancora conclusa, della revisione degli Statuti regionali in relazione alle modifiche costituzionali del 2001, non ha portato frutto.

 

[10] Cfr. art. 8 L. n. 142/1990 e succ. mod.

 

[11] Cfr. Risoluzione n. 80 del 17.6.99 del C.P.L.R.E. su Il ruolo dei Difensori civici/Ombudsmen nella difesa dei diritti dei Cittadini.

 

[12] Cfr. Risoluzione del Congresso delle Regioni del 5.6.2002 su Le Regioni per una Difesa Civica generalizzata e forte a tutela e garanzia dei Cittadini in Conferenza dei Presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle Province autonome-Congresso delle Regioni III Commissione, Disposizioni statutarie in materia di difesa civica. Proposte del Gruppo di lavoro tecnico-politico della III Commissione del Congresso delle Regioni, luglio 2003.

 

[13] Cfr. luoghi vari Rapports di M.G. Vacchina, Présidente (2003-2005) e Sécrétaire (2001-2003) de l’A.O.M.F.-Association des Ombudsmans et Médiateurs de la Francophonie, e Documenti vari O.I.F.-Organisation internationale de la Francophonie e A.I.F.-Agence intergouvernementale de la Francophonie, in riferimento a Paesi del Terzo mondo ruotati attorno alla Déclaration de Bamako: la preoccupazione è per uno sviluppo democratico e socio-economico “durable”.

 

[14] D. Jacoby, L’Ombudsman, utile ou indispensable à la défense des droits? (con traduzione italiana), in Atti 2 del Convegno internazionale "Difesa civica e partecipazione democratica", a c. Difensore civico e Provincia di Roma, 4.10.2000, Roma 2001, 209: «l’autre chose qui est extrêmement importante c’est le pouvoir de recommandation. Plusieurs pensent que le pouvoir de recommandation est un pouvoir inutile, qui n’est pas efficace. Je dois vous dire que c’est vraiment le plus efficace de tous les pouvoirs. Parce que dans la société démocratique, il y a une chose que les gens aiment, c’est l’harmonie. La guerre est l’antidote à la démocratie. Il continue à la maintenir et à la renforcer. Et d’ailleurs, s’il fallait que les ombudsmans aient un pouvoir de contrainte, il est certain que l’administration, très souvent, irait contester les décisions exécutoires de l’ombudsman. L’administration irait elle-même s’adresser aux tribunaux et là, les recommandations ou décisions de l’ombudsman seraient elles-mêmes judiciarisées, ce qui bien sûr entraînerait des délais absolument inutiles et transformerait même la nature de recours qu’est le protecteur du citoyen».

 

[15] Cfr. n. 22.

 

[16] Da questa attività del Médiateur européen J. Söderman è nato il Codice di buona condotta amministrativa, che è alla base degli artt. 41 e 43 della Carta di Nizza e della Costituzione europea, che prevedono il diritto alla buona amministrazione tra i diritti fondamentali del Cittadino europeo e il diritto di rivolgersi al Médiateur in caso di cattiva amministrazione, diritti che il mondo ci invidia.

 

[17] Cfr. M.G. Vacchina, Relazione annuale 2003/2004, 2-15.

 

[18] Cfr. G. Grosso, loc. cit., 81.

 

[19] Cfr. Caritas e Migrantes, Immigrazione - Dossier statistico 2006, XVI Rapporto, Roma 2006.

 

[20] Cfr. L. Trucco, Presidente A.S.G.I.-Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, Ius sanguinis ius soli. Le nuove frontiere della cittadinanza, in Atti (in corso) Convegno “Culture e Cittadinanza. La politica dell’immigrazione: analisi e prospettive”, a c. C.C.I.E.-Centro comunale Immigrati extracomunitari di Aosta, Città di Aosta, Coop. La Sorgente, Aosta, 23.11.2006.

 

[21] Cfr. artt. 1965 ss. c.c.

 

[22] Cfr. C. Mortati, La Costituzione in senso materiale, Milano 1940. Cfr. anche F. De Martino, Storia della Costituzione romana, Napoli 1951, e, più in generale, il pensiero di C. Schmitt e J. De Maistre.

 

[23] Cfr. M.G. Vacchina, Relazione annuale 2006/2007, Intervento, in qualità di Coordinatore della Conferenza nazionale dei Difensori civici delle Regioni e delle Province autonome, nell’ambito del XV Congresso Latino-americano di Diritto romano, sul tema L’Ombudsman-Médiateur in Italia e in Europa. Verso un nuovo Tribunato?/El Defensor civico en Italia y en Europa. ¿Hacia una nueva defensa popular? Morelia, Stato del Michoacàn-Messico 16-18.8.2006, 38-54, e Atti ed. video; Intervento, in qualità di Coordinatore della Conferenza nazionale dei Difensori civici delle Regioni e delle Province autonome, sul tema La Difesa civica in Italia al Convegno internazionale su “La Difesa civica in Italia e in Europa”, Firenze 16.10.2006, 55-62 (Atti in corso).

 

[24] Cfr. n. 4.

 

[25] Cfr. n. 22.

 

[26] Il termine Ombudsman sembra derivare dal medioevale Umboosmaor, cioè la persona che ha l’Umboo, il potere di agire a favore di un altro.