ds_gen N. 7 – 2008 – Contributi

 

pinnaIL RUOLO DELLA REGIONE

NELLA RIFORMA DELLO STATUTO*

 

Pietro Pinna

Università di Sassari

 

 

Sommario: 1. Premessa. – 2. Il principio partecipativo. – 3. Il principio partecipativo e la specialità. – 4. L’esclusione del referendum nazionale.

 

 

1. – Premessa

 

Le regioni speciali partecipano alla revisione del proprio statuto in forza delle previsioni disposte ultimamente dalla legge costituzionale 2/2001 [1]. Le principali innovazioni introdotte da questa legge costituzionale sono il parere del consiglio regionale sui progetti di revisione dello statuto e l’esclusione del referendum ex art. 138 Cost. sulle leggi di revisione statutaria. Su di esse e, in particolare, sul significato e sulla portata dell’esclusione di tale referendum si è svolto un dibattito[2]. Qui non ho il tempo di dar conto della discussione in proposito, né di esaminare direttamente le posizioni sostenute, molte delle quali divergono in più punti rilevanti dal ragionamento che ora mi accingo a svolgere. Mi limiterò ad argomentare la tesi che la regione speciale deve partecipare alla determinazione della propria particolare posizione costituzionale in virtù di un principio costituzionale, dal quale deriva la conseguenza importante che la legge costituzionale (tipica) deve disciplinare la forma, ma non il contenuto dello statuto speciale (legge atipica).

 

 

2. – Il principio partecipativo

 

La legge costituzionale 2/2001 ha modificato le disposizioni di ciascuno statuto delle cinque regioni speciali, riguardanti la revisione statutaria, disponendo un procedimento di formazione atipico rispetto a quello previsto dall’art. 138 della Costituzione, così da consentire la partecipazione della regione alla determinazione della propria, specifica posizione costituzionale. Lo scopo partecipativo del procedimento atipico di revisione statutaria è evidente, per quanto riguarda l’iniziativa, il parere regionale e il referendum consultivo (peraltro previsto soltanto dallo Statuto sardo). E’ più difficile ricondurre a questa ratio l’esclusione del referendum nazionale. Ma come dirò più avanti, anche questa atipicità si inserisce coerentemente all’interno del procedimento di revisione volto ad assicurare la partecipazione regionale.

Siccome gli statuti speciali sono leggi costituzionali, le leggi costituzionali successive possono abrogare, anche tacitamente, la norma che prevede un procedimento atipico per la revisione statutaria. Non avrebbe dunque senso la previsione secondo cui occorre la fonte atipica per disciplinare l’autonomia speciale, se la legge costituzionale tipica la potesse modificare senza alcun vincolo.

Bisogna perciò spiegare che cosa impedisca alla legge costituzionale tipica di modificare la legge atipica. Per fare questa operazione, bisogna risalire al principio che informa le disposizioni dell’art. 116 della Costituzione e degli statuti speciali relative al procedimento di revisione statutaria.

Al riguardo, è assai significativo l’ultimo comma dell’art. 116 della Costituzione introdotto dalla legge costituzionale 3/2001. Anche esso infatti prevede una legge (ordinaria) atipica per attribuire alla regione funzioni legislative in alcune materie di potestà statale esclusiva: l’iniziativa è assunta dalla regione, sentiti gli enti locali; la proposta di legge è approvata a maggioranza assoluta, sulla base dell’intesa tra lo Stato e la regione interessata. Pure tale procedimento legislativo atipico è rivolto ad assicurare il concorso regionale (il consenso, in questo caso) alla decisione di modificare la posizione costituzionale della singola regione. Anche esso riguarda il regime di una regione e non di tutte le regioni, cioè una disciplina singolare e non generale.

Da tale nuova disposizione dell’art. 116 dettata dalla riforma costituzionale del 2001 e da quella relativa alla revisione degli statuti speciali, stabilita dalla legge costituzionale n. 2, anch’essa del 2001, è facile risalire a questo principio: la posizione costituzionale singolare va stabilita col concorso della regione interessata. La fonte abilitata a disciplinare lo status speciale è perciò necessariamente atipica. Può essere la legge costituzionale oppure quella ordinaria. In ogni caso, essa deve essere così atipica da consentire il contributo della singola regione alla disciplina della posizione costituzionale speciale.

In conseguenza, la legge costituzionale nonostante sia una fonte sovraordinata ad ogni altra, non può tuttavia disciplinare la posizione costituzionale singolare. E’ obbligata ad assicurare la partecipazione della regione interessata, dunque, a seguire un procedimento atipico.

Tale principio, in altri termini, richiedendo il concorso specifico della regione, impone che la legge costituzionale (tipica) non vada oltre la previsione del procedimento partecipato attraverso il quale si stabilisce il regime differenziato. Dunque deve attribuire ad un’altra fonte il potere di disciplinare la posizione costituzionale della singola regione; una fonte che essa stessa costituisce, senza che ciò generi un rapporto di subordinazione gerarchica. Può essere una fonte di rango costituzionale, quindi una legge costituzionale atipica, oppure una legge ordinaria atipica. In fondo cambia poco, dato che tra queste e quella non c’è un rapporto gerarchico. Quindi, da questo punto di vista, serve a poco chiedersi se gli statuti speciali siano oppure no leggi costituzionali: quand’anche fossero ritenuti fonti subcostituzionali[3], comunque non potrebbero essere revisionati da una legge costituzionale tipica.

Il principio dunque è che la regione speciale concorre a stabilire la propria posizione costituzionale singolare. Da esso non si può ricavare alcuna norma intorno alla modalità collaborativa e all’intensità della collaborazione (parere, intesa o altro). Insomma, prescrive genericamente il procedimento atipico; non detta uno specifico procedimento atipico. Obbliga la legge costituzionale a prevedere un procedimento formativo collaborativo. Non le sottrae la disciplina di questo procedimento. Semmai impone un vincolo procedimentale, tale per cui toglie alla legge costituzionale tipica il potere di stabilire la disciplina sostanziale del regime speciale. Quindi spetta alla legge costituzionale tipica stabilire il presupposto di tale regime, cioè il riconoscimento della specialità, e le regole del procedimento partecipato attraverso il quale si definisce la particolare autonomia.

Il potere di modificare tali regole varia secondo che la legge atipica abbia rango costituzionale oppure subcostituzionale. In quest’ultimo caso la disciplina procedimentale stabilita dalla legge costituzionale evidentemente non può essere modificata dalla legge ordinaria atipica. Nell’altro caso, invece il rango costituzionale della fonte dovrebbe consentire alla legge atipica di intervenire sulla disciplina del procedimento della propria formazione. La preminenza logica e giuridica della legge tipica, in quanto fonte sulla produzione, non lo esclude. Comunque la preminenza implica il potere della legge costituzionale tipica di modificare il procedimento di revisione statutaria, nel rispetto ovviamente del principio partecipativo.

Per quanto riguarda in particolare gli statuti speciali, la conclusione è che essi, secondo le disposizioni dell’art. 116 della Costituzione e della legge costituzionale 2/2001, sono adottati col procedimento di revisione costituzionale atipico previsto dagli stessi statuti. La disciplina di questo procedimento può essere modificata dalla legge costituzionale tipica (e forse anche da quella atipica), nel rispetto del principio partecipativo che si è detto. Quindi la previsione secondo cui lo statuto speciale è una fonte costituzionale atipica si impone alla legge costituzionale (tipica e atipica)[4].

Resta da spiegare come mai la definizione della posizione costituzionale singolare debba essere improntata a questo principio partecipativo.

 

 

3. – Il principio partecipativo e la specialità

 

Il principio partecipativo che ho descritto non è completamente nuovo: era già presente nelle disposizioni sulla revisione dello Statuto sardo del 1948; inoltre tutti gli statuti speciali prevedono la possibilità di modificare parzialmente lo statuto speciale con la legge ordinaria atipica[5].

Ha assunto però una portata molto più ampia con la riforma del Titolo V: la posizione paritaria degli enti costitutivi della Repubblica disposta dall’art. 114 della Costituzione[6], ora richiede la ricerca di nuovi e più complessi equilibri istituzionali. La conciliazione tra le ragioni dell’unità e quelle della differenziazione, in definitiva l’unità pluralistica, adesso avanza nuove e maggiori pretese; l’unità non è più statale, ma repubblicana, non è data, ma costruita con la cooperazione tra tutti i soggetti costituzionali, ed è quindi comprensiva della molteplicità. I procedimenti costruttivi dell’unità devono essere massimamente inclusivi delle differenze rappresentate dagli enti costitutivi della Repubblica[7]. Devono comprendere il punto di vista specifico della regione sottoposta al regime speciale, quindi la modalità attraverso la quale si stabilisce questo regime deve comprendere la partecipazione della stessa regione. La specialità non può essere più una condizione che la regione ottiene dallo stato e che lo stato può modificare unilateralmente; non è più un processo governato interamente dallo stato.

L’autonomia speciale non può essere una concessione, né un’imposizione, che presuppongono la superiorità di chi la impone o la concede. Alla base del concorso della singola regione alla determinazione della speciale autonomia sta proprio la necessità di includere nella misura massima possibile peculiarità regionali riconosciute dalla Costituzione a favore di enti costitutivi della Repubblica come lo Stato.

D’altro canto, l’atto che disciplina la posizione costituzionale particolare non è un patto tra la singola regione e lo Stato, che è proprio di un sistema di rapporti soltanto bilaterali, secondo l’idea statocentrica; è invece un atto plurale appartenente al processo di costruzione dell’unità repubblicana, nel quale processo ha un ruolo particolare, differenziato la regione interessata, in conformità alla peculiarità regionale che è riconosciuta dalla Costituzione.

Nel nuovo assetto pluralistico e paritario la collaborazione della regione interessata alla disciplina della sua posizione costituzionale singolare è dunque un principio costituzionale generale, in quanto inerente ad un sistema istituzionale paritario; non è più principio particolare delle relazioni tra lo Stato e la singola regione speciale.

Tale principio generale in ultima analisi appartiene ad un sistema, che, in base al dettato dell’art. 114 della Costituzione, è molteplice e paritario; ad un sistema quindi nel quale la differenza è compresa nell’unità e non è più una condizione eccezionale attribuita da un atto statale sovrano.

In effetti, il principio della disciplina partecipata dell’autonomia speciale riconosce la peculiarità di soggetti che, nonostante la specifica posizione costituzionale, costituiscono la Repubblica al pari degli altri. Nello stesso tempo, soddisfa le esigenze unitarie dell’ordinamento repubblicano: la condizione di autonomia speciale e la modalità della sua disciplina (le condizioni e le forme, di cui ragiona il primo comma dell’art. 116) sono previste con la legge costituzionale tipica; inoltre il regime differenziato è stabilito con una legge (statale o della repubblica) e quindi con un atto alla cui determinazione concorrono paritariamente i soggetti artefici dell’unità politica (generale). Il ruolo assegnato alla regione interessata al massimo potrebbe impedire la realizzazione di una condizione di particolare autonomia, ma non potrebbe incidere sull’ordinamento repubblicano e sui processi dell’integrazione politica nazionale.

Il principio partecipativo riguarda soltanto la definizione della posizione costituzionale speciale. Quindi lo statuto speciale non può incidere neppure indirettamente sull’ordinamento generale. In particolare, non può modificare la disciplina relativa alle altre regioni; e questo è ovvio. Ma può disciplinare l’autonomia costituzionale dei comuni e delle province della regione speciale? La risposta è in linea generale negativa: i comuni e le province, ovviamente anche quelli delle regioni speciali, sono enti costitutivi della Repubblica. Anche ad essi si applica il principio partecipativo che vale per la regione speciale. Quindi devono contribuire alla determinazione della posizione costituzionale particolare che li riguarda specificamente. Pertanto, lo statuto speciale può incidere sulla posizione costituzionale dei comuni e delle province soltanto se il suo procedimento di formazione contempla la partecipazione dei comuni e delle province. Del resto, l’art. 116, ultimo comma, pur avendo ad oggetto una disciplina che non riguarda immediatamente il comune e la provincia, tuttavia prevede che gli enti locali siano sentiti dalla regione proponente.

Spostando per un attimo il discorso su un altro piano, cioè su quello della riforma del procedimento formativo degli statuti speciali, tale disposizione dovrebbe essere il modello del procedimento di formazione degli statuti speciali, in quanto al momento è la realizzazione più avanzata del principio partecipativo di cui ragiono. Il concorso regionale dunque dovrebbe spingersi sino all’intesa. La modifica dello statuto speciale, cioè, dovrebbe essere proposta dalla regione interessata e approvata col consenso della medesima regione e del comune e della provincia, se modifica l’autonomia costituzionale di questi. Il comune e la provincia comunque dovrebbero essere almeno sentiti dalla regione.

La configurazione che propongo del principio partecipativo alla disciplina dello status costituzionale singolare non implica, né presuppone la presenza delle regioni nel procedimento di revisione costituzionale. Quindi lascia impregiudicata la questione se la disciplina dell’art. 138 della Costituzione consenta di qualificare la legge costituzionale un atto della Repubblica, come dovrebbe essere secondo il principio formulato dall’art. 114 della Costituzione, oppure solamente statale. Il principio collaborativo varrebbe infatti anche se le regioni fossero presenti, in quanto tali, nel procedimento di revisione costituzionale, poiché esso richiede la partecipazione specifica della singola regione interessata e inoltre riguarda soltanto la posizione costituzionale della regione, non tutta la Costituzione. Non è dunque l’anticipazione dell’intervento regionale nel procedimento di revisione costituzionale, una eccezione alla regola di esclusione delle regioni dalla revisione costituzionale, come tale precaria, destinata a venir meno se e quando dovesse affermarsi la regola opposta. E’ invece un principio permanente, proprio di un sistema pluralistico, che riconosce una particolare autonomia ad alcune regioni.

Tale principio è dunque un connotato essenziale della specialità. E’ il principio del rapporto bilaterale, tra lo Stato e la regione. Tuttavia non fonda relazioni singolari tra lo Stato e la regione differenziata, secondo la tradizionale concezione centralistica della specialità[8]. Il rapporto bilaterale si svolge infatti nel contesto di relazioni multilaterali, alle quali la regione speciale partecipa come gli altri enti costitutivi della Repubblica (sarebbe meglio dire, parteciperà quando verrà stabilito un procedimento di revisione costituzionale repubblicano).

Detto in estrema sintesi e molto semplicemente, il principio di cui parlo è il seguente: ciò che riguarda tutti (l’ordinamento generale della Repubblica) va deciso col concorso paritario di tutti (art. 114 Cost.), ciò che attiene al singolo soggetto (l’ordinamento particolare) va deciso con la partecipazione specifica del singolo (art. 116, terzo comma, e statuti speciali). Il primo, comprende, per quel che qui interessa, il riconoscimento dell’autonomia speciale e la conseguente disciplina del procedimento partecipato (legge tipica); il secondo la determinazione dell’ordinamento costituzionale particolare della singola regione (legge atipica). In definitiva, la legge costituzionale tipica stabilisce la condizione e la forma di particolare autonomia, che sono proprie di alcune regioni, secondo la previsione del primo comma dell’art. 116, quella atipica revisiona il singolo statuto speciale.

 

 

4. – L’ esclusione del referendum nazionale

 

L’esclusione del referendum approvativo nazionale, nonostante sia la più importante atipicità della revisione statutaria, è soltanto una modalità del principio partecipativo. Quindi è un elemento accidentale, per così dire, del procedimento di formazione dello Statuto speciale. Comunque si inquadra bene all’interno di questo principio. E’ una forma di tutela della specificità regionale, appartenente ad un procedimento decisionale particolare della singola regione. Poiché la decisione non incide sull’ordinamento generale della Repubblica, è giustificato escludere il pronunciamento del corpo elettorale nazionale. Semmai su di essa si potrebbe pronunciare il corpo elettorale della singola regione coinvolta, se lo statuto prevede il referendum. La disciplina di questa consultazione popolare spetta alla legge costituzionale tipica, in quanto è una parte del procedimento formativo della legge atipica.

 

 



 

* Relazione presentata al convegno I nodi tecnici della revisione degli statuti speciali, Udine, 12 ottobre 2007.

 

[1] Peraltro lo Statuto sardo prevedeva già l’intervento della regione nel procedimento di revisione statutaria: oltre all’iniziativa del consiglio regionale, prescritta da tutti gli statuti speciali, contemplava inoltre l’iniziativa di ventimila elettori, il parere del consiglio regionale sui progetti di modifica governativi e parlamentari, il referendum consultivo indetto dal Presidente nei confronti degli stessi progetti che fossero approvati in prima deliberazione, nonostante il parere contrario del consiglio regionale.

 

[2] Sul quale cfr.: S. PAJNO, G. VERDE, Gli Statuti-leggi costituzionali delle Regioni speciali, in P. CARETTI (a cura di), Osservatorio sulle fonti 2005, Giappichelli, Torino, 2006, 299 ss.; S. PAJNO, La revisione degli statuti speciali nel sistema delle fonti, in Le Regioni, 2007, 93 ss.

 

[3] E’ questa la tesi sostenuta da S. PAJNO, La revisione, cit., 100 ss.

 

[4] E’ problematica la compatibilità di questa regola con la clausola di adeguamento automatico disposta – col procedimento tipico di revisione - dall’art. 10 della legge costituzionale 3/2001. Quest’ultima disposizione non modifica gli statuti speciali, anzi si applica fintanto che gli stessi statuti non siano adeguati al nuovo Titolo V della Costituzione. Quindi presuppone che la revisione degli statuti speciali debba avvenire col procedimento atipico stabilito da ciascuno statuto. Tuttavia, sia pure provvisoriamente, incide sulla disciplina dettata dallo Statuto speciale. Verosimilmente dipende dalla portata delle innovazioni introdotte dalla legge costituzionale del 2001. Le trasformazioni infatti attengono alla struttura della Repubblica (ad es. art. 114 Cost.), quindi coinvolgono necessariamente le regioni speciali. Costituiscono perciò il nuovo punto di riferimento, alla stregua del quale si individuano le norme speciali dello statuto, cosicché quelle generali prevalgono su queste se prevedono forme di autonomia più ampia. Questa anomala prevalenza della disciplina generale sulla speciale è la conseguenza della formula dell’adeguamento automatico. Ma questa formula presuppone la regola secondo cui gli statuti speciali devono essere adeguati al nuovo sistema delineato dalla legge 3/2001. La regola fondamentale è dunque l’adeguamento, che provvisoriamente viene realizzato col meccanismo automatico, perché altrimenti le regioni speciali immediatamente sarebbero rimaste ai margini della struttura repubblicana se non addirittura estranee ad essa. Questo dunque è strumentale a quella. Se l’osservazione è esatta, ne discende che bisogna interrogarsi sulla compatibilità col principio partecipativo della regola non tanto dell’automatismo, quanto dell’adeguamento. In altri termini, spetta alla legge costituzionale tipica prevedere che gli statuti speciali devono essere adeguati? La risposta è positiva. Infatti la norma secondo cui gli statuti speciali devono essere adeguati alla nuova struttura repubblicana attiene alla condizione dell’autonomia speciale e non alla posizione peculiare della singola regione, la cui disciplina – insieme alla forma - spetta alla legge costituzionale tipica.

 

[5] L’art. 1, comma 2, della legge costituzionale 2/1948 (conversione in legge costituzionale dello Statuto siciliano), dichiarato incostituzionale dall’Alta corte della Sicilia, contemplava addirittura la modifica dell’intero Statuto mediante legge ordinaria, udita l’Assemblea regionale della Sicilia.

L’art. 54, comma 4, dello Statuto sardo consente la modifica delle disposizioni statutarie relative alle finanze, demanio e patrimonio con leggi ordinarie della Repubblica su proposta del Governo o della Regione, in ogni caso sentita la Regione.

L’art. 50, comma 3, dello Statuto della Valle d’Aosta prevede la modifica delle disposizioni finanziarie dello Statuto con legge dello Stato, in accordo con la Giunta regionale.

Anche le disposizioni finanziarie dello Statuto del Friuli-Venezia Giulia possono essere modificate con leggi ordinarie, su proposta di ciascun membro delle Camere, del Governo e della Regione, e, in ogni caso, sentita la Regione (art. 63, comma 2 Statuto).

L’art. 104 dello Statuto del Trentino-Alto Adige prevede la modifica di varie norme statutarie con legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta del Governo e della Regione o delle due Province, secondo i casi.

 

[6] La giurisprudenza della Corte costituzionale tende a sminuire la portata dell’equiparazione disposta dall’114 Cost. (cfr. le sentenze 274/2003 e 365/2007). Peraltro l’orientamento espresso nelle due sentenze citate appare non univoco. Nella sentenza del 2003 la Corte sostiene che lo Stato ha una posizione costituzionale peculiare, in quanto è l’ente cui spetta la tutela delle esigenze unitarie (per una critica di questa tesi rinvio al mio Il diritto costituzionale della Sardegna, seconda edizione, Torino, Giappichelli, 2007, 43 ss.). Quindi, sia pure con qualche ambiguità, sembra si riferisca a una peculiarità statale di carattere funzionale, cioè nega la sussistenza dell’equiparazione totale fra gli enti costitutivi della Repubblica basandosi sulla funzione unitaria e sulle diverse competenze attribuite allo Stato. Nella sentenza del 2007 la tesi dell’equiparazione non totale disposta dall’art. 114 Cost. – ribadita espressamente – è sostenuta invece da una argomentazione che fa leva sul rilievo che «la sovranità interna dello Stato conserva intatta la propria struttura essenziale, non scalfita dal pur significativo potenziamento di molteplici funzioni che la Costituzione attribuisce alle Regioni ed agli enti territoriali». Quindi stavolta la Corte asserisce che lo Stato è qualitativamente diverso dalle regioni, dalle province e dai comuni, rispolverando l’idea tradizionale della sovranità statale che è stata archiviata dalla dottrina e dalla stessa giurisprudenza costituzionale, perché contrastante con la disposizione dell’art. 1 Cost., secondo cui la sovranità appartiene al popolo (cfr. O. CHESSA, Corte costituzionale e trasformazioni della democrazia pluralistica, in V. TONDI DELLA MURA, M. CARDUCCI, R. G. RODIO (a cura di), Corte costituzionale e processi di decisione politica, Giappichelli, Torino, 2005, 69 ss.

 

[7] Altrove ho argomentato più diffusamente questa tesi. Cfr. Il diritto, cit., 7 ss.; I conflitti di attribuzione, relazione introduttiva al Convegno “Le zone d’ombra della giustizia costituzionale”, Modena, 13 ottobre 2006, i cui atti, a cura di G. Gemma, R. Pinardi, stanno per essere pubblicati da Giappichelli. Del principio di massima inclusione tratta nello stesso convegno S. PARISI, Parametro e oggetto nei conflitti di attribuzione – Pluralismo comprensivo e conflitti costituzionali.

 

[8] Cfr. ancora S. PAJNO, La revisione, cit., 107 ss.