ds_gen N. 7 – 2008 – Memorie//MMD-Giuramento-plebe-Monte-Sacro

 

Riccardo%20CardilliRiccardo Cardilli

Università di Roma “Tor Vergata”

 

Plebiscita et leges Antiusura.

Leges fenebres, ius civile ed

‘indebitamento’ della plebe: a

proposito di Tac. Ann. VI, 16, 1-2

 

 

Sommario: 1. Problema dei debiti e istanze plebee. – 2. Il sesto libro degli ‘annales’ di Tacito ed il richiamo al ‘vetus urbi fenebre malum. – 3. Antichità delle leggi limitatrici. – A. Faenus unciarium e Legge delle XII Tavole. – B. Il plebiscito Duilio Menenio del 357 a.C. e il suo rapporto con Tac. ann. VI, 16, 2. – C. Riduzione del limite alla semioncia in un plebiscito del 347 a.C. – D. Divieto assoluto d’usura e plebiscito Genucio. – 4. Conseguenze giuridiche del divieto: poena quadrupli e manus iniectio. – 5. Limite del tasso d’interessi. – 6. Ius civile e legge pubblica.

 

 

1. – Problema dei debiti e istanze plebee

 

Nella storiografia antica il problema dell’aes alienum si intreccia fin dalla prima secessione della plebe del 494 a.C. con il conflitto di essa col patriziato. È significativo che, insieme ai problemi della terra, quello del ‘debito’ sia segnalato con così costante frequenza nelle fonti[1]. La terminologia delle fonti letterarie, però, non permette con precisione di scorgere, dietro le istanze e le rivendicazioni della plebe, quali siano di volta in volta gli schemi giuridici utilizzati e le ‘forme di assoggettamento’ da essi generate, sì da rendere il discorso sull’indebitamento plebeo su un piano giuridico di difficile precisazione[2].

Al riguardo reputo utile tenere distinti due profili. Da un lato, quello degli schemi giuridici attraverso i quali il ius civile arcaico permetteva al pater familias ‘creditore’ di prevenire – a livello di garanzia – o di reagire – a livello di responsabilità – alla mancata restituzione dell’aes suum. D’altro lato, quello degli schemi giuridici idonei a formalizzare l’aes alienum. I due profili, peraltro, avrebbero potuto interagire nella concretezza delle cose.

Credo che non si possa dubitare, allo stato delle fonti, che, dal primo punto di vista, si sia ricorso al nexum[3]. Esso, infatti, determinava sulla persona del nexus una qualche ‘forma’ di controllo da parte del pater familias erogante[4], pur essendo uno strumento giuridico alternativo per funzione all’assoggettamento alla potestas di un altro pater familias[5]. Il quadro è ulteriormente complicato dal rapporto tra nexum e manus iniectio, e dal rapporto tra la condizione dei nexi e degli iudicati da un lato, e quella degli addicti dall’altro lato[6]. Il tutto all’interno della già rilevata problematicità della terminologia giuridica delle fonti letterarie[7]. Esse, peraltro, ricordano che la lotta plebea si orientò essenzialmente verso la fissazione di limiti all’entità degli ‘interessi’ (faenus)[8] sul ‘debito’ (aes alienum), ricorrendo soprattutto allo strumento – come vedremo – della legge e del plebiscito.

Credo che al riguardo si debba tornare a pesare l’attendibilità di una testimonianza tratta dagli annales di Tacito, la quale rappresenta in materia quasi una somma storiografica[9] dei passaggi salienti della problematica qui discussa e che – come vedremo – dimostra di affondare solidamente su elementi storici che trovano conferma nelle tradizioni presenti in altre fonti.

 

 

2. – Il sesto libro degli ‘annales’ di Tacito ed il richiamo al ‘vetus urbi fenebre malum

 

Nel sesto libro dei suoi annales, Tacito scrive degli anni dal 32 fino al 37 d.C. Si tratta degli anni del principato di Tiberio, morto il 15 marzo del 37 d.C. In relazione al 33 d.C., egli ricorda una agitazione dei delatori contro i feneratores che continuavano a prestare denaro ad interessi adversum legem[10] dictatoris Caesaris[11].

A questo punto Tacito fa un excursus sull’antico male cittadino dell’usura, partendo dall’età predecemvirale:

 

Tac. ann. VI, 16, 1: Sane vetus urbi faenebre malum et seditionum discordiarumque creberrima causa, eoque cohibebatur antiquis quoque et minus corruptis moribus.

 

L’antichità nell’Urbs del fenebre malum è accentuazione ricorrente nella tradizione tardorepubblicana (Liv. 2, 32, 7 ss.; Cic. de rep. 2, 33, 58; Dion. 6, 41 ss.), confermata da quanto sappiamo da Livio sulle agitazioni plebee precedenti alla prima secessione del 494 a.C. (propter nexos ob aes alienum Liv. 2, 23, 1; 2, 27, 1; sul rifiuto, dopo la vittoria sui Sabini e sugli Equi, della proposta de nexis del dittatore Manio Valerio come concordiae auctor 2, 31, 8-9)[12] e sulle ripetute agitazioni plebee che in età postdecemvirale porteranno alla emanazione di provvedimenti contro i feneratores. Significativo a mio avviso è il richiamo alla causa seditionum discordiarumque, che evoca non solo le secessioni plebee, ma anche le prospettive ideologiche – così care alla nobilitas tardorepubblicana – della concordia ordinum[13] e della esaltazione degli antiqui minus corrupti mores.

Si è ipotizzato in dottrina, rispetto alle forme giuridiche dell’indebitamento di età predecemvirale, che con l’introduzione della manus iniectio iudicati con la legge delle XII Tavole si sarebbe determinata una situazione di ‘responsabilità’ più gravosa per i nexi. In età predecemvirale, il nexum verrebbe in sostanza a concretizzare una forma spontanea di ‘assoggettamento’ del nexus al pater familias erogante[14] che, al di là di una più concreta determinazione della forma di ‘responsabilità’ da essa generata[15], non avrebbe assunto le caratteristiche dell’esecuzione scandita in XII tab. III, 1-3, come poi invece accadrà anche per il nexus insolvente assoggettato, come damnatus, alla manus iniectio iudicati causa delle XII Tavole[16].

In ogni caso, anche per questa ipotesi, nexum e addictio producono effetti ben distinti, che portano i plebei a preferire il nexum inire, piuttosto che aspettare la manus iniectio del ‘creditore’ e l’addictio conseguente[17].

Ciò peraltro lascia ancora aperta la questione delle forme giuridiche con le quali l’‘indebitamento’ plebeo veniva a realizzarsi. È stato notato che la terminologia di Livio è univoca, parlando, fino alle XII Tavole, di nexi[18].

Questa univocità è a mio avviso confermata dalla terminologia tecnica che per il periodo arcaico fa uso dell’uncia per indicare quanto si aggiunge all’aes prestato. Questo rapporto tra quanto ricevuto e quanto a questo si aggiunge nella restituzione è configurato in un rapporto di proporzione con l’asse librale quale unità di peso (uncia)[19]. Ciò non è in astratto scontato, né irrilevante, perché ci cala concretamente in una realtà[20] nella quale il valore di scambio ‘convenzionale’ riposa sull’aes prima rude poi signatum e sulla pesatura con la bilancia (libra) come momento irrinunciabile e di significativa rilevanza (libripens) non soltanto dello ‘scambio’ delle res pretiosiores (mancipatio), ma anche della quantificazione esatta dell’aes alienum[21].

L’antichità del sintagma fenus unciarium è espressiva di una tale realtà e fissando il rapporto suddetto in termini di 1/12 del peso dell’asse librale (as) risulta con evidenza più acconcia al nexum, quale negozio con cui il metallo (aes) veniva pesato e consegnato (prima realmente e poi solo simbolicamente) attraverso la libra[22] – producendo un ‘assoggettamento’ del pater familias ricevente (nexus) a favore del pater familias erogante – che ad un indebitamento realizzato attraverso lo schema dell’oportere ex sponsione[23].

La lotta plebea per la liberazione dei nexi si orienta fin dall’inizio – e sarà la linea politica preponderante fino alla lex Poetelia Papiria[24] – a fissare limiti quantitativi al faenus. Ciò è confermato appunto dalla emanazione di leges publicae o di plebiscita che, entro un sistema del ius civile essenzialmente modellato e guidato dalla interpretatio dei pontifices, fissano dei limiti massimi al tasso d’interesse. La scelta plebea sembra dimostrare che non fosse possibile porre in discussione la giuridicità degli atti compiuti[25], ma che si ritenesse come unica strada percorribile quella di prevedere poenae in un multiplo di quanto imposto al nexus più del limite legale (vd. § 4), prevedendo quindi una forma indiretta di dissuasione con la minaccia della sanzione.

 

 

3. – Antichità delle leggi limitatrici.

 

A. Faenus unciarium e Legge delle XII Tavole

 

Che le XII Tavole abbiano sancito il limite del faenus unciarium è esplicitamente ricordato soltanto da Tac. ann. VI, 16, 2:

 

Nam primo duodecim tabulis sanctum, ne quis unciario fenore amplius exerceret, cum antea ex libidine locupletiorum agitaretur.

 

I dubbi avanzati in dottrina sulla testimonianza[26], pur nell’autorevolezza dei loro sostenitori, non mi sembrano insuperabili[27].

Innanzitutto, allo «scettico» Tacito[28], proprio per la sua ‘diffidenza’ nell’accettare quiescentemente la tradizione consolidata, è riconosciuta una certa affidabilità nel ricordare tradizioni minoritarie per l’età arcaica[29].

D’altronde, proprio su àmbiti giuridici la cosa è abbastanza evidente nell’excursus sull’origine del diritto.

Per quel che riguarda ann. III, 26, 3-4 [30], se da un lato si sentono elementi comuni ad altre tradizioni[31], d’altro lato da esse Tacito si discosta notevolmente rivendicando un ruolo fondamentale a Servio Tullio come sanctor legum, in contrasto con la tradizione liviana[32]. Le conclusioni che potrebbero trarsi, però, più che a un discredito nei confronti di Tacito, devono orientarsi verso la valorizzazione di una tradizione diversa (che echeggia ancora in Dion. 4, 13, 1)[33], che ricorda Servio Tullio come il re che fece approvare alle curiae un corpo di nómoi che poi daranno vita ad una serie di leges regiae (il ius civile Papirianum in senso proprio, secondo una recente ipotesi)[34], distinte dal ius Papirianum che raccoglieva le leggi di Numa de ritu sacrorum.

In relazione ad ann. III, 27, 1 [35], dove si ricorda la costituzione dei decemviri come diretta al perseguimento della concordia e della libertas e si qualificano le XII Tavole come finis aequis iuris, anche in questi casi è individuabile in Tacito una valorizzazione di tradizioni minoritarie[36].

In dottrina si è soliti coordinare Tac. ann. IV, 16, 2 con quanto risulta da:

 

Cat. de agri cult. Praef. I: Maiores nostri sic habuerunt et ita in legibus posiverunt, furem dupli condemnari, feneratorem quadrupli; quanto peiorem civem existimarent feneratorem quam furem, hinc licet existimare.

 

La testimonianza di Catone, nella considerazione del faenerator quale peggiore cittadino del ladro, riflette bene il distacco della concezione romana da quella odierna[37].

In dottrina, si è ritenuto che l’in legibus di Catone ed il ricordo della poena del quadruplo confermassero la notizia di Tacito[38]. Al contrario, si è voluta dedurre, proprio dall’in legibus, una possibile inconciliabilità tra le due testimonianze[39], inconciliabilità che, tenendo in conto Liv. VII, 16, 1 sul plebiscito Duilio Menenio del 357 a.C. (vd. prossimo §), andrebbe sciolta a favore della tradizione dello storico patavino[40].

A mio avviso in Catone vi è una indicazione stratificata della realtà delle cose. Innanzitutto, hanno ragione coloro che negano all’in legibus di essere una costruzione idonea ad indicare la legge delle XII Tavole nell’immaginario degli ultimi due secoli della Repubblica. Ciò è confermato a contrario proprio per Catone, il quale in orig. [M. Chassignet] IV, 15 [IV, 13 Jordan = 90 Peter][41], usava espressamente la costruzione lex publica[42]. Il plurale generico del testo del de agri cultura è più consono a richiamare una realtà legislativa complessa che si era venuta sedimentando sul problema del faenus. In sostanza, dietro l’in legibus catoniano si intravedono le varie leggi che via via hanno fissato limiti al faenus. L’affermazione è d’altronde confermata proprio dalla tradizione in materia.

In secondo luogo, l’accostamento ideologicamente significativo che Catone imputa ai maiores, tra il fur ed il faenerator, tendenziosamente orientato a stigmatizzare la posizione del secondo[43], è fondato sul confronto tra la pena della duplio applicata al fur nec manifestum (tab. VIII, 16) e quella del quadruplo applicata al faenerator (sul punto vd. infra § 5). Un tale accostamento, se esistente in legibus, è immaginabile in concreto nella tradizione legislativa arcaica soltanto nel corpus decemvirale[44].

Di qui la plausibilità, a mio avviso, che nell’in legibus catoniano il Censore evocasse anche – ma non soltanto – il precetto decemvirale ricordato da Tacito. È un’immagine che racchiude uno svolgimento, quello della damnatio in legibus nel quadruplum degli interessi esatti oltre il limite legale (prima fenus unciarium, poi semunciarium, poi divieto assoluto), senza momenti salienti di protagonismo, che invece sono preponderanti nella tradizione accolta da Livio sul plebiscito Duilio Menenio come prima vittoria della lotta plebea nella fissazione di limiti al faenus e sugli sviluppi successivi, anche quelli meno sicuri come il divieto assoluto che dubitatamente si collega ai Genucii (vd. infra). Catone, invece, anche in questo caso, pone l’accento sul momento istituzionale e sulla continuità (maiores nostri sic habuerunt et ita in legibus posiverunt), in aperta polemica con «l’ispirazione gentilizia e celebrativa... dell’annalistica; e verso ogni credenza eroica»[45].

 

B. Il plebiscito Duilio Menenio del 357 a.C. e il suo rapporto con Tac. ann. VI, 16, 2

 

Secondo una parte della dottrina, il limite decemvirale del faenus unciarium ricordato in Tacito ann. IV, 16, 2, sarebbe un’anticipazione del plebiscito Duilio Menenio del 357 a.C. ricordato da Livio[46].

 

Liv. VII, 16, 1: Haud aeque laeta patribus insequenti anno C. Marcio Cn. Manlio consulibus [357 a.C.] de unciario fenore a M. Duilio L. Menenio tribunis plebis rogatio est perlata; et plebs aliquanto eam cupidius scivit.

 

Lo scetticismo è però a mio modo di vedere infondato. Innanzitutto deve rilevarsi che il plebiscito del 357 a.C. segue di dieci anni la lex Licinia Sextia de aere alieno, che aveva tentato di risolvere il grave indebitamento della plebe successivo all’incendio gallico con un meccanismo di computazione degli interessi pagati nelle somme capitali dovute e con una rateizzazione del residuo[47].

Nel 352 a.C., cioè dopo pochi anni dal plebiscito Duilio Menenio, si tenterà una ulteriore strada diversa, con il provvedimento de creandis quinqueviris mensariis[48].

Sono anni nei quali il problema dell’indebitamento della plebe è grave e si sente l’esigenza di fissare per iscritto, ribadendolo nel plebiscito, il divieto di superare il faenus unciarium, senza che ciò implichi l’inaffidabilità della tradizione che riporta il limite ai Decemviri.

Non è questa la sede per aprire un discorso più ampio sul problema della reiterazione delle leggi, che non andrebbe semplicemente risolto sul piano di una analisi puntuale di eventuali circostanze anche minime di differenziazione nei contenuti precettivi, come nel caso evidente delle leggi de provocatione[49], ma a mio avviso imporrebbe anche la riconsiderazione dello stesso in chiave di rapporto tra lex e ius come rapporto in movimento. Rapporto caratterizzato dialetticamente tra spinte dinamiche della plebe, la quale ricorre politicamente allo strumento del plebiscito e della legge, e interesse alla conservazione della status quo del patriziato, che si realizza nella forza di resistenza del ius civile e nella interpretatio pontificale[50]. La ‘conflittualità’ tra patrizi e plebei viene, ad un certo momento – prima col fallito tentativo del Decemvirato[51], poi con le leggi Valerie Orazie del 449 a.C. – ‘istituzionalizzata’. Essa, lungi dal rappresentarsi quale conflitto tra ‘ordine’ (diritto) e ‘disordine’ (fatto), diviene un forte fattore dinamico di sviluppo istituzionale interno al ius. Nella costruzione contemporanea si insinua, talvolta, una latente invadenza del momento dell’ordine come congruo al sistema ed una incapacità di considerare il disordine ed il conflitto se non come una rottura dell’ordine ed un suo possibile rovesciamento (rivoluzione)[52]. Roma sembra, invece, aver tentato – nella concretezza della storia e nelle sue contraddizioni – di ‘vestire’ di ius anche il conflitto tra patrizi e plebei, innestando dinamiche di alto significato storico politico e giuridico, come quella tra imperium consulare e ‘potere negativo’ dei tribuni della plebe, attraverso una delle leggi Valerie Orazie nel 449 a.C.[53]

Va poi evidenziato il fatto che la tradizione alla quale attinge Livio è chiara nell’indicare il divieto come introdotto da un plebiscito (plebs... scivit) su rogatio dei tribuni della plebe Marco Duilio e Lucio Menenio, con la netta opposizione dei patres (Haud aeque laeta patribus). È ipotizzabile, quindi, da una parte la resistenza degli schemi giuridici del ius civile che formalizzavano il ‘debito’ e la restituzione dell’aes alienum e la conforme interpretatio pontificale e, dall’altra parte, la volontà politica dei plebei di limitare questa forma di assoggettamento.

Opto quindi per la sicura storicità del plebiscito Duilio Menenio e ritengo che essa non sia antitetica alla tradizione ricordata da Tacito.

 

C. Riduzione del limite alla semioncia in un plebiscito del 347 a.C.

 

Ancora Tacito segnala l’esistenza di una non meglio precisata rogatio tribunicia che avrebbe dimezzato il limite del tasso d’interessi[54].

 

Tac. VI, 16, 2: dein rogatione tribunicia ad semuncia redactum.

 

La notizia è confermata da Liv. VII, 27, 3-4 per il 347 a.C.:

 

Semunciarium tantum ex unciario faenus factum et in pensiones aequas trienni, ita ut quarta praesens esset, solutio aeris alieni dispensata. et sic quoque parte plebis adfecta, fides tamen publica privatis difficultatibus potior ad curam senatui fuit. Levatae maxime res, quia tributo ac dilectu supersessum.

 

Anche in questo caso è significativo che il limite venga sancito da un plebiscito, al quale si collega anche una rateizzazione del debito come aveva già fatto una delle leggi Licinie Sestie. Il confronto con Livio non scioglie il dubbio se in questo caso si sia trovato un accordo coi patres, sebbene quest’ultimo potrebbe indirettamente dedursi dalla precisazione liviana che il provvedimento non sia comunque riuscito ad alleviare l’indebitamento di buona parte della plebe (forse per l’imposizione di un pagamento immediato della quarta parte del debito), a conferma per lo storico patavino che la preoccupazione maggiore del senato fosse il rispetto della fides publica a scapito delle difficoltà plebee.

In ogni caso, il dimezzamento dell’oncia quale unità di misura del tasso d’interessi conferma – più che smentisce – la computazione di essa nel faenus unciarium in termini di prestiti in metallo all’8,33% annuo[55].

 

D. Divieto assoluto d’usura e plebiscito Genucio

 

Più discusso è il divieto assoluto d’usura ricordato da Tacito[56].

 

Tac. VI, 16, 2: postremo vetita versura.

 

Che la tradizione su questo punto non fosse sicura, si evince chiaramente da quanto Livio afferma per il 342 a.C.:

 

Liv. VII, 42, 2: Praeter haec invenio apud quosdam L. Genucium tribunum plebis tulisse ad plebem, ne fenerare licet.

 

Anche in questo caso, come per il plebiscito Duilio Menenio, si tratterebbe esclusivamente di un plebiscito proposto dal tribuno della plebe L. Genucio, diretto a vietare in assoluto il faenus (ne faenerare licet).

Lo stesso Appiano (bell. civ. I, 54)[57], che richiama una ‘qualche antica legge’, sembrerebbe evidenziare un divieto meno generalizzante di quanto emerge dal suo tenore letterale[58].

In ogni caso, in connessione anche agli effetti giuridici del divieto, ritengo possa avere significato e chiarire il complesso rapporto tra le diverse testimonianze la puntualizzazione della natura di plebiscitum dell’intervento, prima della exaequatio[59].

 

 

4. – Conseguenze giuridiche del divieto: poena quadrupli e manus iniectio

 

Come visto, Cat. de agri cult. Praef. I, ricordava la poena del quadruplum quale connessa ad una azione privata, la quale più concretamente potrebbe, attraverso una damnatio in legibus, evocare il ricorso diretto contro il faenerator alla esecuzione per manus iniectio.

Il quadruplo è stata valutato in dottrina come duplum del duplum, in caso di doppia litiscrescenza: dapprima del debitore che resiste a pagare la quota di faenus stabilita nel negozio concluso, ma superiore al tasso legale massimo (unciarium, poi semunciarium) e che, data la natura di lex minus quam perfecta della legge che sancisce il divieto, è tenuto ugualmente a pagare il doppio al creditore usurario; poi, il debitore stesso, data la damnatio legale del fenerator, otterrà da quest’ultimo, in caso si opponga alla diretta esecuzione per la restituzione degli interessi oltre il tasso permesso, il doppio del doppio, quindi il quadruplo[60]. Una tale lettura mi sembra complicata e imporre una prima infitiatio del nexus circoscritta esclusivamente agli interessi oltre il limite legale, il che non è facilmente ipotizzabile nella concreta restituzione dell’aes alienum.

La originaria poena del quadruplum quale fondativa di una damnatio del fenerator potrebbe assumere luce, invece, se la si collega alla lex Marcia ricordata da

 

Gai. IV, 23: Sed aliae leges ex quibusdam causis constituerunt quasdam actiones per manus iniectionem, sed puram, id est non pro iudicato, velut lex <Furia> testamentaria...; item lex Marcia adversus feneratores, ut si usuras exegissent, de his reddendis per manus iniectionem cum eis ageretur[61].

 

La manus iniectio pura sarebbe stata riconosciuta contro il faenerator che avesse esatto gli interessi, per ottenerne la restituzione. Un tale regime, contrastante con la poena del quadruplum, ha però senso quale strumento di recupero degli interessi comunque pagati a prescindere dal superamento di un tasso limite, il che è invece coerente ad un regime quale quello che si delinea successivamente al plebiscito Genucio.

Il ricorso alla manus iniectio pura però è un indizio che potrebbe essere collegato a quanto ci dice lo Pseudo-Asconio, in relazione all’uso della parola quadruplator da parte di Cicerone nell’orazione in Q. Caecilium (VII, 24):

 

Alii dicunt quadruplatores esse eorum reorum accusatores qui convicti quadrupli damnari soleant, ut aleae aut pecuniae gravioribus usuris feneratae. [Bruns, II, 70]

 

Il quadrupli damnari conferma a mio avviso che la pena del quadruplo era connessa ad una damnatio (legale?)[62] che legittimava il ‘debitore’ che avesse pagato interessi oltre il limite legale ad esercitare una manus iniectio iudicati contro il faenerator. Conferma si potrebbe trovare in quanto echeggi di reale nel gioco di parole del Persa di Plauto (70-72): Ubi quadruplator quempiam iniexit manum/ tantindem ille illi rursus iniciat manum/ ut aequa parti prodeant ad trisviros.

 

 

5. – Limite del tasso d’interessi

 

Anche rispetto al tasso d’interessi assunto come limite, i significati dati a fenus unciarium sono diversi; mi sembra, però, che le considerazioni relative ad un tasso d’interessi annuo del 100% (uncia = 1/12 dell’asse al mese) che vogliono accentuare le condizioni economiche del V sec. a.C. e della recenziorità della monetazione[63], perdano molta della loro forza, se poste in relazione all’aes signatum ed alla tradizione che lo colloca nell’età di Servio Tullio, notizie ora avvalorate dai ritrovamenti archeologici[64]. Ciò comporta a mio avviso che all’età delle XII Tavole sia sostenibile un significato di uncia = 1/12 dell’asse all’anno (di dodici mesi), pari all’8,33 %[65].

D’altronde, pensare ad un tasso di interessi del 100% vanifica la possibilità di dare senso alle ragioni della lotta plebea come ricordate da una coerente tradizione e soprattutto rendono incomprensibile il dimezzamento del limite alla semioncia[66].

 

 

6. – Ius civile e legge pubblica

 

Gli schemi giuridici di ius civile attraverso i quali poteva quindi concretizzarsi l’interesse del fenerator a rendere redditizio il prestito assumono come caratteristica comune l’astrattezza: negozi astratti, caratterizzati dalla forma (verbale e/o gestuale: sponsio e nexum). Le fonti letterarie, come abbiamo visto, sono unanimi nel riconoscere al nexum il ruolo di atto col quale si realizza l’‘indebitamento’ plebeo. Non è quindi un caso che la traduzione in esso della operazione economica sottesa non trovasse adeguati strumenti eteronomi di intervento sul gestum per aes et libram quale compiuto dai due patres familias. Né il normale meccanismo mores - interpretatio poteva risultare idoneo strumento di superamento degli effetti vincolanti del negozio iure civili ritualmente compiuto. Il ricorso alla lex publica o, per lo più, al plebiscito per sanzionare il superamento del limite legale riassume quindi, da questa prospettiva, una ‘incapacità congenita’ del ius civile[67]. Esso rappresenta il ricorso allo strumento giuridico che viene considerato l’unico idoneo a riadeguare la realtà del faenus calato nel nexum, che in materia si traduceva appunto nella imposizione di tassi d’interessi molto alti alla parte plebea da parte di quella patrizia. L’unica possibilità di contenere il fenomeno, a fronte di una società non coesa sul piano sociale, sembra agli occhi della plebe il ricorso al iussum populi o, con maggiore frequenza, al iussum plebis, come tentativo di superare il conflitto e ricercare un eventuale accordo con la parte patrizia. La delimitazione legale del tasso d’interessi, che come ho detto non inficiava l’atto giuridico fondante l’aes alienum a cui attraverso il nexum si collegavano effetti giuridici propri sulla persona del nexus, dava comunque diritto a quest’ultimo di pretendere una poena del quadruplum del valore degli interessi esatti dal pater familias ‘erogante’ oltre il limite legale (Cat. de agri cult. Praef. I).

La realtà del faenus che prende la forma giuridica del nexum non può essere aggredita, ma solo ridimensionata nei suoi effetti connessi al tasso d’interessi imposto al ‘debitore’ con la lex publica o con il plebiscitum. Non è attestato il ricorso a clausole d’annullamento, ma eliminando le storture connesse al tasso d’interesse convenzionalmente imposto dalla parte forte del negozio e inducendo il rispetto spontaneo del limite legale pena la quadriplicazione di quanto richiesto in eccesso. Il momento di tutela più forte è in ogni caso realizzato attraverso l’assoggettamento del faenerator alla manus iniectio, prima iudicati per il pagamento del quadruplo, poi pura per la restituzione degli interessi comunque esatti con la lex Marcia.

Bisogna però riconoscere che né lo strumento delle leggi limitatrici, né le altre vie tentate dalla plebe per risolvere il grave problema dell’indebitamento (rateizzazioni, moratorie, cura pubblica della rateizzazione ecc.) sembrano riuscire ad estirpare definitivamente la piaga e ad attutire le tensioni sociali connesse all’‘indebitamento’ della plebe.

Bisognerà aspettare una soluzione giuridica diversa, che sia in grado di incidere nella struttura del negozio col quale si realizza l’‘indebitamento’ per dare una risposta più efficace al problema. Bisognerà cioè aspettare la lex Poetelia Papiria che, ancora nella tradizione accolta da Livio 8, 28, 1 è qualificata per la plebe un aliud initium libertatis. Si apre cioè con essa, come è stato autorevolmente affermato, «una nuova stagione del credito e dei negozi di credito»[68].

 

 



 

[1] La cosa è notata puntualmente in dottrina; vd. ad es. F. De Martino, Riforme del IV secolo, in «BIDR» LXXVIII, 1975, 29 ss., 39 e F. Serrao, Diritto privato economia e società nella storia di Roma 1. Dalla società gentilizia alle origini dell’economia schiavistica, Napoli, 2006, 345, che riabilitano la tradizione a fronte della critica e dei dubbi avanzati in G. De Sanctis, Storia dei romani, Firenze, 1960, 2a ed., 1 ss., in particolare 6.

 

[2] Il che non significa però completa inattendibilità, ma soltanto maggiore sensibilità dell’osservatore a superare la terminologia utilizzata e guardare alla sostanza dei rapporti ricordati; il contributo di G. MacCormack, Nexi, Iudicati and Addicti in Livy, in «ZSS(RA)» LXXXIV, 350 ss. intravede nella diversa terminologia liviana un possibile sviluppo storico connesso alla storia del nexum con l’introduzione nelle XII Tavole della legis actio per manus iniectionem iudicati. Questa ipotesi ha suscitato perplessità in L. Peppe, Studi sull’esecuzione personale I. Debiti e debitori nei primi due secoli della repubblica romana, Milano, 1981, 108, al quale si deve un approfondito riesame – su corrette basi metodologiche (vd. ad es. per la complessità delle tradizioni connesse alla questione della concordia ordinum, 46 ss.) – delle fonti letterarie in materia: 23 ss.; 99 ss.

 

[3] Il problema si intreccia con le diverse ricostruzioni proposte in dottrina del rapporto tra nexum e manus iniectio iudicati introdotta dalle XII Tavole e della eventuale complessità dei negozi di credito esistenti per l’età interessata. Su questi complessi problemi, per un primo riferimento, con posizioni differenziate, vd. ad es. PH. E. Huschke, Über das Recht des nexum und das alte römische Schuldrecht, Leipzig, 1846 [rist. Aalen, 1980]; L. Mitteis, Ueber das Nexum, in «ZSS(RA)» XXII, 1901, 96 ss.; O. Lenel, Das Nexum, in «ZSS(RA)» XXIII, 1902, 84 ss.; Th. Mommsen, Nexum, in «ZSS(RA)» XXIII, 1902, 348 ss.; B. Kübler, Kritische Bemerkungen zum Nexum, in «ZSS(RA)» XXV, 1904, 254 ss.; U. von Lübtow, Das altrömische nexum als Geiselgeschäft, in «ZSS(RA)» LVI, 1936, 234 ss.; Idem, Zum Nexumproblem, in «ZSS(RA)» LXVII, 1950, 112 ss.; H. Levy-Bruhl, Nouvelle études sur le très ancien droit romain, Paris, 1947, 97 ss.; M. Kaser, Das altrömische Jus, Göttingen, 1949, 232 ss.; Idem, Das römische Privatrecht, München, 1971, 2a ed., I, 166-167; Idem, ‘Unmittelbare Vollstreckbarkeit’ und Bürgerregreß, in «ZSS(RA)» C, 1983, 80 ss., in particolare 110-112; E. Schönbauer, Mancipium und nexus, in «Iura» 1, 1950, 300 ss.; J. Imbert, Fides et nexum, in Studi in onore V. Arangio-Ruiz, I, 1953, 339 ss., in particolare 359 ss.; M. I. Finley, La servitude pour dettes, in «RHD» 43, 1965, 159 ss., in particolare 172 ss.; C. ST. Tomulescu, Nexum bei Cicero, in «Iura» XVII, 1966, 39 ss.; O. Behrends, Der Zwölftafelprozess. Zur Geschichte des römischen Obligationenrechts, Göttingen, 1974, 37-38 n. 32; F. De Martino, Le riforme del IV secolo a.C., in «BIDR» LXXVIII, 1975, 39 ss.; F. Horak, Kreditvertrag und Kreditprozeß in den Zwolftafeln, in «ZSS(RA)» XCIII, 1976, 261 ss.; M. Talamanca, Obbligazioni (dir. rom.), in «ED» XXIX, 1979, 1 ss., in particolare 4-8; Idem, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, 543-544; B. Albanese, Gli atti negoziali nel diritto privato romano, Palermo, 1982, 37-39; M. Bretone, Tecniche ed ideologie dei giuristi romani, Napoli, 1984, 2a ed., 108 e 264-265; Idem, Storia del diritto romano, Roma-Bari, 1995, 9a ed., 90-93; 453-454; A. Schiavone, Ius. L’invenzione del diritto in Occidente, Torino, 2005, 147, 185 nn.

 

[4] Di ciò è prova la diversa forma di soggezione della persona del nexus rispetto alle personae in causa mancipii - necessitanti una manumissio per uscire dalla potestas del pater familias – e agli addicti - vendibili trans Tiberim –, diversità che troverebbe concreta espressione nell’atto di liberazione specifico per il nexus della solutio per aes et libram.

 

[5] Così, per tutti, esattamente M. Kaser, Das römische Privatrecht cit., 166 n. 5; M. Talamanca, Obbligazioni cit., 6 n. 35.

 

[6] Per il mio punto di vista in relazione al ricorso, in via di interpretatio, alla solutio per aes et libram, che in età predecemvirale ha funzione di liberatio del nexus, per sciogliere il iudicatus nei trenta dies iusti, prima dell’addictio, della manus iniectio iudicati in base alle XII Tavole, si vd. Lege XII tabularum praeposita iungitur interpretatio, in Homenaje Hinestrosa, Bogotà, 2003, I, 199 ss., in particolare 219 ss.

 

[7] Sul punto vd. L. Peppe, Studi sull’esecuzione personale cit., I, 102 ss. In relazione ai passi di Livio in materia, anche per M. Talamanca, Obbligazioni cit., 5 n. 27, essi rimarrebbero «abbastanza generici sui problemi di struttura giuridica».

 

[8] Dal punto di vista terminologico, sembra riscontrabile per faenus una maggiore risalenza rispetto ad usura per indicare l’interesse; Pauli excerpta ex l. Pompei Festi de sign. verb. (Lindsay), 76, 9: fenus, feneratores et lex de credita pecunia fenebris, a fetu dicta, quod crediti nummi alios pariant, ut apud Graecos eadem res tokÒj dicitur. Il dato è presupposto nel lungo excursus di Varr. de l. Lat. V, 36, 169 ss. sulla pecunia signata ed il suo rapporto con aes, as ed uncia. Per il problema della indicata derivazione naturalistica (a fetu) e la metafora che ne deriva sul piano del prestito di denaro, mi permetto di rinviare a quanto ho avuto modo di precisare in rapporto alla diversa prospettiva dei giuristi antichi rispetto alla mentalità contemporanea in Il ‘periculum’ e le ‘usurae’ nei giudizi di buona fede, in S. Tafaro (a cura di), L’usura ieri ed oggi, Convegno Foggia 7-8 aprile 1995, Bari, 1997, 13-19 e, con un percorso più dettagliato degli svolgimenti storico-dogmatici del problema, Dalla regola romana dell’usura pecuniae in fructu non est agli interessi pecuniari come frutti civili nei moderni codici, in Roma e America. Diritto romano comune, 5, 1998, 3 ss.

 

[9] Così C. Appleton, Contribution à l’histoire du prêt à intérêt à Rome. Le taux du ‘fenus unciarium’, in «RHD» XLIII, 1919, 467 ss., in particolare 499.

 

[10] Qui Tacito, parlando soltanto di lex, potrebbe avere semplificato la complessità storica del provvedimento cesariano del 49 in relazione alla lex del 47 a.C.; sulla questione in relazione a Tac. ann. VI, 16, 1 puntuale E. Koestermann in Cornelius Tacitus, Annalen, B. II, Heidelberg, 1965, 277. Ampi approfondimenti sul rapporto tra provvedimento del 49 a.C. e lex Iulia de pecuniis mutuis in A. Saccoccio, Un provvedimento di Cesare del 49 a.C. in materia di debiti, in S. Tafaro (cura di), L’usura ieri ed oggi cit., 99 ss. D’altronde, la lettera di Matius a Cicerone del 44 a.C. dimostra come nell’immaginario romano dell’epoca quella realtà fosse identificata sinteticamente in termini di lex Caesaris (Cic. ad fam. XI, 28, 2).

 

[11] Tac., ann. VI, 16, 1: Interea magna vis accusatorum in eos inrupit qui pecunias faenore auctitabant adversum legem dictatoris Caesaris, qua de modo credendi possidendique intra Italiam cavetur, omissa<m> olim, quia privato usui bonum publicum postponitur. Non credo che si possa imputare a Tacito – per il dictator Caesaris – una certa sciatteria tecnico-giuridica, perché qui non si fa necessariamente riferimento alla carica magistratuale al momento del provvedimento del 49 a.C. o della lex del 47 a.C., cosa che altresì non sarebbe stata di per sé scorretta dal punto di vista giuridico, pur nella profonda diversità dell’investitura intanto intervenuta (da «tradizionale (quindi per un massimo di sei mesi)» ad annuale, dapprima, e poi decennale. Sugli anni dal 49 al 44 a.C. vd. S. Tondo, Profilo di storia costituzionale romana, Parte seconda, Milano, 1993, 180-187.

 

[12] Sul punto vd. ora F. Vallocchia, Manio Valerio ‘Maximus’, dittatore e augure, in «Index» 35, 2007, 27 ss.

 

[13] Sul punto vd. L. Peppe, Studi sull’esecuzione personale cit., I, 55 ss.

 

[14] J. Imbert, Fides et nexum cit., 359 ss.; M. I. Finley, La servitude pour dettes, cit., 172 ss.; F. Horak, Kreditvertrag und Kreditprozeß cit., 264; B. Albanese, Gli atti negoziali cit., 38. Sarebbe, a questo riguardo, interessante verificare se possa esservi un collegamento con la figura del servire servitutem; sul punto vd., in rapporto all’addictus, R. Fiori, Servire servitutem, in Iuris vincula. Studi in onore M. Talamanca, Napoli, II, 355 ss.

 

[15] Da condividere quanto al riguardo ha precisato M. Talamanca, Obbligazioni cit., 6 n. 35: «Per la mentalità predecemvirale, se il problema fosse potuto porsi, l’unico ‘oggetto’ possibile sarebbe stato la persona del nexus stesso», in rapporto alla diversa tesi di C. St. Tomulescu, Nexum cit., 97, che accentua appunto quale ‘oggetto’ del nexum le operae del ‘debitore’.

 

[16] In questa prospettiva non hanno forza le critiche sollevate da J. Imbert, Fides et nexum cit., 362, nei confronti della tesi di M. Kaser, Das altrömische Jus cit., 240 ss., in quanto la possibilità che il nexum legittimasse – dopo le XII Tab. – una manus iniectio iudicati vel damnati chiaramente modifica anche la funzione della solutio per aes et libram nel processo esecutivo rispetto al suo ruolo come nexi liberatio nell’età predecemvirale; sul punto, per la mia prospettiva, vd. Lege XII tabularum cit., 219 ss.

 

[17] J. Imbert, Fides et nexum cit., 360-362; M. I. Finley, La servitude pour dettes cit., 172-173.

 

[18] Sul punto vd. G. MacCormack, Nexi cit., 351, sebbene poi l’A. ne deduca precise conseguenze in rapporto all’addictio che non hanno trovato adesione in L. Peppe, Studi sull’esecuzione personale cit., I, 108.

 

[19] Di ciò si accorge lo stesso F. De Martino, Riforme del IV secolo cit., 53, quando presupponendo per l’età decemvirale solo prestiti in natura, ne deduce l’inconferenza dell’oncia quale dodicesimo dell’asse librale per le derrate che avrebbero imposto «una misura di peso più elevata».

 

[20] Su di essa vd. l’interessante excursus di Gai. I, 122, sul quale cfr. ad es. H. Levy-Bruhl, Nouvelle études cit., 109 e F. Serrao, Diritto privato economia e società cit., 112 ss.

 

[21] Fondamentale, G. De Sanctis, Storia dei romani cit., II, 457-459. Nel senso qui seguito, F. Serrao, Diritto privato economia e società cit., 111 ss. e 348. Sui problemi relativi all’aes nel V sec. significative sono le precisazioni anche di A. Manfredini, Tre leggi nel quadro della crisi del V secolo, in «Labeo» 22, 1976, 198 ss. e di A. Corbino, Il formalismo negoziale nell’esperienza romana, Torino, 2006, 2a ed., 24. Non esprime una posizione del tutto coerente L. Solidoro, Problemi di storia sociale nell’elaborazione giuridica romana (Appunti dalle lezioni), Napoli, 1994, 13 ss., in particolare 25-27, in quanto se da un lato, la studiosa napoletana opta, esattamente, per la coerenza alla realtà economica del V sec. a.C. del faenus unciarium, d’altro lato poi sente la necessità di reinterpretarne il significato in termini di 100% annuo, opzione interpretativa difficilmente conciliabile con prestiti in aes e coerente esclusivamente ai prestiti in natura, 25-27; per il mio modo di vedere, cfr. peraltro infra § 5.

 

[22] Così ad es. H. Levy-Bruhl, Nouvelles études cit., 109; M. Kaser, Das römische Privatrecht cit., 167. Per una ipotesi di formulazione che aggiunge il fenus unciarium al quantum da restituire nella nuncupatio del rito librale Idem, Das altrömische Jus cit., 239. Si vd. anche le precisazioni di B. Albanese, Gli atti negoziali cit., 38 sulla duplice funzione del nexum. Per il collegamento modernizzante tra nexum aes e pecunia obligata fa fede Fest. De verb. sign. 162, 4-5 L.: nexum aes apud antiquos dicebatur pecunia, quae per nexum obligatur.

 

[23] Sull’ipotesi della sponsio come unico Kreditvertrag dell’epoca arcaica, proposta da O. Behrends, Der Zwolftafelprozeß cit., 34 ss.; Idem, Das ‘nexum’ im Manzipationsrecht oder die Ungeschichtlichkeit des Libraldarlehens, in «RIDA» 1974, 137 ss., vd. i puntuali rilievi e le riserve di F. Horak, Kreditvertrag cit., 266 in relazione proprio al nexum aes e di M. Kaser, ‘Unmittelbare Vollstreckbarkeit’ und Bürgerregreß, in «ZSS(RA)» C, 1983, 80 ss., in particolare 90-91 nn. 38-39, e 110-112.

 

[24] Preponderante e non esclusiva perché le fonti attestano anche tentativi di soluzione diversi, che restano però momenti più circoscritti: il primo è quello della lex Licinia Sextia de aere alieno del 367 a.C. (su cui vd. infra), con la quale si imponeva, una tantum, l’imputazione degli interessi già pagati in conto della somma dovuta per capitale; il secondo è il provvedimento de creandis quinqueviris mensariis nel 352 a.C., col quale si tentava la strada di una cura publica rimessa ai quinqueviri mensarii, soluzione che sembra evidenziare un «tentativo orientato a risolvere un problema che non poteva essere affrontato con statuizioni legislative sul tasso di interesse», così A. Pollera, Un intervento di politica economica nel IV sec. a. C.: lex de creandis quinqueviris mensariis (352 a.C.), in «Index» 12, 1985, 447 ss., le parole riportate sono da p. 454.

 

[25] Vd., in rapporto alle leges fenebres, le precisazioni di L. Mitteis, Römisches Privatrecht bis auf die Zeit Diokletians I, Leipzig, 1908 (rist. Aalen, 1994), 246-248 anche in rapporto ai divieti introdotti con plebisciti; d’obbligo, altresì, M. Kaser, Über Verbotsgesetze und verbotswidrige Geschäfte im römischen Recht, Wien, 1977, 33-37.

 

[26] F. De Martino, Riforme del IV sec. a.C. cit., 53, che argomenta in base ad una più congrua collocazione della problematica, rispetto ai dati ricostruiti del quadro economico, nel IV sec. a.C. piuttosto che nel V sec. a.C.; Idem, Storia economica di Roma antica, Firenze, 1979, 143-144. Per l’attendibilità della notizia di Tacito, prudente anche F. Wieacker, Zwölftafelprobleme, in «RIDA» 3e S., 3, 1956, 478 n. 43. G. Rotondi, Leges publicae populi Romani, Milano, 1912, non ricorda il precetto decemvirale nell’elenco delle leges fenebres di p. 99, ma ricorda per la lex Duilia Menenia la notizia di Tacito e le ipotesi di reiterazione del divieto per desuetudine (222-223).

 

[27] Per l’attendibilità della notizia degli annales G. Billeter, Geschichte des Zinsfußes im griechisch-römischen Altertum bis auf Justinian, Leipzig, 1898, 119; F. Klingmüller, Streitfragen aus der römischen Zinsgesetzgebung, in «ZSS(RA)» XXIII, 1902, 68 ss.; Idem, Fenus, in «PWRE» VI, 2, 2188; C. Appleton, Contribution cit., 502 n. 2; S. Riccobono in Fontes iuris romani antejustiniani. I, Leges, Florentiae, 1941.2, 61 (ricordando in nota la dissensio); O. Behrends, Der Zwölftafelprozess cit., 5 n. 19; M. Kaser, Das römische Privatrecht cit., I, 167; Idem, Über Verbotsgesetze cit., 35-36 n. 10; R. Zimmermann, The Law of Obligations, Deventer-Boston, 1990, 166; L. Solidoro, Problemi di storia sociale cit., 26-27; D. Flach, Die Gesetze der frühen römischen Republik. Text und Kommentar, Darmstadt, 1994, 180; W. Kunkel - R. Wittmann, Staatsordnung und Staatspraxis der römischen Republik, II, München, 1995, 608 n. 169; con approfondimenti ed argomenti convincenti, ora, F. Serrao, Diritto privato economia e società cit., 345 e 347-349. Dà la cosa per presupposta, St. Mrozek, Faenus: Studien zu Zinsproblemen zur Zeit des Prinzipats, Stuttgart, 2001, 29-30. Con prudenza M. H. Crawford (ed. by), Roman Statutes, II, London, 1996, 686.

 

[28] Così, R. Syme, Tacitus, Oxford, 1958 (rist. inalt. 1993), I, 397 ss.

 

[29] Fondamentale R. Syme, Tacitus cit., I, 378; 397 ss. (dove si ricorda anche l’esempio emblematico della diversa tradizione su Porsenna in Tac. hist. III, 72, 1: Porsenna dedita urbe), che parla di «distrust» come di qualità fondamentale dello storico (398).

 

[30] At postquam exui aequalitas et pro modestia ac pudore ambitio et vis incidebat, provenere dominationes multosque apud populos aeternum mansere. Quidam statim, aut postquam regum pertaesum, leges maluerunt. Hae primo rudibus hominum animis simplices erant; maximeque fama celebravit Cretensium, quas Minos, Spartanorum, quas Lycurgus, ac mox Atheniensibus quaesitiores iam et plures Solo perscripsit. Nobis Romulus, ut libitum, imperitaverat; dein Numa religionibus et divino iure populum devinxit, repertaque quaedam a Tullo et Anco. Sed praecipuus Servius Tullius sanctor legum fuit, quis etiam reges obtemperarent.

 

[31] Cic. de re publ. II, 1, 2: Is [scil. Cato] dicere solebat ob hanc causam praestare nostrae civitatis statum ceteris civitatibus, quod in illis singuli fuissent fere, qui suam quisque rem publicam constituisset legibus atque institutis suis, ut Cretum Minos, Lacedaemoniorum Lycurgus, Atheniensium, quae persaepe commutata esset, tum Theseus, tum Draco, tum Solo, tum Clishenes, tum multi alii, postremo exsanguem iam et iacentem doctus vir Phalereus sustentasset Demetrius, nostra autem res publica non unius esset ingenio, sed multorum, nec una hominis vita, sed aliquot constituta saeculis et aetatibus. Nam neque ullum ingenium tantum extitisse dicebat, ut, quem res nulla fugeret, quisquam aliquando fuisset, neque cuncta ingenia conlata in unum tantum posse uno tempore providere, ut omnia complecterentur sine rerum usu ac vetustate.

 

[32] Liv. I, 42, 1 che distingue tra un Numa come divini auctor iuris e un Servio Tullio come conditor omnis in civitate discriminis ordinumque, in base alla istituzione del censo. Per la particolarità del giudizio di Tacito su Servio vd. anche E. Koestermann in Cornelius Tacitus, Annalen cit., Band I, 466.

 

[33] œpeita toÝj nÒmouj toÝj te sunallaktikoÝj kaˆ toÝj perˆ tîn ¢dikhm£twn ™pekÚrwse ta‹j fr£traij.

 

[34] È l’ipotesi proposta, convincentemente, da D. Mantovani, Le due serie di ‘leges regiae’, in Istituto Lombardo (Rend. Lett.), 136, 2002, 59 ss., in particolare su Servio Tullio, 66.

 

[35] Pulso Tarquinio adversum patrum factiones multa populus paravit tuendae libertatis et firmandae concordiae, creatique decemviri et, accitis quae usquam egregia, compositae duodecim tabulae, finis aequis iuris.

 

[36] E. Koestermann in Cornelius Tacitus, Annalen cit., I, 467. Per i decemviri vd. qualcosa nel mio I Decemviri legibus scribundis come ‘poteri costituenti straordinari’ in Theodor Mommsen, in Fides Humanitas Ius. Studii in onore L. Labruna, Napoli, 207, II, 756 ss., in particolare sulla complessità delle tradizioni 762 ss. In dottrina è stato ipotizzato un rapporto tra il finis aequis iuris di Tacito con Liv. 3, 34, 3 (iura aequasse); A. Schiavone, Ius. L’invenzione del diritto in occidente cit., 419 n. 52.

 

[37] Vd. sul punto P. Catalano, Princípios gerais do direito, direito à vida e dívida externa, in «Revista Forense» 353, (Rio de Janeiro), 2001, 209 ss. a cui può esser utile aggiungere il mio Fenus, usurae e interessi pecuniari come ‘frutti civili’, in P. Catalano - A. Sid Ahmed (dir.), La dette contre le développement: quelle strategie pour les peuples méditerranéens?, Paris, 2002, 15 ss.

 

[38] G. Billeter, Geschichte des Zinsfußes cit., 117; F. Klingmüller, Fenus cit., 2188; S. Riccobono in Fontes iuris romani antejustiniani. I, Leges cit., 61 (ricordando in nota la dissensio); O. Behrends, Der Zwölftafelprozess cit., 5 n. 19; M. Kaser, Über Verbotsgesetze cit., 35-36 n. 10; D. Flach, Die Gesetze der frühen römischen Republik cit., 180.

 

[39] C. Appleton, Contribution cit., 534 ss.

 

[40] Dubitano che Catone si riferisca alle XII Tavole, oltre a C. Appleton, Contribution cit., 534 ss.; F. De Martino, Riforme del IV sec. a. C. cit., 49-50; M. H. Crawford (ed. by), Roman Statutes cit., II, 686.

 

[41] Duo exules lege publica execrari.

 

[42] Era questa l’ipotesi di Th. Mommsen, Dwdek£deltoj, in Mél. Boissier, 1903, 1-3 [= Gesamm. Schriften II. Juristische Scriften, II B. rist. dell’ed. 1905, Zürich - Hildesheim, 1994, 141-143]; sul punto, con precisazioni anche M. Bretone, Storia del diritto romano cit., 37 e n. 1.

 

[43] Il che però non significa che l’accostamento debba essere svalutato, ma anzi che esso riflette una concezione dell’usura che solleva oggi problemi e mette in crisi le odierne costruzioni; sul punto vd. supra n. 37.

 

[44] Secondo la ricostruzione tematica fatta dalle moderne edizioni nella tabula VIII; vd. ad es. S. Riccobono in FIRA, 2a ed., I, cit., 60-61.

 

[45] Fondamentale, M. Bretone, Tecniche ed ideologie dei giuristi romani cit., 8-9.

 

[46] Per tutti F. De Martino, Riforme del IV sec. a.C. cit., 49 ss., che opta per l’inattendibilità di Tacito in base a considerazioni di natura economica. Il grande studioso riconosceva peraltro che in materia «Livio» valesse «quanto Tacito» e che quindi la questione non potesse risolversi «in forza di pure considerazioni testuali». In dottrina è stata avanzata anche l’ipotesi della obsolescenza del divieto decemvirale. Non mi sembra peraltro percorribile una interpretazione che ipotizzi che tra le XII Tavole ed il plebiscito Duilio Menenio si fosse fissato ex lege un limite più alto, imponendo la reiterazione del divieto; vd. gli autori ricordati in F. Klingmüller, Fenus cit., 2188. Riprende questa ipotesi più di recente L. Savunen, Debt Legislation in the Fourth Century BC, in U. Paananen et alii (ed. by), Senatus PopulusQue Romanus. Studies in Roman Republican Legislation, Helsinki, 1993, 143 ss., in particolare 148. Questa interpretazione è infatti riflesso di un rapporto tra diritto e legge condizionata dalla concezione oggi dominante del primato della legge, ma inadeguata a cogliere la realtà romana, tanto più quella dell’età arcaica, nella quale gli svolgimenti del ius e il rapporto di esso con la lex sono di natura profondamente differente; per tutti vd. F. Gallo, Interpretazione e formazione consuetudinaria del diritto. Lezioni di diritto romano, Torino, 1971 (ed. completata 1993), 92 ss. e 121 ss. da leggersi insieme a F. Serrao, Ius e lex nella dialettica costituzionale della prima Repubblica, in Nozione formazione e interpretazione del diritto dall’età romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate a F. Gallo, Napoli, 1997, I, 279 ss.

 

[47] Vd. sul punto ora D. Flach, Die Gesetze cit., 283-285; F. Serrao, Diritto privato economia e società cit., 346 e 349.

 

[48] Sul provvedimento vd. A. Pollera, Un intervento di politica economica nel IV sec. a. C. cit., 447 ss.

 

[49] Così esattamente F. Serrao, Diritto privato economia e società cit., 348-349.

 

[50] Vd. per il mio modo di vedere le cose, Lege XII tabularum praeposita iungitur interpretatio cit., I, 201 ss.

 

[51] Ho provato ad evidenziarne le possibili differenti tradizioni in I Decemviri legibus scribundis come ‘poteri costituenti straordinari’ in Th. Mommsen cit., 755 ss.

 

[52] Fondamentale P. Catalano, A proposito dei concetti di ‘rivoluzione’ nella dottrina romanistica contemporanea (tra ‘rivoluzione della plebe’ e dittature rivoluzionarie), in «SDHI» XLIII, 1977, 440 ss., in particolare 447.

 

[53] P. Catalano, Tribunato e resistenza, Torino, 1971; Idem, Sovranità della multitudo e potere negativo: un aggiornamento, in Studi in onore S. Ferrara, I, Torino, 2005, 641 ss.; G. Lobrano, Il potere dei tribuni della plebe, Milano, 1983; F. Serrao, Diritto privato economia e società cit., 96.

 

[54] Vd. al riguardo G. Rotondi, Leges publicae populi Romani cit., 224; ed ora M. Kaser, Über Verbotsgesetze cit., 36; L. Savunen, Debt Legislation cit., 149; F. Serrao, Diritto privato economia e società cit., 346.

 

[55] Ben si avvede del problema F. DE Martino, Riforme del IV sec. a.C. cit., 64, quando lucidamente osserva che non si riuscirebbe «a comprendere quale sia stato il sollievo della plebe se l’interesse fu prima stabilito nella misura del 100% e poi del 50% trasferendo in valori monetari gli usi del prestito in cose dell’età più antica».

 

[56] Vd. al riguardo G. Rotondi, Leges publicae populi Romani cit., 226; ed ora F. DE Martino, Riforme del IV sec. a.C. cit., 65 ss.; M. Kaser, Über Verbotsgesetze cit., 36; G. Tilli, .... Postremo vetita versura, in «BIDR» LXXXVI-LXXXVII, 1984, 147 ss.; L. Savunen, Debt Legislation cit., 149-150; L. Fascione, La legislazione di Genucio, in F. Serrao (a cura di), Legge e società nella repubblica romana, II, Napoli, 2000, 179 ss., in particolare 182-185; F. Serrao, Diritto privato economia e società cit., 346 e 349-350.

 

[57] toà d/aÙtoà crÒnou kat¦ tÕ ¥stu oƒ crÁstai prÕj ¢ll»louj ™stas…asan, oŠ men pr£ttontej t¦ crša sÝn tÒkoij, nÒmou tinÕj palaioà diagoreÚontoj m¾ dane…zein ™pˆ tÒkoij À zhm…an tÕn oÛtw dane…santa prosfle‹n.

 

[58] Con approfondimenti vd. G. Tilli, ... Postremo vetita versura cit., 147 ss.; F. Serrao, Diritto privato economia e società cit., 349-350.

 

[59] Vd. ad es., in rapporto all’assenza di una clausola di annullamento, L. Mitteis, Römisches Privatrecht cit., I, 248.

 

[60] Vd. ad es. PH. E. Huschke, Über das Recht des nexum cit., 143 n. 198; G. Billeter, Geschichte cit., 218.

 

[61] Sul punto, con posizioni diverse, O. Behrends, Der Zwölftafelprozess cit. 209 nn. 9-10; M. Kaser, ‘Unmittelbare Vollstreckbarkeit’ cit., 123; F. Serrao, Diritto privato economia e società cit., 351. Per la estensione della poena anche nei rapporti coi socii e al nomen Latinum vd. Liv. XXXV, 7, 1-2, su cui vd. Di Lella, Il plebiscito Sempronio del 193 a.C. e la repressione delle ‘usurae’, in Atti Acc. Sc. Nat. Pol. XCV, 1984, 1 ss.

 

[62] F. Serrao, Diritto privato economia e società cit., 351, pensa, invece, esclusivamente alla legis actio sacramenti in personam, ma forse, proprio il parallelismo tra faenerator e fur potrebbe avvalorare ulteriormente la lettura qui proposta.

 

[63] È la tesi sostenuta con vigore da C. Appleton, Le taux du ‘fenus unciarium’ cit., 467 ss.; F. Wieacker, Zwölftafelprobleme cit., 478; vi aderisce, ponderandone le argomentazioni e arricchendole F. De Martino, Riforme cit., 62-65; di recente anche L. Solidoro, Problemi di storia sociale cit., 26.

 

[64] Esattamente B. Albanese, Gli atti negoziali cit., 34 n. 20; F. Serrao, Diritto privato economia e società cit., 111 ss.

 

[65] G. Billeter, Geschichte cit., 160 ss.; F. Klingmüller, Streitfragen aus der römischen Zinsgesetzgebung, in «ZSS(RA)» 23, 1902, 68 ss.; Idem, Fenus cit., 2191-2192; O. Behrends, Der Zwölftafelprozess cit., 5 n. 19.

 

[66] Così anche F. De Martino, Riforme del IV sec. a.C. cit., 64. che parla del limite della semioncia nell’àmbito della teoria dell’Appleton come di «un aspetto misterioso del processo storico».

 

[67] Puntuale R. von Jhering, Geist des römischen Rechts auf den verschiedenen Stufen seiner Entwicklung, 2.1, Leipzig, 1894 5a ed. [rist. Aalen, 1993], 152-153.

 

[68] F. Serrao, Diritto privato economia e società cit., 352.