Si pubblica, col consenso dell’Autore e dell’Editore, il Capitolo secondo «Libertà e laicità della cultura religiosa» (41-87) della monografia di LEONARDO SACCO, L’ideale di libertà e di tolleranza. Raffaele Pettazzoni (1883-1959) e la coscienza storico-religiosa degli italiani, Roma, Lithos Editrice, 2016, pp. 223. ISBN 978-88-99581-25-1

Indice del volume

 

  

 

Leonardo Sacco

Sapienza Università di Roma

 

Libertà e laicità della cultura religiosa

 

 

Sommario: 2.1. Raffaele Pettazzoni: la fede, la religione e la storia. – 2.2. Intorno al concetto di laïcité. – 2.3. All’ombra del Modernismo. – 2.4. Temi di Storia delle religioni. – 2.5. L’ideale di libertà e di tolleranza. – 2.6. Religione, politica e società. – 2.7. Libertà religiosa e Costituzione. – 2.8. La scomunica dei comunisti. – 2.9. La “Chiesa di Cristo”. – 2.10. Il caso Gonnet. – 2.11. Dalla libertà di religione al multiculturalismo.

 

 

2.1. – Raffaele Pettazzoni: la fede, la religione e la storia

 

Raffaele Pettazzoni frequentò a Bologna gli studi liceali e universitari. Influenzato dall’ambiente carducciano e positivista, perse la fede, nella quale era stato educato e il 29 giugno 1900 abbandonò la “Gioventù Cattolica” passando dal credo al dubbio, accogliendo “la religione di questo mondo” che professerà fino alla sua morte (com’è testimoniato da un appunto dell’8 settembre 1959)[53]:

 

La religione di questo mondo – non dell’evasione da questo mondo, non    il terrore della storia, il pessimismo, il disprezzo della vita, l’evasione dal mondo, l’aspirazione a un altro mondo. Bensì la religione come serena consapevolezza e accettazione della condizione umana, nella speranza di costruire un migliore avvenire terreno, nella consapevolezza del mistero e nella suggestione stessa del mistero: la religione come fattore positivo della vita. L’uomo costruttore della sua religione! – Allo stesso modo come è l’uomo il costruttore delle arti, della scienza, della filosofia[54].

 

Da quel momento, lo studioso si mostrò estraneo – sostanzialmente agnostico – a qualsiasi confessionalismo e partecipe, invece, di quelle concezioni libertarie e socialiste fondate sull’idea che l’uomo moderno «potesse e dovesse vivere senza religione rivelata o positiva o mitologica o come altrimenti si suol dire»[55]. Malgrado ciò, in Pettazzoni divenne più vivo che mai l’interesse per la storia religiosa. Scrisse, in proposito, Paolo Toschi (1893-1974):

 

Sarebbe interessante chiedersi come mai sia nata in lui [Pettazzoni] questa forte, precisa inclinazione, fin dagli anni giovanili, verso la Storia delle religioni, con un fervore di indagini che lo ha portato a consumare in questo campo di studi tutta una vita di indefesso lavoro. Forse quella prima ingenua fede che ci accompagna nella fanciullezza, venendo a mancare nel suo animo come credo religioso, si trasformo in problema, in un’ansia di ricerca attraverso tutti i tempi, nei più lontani Paesi, presso le più diverse genti: ricerca dunque inesauribile. E in ciò sta il dramma di Pettazzoni e il segreto della grandezza della sua opera[56].

 

Il 5 ottobre 1902 Pettazzoni tenne il suo primo discorso pubblico dal quale emerge, fermamente, l’impegno civile per una cultura libera e una scuola laica, ideali che qualificheranno tutta l’opera dello studioso.

In uno stile letterario di stampo carducciano il giovane Pettazzoni, che rivela l’adesione al pensiero positivistico, ancora dominante nella cultura del tempo, specialmente in ambito socialista, pone 1’ «ufficio educativo» tra le funzioni dello Stato e accenna ai moti rinnovatori della scuola determinati da «tutti gli avanzamenti del progresso». Così, a partire dalle tenebre dell’oscurantismo teologico, si fa sempre più strada il concetto democratico dell’insegnamento che, tra lotte e conflitti, si va affermando con la decadenza del privilegio aristocratico-religioso e l’istituzione della scuola laica odierna. Richiamato ancora lo Stato a «dar forma e vigore di realtà» alle necessarie riforme educative, osserva come di pari passo con l’analfabetismo procedano tutte le miserie della superstizione e del pauperismo.

L’istruzione e l’educazione debbono combattere i mali della società, mirando «al conseguimento di beni»; alla nozione obsoleta dell’istruzione e dell’educazione deve subentrare un concetto innovativo: una nobile affermazione della libertà; un’affermazione spontanea di elevazione umana. La scuola ha il compito di impartire un insegnamento utile, procurando un «corredo di cognizioni sociologiche» atte «ad affrontare i grandi problemi sociali». Educazione e istruzione debbono «fondersi insieme nell’opera della scuola», secondo il principio «che la scuola sia istruttiva perché educativa, educativa perché istruttiva»[57].

Rilevate alcune deficienze dell’ordinamento scolastico, Pettazzoni proclama un alto concetto della cultura, intesa come attività indispensabile per l’elevazione umana e la rigenerazione intellettuale, manifestando il principio al quale ogni riforma dovrebbe ispirarsi: il principio ognor più democratico della scuola.

 

Non sia la scuola oppressione di pedanti, non sia arido e forzato insegnamento di verità che calino e gravino con la pesantezza di un dogma su le intelligenze infantili, ma sia soprattutto libera la mente in quella età che è la più aperta alle suggestioni esteriori, sia libera nei tentativi e audace negli ardimenti, trovi essa il lavoro che ama, però che solo allora lo studio sarà godimento, come ogni lavoro liberamente eletto è godimento[58].

 

Nell’ultima parte del discorso, Pettazzoni lancia i suoi strali polemici alla tradizionale cultura dogmatica:

 

Ci fu un tempo in cui lo studioso intisichiva sui libri e su le carte, rinchiuso nella solitudine profonda di celle claustrali, all’ombra grigia dei monasteri; e, dopo avere laboriosamente acquisito una porzione di dottrina gretta e immutabile, impartiva, nelle aule anguste, sotto le volte oscure delle università, impartiva ex cathedra a pochi discepoli spauriti il verbo indiscutibile della sapienza assoluta […]. Per le vecchie scuole la scienza era alcun che di estraneo all’uomo: qualche cosa di compiuto e di stabilmente fisso, al quale nulla era da aggiungere: si trattava solo di apprendere questa gran mole di dogmi, di assimilarsela, di farla propria[59].

 

A queste passate rappresentazioni, Pettazzoni oppone la scienza moderna, opera dell’uomo: opera ininterrottamente mutevole per l’incessante accumularsi delle esperienze nella vicenda delle generazioni. Esalta il lavoro umano e l’amore, capace di estendere quel sentimento della solidarietà umana, destinato a stringere un giorno in un abbraccio fraterno universale tutti quanti gli esseri umani[60].

 

 

2.2. – Intorno al concetto di laïcité

 

Nei primissimi anni del XX secolo, Pettazzoni si accostò alle vicende culturali d’oltralpe e iniziò a coltivare gli studi filologici e archeologici, ma anche la cristianistica, accrescendo il proprio impegno civile in favore dell’istruzione popolare e delle classi proletarie[61]. Probabilmente, in questo periodo, egli trasse rilevanti indicazioni sul concetto di “laicità” proveniente dall’esperienza francese.

Dopo la separazione tra Chiesa e Stato, attuata in Francia nel 1905, la situazione si era andata gradualmente normalizzando, evidenziando come i due poteri potessero convivere senza particolari traumi, anche in mancanza di concordati o leggi speciali per la materia ecclesiastica[62]. Si elaborò, quindi, un modello di laïcité che la cultura giuridica finì per esportare nei paesi europei e nei cantoni svizzeri francofoni, in particolare a Ginevra, dove la tradizione separatista era forte e culturalmente radicata. Questa idea penetrò anche nel mondo della teologia e del pensiero cattolico ricollegandosi alle visioni separatiste del cattolicesimo liberale, ed ebbe successo nella nouvelle théologie della prima metà del Novecento[63]. Nei primi anni del XX secolo si assiste, in Francia, a un forte inasprimento delle tensioni fra Stato e Chiesa; il 1° luglio 1901 tutte le associazioni religiose sono ricondotte sotto il controllo dello Stato. Il Presidente del Consiglio Émile Combes, con la Legge del 7 luglio 1904, abroga il diritto all’insegnamento degli ordini religiosi; un anno più tardi, il 9 dicembre 1905, viene promulgata la Legge sulla separazione della Chiesa dallo Stato. I suoi termini sono perentori:

 

articolo 1 – La Repubblica assicura la libertà di coscienza. Garantisce il libero esercizio dei culti sotto le sole restrizioni inerenti all’interesse dell’ordine pubblico;

articolo 2 – La Repubblica non riconosce né stipendia né sovvenziona alcun culto.

 

Papa Pio X si oppose tenacemente alle disposizioni anticlericali francesi con due encicliche: Vehementer (11 febbraio 1906) e Gravissimo Officii Munere (10 agosto 1906)[64]. Nella prima si affermava:

 

Che sia necessario separare le ragioni dello Stato da quelle della Chiesa è un’opinione sicuramente falsa e più che mai pericolosa. Infatti, limita l’azione dello Stato alla sola felicità terrena, nella quale si colloca lo scopo principale della società civile; trascura apertamente, come cosa estranea allo Stato, la meta ultima dei cittadini, che è l’eterna beatitudine prestabilita per gli uomini oltre la fine di questa breve vita. Perciò, giacché l’ordine delle cose caduche è subordinato completamente al conseguimento di quel sommo e assoluto bene, è necessario che il Governo non ostacoli, ma favorisca tale conquista[65].

 

E più avanti, citando l’Immortale Dei (1 novembre 1885) di Papa Leone XIII, ripeteva:

 

È necessario che tra le due potestà esista una certa coordinazione, la quale è giustamente paragonata a quella che collega l’anima e il corpo nell’uomo[66].

 

Con il termine “laico”, per molto tempo, si è definito chi non apparteneva al clero. Il vocabolo mutua la propria origine dal greco laós (popolo) e laikós (popolare). Per secoli la parola ebbe un significato solo all’interno della Chiesa, marcando la distinzione fra chi era chiamato a governare e chi non lo era[67]. Solo in tempi relativamente recenti, quando, cioè, in epoca liberale, la pubblicistica ecclesiastica e curiale, mal sopportando il processo di secolarizzazione e laicizzazione dello Stato ottocentesco, definisce, anzi, classifica col termine “laicismo” la concezione liberale dei rapporti tra Chiesa e Stato, il lemma inizia ad assumere valenze vicine a quella attuale[68].

La cultura religiosa conquistò Pettazzoni divenendo – in un certo qual modo – il surrogato della sua fede perduta. Plausibilmente, fu anche per questa ragione che lo studioso rimase turbato quando, nel 1909, un libro di Louis Henry Jordan (1879-1960) biasimava l’assenza, in Italia, di un vero e proprio studio sistematico della religione[69].

Trasportato da un vigoroso desiderio di conoscenza, Pettazzoni iniziò a elaborare un proprio concetto di religione, studiandone l’origine, l’etimologia, la definizione e l’essenza. Alcune sue considerazioni trovarono spazio in una scheda del 28 giugno 1910, alla quale diede il titolo: “Che è la religione”:

 

La religione consta di tre elementi: non si ha che dall’insieme dei tre. Essi sono: sentimento, nozione, azione. Separatamente, l’uomo esercita ciascuna di queste attività elementari. Ma è dal loro insieme che scaturisce la religione. Anzi, dall’insieme di forme speciali di questi elementi. Il sentimento è principalmente quello della paura. La nozione è quella soprannaturale (mitica) in cui si oggettiva un forte sentimento. L’azione è quella peculiare forma di azione rivolta a ottenere un effetto agendo con o su qualche essere soprannaturale (in altre parole, miticamente concepito)[70].

 

 

2.3. All’ombra del Modernismo

 

Nei primi mesi (febbraio – marzo) del 1912, Pettazzoni dedicò parte del suo tempo alla correzione delle bozze de La religione primitiva in Sardegna (Società Editrice Pontremolese, Piacenza)[71].

Nella parte centrale della prefazione (pp. VI-XV), si accenna allo studio delle religioni in Italia, dall’abolizione delle Facoltà teologiche nelle Università (1873) al primo decennio del secolo XX: una situazione infelice, nella quale «pare che, oltre la voce isolata di alcuni studiosi, nessun’altra si sia levata a sostenere innanzi all’opinione pubblica l’importanza e la necessità degli studi religiosi, se non quella che fa capo al movimento dei modernisti». Costoro, tuttavia, volgono il loro interesse prevalentemente alla storia del cristianesimo e alla filosofia della religione, laddove sarebbe necessario «volgere l’interesse egualmente a tutti i fenomeni religiosi, e studiare anche la religione cristiana al confronto delle non cristiane» (p. IX). L’indirizzo modernista «vuole essere una sana reazione contro il predominare delle vecchie idee, contro le diffidenze ostili inveterate», ma «reca in sé un germe congenito di debolezza e d’insuccesso». I modernisti mescolano interessi scientifici (ricorrendo ai dati della ricerca storico- religiosa) e interessi filosofico-religiosi e, in un certo senso, apologetici; hanno a cuore più la religione che la Storia delle religioni[72]. Questa parte della prefazione si chiude con l’augurio che l’Italia, scossa la troppo lunga apatia, superati gli ostacoli frapposti da molteplici interessi di parte, venendo – ultima – a dare il suo contributo alla nuova scienza, abbia a portarvi quell’equilibrio di pensiero, quel contemperamento di analisi e di sintesi, di critica e di speculazione, che sembra esser proprio del suo genio etnico, e che fu già suo vanto negli altri campi del sapere.

Qualche mese dopo (settembre), Pettazzoni allacciò contatti con l’editore Zanichelli per la pubblicazione di una rivista di studi storico-religiosi e, nello stesso periodo, ricevette consensi a questa iniziativa da parte di Nicola Turchi (1882-1958), Ernesto Buonaiuti (1881-1946) e dell’egittologo Giulio Farina (1889-1947), che si dichiararono pronti a fondere con il nascituro periodico il proprio “Bollettino di Letteratura Critico–religiosa”, che essi pubblicavano a Roma dal mese di luglio[73].

Nell’autunno del 1915, Ernesto Buonaiuti, docente di Storia del cristianesimo all’Università di Roma, promosse la creazione di una rivista di più vaste proporzioni rispetto al “Bollettino”: la nuova creatura avrebbe dovuto chiamarsi “Rivista di Scienze Religiose”. In forza di tale situazione, Buonaiuti intraprese una fitta rete di contatti volta a raccogliere solidalmente quanti, in Italia, avessero già fornito prova di «saper esercitare il loro ambito scientifico e la loro acribia di studiosi in armonia col loro tempo»[74]. Pettazzoni manifestò il proprio favore all’idea del sacerdote modernista, ma insistette affinché si scegliesse per la nuova pubblicazione il titolo di “Rivista di Storia delle Religioni”, pensando che il periodico si sarebbe occupato specialmente di questa disciplina. Come spesso accade, vinse la via di mezzo e la denominazione fu “Rivista di Scienza delle Religioni”[75]. Il periodico suggeriva di contribuire alla diffusione e al progresso delle materie che indagavano lo svolgimento storico del fenomeno religioso. Pettazzoni, a questo punto, poteva iniziare a ritenersi appagato: finalmente i cultori degli studi storico-religiosi avrebbero avuto un proprio strumento di lavoro, ma purtroppo la sorte non fu particolarmente benevola nei confronti della neonata pubblicazione; le vicende che seguirono (sintetizzate nel testo) costituirono le basi progettuali di “Studi e Materiali di Storia delle Religioni” che, a causa del protrarsi della I Guerra Mondiale (1914-1918), nascerà solamente nel 1925.

Nel mese di marzo del 1916 fu diffuso il primo fascicolo bimestrale che raccoglieva tre articoli di Nicola Turchi, Primo Vannutelli (1885-1945) ed Ernesto Buonaiuti, tre recensioni e due bollettini di Pettazzoni riguardanti le religioni dei popoli primitivi in generale. Tranne lo studioso persicetano, gli altri autori erano sacerdoti: questi ultimi ritennero erroneamente, dato il carattere extra-teologico e critico-letterario della rivista, di poter fare a meno della revisione ecclesiastica, imposta a tutte le pubblicazioni cattoliche fin dall’epoca del “Concilio di Trento” (1545-1563, con interruzioni), e diedero alle stampe il fascicolo. A questo punto intervenne il padre gesuita Enrico Rosa (1870-1938), saggista de “La Civiltà Cattolica”, che criticò aspramente la nuova rivista, manifestando le proprie preoccupazioni e quelle della Chiesa per il razionalismo che, a suo parere, pervadeva gli scritti del primo numero: più esattamente, si fece osservare come il cristianesimo fosse trattato da un punto  di vista scientifico  «alla stregua delle altre religioni» e il suo svolgimento fosse incluso entro schemi propri delle discipline storiche. Inoltre, si obiettò che fosse stato permesso a studiosi laici di occuparsi di problemi che investivano le vicende cristiane e, ancora, che fossero state segnalate opere di non cattolici, senza accennare alle confutazioni della teologia ufficiale[76]. Nel frattempo Nicola Turchi lavorava per l’uscita del secondo numero della rivista e, per non incorrere nella sanzione ecclesiastica, censurò quattro righe del contributo di Pettazzoni (L’Essere celeste nelle credenze dei Popoli primitivi), senza avvisare preventivamente l’autore[77]; in particolare, soppresse  la  parte in cui Pettazzoni riduceva a una pura elaborazione del pensiero mitico l’origine dell’idea di Dio, togliendo – in tal modo – ogni valore agli studi di Andrew Lang (1844-1912) e di Wilhelm Schmidt (1868-1954)[78]. A dispetto di tali cautele, in Vaticano si notò come l’iniziativa non fosse corredata da alcuna approvazione e si rimise il problema nelle mani del Sant’Uffizio. Il 12 aprile 1916, i membri della Suprema Congregazione, dopo aver registrato:

a)                l’orientamento nettamente naturalistico della pubblicazione;

b)                la grave mancanza commessa dai sacerdoti che a essa collaboravano;

c)                 la crescente attività del movimento modernista romano;

stabilirono che si emettesse quanto prima un decreto di condanna del periodico incriminato, quale organo di propaganda modernista, con la proibizione a tutti i fedeli di leggerlo e/o di abbonarvisi, e inoltre che s’intimasse  la sospensione a divinis ai sacerdoti  Buonaiuti (al quale sarà  inflitta il 14 gennaio 1921)[79], Turchi,  Vannutelli,  Fracassini (a questi sarà, però, revocata il 24 maggio 1921) e Bacchisio Raimondo Motzo (1883-1970)[80].

Nonostante questi avvenimenti, Pettazzoni non si scoraggiò e sostenne la necessità di compiere ogni sforzo per continuare la pubblicazione, non certo per spirito di rivalsa, ma per salvare il principio della dignità e della libertà degli studi religiosi, due temi che ricorreranno sempre nell’opera dello storico delle religioni italiano[81].

Durante il 1919, si protrasse la diffusione della rivista “Religio” (che cesserà nel 1920), inizialmente con l’imprimatur dell’autorità ecclesiastica, che sembrava favorire gli studi sulle religioni, nonostante si riservasse il controllo della loro ortodossia[82]. Tuttavia Pettazzoni guardava oltre e, in attesa di riprendere la vecchia rivista sospesa, si proponeva di realizzare un suo antico progetto degli anni pre-bellici: la realizzazione di una “Collezione di Storia delle religioni” che, in Italia, non esisteva ancora. Poiché sembrava in aumento l’interesse della cultura nostrana per gli studi storico-religiosi, Pettazzoni non intendeva indulgere ai gusti più facili del pubblico e, nell’ottica, scrisse:

 

Quest’impresa intende opporsi a un dilettantismo tanto più pericoloso perché non controbilanciato, in Italia, da un’adeguata tradizione scientifica in questo campo[83].

 

Nel 1920, Pettazzoni ricevette l’invito a collaborare a “Gnosis”, rivista diretta da Raffael Vita Daniele (detto Vittorio) Macchioro (1880-1958), che auspicava uno studio sul fatto religioso senza limiti di tempo e/o spazio, e senza vincoli dogmatici e fideistici, ma con spirito religioso, cioè con la volontà di valorizzare l’attività religiosa nella sua reale obiettività, e non già d’indagarla semplicemente dal punto di vista descrittivo o naturalistico[84]. Seguendo questo filone, nel 1921, a Firenze, uscì “Il progresso religioso: rivista bimestrale del movimento contemporaneo”, fondata e diretta dal filosofo siciliano non accademico Mario Puglisi Pico (1867-1954), che si prefiggeva essenzialmente di svolgere opera di preparazione e di propaganda religiosa e laica, influenzando tutte le chiese esistenti e, specialmente, le persone che non appartenevano a nessuna chiesa.

 

“Il progresso religioso”, con sincero rispetto per ogni confessione, vuol tenere informati i suoi lettori della vita e del pensiero religioso contemporaneo in Italia e all’Estero. Non campo di vane dispute vuole essere “Il progresso religioso”, né di sterili ricerche che anatomizzino tradizioni ed esasperino dubbi, ma libera palestra, educatrice di energie etico-religiose, campo di fecondo lavoro dove fioriscano sentimenti di umanità, dove maturi un’austera disciplina che conferisca alla elevazione della cultura nazionale ed alla visione dello scopo e del valore spirituale della vita[85].

 

 

2.4. – Temi di Storia delle religioni

 

Con la copertura della prima cattedra di Storia delle religioni (1923-1924), non senza critiche pungenti[86], Pettazzoni ebbe, finalmente, l’organo adatto alla funzione[87]. Appena insediato, lo studioso si mise al lavoro per dotare la disciplina di una Scuola, di una Rivista e di una Libreria specialistica[88]: tre strumenti di cultura e libertà.

Il 17 gennaio 1924, lo studioso tenne una prolusione all’Università di Roma trattando dello Svolgimento e carattere della storia delle religioni[89]. Lo storico auspicò che gli studiosi italiani di religioni comparate, nell’investigare criticamente i vari fenomeni religiosi, dimenticassero totalmente la confessione d’appartenenza essendo imparziali e indipendenti nella ricerca, per giungere fino al nucleo dei problemi. Suo intento era di creare un’austera disciplina autonoma da qualsiasi altra:

 

Il compito della Storia delle religioni stava nell’alta funzione umana e civile della materia, nel suo modo di affrontare le questioni sottoponendole   a un’indagine severa e obiettiva, fondata sui fatti e non sulle congetture, nell’esaminare tutti i fenomeni religiosi, nel tempo e nello spazio, con spirito necessariamente scevro da passioni in una visione totale dello sviluppo religioso dell’umanità[90].

 

Quella di Pettazzoni non è una semplice indagine erudita sui fatti religiosi, ma una ricerca basata sulla convinzione appassionata che la religione è un fattore primario nella vita dei popoli per cui il rapporto fra la vita religiosa e la vita civile rimane una questione fondamentale[91]. Da questa dichiarazione d’intenti emerge – mi sembra – il desiderio di approfondire culturalmente la storia delle civiltà, utilizzando il punto di vista religioso. L’intendimento di approfondire i temi legati alla religione fu sviluppato al momento di redigere una sorta di manifesto programmatico della rivista “Studi e Materiali di Storia delle Religioni” (1925)[92]; infatti, nella seconda di copertina del primo volume è scritto:

 

Gli studi storico-religiosi perseguono nel loro campo speciale i fini della scienza e della cultura. Alla scienza – in particolare – contribuiscono facendo oggetto di storia la religione nel suo svolgimento.

 

In questo scenario, hanno grande rilevanza una citazione e una polemica; nel 1931, lo storico Arnaldo Momigliano (1908-1987) osservò come:

 

il valore degli SMSR stava soprattutto nel largo senso storico, per cui ogni problema particolare è visto in connessione con tutto lo svolgimento dello spirito umano, sia che possa essere stabilita una vera relazione di dipendenza tra fenomeni religiosi anche lontani nel tempo e nello spazio, sia che un fenomeno offra peculiarità, le quali aiutino a svelare il segreto di un altro fenomeno analogo, in conformità a quel metodo comparatistico, che è pericoloso, ma che ha troppi meriti, perché lo si possa gettare via in omaggio a un malinteso e formalistico storicismo assoluto[93].

 

Tre anni dopo, nella primavera del 1934, l’intellettuale Giuseppe Bronzini pubblicò un resoconto consuntivo di due pagine[94]: come preciserà  in seguito lo stesso autore, la rassegna, che voleva essere circoscritta all’ultimo lustro, intendeva costituire «uno sguardo d’insieme, con qualche spunto critico, informato naturalmente ai suoi principi di cattolico», prescindendo dalle attività che svolgevano a Roma «quei grandi centri di studi che sono le Università e gli Istituti superiori pontifici, nonché gli Enti internazionali dei grandi ordini religiosi», dai quali si diffondeva un ampio movimento culturale «che si manifestava attraverso pubblicazioni strettamente scientifiche, riviste di carattere rigorosamente tecnico». Passando a trattare degli studi storico-religiosi in Italia, aggiunse:

 

Alle soglie del movimento intellettuale italiano s’incontra la c.d. Storia delle religioni, scienza recente, che considera le manifestazioni religiose primitive con spirito prevalentemente positivistico, cosa che l’aveva mantenuta lontana dal concorso dell’attività intellettuale cattolica. Ma, da qualche tempo anche i cattolici hanno giustamente creduto di poter partecipare a questo campo d’indagine, cui l’attività missionaria tra i popoli non civili ha fornito un largo materiale[95].

 

Tra gli studiosi cattolici, Bronzini ricorda Padre Wilhelm Schmidt e la sua opera sull’Origine dell’idea di Dio (Der Ursprung des Gottesidee), e la Storia delle religioni del Turchi; fra gli studiosi fuori d’ogni influenza cattolica, menziona Formichi, Omodeo, Furlani e Macchioro, mentre di Pettazzoni cita gli “SMSR”, i “Testi e Documenti” e alcune monografie dell’altra collezione zanichelliana – “Storia delle Religioni” – omettendo, tuttavia, il saggio La confessione dei peccati (1929). Osservò, inoltre, come la produzione libraria religiosa italiana non fosse imponente per estensione o intensità, rilevando come si stesse formando una nuova atmosfera che preannunziava un risveglio in questo importantissimo campo: ne era segno evidente, oltre al sorgere di nuove case editrici come la Morcelliana (1925), l’apparire di riviste culturali come “Vita e Pensiero” e “Convivium”[96]. Qualche mese dopo, Alberto Pincherle (1894-1979) valutò il bilancio compiuto da Bronzini, segnalando alcune gravi dimenticanze. In particolare, Pincherle ricordò come, oltre agli Istituti pontifici, a Roma esistesse la Scuola di Studi Storico-religiosi (con Nallino, Pettazzoni e Tucci) e insegnamenti di Storia delle religioni fossero presenti anche a Milano e a Pisa[97]. Inoltre, giacché Bronzini aveva citato il rappresentante di una tesi intorno all’origine del monoteismo (Schmidt), perché non ricordare anche la tesi diversa di un italiano[98]?

Domande inequivocabili che restarono senza risposta[99]. Mi piace ritenere; che Pettazzoni avrebbe replicato nel modo che segue:

 

Tanto fu lenta, faticosa e contrastata dalle passioni, la conquista del pensiero umano, cioè l’idea stessa di umanità. Né meno aspra fu la lotta per l’idea di civiltà, e dura tuttora[100].

 

 

2.5. – L’ideale di libertà e di tolleranza

 

Dal settembre 1944, Pettazzoni fu tra gli ideatori dell’“Associazione Internazionale Affratellamento Popoli” (AIAP)[101], il cui scopo era quello di «promuovere il sentimento di fraternità umana e di combattere i vari fattori che determinano e favoriscono la disunione delle genti», come recitava l’art. 2 dello Statuto[102]. Questo “consorzio”, peraltro, si fonderà – nel dicembre 1945 – con “Humanitas: Associazione Italiana per l’Intesa e Collaborazione Artistica e Culturale con l’Estero” che, tra le sue finalità, contemplava il rinnovamento morale degli individui attraverso un’opera di cultura e di affinamento spirituale e di promozione dei valori solidali[103].

Con il termine Humanitas, si intendeva sia una dimensione di religiosità, pensata con attinenza tanto alla religione positiva, quanto all’armonia fra tutti gli esseri umani, sia una dimensione artistica, valutata quale manifestazione di uno stato d’animo globale e, di concerto, considerata anch’essa tramite di conoscenza e indulgenza fra le diverse civiltà. Più che pacifisti ante litteram, scriveva Gianni Oliva (1906-?), funzionario presso il Ministero della Pubblica Istruzione, segretario generale e animatore del sodalizio, i soci identificavano nella pace un elemento di arricchimento cognitivo e, soprattutto, di progresso[104]. L’“Associazione”, sostenuta da professionisti, artisti, editori (Vallardi e Zanichelli) e funzionari dello Stato, aveva ricevuto il contributo di alcune banche e industrie e ciò le permise di svolgere un’intensa attività basata su conferenze, mostre e letture di testi, e di pubblicare la rivista “La Cultura nel Mondo”, diretta da Leo Magnino (1911-1996)[105]. Alle origini di ambedue questi circoli intellettuali sembrerebbe esservi, peraltro, un’altra istituzione: “Amore Unisce Tutti” (AUT), creata a Fiesole nel 1936, con il chiaro obiettivo di sostenere tutte le iniziative miranti a diffondere libere, pacifiche e tolleranti relazioni interculturali[106].

 

 

2.6. – Religione, politica e società

 

Finita la II Guerra Mondiale (1939-1945), dal 1946 Pettazzoni è impegnato nella realizzazione di una rilevante iniziativa editoriale: una Collana su “La religione nel mondo moderno”. Il progetto non avrà fortuna, ma è densa di significato la presentazione dell’opera che lo studioso aveva preparato:

 

Da vari segni appare chiaro che l’attuale conflitto politico-sociale si va, e sempre più si andrà, polarizzando intorno a un’ideologia imperniata sul fatto religioso. La religione è destinata ad avere una parte importantissima nella nuova epoca storica che ora comincia. Non si può sostenere che l’opinione pubblica, soprattutto in Italia, sia sufficientemente preparata in materia di problemi religiosi. Il tradizionale indifferentismo nostrano e lo stesso laicismo con le sue tendenze rinunciatarie in fatto di religione hanno variamente concorso a distogliere gli italiani da ogni atteggiamento non conformistico, a tutto vantaggio del totalitarismo cattolico. Le idee sono in generale troppo confuse; manca perfino un’adeguata distinzione fra i concetti più generali di religione, cristianesimo e cattolicesimo[107].

 

Il progetto di Pettazzoni era evidente: si trattava – attraverso una libera cultura storico-religiosa – di porre le basi per una società a misura d’uomo, che avrebbe dovuto condurre ad una salutare rigenerazione delle coscienze. Non s’intendeva fondare alcun nuovo culto: l’obiettivo del programma consisteva nell’infondere linfa vitale ai valori religiosi nelle loro conformazioni tradizionali. Era necessario, specialmente in Italia, scuotere il torpore (la secolare indifferenza) che aveva sempre reso possibile lo sfruttamento della religione per fini politici e socio-culturali. La sfera religiosa e il suo mondo dovevano essere aperti a un’idea di libertà, senza intenti apologetici e/o propagandistici. Occorreva che tutte le religioni godessero d’eguale rispetto, oltre le forme confessionali. La religione doveva essere: pensiero, storia e, ancor più, esperienza di vita.

 

La collezione è concepita in uno spirito tutt’altro che antireligioso. Essa vuole, anzi, proprio ora che la religione sta per essere trascinata sul terreno della lotta politica e sociale, riaffermare il suo valore preminente nella vita dello spirito al di fuori e al di sopra delle forme confessionali. […]. Dopo quarant’anni di ricerca rigorosamente scientifica nel campo della storia religiosa mi accingo a quest’opera di divulgazione, per un’intima esigenza che mi spinge, per il desiderio di scuotere l’inveterato torpore e la fatale indifferenza di noi italiani in fatto di religione e di interessare il gran pubblico ad un complesso di problemi che sono oggi e sempre più saranno in primo piano nella cultura e nella vita europea.

Niente dilettantismo! Porterò in questo lavoro di divulgazione tutta la precisione e l’obiettività acquisita nella lunga consuetudine coi metodi dell’indagine scientifica. Ogni volumetto sarà preceduto da una sobria introduzione orientatrice, destinata ad inquadrare il testo nella sua cornice ideologica e storica[108].

 

Il 28 settembre 1946, Pettazzoni ricevette un volantino a stampa, inviato da Aldo Capitini (1889-1968), con l’invito a partecipare a un “Convegno sul problema religioso moderno”, che si sarebbe tenuto il successivo 8 ottobre[109]. Scopo della manifestazione era di far incontrare quanti, in Italia, lavoravano per una critica della situazione religiosa tradizionale e, al contempo, per un rinnovamento e orientamento religioso conforme alla libertà e socialità moderne. Pettazzoni, che era interessato al tema, decise di preparare un intervento sul rapporto fra la religione e i partiti politici[110].

Lo studioso notò come la distinzione tra partiti confessionali e laici fosse superficiale, poiché anche i secondi, come forma di vita associata, avevano un contenuto di religiosità: per esempio, il Partito Socialista dei primi tempi con il richiamo allo spirito evangelico, o il Comunismo dal carattere millenaristico ed escatologico (in proposito è citato il libretto di Moravia, Religione e Comunismo)[111], con alcuni aspetti organizzativi rigoristici che suggerivano un confronto con gli ordini religiosi dei Gesuiti e dei Dominicani[112]. La tensione fra religione e politica è lampante: da una parte, la politica tende ad assumere un carattere teologico e interconfessionale, relegando nella sfera privata le pratiche di culto delle singole confessioni; dall’altra, ciascuna religione – che, ben più della lingua, del territorio e della cultura, assume oggi una valenza identitaria – mostra  di non volersi rassegnare a cedere ad altri la funzione legittimante del passato e di non aver abbandonato l’aspirazione alla massima estensione della propria sfera fino ad abbracciare ogni aspetto della vita del singolo e della società civile[113].

Premesso che il laicismo segna una grande conquista politica di fronte allo Stato confessionale, braccio secolare di una determinata Chiesa, ma che in virtù di ciò rappresentava, anche, una rinuncia a ogni suo contenuto religioso, ci si chiedeva se è vero che lo Stato non avesse nulla di religioso, ossia se non fosse latore di un elemento religioso diverso (e opposto) da quello della Chiesa. Parlare di una cultura laica, volendo con tale parola intendere una cultura a-religiosa e/o irreligiosa, o – come spiegava Gentile – neutra, costituiva un discorso assolutamente privo di senso. Infatti, presentare una cultura laica come neutra implicava che una tale cultura non solo prescindesse da ogni elemento religioso, ma tralasciasse – altresì – pure qualsiasi considerazione, anche critica, di qualunque elemento religioso[114]. Secondo Pettazzoni, proporre una simile cultura era controproducente giacché essa non avrebbe potuto condurre a nessuna trasformazione della società. Occorreva dunque, una cultura laica, portatrice di una propria religiosità, capace di presentare una nuova visione del mondo. La Chiesa era quasi sempre riuscita, anche se talvolta superficialmente, a plasmare le coscienze del popolo, facendo di ogni suo aderente convinto un vero e proprio veicolo della propria cultura, creando cioè – secondo l’impostazione gramsciana – una sorta di “intellettuale della fede”[115]: proprio quello che la cultura laica italiana non aveva mai saputo fare. Pettazzoni riteneva che questo modus agendi dovesse essere utilizzato anche dalla cultura laica nostrana per edificare una consapevole opinione pubblica, attiva in favore dello studio e della pratica religiosa, che non fosse – però – solo catechistica e cattolicamente orientata.

La posizione del principale partito di Sinistra dell’epoca (PCI), fu sin da subito indirizzata alla volontà di non riaprire la c.d. “Questione Romana”[116] e, quindi, di non rimettere in discussione l’assetto complessivo dei Patti Lateranensi, esplicitamente rivendicando, tuttavia, che nella futura Costituzione fossero «sancite le libertà di coscienza, di fede, di culto, di propaganda religiosa e di organizzazione religiosa», considerate come «libertà democratiche fondamentali, che devono essere restaurate e difese contro qualunque attentato, da qualunque parte venga»[117]. Verso parziali analoghe conclusioni, si avviava la mozione finale del XXIV Congresso Socialista (1946), in cui si auspicava che «[avrebbero dovuto] essere regolate le libertà di persona, di domicilio, di corrispondenza, di opinione, di coscienza e di culto» e, a proposito di quest’ultima, il PSI aggiungeva di ritenere ormai chiusa la “Questione Romana” e che «ad alcuni punti del Concordato potranno di concerto apportarsi alcune modifiche, e, riconoscendo che la grande maggioranza degli italiani è di religione cattolica, ritiene però che non sia ammissibile alcuna limitazione ai diritti dei cittadini per ragioni religiose»[118]. Di tenore diametralmente opposto erano, invece, le intenzioni della componente cattolica saldamente ancorate all’idea di un nesso inscindibile tra l’ordinamento democratico di cui porre le fondamenta e i contenuti dogmatici di fede della Chiesa cattolica[119]. Tale linea fu meglio definita nel 1946, quando nel I Congresso della DC, la relazione di Guido Gonella (1905-1982), illustrava tra i suoi punti, l’invocazione di Dio per una Costituzione cristianamente ispirata e l’obbligatorietà dell’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche[120]. Non mancava poi chi, forte della tradizione delle dottrine liberali, auspicava il ritorno, tout court, alla pratica separatista e la contestuale abolizione del Concordato[121].

In uno scenario multiforme come quello descritto, Pettazzoni accennò alla vita religiosa dell’antichità che si svolgeva nell’ambito della “religione dello Stato”, ai cristiani che non ammettevano altra fede oltre la propria, al riconoscimento ufficiale del cristianesimo alla pari delle altre religioni extra-statali e, infine, al cristianesimo quale religione unica dello Stato, giacché da quel momento iniziò la sua invadenza politica; da qui l’origine di un certo anticlericalismo. Il cristianesimo vuole salvare ogni uomo particolare. Il mondo andrebbe, quindi, subordinato alla Chiesa: la res publica alla civitas dei[122]. Nel paganesimo invece la vita religiosa era orientata soprattutto verso questo mondo: la religione pagana era servizio reso agli dèi per riceverne protezione per la comunità; il bene da salvare era di questo mondo[123]. Il paganesimo vive ancora oggi non solo nelle sue potenze negative, ma anche nei suoi valori reali. Quando il cristianesimo divenne religione dello Stato, la vita religiosa della polis e dello Stato continuò come prima, assumendo però lineamenti cristiani. La Chiesa non si adoperò abbastanza per dissolvere i residui folklorici del paganesimo[124]. La prova che il carattere religioso dello Stato non poteva essere eliminato è nel Giappone del 1889 [125]: il principio di uguaglianza delle religioni fu applicato con la Costituzione a buddhismo e cristianesimo, ma non allo shintoismo, “religione dello Stato”, al quale fu, però, disconosciuto il carattere religioso e attribuito quello di dovere civico – pur continuando a essere percepito come “religione”[126]. Nel moderno Stato laico persiste, dunque, un “sacro d’altra specie”[127].

Il concetto storico di religione, in Pettazzoni, tende ad accostarsi a quello storiografico di Storia delle religioni: ciò fa sì che l’idea di una “religione dello Stato” possa estendere e non frazionare la  sfera del “religioso”. Nella visione del comparativista italiano, una presa di coscienza dei riflessi religiosi inerenti ai valori politici poteva generare effetti positivi verso la Chiesa, rendendo nuovamente il cristianesimo “religione dell’Uomo”. Per questa ragione, Pettazzoni esortava i partiti politici (portatori di un’idea laica dello Stato) a persuadersi che non si può fare politica ignorando la religione, quando alcuni ne fanno il fondamento della politica stessa[128]. Si trattava – secondo Pettazzoni – di ridare allo Stato la consapevolezza dei propri valori religiosi e di riconoscere che vi erano anche valori altri, diversi da quelli veicolati dal cristianesimo.

Nel nostro Paese, la “pace” (libertà religiosa) poteva essere conseguita solo componendo l’antitesi tra “religione dello Stato” e “religione della Chiesa”[129]. Su queste basi, il 14 marzo 1947, Pettazzoni annotò un appunto propedeutico alla relazione che sarebbe stata letta, l’anno successivo, al “Congresso della Cultura Italiana” (Firenze, 2-3 aprile 1948) che, se vogliamo, contribuisce a chiarire i concetti appena espressi[130]:

 

Libertà è oggi un’esigenza altrettanto santa quanto quella della religiosità. Libertà e religione sono termini difficili da conciliare, c’è nella religione (anche etimologicamente) un senso di vincolo, di obbligatorietà, eppure è in fondo a questa via che si trova la pace religiosa. Essa presuppone, in ultima analisi, una chiarificazione del concetto di religione nel senso di un ampliamento. Bisogna convincersi che non conta soltanto la “Religione dell’Uomo”, ma che conta anche la “Religione dello Stato”, della vita nazionale, della comunità: la religione della vita di questo mondo. Bisogna (e sarà la cosa più difficile) che la Chiesa riconosca questa formula che è suffragata da tutta la storia religiosa (dell’umanità)[131].

 

L’opposizione, o meglio il contrasto, fra i due tipi di religione diventa un principio ermeneutico più esteso e, soprattutto, una chiave di lettura utile per la società contemporanea. Pettazzoni non accoglie quello che lui stesso chiama “laicismo rinunciatario”: una concezione della laicità che – nei tempi a venire – sarebbe stata oggetto di controversie e polemiche intense, in particolare in ambito sociologico, sulla modernità «intesa come programmatica eliminazione dalla sfera pubblica delle scelte di ordine religioso, demandate ad altre dimensioni della vita umana»[132].

Nella visione di Pettazzoni, la laicità non può e non deve assumere questa forma tenue: deve, invece, proporsi come una vera fede:

 

la laicità non deve essere a-religiosa o irreligiosa, bensì religiosa[133];

 

il che – naturalmente – non vuol dire che debba surrogare le religioni storiche, ma – certamente – possa abbinarsi ad esse[134]. Non si può fare a meno della religione, poiché trattasi di un «elemento immanente della civiltà»[135].

Nell’espressione “cultura religiosa” era già implicito un intrinseco dissidio: la cultura è libertà; la religione, invece, è un vincolo che porta in sé una nota di costrizione e di limitazione della libertà. Due quesiti, in particolare, richiedevano un’adeguata soluzione.

Come si concilia il concetto di libertà con quello di religione?

Come si concilia la cultura, intesa come libertà, con la religione, pensata come vincolo, ossia come volontaria limitazione della libertà?

La cultura religiosa era particolarmente indicata per adempiere questa funzione mediatrice: essa, infatti, come cultura e, quindi, come libertà, comprende e giustifica la religione come libera rinuncia alla libertà; annovera la religione come vincolo che impegna l’uomo, ma conosce forme diverse di questo vincolo e le giustifica tutte, ritenendo che questa sua giustificazione, questo riconoscimento, valga sia per l’uomo religioso sia per il credente. La religione, dunque, è vincolo ma tale condizione assume storicamente fisionomie eterogenee; ogni vincolo è, pertanto, una religione differente. Il credente è portato a vincolarsi personalmente mediante la propria religione e a presentare la sua forma religiosa come vera di fronte alla quale tutte le altre risultano false; di conseguenza, l’uomo religioso è portato ad assumere il rapporto cui egli aderisce come l’unico legame fuori del quale non c’è e non può esservi salvezza. Tale assunto implica una posizione di esclusivismo, assolutismo e totalitarismo, che si distingue dalla cultura come libertà[136]. All’assolutismo religioso, la cultura oppone il liberalismo, laddove il totalitarismo contiene in sé il germe della contesa e non quello della pace[137]. L’esclusivismo religioso – secondo Pettazzoni – ritrae un profilo di “non cultura” o, per lo meno, di una non adeguata cultura religiosa[138].

Non era semplice offrire rimedi efficaci a uno stato di cose che affondava le sue radici in una tradizione millenaria e, tuttavia, alcuni principi elementari potevano essere colti a tutto vantaggio della pacificazione culturale e, al contempo, religiosa. L’idea che il cristianesimo non è tutta la religione e che la storia religiosa d’Italia non inizia con il cristianesimo, ma ha un suo preludio che risale all’epoca pagana, cioè al periodo pre-cristiano; l’idea che l’uomo può religiosamente salvarsi al di fuori e indipendentemente dalla sua adesione a un particolare credo e dalla sua appartenenza a una particolare società religiosa (visione contraria all’antica formula extra Ecclesiam nulla salus), era uno dei dati essenziali che avrebbero dovuto far parte di un patrimonio culturale condiviso[139].

La religione è basilare all’interno di ogni sistema politico e sociale, poiché serve a irradiare e purificare il nucleo spirituale comune a tutte le confessioni: ha – per così dire – una funzione catartica, decisiva nella ribadita libertà di coscienza, grazie alla quale gli uomini – attraverso le più diverse credenze – si sentono uniti nella ricerca dell’extraumano che, per ciascuno di essi, costituisce una rappresentazione della sola verità. La Storia delle religioni – su tale sfondo – doveva farsi interprete del tentativo di fornire una soluzione convincente al problema che la stessa disciplina implicava, ossia quello di una religiosità che si liberava, nel corso della storia, della gravità di superstizioni, esclusivismi e fanatismi, recuperando le sue più alte e nobili espressioni di tolleranza nella viva comprensione delle idee altrui, respingendo qualsiasi costrizione e qualunque sopraffazione; in altre parole, una religiosità laica che fosse, a pieno titolo, la più importante conquista della cultura moderna.

 

 

 

2.7. – Libertà religiosa e Costituzione

 

L’analisi della situazione confessionale italiana, alla luce del Concordato (1929) e della Costituzione (1948), mostrava incongruenze, ambiguità, e una non trascurabile parzialità a vantaggio della Chiesa cattolica e a discapito delle minoranze religiose[140]. A margine di tale polemica, padre Cavalli, editorialista de “La Civiltà Cattolica”, sottolineò che:

 

La Chiesa cattolica, convinta per le sue divine prerogative d’essere l’unica vera Chiesa, deve reclamare per sé sola il diritto alla libertà, perché unicamente alla verità, non mai all’errore, questo può competere; quanto alle altre religioni, essa non impugnerà la scimitarra, ma domanderà che, con i mezzi legittimi e degni della persona umana, non sia loro consentito di diffondere false dottrine. Per conseguenza in uno Stato in cui la maggioranza è cattolica, la Chiesa chiederà che all’errore non sia data esistenza legale e che, se esistono minoranze di religione diversa, queste abbiano solo un’esistenza di fatto, senza la possibilità di divulgare le loro credenze […]. La Chiesa domanderà per sé maggiori concessioni possibili, riducendosi ad accettare, come un male minore, la tolleranza di diritto degli altri culti[141].

 

Pettazzoni fece acutamente osservare come nell’attuale Carta Costituzionale s’incontrassero contraddizioni degne di nota quali, ad esempio, quella tra l’articolo 3, che garantisce la libertà religiosa individuale, e l’articolo 7, che dava alla religione cattolica una posizione privilegiata nei rapporti con lo Stato (Patti Lateranensi) e nei confronti delle altre confessioni religiose[142].

 

Art. 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese. Art. 7: Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.

I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale[143].

 

I due commi dell’articolo 7 della Costituzione – singolarmente intesi e congiuntamente esaminati – sono stati valutati «una mostruosità»[144], e la loro esegesi dà adito, ancora oggi, a tesi opposte costringendo gli interpreti, più sensibili all’esigenza di ricondurre a unità il sistema, a peripezie concettuali[145]. Piero Calamandrei, nella seduta del 4 marzo 1947, proprio in merito alla formazione del futuro primo comma del suddetto articolo, poneva una questione di metodo. Si chiedeva, infatti, il giurista, come la Chiesa potesse riconoscere la sovranità dello Stato visto che:

 

la sovranità è il presupposto di questa Costituzione: se non ci fosse sovranità, neanche potremmo darci la Costituzione. Il fatto che sia introdotto qui a riconoscere la sovranità dello Stato, del nostro Stato, un altro, sia pure augusto, personaggio, un altro, sia pure altissimo, ordinamento giuridico, questo per un giurista è un’incongruenza[146].

 

Lo Stato italiano, a voler portare fino alle sue estreme conseguenze tale aporia, avrebbe intaccato l’autonomia assiologica nel momento stesso in cui ha ammesso – come già osservava Antonio Gramsci – con la stipulazione del Concordato una «interferenza di sovranità» sul suo stesso territorio per ciò che riguarda i suoi stessi cittadini.

Quale la contropartita? Lo Stato ottiene che:

 

la Chiesa non intralci l’esercizio del potere, ma anzi lo favorisca e lo sostenga, così come una stampella sostiene l’invalido[147],

 

promuovendo quel consenso di una parte dei governati che lo Stato esplicitamente riconosce di non poter ottenere con mezzi propri: «ecco in che consiste la capitolazione dello Stato; perché, di fatto, esso accetta la tutela di una sovranità esteriore di cui, in sostanza, riconosce la superiorità»[148]. E impone, altresì, una doppia lealtà ai suoi cittadini cattolici, assoggettandoli al dovere di obbedire non solo al governo secolare del loro paese, ma anche al pontefice[149]. L’incoerenza, peraltro, esisteva e costituiva un problema politico, poiché era in gioco la stessa libertà religiosa, ossia una delle più grandi conquiste della società moderna[150].

Già nel luglio 1948, il periodico “Conscience et Liberté”, organo dell’“Association Internationale pour la Défense de la Liberté Religieuse” (fondata, a Parigi, da Jean Nussbaum nel 1946), sorta con l’adesione di uomini d’ogni fede e nazionalità contro l’intolleranza e il settarismo in tutte le sue manifestazioni, pubblicava (nel primo numero, accanto a un messaggio della signora Eleanor Roosevelt (1884-1962) e a vari articoli di laici e religiosi cattolici) uno scritto di un valdese italiano, Giovanni Gonnet (1909-1997), su “La condition de la liberté religieuse en Italie”, in cui l’autore, dopo uno sguardo retrospettivo alla lotta per la libertà religiosa in Italia nelle sue fasi salienti del 1848, 1929 e 1947, pur riconoscendo i miglioramenti apportati dalla nuova Costituzione, segnalava gli equivoci e i compromessi di vario genere e origine della Carta attuale, che, di fatto, limitavano la libertà religiosa nell’atto stesso in cui essa fu proclamata[151].

 

 

2.8. – La scomunica dei comunisti

 

In questo clima inquieto, una notizia inaspettata suscitò non poco scalpore nell’opinione publica: un decreto della Suprema Sacra Congregazione del Sant’Uffizio, inserito nel fascicolo degli “Acta Apostolicae Sedis”, emesso il 2 luglio 1949, conteneva la risposta a precisi quesiti:

 

1) se sia lecito iscriversi a Partiti Comunisti o dare ad essi appoggio; 2) se sia lecito pubblicare, diffondere o leggere libri, periodici, giornali o fogli volanti, che sostengono la dottrina del comunismo, o collaborare in essi con degli scritti; 3) se i fedeli, che compiono consapevolmente e liberamente atti di cui ai nn. 1 e 2, possano essere ammessi ai Sacramenti; 4) se i fedeli che professano la dottrina del comunismo, materialista e anticristiano, ed anzitutto coloro che la difendono o se ne fanno propagandisti, incorrano ipso facto, come apostati della fede cattolica, nella scomunica in modo speciale riservata alla Sede Apostolica[152].

 

Stando a quanto riportato da “L’Osservatore Romano”, in data 15 luglio 1949, i Padri eminentissimi et reverendissimi, preposti alla tutela della fede e dei costumi, nell’adunanza del 28 giugno, hanno optato per un riscontro negativo alle prime tre istanze, affermativo alla quarta[153].

Da parte comunista, la disposizione fu considerata un vero e proprio atto politico contrario[154]. I socialisti, Pietro Nenni (1891-1980) in testa, fecero notare che il provvedimento non li riguardava, esigendo – però – l’onore di avere il medesimo trattamento, giacché essi conducevano una lotta serrata contro gli stessi avversari della pace e della democrazia. E anche i cattolici osservanti furono scossi dalla misura ecclesiastica[155].

 

Ora se c’è cosa che appare chiara a tutti, è che nessun fascista, nessun nazista, ha mostrato di sentirsi condannato dalla Chiesa […]. Per l’Italia sappiamo benissimo che non c’è mai stato fascista dei più decisi – campagna razziale, repubblica di Salò, brigate nere, ecc. – che si sia mai visto chiedersi ritrattazioni, non c’è mai stato monito di autorità ecclesiastica nel senso di non doversi considerare come buoni cattolici tali fascisti, mai lettera vescovile che desse il bando a fogli fascisti da circoli parrocchiali o dalle famiglie cattoliche[156].

 

Pettazzoni, dal canto suo, non evitò di fornire la propria valutazione, manifestando una critica pungente:

 

La cosiddetta religione del comunismo (carattere religioso del comunismo), se esiste, esiste come forma del tipo della religione di questo mondo contro il tipo della religione dell’altro mondo. La scomunica del comunismo è una ingerenza dell’altro mondo su questo mondo[157].

 

Questa critica fu reiterata in uno scambio epistolare con Guido Calogero (1904-1986), intercorso tra il 26 Settembre e il 12 Dicembre 1949. Pettazzoni rilevò come l’atmosfera italiana fosse sempre più soffocante e Calogero replicò affermando che l’Italia stava diventando una theocracy o, peggio, una priestly domination, come testimoniano alcuni contributi del biennio 1949-1950 [158].

 

 

2.10. – La “Chiesa di Cristo”

 

Appare di notevole interesse, in questa prospettiva, una vicenda risalente al 1952 e, quindi, contingente alla pubblicazione del libro Italia religiosa di Pettazzoni. Il 23 settembre di quell’anno, la Prefettura di Roma emise un’ordinanza d’interdizione all’esercizio del culto nel tempio della Chiesa di Cristo, una sètta evangelica sita in via Achille Papa (nei pressi di Piazza Mazzini), e minacciò il sequestro di tutto l’arredamento in caso d’inosservanza. Contro tale provvedimento, per mezzo dell’avvocato Giacomo Rosapepe, fu presentato ricorso al Prefetto e, contestualmente, sporta denuncia all’Autorità Giudiziaria per la tutela dei diritti violati. Nel fare opposizione, la Chiesa di Cristo (fondata dai missionari americani Cline Paden, Carl Mitchell e Carl Hecker) si appellò agli articoli 8 e 19 della Costituzione, secondo i quali:

 

La libertà religiosa è garantita per tutti […]. Tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere dinanzi alla legge e hanno pieno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, di fare propaganda ed esercitare in pubblico e in privato il culto purché non si tratti di rito contrario al buon costume[159].

 

Di fronte a queste chiare norme costituzionali – sostennero i ricorrenti – doveva intendersi implicitamente abrogata e decaduta la Legge del 1929 che richiedeva, per l’esercizio del culto, determinate autorizzazioni amministrative, ma ovviamente la vicenda, pur facendo rumore, non ebbe alcun seguito[160].

Qualche mese dopo, ricordando tali eventi, Arturo Carlo Jemolo (1891-1981) dirà:

 

Voler comprimere o stroncare una religione, fosse anche la più assurda, con la polizia e con la coercizione, è un delitto contro la dignità umana[161].

 

 

2.10. – Il caso Gonnet

 

Nel dicembre 1953, Giovanni Gonnet fu protagonista di un fatto assai increscioso. La Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Messina deliberò, con voto unanime, di conferire la cattedra di Storia del cristianesimo al pastore valdese, ma il Consiglio di Facoltà, probabilmente per motivi extra-scientifici, gli negò il posto[162]. Ne scaturì un’aspra protesta che, qui, riportiamo:

 

l’Associazione italiana per la libertà della cultura, venuta a conoscenza del fatto accaduto di recente nell’Università di Messina, dove a un docente, perché di confessione valdese, è stato tolto un incarico di disciplina storica, protesta pubblicamente per questa nuova violazione della libertà religiosa che viene a menomare gravemente anche la libertà d’insegnamento. L’Associazione denuncia, in particolare, il comportamento del Consiglio della Facoltà di Lettere e Filosofia di quell’Università che, nel giro di 8 giorni, dopo aver assegnato unanimemente a quel docente – riconosciuto di indubbio merito – l’incarico di Storia del Cristianesimo, in una successiva seduta sopprimeva, addirittura, tale corso, dichiarato inutile, anzi dannoso quando affidato a persona di confessione non cattolica[163].

 

Si trattava di riformare (o, forse, di cassare) il regime concordatario, per ragioni di logica e di civiltà. Il principio stesso dei Patti Lateranensi appariva inconciliabile con un sistema democratico liberale: un accordo tra lo Stato e la Chiesa in base al quale i cittadini appartenenti alla seconda – le gerarchie ecclesiastiche e i fedeli – avessero diritti, privilegi e peculiari obblighi, diversi da quelli comuni agli altri cittadini, rappresentava una violazione del principio di uguaglianza[164].

Un apparato siffatto avrebbe avuto senso in presenza di regimi autoritari o totalitari, nei confronti dei quali le chiese – mediante accordi speciali – per un verso avrebbero assicurato solo a sé stesse spazi di libertà, mentre per un altro verso avrebbero realizzato intese di potere.

Pettazzoni desiderava tenacemente che si creassero le basi per una libertà religiosa autentica, basata sul riconoscimento della piena uguaglianza di ogni cittadino e di ciascuna confessione[165]. Era questa la più sicura garanzia non solo per le minoranze religiose, ma anche per quanti professavano la religione maggioritaria, com’era in Italia quella cattolica[166]. Per conseguire tale obiettivo (non ancora completamente attuato), occorreva modificare gli articoli 7, 8 e 19 della Costituzione (che sembrano fondare sull’ineguaglianza giuridica le relazioni fra lo Stato e le Chiese)[167].

 

Art. 8: Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.

I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze[168].

Art. 19: Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume[169].

 

 

2.11. – Dalla libertà di religione al multiculturalismo

 

Il riconoscimento della libertà religiosa come diritto fondamentale della persona e la dichiarazione di uguale libertà e di uguale diritto di organizzarsi per tutte le confessioni religiose erano le proposte che gli intellettuali laici chiedevano alla cultura. Il problema doveva essere percepito in maniera netta anche in epoca posteriore se Arturo Carlo Jemolo, in una relazione tenuta all’Accademia Nazionale dei Lincei, l’11 dicembre 1965, affermò:

 

Ho sempre confessato di non amare la vigente Costituzione, pur con completa adesione al regime che ha instaurato e alle sue grandi direttive, di non amarla per tutto ciò che ha di enfatico, di espressioni dal significato vago (stampi che possono accogliere qualsiasi contenuto), di buoni propositi che nulla hanno di giuridico[170].

 

Qualche anno dopo, in un articolo redatto per celebrare il trentesimo anniversario (1978) dell’avvento della Costituzione repubblicana (1948), lo studioso tornò a parlare della Legge fondamentale, giudicandola ancora:

 

troppo enfatica, con troppe promesse vaghe ed alcune non mantenibili[171].

 

Traspariva con notevole evidenza il rapporto complesso e per nulla idilliaco del giurista con la Carta, della quale apprezzava certamente l’impostazione di fondo, rimproverandole – però – la nebulosità di molte disposizioni. Più specificamente, l’essere una Costituzione il compromesso tra forze opposte e, per taluni versi, contrarie aveva dato vita, secondo la sua opinione, «a formule che potevano significare tutto o niente, ricevere le applicazioni più antitetiche»[172]: si erano, così, poste le basi di uno Stato che non appariva capitalista, ma neppure socialista e, soprattutto, né «laico» né «confessionale»[173].

L’espressione libertà religiosa – com’è noto – esprime valenze composite[174]. È, da qualche tempo, acquisito al patrimonio dei convincimenti della coscienza sociale, prima ancora che a quello della dottrina giuridica, che laicità dello Stato e libertà religiosa siano due facce della stessa medaglia, inscindibili nei loro contenuti e nel loro significato complessivo[175]. Non si dubita più, quindi, che la libertà religiosa, di là dalle specifiche previsioni costituzionali (art. 19) o legislative, costituisca uno dei diritti inviolabili dell’uomo (art. 2) su cui si regge ogni Stato democratico, il quale, per essere tale, non può legittimare esclusivismi e condizionamenti, ma deve essere neutrale, cioè imparziale rispetto alle differenti visioni religiose; in altri termini, deve essere obiettivo, pur se nei limiti previsti dall’articolo 3, comma 2 della Costituzione, che gli demanda l’impegno alla rimozione degli ostacoli che limitano la libertà (religiosa) e impediscono alla persona di essere coerente con una determinata visione della vita. Equidistanza, dunque, non intesa come un atteggiamento d’indifferenza di fronte all’esperienza religiosa, quanto piuttosto come la necessaria giustizia della legislazione rispetto a tutte le confessioni religiose[176].

Riguardando il modo in cui il diritto di libertà religiosa è andato attuandosi nel nostro ordinamento, alcuni hanno lamentato l’inadeguatezza delle norme costituzionali in materia religiosa, sostenendo che esse sarebbero nate già arretrate rispetto ai problemi reali che erano  progressivamente emersi nella società durante i lavori dell’Assemblea Costituente, mentre  altri hanno addebitato la costante violazione della libertà religiosa  all’incompletezza e  alla  ridotta portata  innovativa  delle disposizioni costituzionali – caratterizzate, come in passato, da un esiguo legame con la libertà di pensiero, con il favor libertatis o con i diritti collettivi – le quali si sarebbero limitate «a garantire solo le manifestazioni esterne delle libertà religiosa, [senza] riguardare anche gli aspetti interiori, considerare la libertà come un valore e cioè come un principio»[177].

In un mondo caratterizzato da esperienze multiculturali in continuo divenire, è necessario elaborare nuovi modelli di convivenza, improntati al pluralismo[178].

Il peso della religione è cospicuo e, per certi versi, basilare, a dispetto di quanto affermato da Bryan Wilson[179]: come non pensare, ad esempio, al rapporto fra violenza e religione[180]?

Friedrich Heiler (1892-1967), in un discorso pronunciato al “IX Congresso Internazionale di Storia delle religioni”, tenutosi a Tokyo tra l’agosto e il settembre del 1958, osservò come lo studio imparziale delle religioni, fornendo una quantità di visioni diverse, avesse contribuito a demolire pregiudizi secolari[181]: tali pregiudizi hanno, sovente, provocato aspri conflitti, in nome della religione, e, tuttora, creano barriere alla reciproca comprensione e alla partecipazione interculturale[182].

Ai grandi interrogativi che si riferiscono alla diffusione delle idee e alle prassi di pace, di libertà e di giustizia sociale, la risposta della “Commissione Internazionale sull’Educazione per il XXI secolo” è stata quella di mettere in risalto uno dei pilastri su cui fondare ogni futura educazione: quello di imparare a vivere insieme, sviluppando una comprensione degli altri e della loro storia, delle loro tradizioni e dei loro valori spirituali, e creando su questa base un nuovo spirito che, conscio della crescente interdipendenza di tutti da tutti, potrà indurre gli uomini ad attuare progetti comuni e ad affrontare gli inevitabili conflitti in maniera intelligente e pacifica. Uno dei compiti dell’educazione è:

 

insegnare la diversità della razza umana e, al tempo stesso, educare la consapevolezza delle somiglianze e dell’interdipendenza fra tutti gli esseri umani. Se si devono capire gli altri, è necessario, anzitutto, capire sé stessi. La scuola deve aiutare i giovani a capire chi sono. Solo allora essi saranno in grado di mettersi nei panni degli altri e capirne le reazioni. Sviluppare questa empatia nella scuola produce frutti in termini di comportamento sociale per tutta la vita. Per esempio, insegnando ai giovani ad adottare il punto di vista degli altri gruppi etnici e religiosi, si può evitare quella mancanza di comprensione che porta all’odio e alla violenza tra adulti. L’insegnamento della Storia delle religioni e dei costumi può servire come un utile punto di riferimento per il comportamento futuro[183].

 

Tutte le istituzioni dovrebbero prendere atto che la necessità di ridare autorità alle scienze religiose non è un problema privato o interno alle singole chiese, ma è una necessità globale. Gli studi sulle religioni del mondo costituiscono un patrimonio strategico di prima importanza per impedire lo scontro culturale. È, dunque, evidente come il discorso sul religioso costituisca una parte importante della grammatica della civiltà[184].

Raffaele Pettazzoni, nelle trame di questo scenario, appare decisamente un precursore: le sue istanze hanno, infatti, anticipato di sei decadi la formulazione di una proposta di Legge Costituzionale che, però, non ha avuto gli esiti sperati[185].

 

Articolo 1. L’articolo 7 della Costituzione è sostituito dal seguente: “La Repubblica riconosce la libertà religiosa quale diritto fondamentale della persona”; Articolo 2. L’articolo 8 della Costituzione è sostituito dal seguente: “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge e hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e con i diritti inviolabili della persona”. Articolo 3. L’articolo 19 della Costituzione è sostituito dal seguente: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al rispetto dei diritti inviolabili della persona”.

 

 

 

 

 



[53] M. Gandini (a cura di), Religione e società, cit., p. 122. A Bologna, Pettazzoni fu allievo di Giosuè Carducci e qui assimilò l’orientamento positivista di alcuni docenti, che lo caratterizzò soprattutto nel periodo giovanile. Cfr. A.A. Mola, Giosuè Carducci. Scrittore, politico, massone, Bompiani, Milano 2006, p. 263, p. 397, p. 486 e passim. Nel 1909, dopo aver frequentato la Scuola Italiana di Archeologia, pubblicò il suo primo volume a carattere “storico-religioso”: Le origini dei Kabiri nelle isole del Mar Tracio, Tipografia della Reale Accademia dei Lincei, Roma 1909.

[54] A. Brelich  (a cura di), Gli ultimi appunti di Raffaele Pettazzoni, in «Studi e Materiali di Storia delle Religioni» 31 [1960], pp. 23-55, partic., p. 33. Su questo punto, cfr. V.S. Severino, La religione di questo mondo in Raffaele Pettazzoni, cit., pp. 130-141; E.  Montanari, Il concetto di “mistero” in Raffaele Pettazzoni, in «Mythos» 3 [2009], pp. 157-167.

[55] E. de Martino, a. Donini, M. Gandini (a cura di), Raffaele Pettazzoni e gli studi storico-religiosi in Italia, cit., p. 87. Le speranze di un movimento operaio, di stampo socialista, aperto ai problemi del mondo religioso troveranno spazio in: R. Pettazzoni, Socialismo e cultura storico-religiosa, in «Mondo Operaio» 10, 1 [1957], p. 51; dello stesso tenore, si veda pure: A.M. cirese, Battaglia storicistica e storia delle religioni, in «Mondo Operaio» 9, 12 [1956], pp. 734-735; cfr. anche: L. Arbizzani, Giornalismo a Persiceto dall’Unità d’Italia al 1926, in «Strada Maestra» 2 [1969], pp. 158-159; p. 175; p. 178; P. Audenino, Etica laica e rappresentazione del futuro nella cultura socialista dei primi del Novecento, in «Società e Storia» 5, 18 [1982], pp. 877-919. Nell’enciclica Libertas del 1888, Papa Leone xiii aveva precisato il punto di vista cattolico contro liberali e socialisti, epigoni della tradizione illuministica, sostenendo che «non è assolutamente lecito invocare, difendere, concedere una ibrida libertà di pensiero, di stampa, di parola, d’insegnamento o di culto, come fossero altrettanti diritti che la natura ha attribuito all’uomo. Infatti, se veramente la natura li avesse concessi, sarebbe lecito ricusare il dominio di Dio, e la libertà umana non potrebbe essere limitata da alcuna legge». Per approfondire i rapporti fra Stato e Chiesa cattolica, prima, durante e dopo la Rivoluzione Francese (1789-1799), cfr. D. Menozzi, Cristianesimo e Rivoluzione Francese, Queriniana, Brescia 1983, p. 106 ss.; L. Mezzadri, La Rivoluzione Francese e la Chiesa. Fatti, documenti, interpretazioni, Città Nuova, Roma 2004.

[56] P. toschi, Raffaele Pettazzoni, cit., p. 50.

[57] R. Pettazzoni, Riforme educative. Discorso pronunciato nel Palazzo comunale di San Giovanni in Persiceto, il di 5 d’ottobre dell’anno 1902, nell’occasione della premiazione scolastica, Tip. C. Guerzoni e Figlio, Persiceto 1902, in M. Gandini (a cura di), Raffaele Pettazzoni dalla nascita alla laurea (1883-1905), cit., pp. 84-89.

[58] Ivi.

[59] Ivi.

[60] Pensieri e riflessioni che torneranno anche più avanti.  Cfr.  R.  Pettazzoni, Per l’istruzione, per l’educazione, per la cultura, in «Il Lavoro» 4, 69 (=17) [11 agosto 1907], p. 1.

[61] M. gandini (a cura di), Raffaele Pettazzoni. Autodidatta nello studio della storia delle religioni e alunno della scuola italiana di archeologia (1905-1907), in «Strada Maestra» 32, 1 [1992], p. 220.

[62] G. Weill, Histoire de l’idée laïque en France au XIX siècle; préface par Jean-Michelle Ducomte, Hachette, Paris 1929; M. Ozouf, L’École, l’Église et la République 1871-1914, Seuil, Paris 1992.

[63] J.B.  trotabas, La notion de laïcité dans le droit de l’église catholique et de l’état républicain, Librairie générale de droit et de jurisprudence R. Pichon et R. Durand-Auzias, Paris 1961; cfr. anche: G. Angelini, La laicità dello Stato come problema filosofico e teologico, in G. Dalla Torre (a cura di), Ripensare la laicità: il problema della laicità nell’esperienza giuridica contemporanea. Atti del Colloquio nazionale alla Libera Università Maria Santissima Assunta – LUMSA, Giappichelli, Torino 1993, pp. 7-38, partic., pp. 7-9).

[64] J. Hennesey, La lotta per la purezza dottrinale di una Chiesa arroccata. Da Leone XIII a Pio XII, in G. Alberigo, A. Riccardi (a cura di), Chiesa e papato nel mondo contemporaneo, Laterza, Roma-Bari 1990, pp. 123-167.

[65] Cfr. V. Ferrone, Le radici illuministiche della libertà religiosa, in G. Preterossi (a cura di), Le ragioni dei laici, Laterza, Bari-Roma 2005, pp. 57-78, passim.

[66] Ibid., p. 77;  cfr.  anche:  J.  Morange, Le Régime constitutionnel des cultes  en France, in AA.VV., Le statut constitutionnel des cultes dans les pays de l’union européenne, Actes du colloque, Université de Paris XI, 18-19 novembre 1994, Giuffrè, Milano 1995, pp. 119-138.

[67] L. Prezzi, Il laico nella Chiesa: una parola mille problemi, in «Il Regno» 31, 10 [15 maggio 1986], pp. 278-282; G. Saraceni, Laico. Travagliata semantica di un termine, in M. Tedeschi (a cura di), Il principio di laicità nello Stato democratico, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1996, pp. 49-57, partic., n. 6.

[68] Su questo tema, la bibliografia è vastissima; ai nostri fini, cfr. i saggi contenuti  in M. Tedeschi (a cura di), Il principio di laicità nello Stato democratico, cit.; G. Miccoli, Fra mito della cristianità e secolarizzazione. Studi sul rapporto Chiesa-Società nell’età contemporanea, Marietti, Casale Monferrato 1985; M. Vigli, Contaminazioni. Un percorso di laicità fuori dai templi e dalle religioni; prefazione di Sergio Lariccia, Edizioni Dedalo, Bari 2006; G. Miccoli., Sulla storia del concetto di laicità, in «Studi e Materiali di Storia delle Religioni» 76, 1 [2010], pp. 257-265; C. Crosato, Dal laicismo alla laicità. La via dell’inclusione dialogica: possibilità e criticità, Armando Editore, Roma 2016, partic., pp. 17-24.

[69] L.H. Jordan (in Collaboration with B. Labanca), The Study of Religion in the Italian Universities, Oxford University Press, London 1909.

[70] Cfr. M. Gandini (a cura di), Raffaele Pettazzoni. Dall’archeologia all’etnologia (1909-1911). Materiali per una biografia, in «Strada Maestra» 34, 1 [1993], pp. 95-227, partic., p. 135. Non c’è ancora un nesso tra il concetto di “paura” e quello di “mistero”. Uno sviluppo più concreto in tal senso avverrà quando Pettazzoni comincerà a trattare il tema delle “origini dell’idea di Dio”. Cfr. R. Pettazzoni, Le origini dell’idea di Dio, in V. Reina (a cura di), Atti della Società Italiana per il Progresso delle Scienze – Settima Riunione, Siena 1913, Società Italiana per il Progresso delle Scienze, Roma 1914, pp. 647-674.

[71] Vittorio Lanternari, Il culto dell’acqua nella Sardegna arcaica, in «Annali del Museo Pitrè» II-IV [1951-1953], pp. 105-120, scrisse tra l’altro: «Lo sviluppo della storia religiosa protosarda architettato con larghezza di comparazioni etnologiche e storico-religiose dal Pettazzoni fu il primo tentativo d’una applicazione seria e sintetica in questo campo» (p. 106). Al riguardo, cfr. anche: A. Saggioro, Sardinia – Ichnoussa. Questioni di metodo per una storia religiosa della Sardegna, Bulzoni, Roma 2003, pp. 139-162. Poco più di cinquant’anni dopo la pubblicazione del libro di Pettazzoni, lo storico delle religioni Mircea Eliade, The History of Religions in Retrospect: 1912-1962, in «Journal of Bible and Religion» 31, 2 [1963], pp. 98-107, scriverà che il 1912 segna una data rilevante nella storia dello studio scientifico delle religioni: É. Durkheim pubblica Les formes élémentaires de le vie religieuse. Le système totémique en Australie, F. Alcan, Paris 1912; W. Schmidt  redige il primo volume (Historisch-Kritischer Teil) della monumentale Der Ursprung der Gottesidee, Aschendorff, Münster in Westfalen 1912-1955); C.G. Jung licenzia le bozze dell’opera Wandlungen und Symbole der Libido, Denticke Verlag, Leipzig und Wien 1912; S. Freud  realizza la prima parte delle Übereinstimmungen im Seelenleben der Wilden und der Neurotiker (il lavoro completo avrà, poi, il titolo Totem und Tabu, Leipzig-Wien 1913). Questi quattro autori, nessuno dei quali è uno storico delle religioni, applicavano metodi in parte nuovi nell’approccio allo studio della religione; le loro teorie avranno riflessi notevoli sulla vita culturale del Novecento. Nel panorama italiano c’è da segnalare l’introduzione dell’insegnamento universitario di Storia delle religioni nelle Università (per merito di Uberto Pestalozza, da R. Pettazzoni definito: «l’operoso pioniere degli studi storico-religiosi italiani», in Recensione a Religione mediterranea, in «Studi e Materiali di Storia delle Religioni» 23 [1950-1951], p. 180); vede, inoltre, la luce il Manuale di Storia delle Religioni di N. Turchi (F.lli Bocca Editori, Torino).

[72] Il giudizio di Pettazzoni sul Modernismo e sulla Storia delle religioni è stato richiamato e condiviso, dopo oltre cinquant’anni, da U. Bianchi, La Storia delle religioni, cit., pp. 129-131. Cfr. anche: R. Alciati, Modernismo fra archivi e riviste. In margine ad alcune pubblicazioni recenti, in «Studi e Materiali di Storia delle Religioni» 77, 1 [2011], pp. 204-224.

[73] E.  Buonaiuti, La cultura critico-religiosa, in «L’Italia che scrive» 2 [1919], pp. 151-152, partic., p. 151; Id., Pellegrino di Roma: la generazione dell’esodo, a cura di M. Niccoli, Laterza, Bari 19642, pp. 142-143.

[74] E. Buonaiuti, Pellegrino di Roma, cit., pp. 144-145.

[75] Ibid., pp. 145-146.

[76] Ad esempio, nel primo bollettino di Pettazzoni non c’era una nota di biasimo per l’Orpheus di Salomon Reinach (in proposito, cfr. F. Rubbiani, La Rivista di Scienza delle Religioni condannata! in «Bilychnis» 7 [1916], p. 480, che riferisce le vicende citate nel testo).

[77] R. Pettazzoni, L’Essere celeste nelle credenze dei popoli primitivi, Tipografia del Senato, Roma 1916.

[78] Sulla querelle accennata nel testo, cfr. A.M. Di Nola, Un’eredità pettazzoniana: Pensiero laico e Storicismo, in «Idoc Internazionale» 14, 6-7 [1983], pp. 30-40; cfr. anche: A. Lang, Myth, Ritual and Religion, Longmans, Green & Company, London 1913; W. Schmidt, Der Ursprung der Gottesidee, cit.

[79] G. Gonnet, Il caso Buonaiuti o il braccio secolare in Italia (articolo pubblicato su Semeur Vaudois di Losanna, il 1° giugno 1946), in «Il Ponte» 37, 7-8 [1981], pp. 651-654; cfr. anche: V. Vinay, Ernesto Buonaiuti e l’Italia religiosa del suo tempo, Libreria Editrice Claudiana, Torre Pellice 1956; G. Capone, L’utopia politico-religiosa di Ernesto Buonaiuti, in «Idee» 31-32 [1996], pp. 35-69.

[80] L. Bedeschi, Il processo del Sant’Uffizio contro i modernisti romani, in «Fonti       e Documenti» 7 [1978], pp. 7-93, partic., pp. 64-68. Nel Fondo Pettazzoni della Biblioteca “Giulio Cesare Croce” di San Giovanni in Persiceto (Bologna) sono conservate alcune lettere scritte da Buonaiuti a Pettazzoni, tra il 1916 e il 1941, periodo in cui la Storia delle religioni diventò una disciplina universitaria aprendosi, contestualmente, agli studi europei. Sebbene la corrispondenza non sia cospicua, il carteggio offre un interessante spaccato dell’ambiente culturale dell’epoca. In merito, cfr. ad esempio: P.S. Baghini, Ernesto Buonaiuti e Raffaele Pettazzoni. Alcune lettere inedite, 1916-1930, in «Studi e Materiali di Storia delle Religioni» 77, 1 [2011], pp. 42-64. Sulla raccolta documentaria relativa a Raffaele Pettazzoni, cfr. M. Gandini, Il Fondo Pettazzoni della Biblioteca “G.C. Croce” di San Giovanni in Persiceto (Bologna), in «Archaeus» 7 [2003], pp. 293-297.

[81] Utili informazioni sul tentativo di Pettazzoni di far sopravvivere la rivista, malgrado il provvedimento di condanna delle autorità ecclesiastiche, possono essere rintracciate in P.A. Carozzi (a cura di), Lettere inedite di Raffaele Pettazzoni a Giorgio Levi Della Vida, 1916-1919, in «Studi Storico-Religiosi» II, 3, 2 [1979], pp. 213-239.

[82] Cfr. E. Rosa, Religio irreligiosa: a proposito della scomunica contro Ernesto Buonaiuti, in «La Civiltà Cattolica» 72, 1 [1921], pp. 221-238.  Sulla questione delle “pubblicazioni religiose” dell’epoca in esame, cfr. N. Spineto, La storia delle religioni nelle riviste italiane d’inizio secolo, in M. Benedetti, D. Saresella, La riforma della Chiesa nelle riviste religiose d’inizio secolo, Edizioni Biblioteca Francescana, Milano 2010, pp. 283-311; cfr. anche: L. Demofonti, La riforma nell’Italia del primo Novecento. Gruppi e riviste di ispirazione evangelica, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2003.

[83] Cit. in: M. Gandini  (a cura di), Raffaele  Pettazzoni nel  Primo  Dopoguerra, 1919-1922. Materiali per una biografia, in «Strada Maestra» 44, 1 [1998], pp. 97-214, partic., p. 125.  Per assicurare all’Italia una collezione di monografie storico-religiose redatte con scrupoloso criterio scientifico,  Pettazzoni si adopererà con il massimo zelo: per vent’anni terrà la corrispondenza con i collaboratori italiani e stranieri; si occuperà della stampa suscitando le proteste dei tipografi e s’interesserà, presso studiosi e direttori di riviste, per ottenere recensioni. Nel 1920 fu messa all’indice anche la Rivista Trimestrale di Studi Filosofici e Religiosi, tuttavia il suo fondatore, Alessandro Bonucci (1883-1925), non si lasciò intimorire e ne continuò la pubblicazione a proprie spese fino al 1923.  Nel 1921 un giovane orientalista, Giuseppe Tucci (1894-1984), inaugurò la rivista Alle Fonti delle Religioni che si proponeva, soprattutto, di rendere accessibili, a chi ne ignorasse le lingue originali, i principali testi sacri delle varie culture orientali.  Tuttavia, il periodico intendeva diffondere una più adeguata conoscenza di quei valori umani assoluti che dèi o uomini avevano rivelato, in tempi e luoghi diversi, all’umanità.  Anche questa pubblicazione non ebbe vita facile e cesserà nel 1924, per essere inglobata in seguito da Studi e Materiali di Storia delle Religioni, diretta – per l’appunto – da Formichi, Pettazzoni e Tucci (cfr. L.  Sacco, SMSR: perché?, cit., p. 31).

[84] Sulle vicende  relative a “Gnosis”,  a  Macchioro e ai rapporti fra quest’ultimo e Pettazzoni,  cfr. E. de  Martino, Ricordo di Vittorio Macchioro. Memoria di uno studioso triestino scomparso, in «Il Piccolo» [13 gennaio 1959], ristampato in R.  Di Donato (a cura di), La contraddizione felice? Ernesto de Martino e gli altri, ETS, Pisa 1990, pp. 201-204; L.  Rebaudo, Vittorio Macchioro, storico e archeologo.  Gli scritti, in  R. Di Donato  (a cura di), La contraddizione felice? Ernesto de Martino e gli altri, cit., pp. 205-220;  M. Gandini  (a cura di), Raffaele Pettazzoni nel Primo Dopoguerra, 1919-1922, cit., pp. 97-214.  È da poco tempo disponibile la raccolta epistolare “de Martino-Macchioro-Pettazzoni” che permette di cogliere meglio l’atmosfera intellettuale del periodo. Cfr. R. Di Donato, M. Gandini (a cura di), Le intrecciate vie. Carteggi di Ernesto de Martino con Vittorio Macchioro e Raffaele Pettazzoni, ETS, Pisa 2015.

[85] Cfr. «Il progresso religioso» XI, 2 [1931], p. 2, http://www.tpsalomonreinach. mom.fr/ Reinach/ MOM_TP_129645/ MOM_TP_129645_0001/ PDF/ MOM_ TP_129645_0001.pdf (ultimo accesso, 03 agosto 2016); S. Corso, Mario Puglisi Pico (1867-1954). Dalla letteratura alla filosofia di Brentano e al metodismo laico ecumenico e teologico dell’esperienza religiosa, in «Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti degli Zelanti e dei Dafnici di Acireale: Memorie e Rendiconti» V, 6 [2007], pp. 263-285.

[86] Benedetto CroceRecensione a R. Pettazzoni, Svolgimento e carattere della storia delle religioni, in «La Critica» 22 [1924], pp. 312-313 – trovava l’istituzione della cattedra romana inutile ai fini della cultura, affermando che essa non era dovuta «ad alcun bisogno né speculativo né morale, ma unicamente ad un bisogno di erudizione, per far che l’Italia non restasse indietro agli altri paesi nel culto di tali studi, che anche in Italia vi fosse gente che avesse pratica nella relativa letteratura e, come poteva, l’accrescesse» (p. 313); cfr. anche: R. Nanini, Raffaele Pettazzoni e la fenomenologia delle religioni, cit., pp. 397-400.

[87] D. Cantimori, Conversando di Storia, Laterza, Bari 1967, p. 193.

[88] R.  Pettazzoni, La Scuola di studi storico-religiosi della Regia Università di Roma, cit.; Id., Presentazione e congedo, cit., p. V; G. Piccaluga, SMSR: una rivista, un metodo, una scuola, cit.; L. Sacco, SMSR: Perché?, cit.; Id., Pettazzoni e la Rivista Studi e Materiali di Storia delle Religioni, cit. Nei secoli passati si diceva più agevolmente “libreria”, come ci insegna la Crusca. E il Tommaseo riferisce l’episodio di quell’uomo di lettere non toscano che andato, un giorno, a visitare un suo amico, chiese al servo se il padrone fosse in biblioteca; In libreria – corresse il servo – c’è stato stamane, ma ora non c’è. Curioso è che siano adesso gli Anglo-Sassoni a chiamare libraries le loro biblioteche, con parola derivata dal latino, mentre noi italiani abbiamo abbandonato il lemma del nostro vivo parlare per riprendere quello dotto greco di biblioteca. Al riguardo, cfr. L. De Gregori, La biblioteca nuova, in «Accademie e Biblioteche d’Italia» 16, 1 [1941], pp. 3-10, partic., p. 3 (per l’aneddoto). L’istituzione di una Libreria (o Biblioteca) speciale costituì, per Raffaele Pettazzoni, un obiettivo primario; per funzionare degnamente, il nuovo insegnamento aveva bisogno di un luogo idoneo alla conservazione di quei materiali bibliografici necessari per lo svolgimento delle lezioni e utili a quanti desiderassero tentare un approfondimento delle tematiche storico-religiose. D’altra parte, si trattava di un uso comune, almeno a giudicare da quanto scriveva E. Monaci, Per le nostre biblioteche, in «Nuova Antologia» [1 marzo 1904], pp. 5-12, partic., p. 8: «E dico ancora, che non si può pretendere di aver fondata davvero una Cattedra, se contemporaneamente non la si dotò di tutto quello che è necessario al suo funzionamento, e che in una Facoltà di Lettere la dotazione indispensabile di una Cattedra sta nella Biblioteca che dovrebbe sorgerle accanto»; costume ribadito, nell’ambito universitario romano, il 10 luglio 1933: «Il Senato Accademico considera la necessità di avere in ogni Istituto o Scuola una modesta Biblioteca per le esercitazioni e per le necessità didattiche». (Cfr. AA.VV., Verbali delle adunanze del Senato Accademico della R. Università di Roma dal 18 Marzo 1932 al  5 Marzo 1934, vol. 13, p. 222 – i Verbali sono custoditi presso il Rettorato della Sapienza Università di Roma che, qui, si ringrazia per la cortese disponibilità). Per una visione d’insieme, cfr. L. Sacco, La Biblioteca del Dipartimento di Studi Storico-Religiosi, cit. Per una breve ricostruzione della storia degli studi nelle discipline storico-religiose, cfr. R. Pettazzoni, Religione, in Enciclopedia Italiana 29 [1936], pp. 25-33 (estratto); per le vicende legate alla sezione storico-religiosa dell’Enciclopedia Italiana, cfr. G. Turi, Il mecenate, il filosofo e il gesuita. L’Enciclopedia Italiana specchio della nazione, Il Mulino, Bologna 2002, pp. 218-220. Sulle origini ottocentesche di una scienza della religione nella cultura europea, cfr. G. Filoramo, Religione e ragione tra Ottocento e Novecento, Laterza, Roma-Bari 1985, pp. 251-284; per l’epoca successiva, cfr. C. Prandi, La Storia delle religioni in Italia tra XX e XXI secolo, in G. Casadio, C. Prandi (a cura di), Le scienze delle religioni nel mondo (= «Humanitas» 1 [2011], pp. 65-87).

[89] R. Pettazzoni, Svolgimento e carattere della Storia delle Religioni, cit., pp. 7-31.

[90] L. Sacco, Raffaele Pettazzoni e “Italia religiosa”, cit., p. 201; Id., Kamikaze e Shahīd. Linee guida per una comparazione storico-religiosa, Bulzoni, Roma 2005, p. 23.

[91] S. Giusti (a cura di), Storia e mitologia, con antologia di testi di Raffaele Pettazzoni, Bulzoni, Roma 1988, p. 99.

[92] Sulla “genesi” della rivista, cfr. V.S. Severino, “Ricerche religiose” e “Studi e Materiali di Storia delle Religioni”. Il sorgere di due riviste, in «Studi e Materiali di Storia delle Religioni» 72, 1 [2006], pp. 45-64.

[93] A. Momigliano, Gli Studi e Materiali di Storia delle Religioni, in «Rivista di Filologia e di Istruzione Classica» 9, 4 [1931], pp. 556-557, partic., p. 556.

[94] G. Bronzini, La cultura critico-religiosa in Italia negli ultimi anni, in «L’Italia che scrive» 17 [1934], pp. 69-70.

[95] Ivi.

[96] F. Traniello, L’editoria cattolica tra libri e riviste, in G. Turi  (a cura di), Storia dell’editoria nell’Italia contemporanea, Giunti, Firenze-Milano 1997, pp. 299-320.

[97] In proposito, cfr. R. Pettazzoni, Gli studi storico-religiosi in Italia, in «Civiltà Fascista» 5, 3 [1938], pp. 3-6; Id., La Scuola di Studi storico-religiosi della Regia Università di Roma, cit.

[98] A. Pincherle, La cultura storico-religiosa in Italia, in «L’Italia che scrive» 19 [1934], pp. 195-196; R. Pettazzoni, La formation du monothéisme, in «Revue de l’Histoire des Religions» 44, 88 [1923], pp. 193-229. Sulla polemica Pincherle-Bronzini, cfr. G. Tortorelli, L’Italia che scrive, 1918-1938. L’editoria nell’esperienza di A.F. Formiggini, Franco Angeli, Milano 1996, pp. 164-167.

[99] Giuseppe Bronzini, con una lettera al direttore pubblicata nel n. 8-9 (agosto 1934) della stessa “rivista”, a p. 233, giustificherà l’insufficienza scientifica lamentata da Pincherle con l’esiguità dello spazio concessogli dalla redazione.

[100] R. Pettazzoni, Umanità, in AA.VV., Missionari. Testimonianze di scrittori italiani, Istituto Missioni Estere, Parma 1940, pp. 44-45. Per la prima volta (e anche l’ultima) uno scritto di Pettazzoni compariva in una pubblicazione con l’imprimatur dell’autorità ecclesiastica.

[101] Cfr. Atto costitutivo del notaio Rodolfo Augusto Bavai di Roma, rogito del 30.09.1944, Repertorio 3449/1825, registrato il 05.10.1944, vol. 675, n. 8185, come riportato in: M. Gandini (a cura di), Raffaele Pettazzoni dall’estate 1943 alla primavera 1946. Materiali per una biografia, in «Strada Maestra» 57, 2 [2004], pp. 21-199, partic., p. 104.

[102] Dello Statuto abbiamo due edizioni parzialmente diverse: nella copertina di una di esse, il nome dell’“Associazione” è preceduto dalla parola “Humanitas”.

[103] A. Scarantino, Donne per la pace. Maria Bajocco Remiddi e l’Associazione internazionale madri unite per la pace nell’Italia della guerra fredda, FrancoAngeli, Milano 2006, p. 55.

[104] AA.VV., Humanitas. Associazione Internazionale Affratellamento Popoli: Notiziario, Superstampa, Roma 1948, pp. 2-3.

[105] Cfr. G. Oliva, Ai soci e ai simpatizzanti di Humanitas, in «La Cultura nel Mondo» 2, 5-6 [dicembre 1946]; M. Dipiero, Storia critica dei partiti italiani, Azienda Editrice Internazionale, Roma 1946, p. 281; A. Arcifa, Novecento inquieto, All’insegna della fiaccola, Rieti 1970, p. 22. Da segnalare, restando in tema, che Pettazzoni, nel 1950, aderì al movimento “Partigiani della pace”, sorto con l’obiettivo di scongiurare l’uso delle armi atomiche. Cfr. G. Petrangeli, I Partigiani della pace in Italia, 1948-1953, in «Italia Contemporanea» 217 [1999], pp. 667-692; Id., I Partigiani della pace: originalità e limiti di un movimento pacifista di massa, in «Critica Marxista» [2002], pp. 42-48; R. Giacomini, I Partigiani della pace. Il movimento pacifista in Italia negli anni della prima Guerra Fredda, Vangelista, Milano 1984.

[106] Le notizie riguardanti l’AUT sono esigue: ne apprendiamo l’esistenza dalle note di

M. Gandini (a cura di), Raffaele Pettazzoni dall’estate 1943 alla primavera 1946, cit., p. 104; cfr. inoltre: A. Codignola (a cura di), L’Italia e gli italiani di oggi, Il Nuovo Mondo, Genova 1947, passim.

[107] M. Gandini (a cura di), Raffaele Pettazzoni dall’estate 1943 alla primavera 1946, cit., p. 168.

[108] M. Gandini (a cura di), Raffaele Pettazzoni dall’estate 1946 all’inverno 1947-48. Materiali per una biografia, in «Strada Maestra» 58, 1 [2005], p. 70.

[109] Sul pensiero di Capitini, cfr. G. Rigano, Religione aperta e pensiero nonviolento: Aldo Capitini tra Francesco D’Assisi e Gandhi, in «Mondo Contemporaneo» 2 [2011], pp. 31-77.

[110] La relazione fu trascritta, curata e pubblicata, a margine e compendio di un mio contributo, su una rivista di area; in proposito, cfr. L. Sacco, Raffaele Pettazzoni   e “Italia religiosa”: un “enigma” storiografico?, cit., pp. 199-222 (contiene: R. Pettazzoni, La religione e i partiti politici in Italia [1946], cit., pp. 223-226).

[111] R. Pettazzoni, La religione e i partiti politici in Italia [1946], cit., pp. 223-226. La citazione, invero, non è precisa: cfr. A. Moravia, La speranza, ossia cristianesimo e comunismo, Documento Editore, Roma 1944. Questo saggio costituisce una tappa basilare nell’itinerario intellettuale di Moravia e l’avvio di una riflessione originale di natura politica. Lo scritto testimonia un’adesione entusiasta e sostanziale agli ideali comunisti e sembra preludere a un’adesione formale al Partito. Tuttavia, l’attenzione dello scrittore è posta, come spesso accade nella sua narrativa, sulle motivazioni interiori degli individui, più che alla realtà storica. L’adozione di una terminologia “religiosa”, ovvero l’“impossibilità per l’uomo di vivere senza una speranza” sottolinea quel trait d’union fra comunismo e cristianesimo alla base del saggio. Il comunismo – sostiene Moravia – è in grado di fornire all’essere umano contemporaneo le ragioni per quel sentimento di speranza senza il quale non appare possibile condurre una qualsiasi esistenza, sentimento che il cristianesimo ha fatto proprio per lungo tempo.

[112] R. Pettazzoni, La religione e i partiti politici in Italia [1946], cit., p. 223. Pettazzoni, che senza dubbio fu un autentico precursore intellettuale, non avrebbe immaginato che quattro anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1959, il capo riconosciuto dei comunisti italiani avrebbe fatto una dichiarazione in grado di creare qualche turbamento anche negli ambienti cattolici più oltranzisti. Palmiro Togliatti (1893-1964), durante il discorso di Bergamo (20 marzo 1963), su Il Destino dell’Uomo, rilevò come il comunismo fosse una «religione e, persino, una chiesa», ma una religione e una chiesa sui generis: «Ciò è vero nel senso che abbiamo una fede, cioè la certezza che la trasformazione socialista della società, per cui combattiamo, non è soltanto una necessità, ma è un compito che impegna, con la certezza del successo, la parte migliore dell’umanità. Noi crediamo che l’uomo deve diventare padrone della natura, il che è compito biblico, indicato all’uomo da Dio stesso, nella Genesi […]. Noi affermiamo però che l’uomo deve diventare padrone della società e del suo sviluppo, sottraendoli al dominio degli egoismi, degli arbitri, delle violenze, dello sfruttamento; deve creare una società alla dimensione della propria libertà. In questo modo soltanto si può giungere, crediamo, a quel pieno sviluppo della persona umana che è la metà di tutta la storia degli uomini. Si può quindi dire che la nostra è, se si vuole, una completa religione dell’uomo». Cit. in: P. Pellegrini (a cura di), Togliatti e il Destino dell’Uomo. L’impegno di comunisti e cattolici nell’Italia repubblicana. Riflessione storica e prospettive politiche. Atti del Convegno di Bergamo del 22 marzo 2003; introduzione di A. Cossutta, Robin Edizioni, Roma 2003, p. 37.

[113] Tra i lavori italiani, relativi a questo tema, cfr. ad esempio: P. Bettiolo, G. FILORAMO (a cura di), Il Dio mortale. Teologie politiche tra antico e contemporaneo, Morcelliana, Brescia 2002;  M. ScattolaTeologia politica,  Il Mulino, Bologna 2007; L. Musselli, Partiti politici e religione nell’Italia repubblicana tra vecchi e nuovi confessionalismi, in «Quaderni di Diritto e Politica Ecclesiastica» 1 [2014], pp. 35-50.

[114] G. Gentile, Genesi e struttura della società, Mondadori, Milano 1954, pp. 125-126.  Cfr.  anche: F. Traniello, Città  dell’uomo. Cattolici, partito e  Stato nella storia d’Italia, Il Mulino, Bologna 1998, pp. 20-27 e passim.

[115] R.  PezzimentiPolitica  e  religione.  La secolarizzazione  nella  modernità,  Città Nuova, Roma 2004, p. 133. Cfr. anche: V.S. Severino, Giovanni Gentile e Raffaele Pettazzoni (1922-1924). Un carteggio sulla Storia delle religioni e l’Università in Italia, in «Storiografia» 7 [2002], pp. 107-126.

[116] L’espressione “Questione Romana” è usata nel lessico storiografico nostrano per identificare la controversia che fu dibattuta durante il Risorgimento con riferimento al ruolo di Roma, sede del potere temporale del papa ma, al tempo stesso, capitale del Regno d’Italia. Cfr. A.C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Einaudi, Torino 1948; F. Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, Laterza, Bari 1951, pp. 179-323 (“L’idea di Roma”); S. Marotta, La  questione  romana,  in  A.  Melloni  (sotto  la  direzione  di),  Cristiani  d’Italia, Chiese, Società, Stato, 1861-2011, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Roma 2011, pp. 641-654.

[117] Così si esprimeva P. Togliatti, al V Congresso del PCI (1945), in F. Margiotta Broglio  (a cura di), Stato e confessioni religiose, vol. 2: Teorie e ideologie, La Nuova Italia, Firenze 1978, p. 104.

[118] Ibid., p. 107.

[119] Ibid., p. 90.

[120] Ibid., p. 108. Infra, Capitolo quarto, paragrafo 4.1.

[121] D. Loprieno, La libertà religiosa, Giuffrè, Milano 2009, p. 70.

[122] P. Bellini, Respublica sub Deo, Le Monnier, Firenze 1985.

[123] R. Pettazzoni, Il neo-paganesimo germanico, in «Idea. Mensile di Cultura Politica e Sociale» 1, 5 [1945], pp. 15-20.

[124] R. Pettazzoni, The Spirit of Paganism, in «Diogenes: A Quarterly Publication of the International Council for Philosophy and Humanistic Studies» 3, 9 [January 1955], pp. 1-7.

[125] R.  PettazzoniReligione  e  politica  religiosa  nel  Giappone  moderno,  IsMEO, Roma 1934, p. 17:  «Lo Stato che ha realizzato il suo contenuto etico non tarderà  a realizzare il suo contenuto religioso. […]. La religione della nazione sta oggi cercando in Europa le sue forme. Queste forme, essa le possiede in Giappone da tempo immemorabile, come le possedeva nello scomparso paganesimo occidentale»; cfr. anche: Id., La religione nazionale del Giappone e la politica religiosa dello Stato giapponese, in «Nuova Antologia» [1929], pp. 3-19; Id., Il paese sacro e il sovrano divino, in «La Nuova Europa» 2, 32 [12 agosto 1945], p. 9.

[126] R. Pettazzoni, Scintoismo, in PNF (a cura di), Dizionario di Politica, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1940, vol. IV, pp. 213-214; Id., Sintoismo; Aspetti della religione in Giappone, in C. Margotti  (a cura di), Giappone. Volume dedicato all’amicizia italo-giapponese; prefazione di Carlo Formichi, Carlo Margotti Editore, Roma 1942, pp. 85-89; pp. 91-94. Cfr. anche: S. Shimazono, State Shinto in the Lives of the People. The Establishment of Emperor Worship, Modern Nationalism and Shrine Shinto in Late Meiji, in «Japanese Journal of Religious Studies» 36, 1 [2009], pp. 93-124.

[127] Il riferimento è chiaramente alla “religione civica”. Per il “virgolettato” nel testo, cfr. T. Silla, Un “sacro d’altra specie”: la verità del mito e la religione civile in Pettazzoni, in «Storia, Antropologia e Scienze del Linguaggio» 24, 3 [2009], pp. 189-214. In merito, oltre a L. Sacco, Raffaele Pettazzoni e Italia religiosa, cit., pp. 203-222, cfr. S. Giusti, Religione e laicità in Raffaele Pettazzoni, in «Storia, Antropologia e Scienze del Linguaggio» 24, 3 [2009], pp. 95-121. Si veda poi: F. Israel, La coerente continuità tra attività scientifica e opera civile di Raffaele Pettazzoni, in G.P. Basello, P. Ognibene, A. Panaino (a cura di), Il mistero che rivelato ci divide e sofferto ci unisce. Studi pettazzoniani in onore di Mario Gandini, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2013, pp. 249-315. Per una ricostruzione storiografica del concetto di “religione dello Stato” in Pettazzoni tra il 1920 e il 1959, cfr. anche: E. Montanari, Religione dello Stato e religione dell’uomo nel pensiero di Raffaele Pettazzoni, in «Studi e Materiali di Storia delle Religioni» 56, 1 [1990], pp. 7-23; V.S. Severino, La religione di questo mondo in Raffaele Pettazzoni, cit., pp. 157-171.

[128] Nel 1944, Arturo Carlo Jemolo scrisse: «Io penso che i rapporti fra Stato e Chiesa, tra vita etica dello Stato e religione, saranno tanto più pacifici e tanto più fecondi in Italia, quanto più i dirigenti dello Stato italiano sanno sensibili al fenomeno religioso». Cfr. A.C. Jemolo, Per la pace religiosa d’Italia, La Nuova Italia, Firenze 1944, p. 48.

[129] Del resto, nel biennio 1945-1947, gli anni delle speranze e degli auspici, si dibatteva intensamente sulla futura configurazione costituzionale della libertà religiosa ma, soprattutto, sui futuri rapporti tra il nascente Stato democratico e la Chiesa cattolica. (Cfr. S. Lariccia, La libertà religiosa nella Società italiana, in P. Bellini [a cura di], Teoria e prassi della libertà religiosa, Il Mulino, Bologna 1975, pp. 313-488, partic., p. 321; M. Madonna, Profili storici del diritto di libertà religiosa nell’Italia post-unitaria, Libellula Edizioni, Tricase [Lecce] 2012, cap. II).

[130] Per il testo integrale della relazione, cfr. M. Gandini (a cura di), Raffaele Pettazzoni nel 1948. Materiali per una biografia, in «Strada Maestra» 59, 2 [2005], pp. 51-207, partic., pp. 99-101.

[131] M. Gandini (a cura di), Raffaele Pettazzoni dall’estate 1946 all’inverno 1947-48. Materiali per una biografia, cit., p. 138.

[132] N. Spineto, Raffaele Pettazzoni, Luigi Salvatorelli e la nascita degli studi di Storia delle religioni in Italia, cit., p. 724.

[133] E. Montanari, Introduzione in V.S. Severino, La religione di questo mondo in Raffaele Pettazzoni, cit., p. 13.

[134] R. Pettazzoni, Italia religiosa, cit., p. 25.

[135] R. Pettazzoni, Per la libertà religiosa in Italia, cit., pp. 5-10; ristampato in M. Gandini (a cura di), Religione e società, cit., pp. 205-212, partic., p. 212; ristampato come: AA.VV., Due testimonianze di Pettazzoni e Jemolo. Per la libertà religiosa, in «Nuova Antologia» a. 124, v. 561, f. 2170 [1989], pp. 109-120, partic., pp. 110-115 (Discorso di Pettazzoni), esattamente, p. 115.

[136] Cfr. E. Guano, Riflessioni sulla cultura religiosa in Italia, in «Il Ragguaglio dell’attività culturale, letteraria ed artistica dei Cattolici in  Italia»  10  [1939], pp. 79-87.

[137] Da un punto di vista storico-giuridico, le considerazioni espresse nel testo hanno trovato accoglimento in un volume edito qualche anno fa nel quale i due valori apicali della libertà religiosa e della libera manifestazione di pensiero costituiscono oggetto di analisi da parte di studiosi di diversa estrazione scientifica. Cfr. N.  Fiorita,  D.  LOPRIENO, La  libertà di manifestazione  del  pensiero  e  la  libertà religiosa nelle società multiculturali, Firenze University Press, Firenze 2009.

[138] R. Pettazzoni, La Chiesa e la vita religiosa in Italia, in V. GORRESIO (a cura di), Stato e Chiesa, Laterza, Bari 1957, pp. 35-49, partic., p. 38.

[139] R. Pettazzoni, Per la storia religiosa d’Italia, in «Ricerche Religiose» 19, 1 [1948], pp. 1-12.  Appare netta l’opposizione alla visione di B. Croce – Perché non possiamo non dirci cristiani, in «La Critica» 40 [1942], pp. 289-297 – secondo il quale: «Il cristianesimo è stata la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta […]. Sono profondamente convinto e persuaso che il pensiero e la civiltà moderna sono cristiani, prosecuzione dell’impulso dato da Gesù e da Paolo […]. Non possono infatti paragonarsi alla rivoluzione culturale cristiana né le «rivoluzioni» antiche, come quella del pensiero in Grecia e del diritto a Roma, né le rivoluzioni moderne che «non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana».

[140] Anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione (1 gennaio 1948), i principi sanciti dagli articoli 8 e 19 non venivano integralmente rispettati e, anzi, erano sovente violati dalle autorità di pubblica sicurezza che, applicando la legislazione fascista in materia di culti, portavano in tribunale i protestanti, i pentecostali, i testimoni di Geova, e tutti quelli che non la osservavano. Di norma, i giudici, richiamandosi alla Costituzione, assolvevano, ma i governi continuavano a ostacolare le chiese acattoliche. Sull’intolleranza religiosa operata dalla politica italiana e con specifico riferimento alle vicende delle minoranze religiose nei primi anni della storia repubblicana, cfr. Commissione Per gli Affari Internazionali  del Consiglio Federale delle Chiese Evangeliche d’Italia (a cura di Giorgio Peyrot), L’intolleranza religiosa in Italia nell’ultimo quinquennio, in «Protestantesimo» 8 [1953], pp. 1-39; G. Spini, La persecuzione contro gli evangelici in Italia, in «Il Ponte» 9, 1 [1953], pp. 1-14; S. Lariccia, La libertà religiosa nella Società italiana, in P. Bellini (a cura di), Teoria e prassi della libertà religiosa, cit.; P. Piccioli, I testimoni di Geova dopo il 1946: un trentennio di lotta per la libertà religiosa, in «Studi Storici» 43 [2002], pp. 167-191. Il 19 ottobre 2016, presso l’Aula degli Organi Collegiali, Palazzo del Rettorato, Sapienza Università di Roma, si è tenuto un Seminario di studi per i cento anni dalla nascita di Giorgio Spini.

[141] F. Cavalli, La condizione giuridica dei Protestanti in Spagna, in «La Civiltà Cattolica» 99, 2, Quaderno 2347 [3 aprile 1948], pp. 29-47; cfr. anche: L. Salvatorelli, Chiesa e Stato dalla Rivoluzione francese ad oggi, La Nuova Italia, Firenze 1955, p. 703.

[142] R. Pettazzoni, La Chiesa e la vita religiosa in Italia, cit., p. 40. In proposito, cfr. anche: D. Bevilacqua, Una anomalia unica al mondo. I delicati rapporti tra l’Italia e la Città del Vaticano, in «Il Paese» [15 marzo 1956], p. 2; G. Peyrot, Orientamenti per uno studio sulla posizione delle Chiese evangeliche di fronte allo Stato, in AA.VV., La posizione delle Chiese evangeliche di fronte allo Stato. Relazioni e documenti dell’incontro organizzato dal servizio studi della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, Agape 19-23 agosto 1969, Claudiana, Torino 1970, pp. 9-33.

[143] I Patti Lateranensi sono stati modificati dall’Accordo concordatario del 18 febbraio 1984, reso esecutivo con la legge 25 marzo 1985, n. 121 (in: G.U. 10 aprile 1985, n. 85, supplemento).

[144] C.A. VianoLaici in ginocchio, Laterza, Roma-Bari 2008, p. 15.

[145] Sul dibattito, cfr. G. Long, Alle origini del pluralismo confessionale. Il dibattito sulla libertà religiosa nell’era della Costituzione, Il Mulino, Bologna 1990, pp. 193-208. Fra gli altri, R. Bin, Libertà dalla religione, in R. Bin, C. Pinelli (a cura di), I soggetti del pluralismo nella giurisprudenza costituzionale. Atti del Seminario di Macerata, 5-6 maggio 1994, Giappichelli, Torino 1996, pp. 39-46, partic., p. 39, ha sostenuto che: «La problematica religiosa è stata espropriata dai cultori di diritto ecclesiastico, che vi hanno innestato le esperienze e le prospettive tipiche della loro materia». In altre parole, secondo l’autore, la dottrina costituzionalistica – a parte la rara eccezione di Paolo Barile – avrebbe commesso un grave errore di strategia culturale lasciando in appalto alle discipline di settore l’interpretazione di ampi tratti della Costituzione (per es., la libertà di coscienza e la libertà religiosa). In una prospettiva europeista, cfr. V.A. de Gaetano, Riflessioni sulla libertà di religione e di coscienza: L’articolo 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in «Online Working Paper» 61 [2014], pp. 3-15, http://www.cde.unict.it/sites/default/files/Quaderno%20europeo_61_2014_0.pdf (ultimo accesso, 23 settembre 2016).

[146] Cfr. www.nascitacostituzione.it/01principi/007/index.htm (ultimo accesso, 3 maggio 2016); Sul contributo di Calamandrei per la valutazione del problema religioso in Italia e delle libertà in tema di religione, cfr. S. Lariccia, L’impegno di Piero Calamandrei per la laicità dell’Italia democratica, in «Il Ponte» 62, 12 [2006], pp. 78-94.

[147] A. Gramsci, Quaderni dal carcere, Einaudi, Torino 1975, p. 1867.

[148] Ivi.

[149] G. Salvemini, Stato e Chiesa in Italia, Feltrinelli, Milano 1969, p. 398.

[150] D’altra parte, è insito nella natura di una Costituzione pluralista assumere «la struttura di un patto nel quale ciascuna delle parti in causa richiede e ottiene d’inserire principi che corrispondono alle proprie aspirazioni di giustizia» e tale inserimento «è tanto poco un elemento trascurabile per le concezioni giuridiche che esso è addirittura la condizione del successo della stessa opera costituente, come opera di tutti e non come imposizione unilaterale di una parte sull’altra» (G. zagrebelsky, Il diritto mite, Einaudi, Torino 1992, p. 129). Il faticoso compromesso raggiunto, per usare le parole di Kelsen, significava risolvere un conflitto «mediante una norma che non è totalmente conforme agli interessi di una parte, né totalmente contraria agli interessi di un’altra» (H. Kelsen, Teoria generale del Diritto e dello Stato, Etas, Milano 2000, p. 293).

[151] Da segnalare, nei giorni 13-15 ottobre 1948, il primo “Congresso Internazionale per la Riforma Religiosa in Italia” (Roma), promosso da uomini e gruppi religiosi indipendenti, che si propone come scopo di studiare il problema del rinnovamento religioso in generale, ma con più particolare riguardo alla concreta situazione religiosa, sociale, culturale italiana; i temi del Congresso sono: a) la situazione religiosa italiana, b) che cosa si può intendere, oggi, per “riforma religiosa” e qual è il concreto messaggio religioso che si possa indirizzare all’Italia e al mondo,

c) conclusioni pratiche (proposte per una eventuale riforma, disciplinare e dottrinale, del cattolicesimo; problemi attuali dei rapporti fra cattolicesimo e società italiana: Stato, Chiesa e Concordato; ex-preti; problema della scuola, problema sociale, libertà della cultura; proposte per la fondazione di gruppi e centri per la riforma). Ne danno notizia: P. Alatri, Il congresso di Roma per la riforma religiosa, in «Belfagor» 3, 6 [30 novembre 1948], pp. 719-722; A. Capitini, Riforma religiosa in Italia, in «Quaderni di Protesta Laica» 1, 1 [1949], pp. 43-45. Sul clima del periodo storico in oggetto, cfr. S. Gagliano, Lotta per l’Italia laica e protestantesimo (1948-1955); introduzione di D. Maselli, Biblion, Milano 2014.

[152] S.S. Congregatio S. Officii, Decretum. Responsa ad dubia de communismo – 1 Iulii 1949, in «Acta Apostolicae Sedis» 41, 8 [2 luglio 1949], p. 334 (trad. it., in «La Civiltà Cattolica», vol. III, quad. 2379 [6 agosto 1949], pp. 316-317). La scomunica è la censura con la quale il battezzato viene escluso dalla comunione dei fedeli (secondo quanto prescritto dai can. 2257-2267 del Codex Juris Canonici del 1917, in vigore nel 1949). Sul tema, cfr. A. De  Jorio, s.v. Scomunica, in Enciclopedia Cattolica 11 [Roma 1954], pp. 143-148; F. Roberti, s.v. Scomunica, in Novissimo Digesto Italiano 16 [Torino 1969], pp. 774-775 (ambedue i contributi con bibliografia essenziale).

[153] Stranamente, come apprendiamo da una dichiarazione del Sant’Uffizio dell’11 agosto 1949, l’esclusione dai sacramenti non riguardava il matrimonio. Cfr. «Acta Apostolicae Sedis» 41 [1949], pp. 427-428: Quaesitum est utrum exclusio communistarum ab usu Sacramentorum in Decreto S. Ofiicii diei 1 Iulii 1949 statuta, secum ferat etiam exclusionem a celebrando matrimonio: et quatenus negative, an communistarum matrimonia regantur praescriptis canonum 1060-1061.  Ad rem Sacra Congregatio S. Officii declarat: Attenta speciali natura sacramenti matrimonii, cuius ministri sunt ipsi contrahentes et in quo sacerdos fungitur munere testis ex officio, sacerdos assistere potest matrimoniis communistarum ad normam canonum 1065, 1066. In matrimoniis vero eorum, de quibus agit n. 4 praefati Decreti, servanda erunt praescripta canonum 1061, 1102, 1109 § 3.

[154] A. Ravà, L’atteggiamento della Chiesa di fronte al comunismo dal 1846 al 1949, in AA.VV., Raccolta di scritti in onore di Arturo Carlo Jemolo. Diritto amministrativo, diritto costituzionale, diritto internazionale, diritto penale, procedura penale, Giuffrè, Milano 1963, pp. 1077-1119; S. Cernai, I Partigiani della pace in Italia. Tra utopia e sogno egemonico, Libreriauniversitaria.it Edizioni, Padova 2011, pp. 67-71.

[155] P. Nenni, Discorso, in «Avanti!» [2 agosto 1949], p. 4. Cfr. anche: A. Donini, Scomunica affare politico, in «Vie Nuove» 4, 30 [1949], p. 8; A. Alessandrini, L’odio in famiglia, in «Vie Nuove» 4, 31 [1949], pp. 6-7; G. Alberigo, La condanna della collaborazione dei cattolici con i partiti comunisti (1949), in «Concilium» 11 [1975], pp. 1209-1222; V. Severino, La Commissione per lo studio dei problemi della laicità. L’ufficio ideologico e culturale del Partito Socialista Italiano nel biennio 1949-1950, in G. Casadio, A. Mastrocinque, C. Santi  (a cura di), Apex. Studi storico-religiosi in onore di Enrico Montanari; con la collaborazione di Leonardo Sacco e Valerio Severino, Edizioni Quasar, Roma 2016, pp. 211-218, partic., pp. 211-212 e passim.

[156] A.C. Jemolo, La scomunica dei comunisti, in «Il Ponte» 5 [1949], pp. 1231-1242, partic., p. 1237. La polemica di Jemolo non sembra infondata. Dal 3 Ottobre 1935, durante la guerra etiopica, l’atteggiamento del Vaticano fu subito ambiguo. Pio XI, anche se non incoraggiava l’impresa africana e, in astratto, la condannava come guerra di conquista, in sostanza la tollerava e, anzi, l’appoggiava mediante l’intervento massiccio del clero; la stampa cattolica era decisamente schierata a favore della politica estera di Benito Mussolini (1883-1945), giacché era in gioco un’opera di catechesi. Il padre gesuita Antonio Messineo (1897-1978), con numerosi articoli pubblicati ne “La Civiltà Cattolica”, sottolineava come la Chiesa dovesse affrontare problemi di natura missionaria nelle terre che si andavano conquistando. Cfr. A. Messineo, Giustizia ed espansione coloniale, La Civiltà Cattolica, Roma 1937; G. Dè  Rossi  dell’Arno, Pio XI e Mussolini, Corso Editore, Roma 1954; E. Rossi, Il manganello e l’aspersorio, Parenti Editore, Firenze 1958, partic., pp. 301-349 (“Guerra Santa in Abissinia”); A. Giovagnoli, Chiesa e colonialismo italiano nel ventennio fascista, in AA.VV., Lezioni di storia del colonialismo italiano, in «Materiali di Lavoro» N.S. 2-3/1 [1991-1992], pp. 213-229; N. Buonasorte, La politica religiosa italiana in Africa Orientale dopo la conquista (1936-1941), in «Studi Piacentini» 17 [1995], pp. 53-114.

[157] L’appunto è contenuto in M. Gandini (a cura di), Raffaele Pettazzoni negli anni 1949-1950, cit., p. 87.

[158] Ibid., p. 90. Nel 1959 il Sant’Uffizio pubblicherà una dichiarazione per reiterare la piena validità del decreto del luglio 1949 (cfr. «Acta Apostolicae Sedis» 51 [1959], pp. 271-272); invece durante i lavori del Concilio Vaticano II saranno richiamate le condanne dell’ateismo marxista, ma sarà omessa la citazione del decreto del 1949. Sull’integralismo cattolico dei primi anni Cinquanta del XX secolo, cfr. G. Pepe, Un anno di dominio clericale, Lacaita, Manduria 1949; G. Spini, Le minoranze protestanti in Italia, in «Il Ponte» 6, 6 [1950], pp. 670-689; P. Calamandrei, Repubblica pontificia, in «Il Ponte» 6, 6 [1950], pp. 695-712.

[159] La vicenda è tratta da: AA.VV., Dopo la chiusura del tempio di Via A. Papa. La “Chiesa di Cristo” si oppone al decreto emanato dal Prefetto. Il richiamo agli articoli 8 e 19 della Costituzione che garantiscono la libertà religiosa – una denuncia all’A.G., in «Il Paese» [25 settembre 1952], p. 2.

[160] Per una ricostruzione puntuale delle vicende accennate nel testo, cfr. R.P. Domenico, “For the Cause of Christ Here in Italy”: America’s Protestant Challenge in Italy and the Cultural Ambiguity of the Cold War, in «Diplomatic History» 29, 4 [2005], pp. 625-654, partic., pp. 643-652.

[161] A.C. JemoloPer la libertà religiosa in Italia, in «Nuovi Argomenti» 2 [1953], pp. 1-46, partic., p. 17.

[162] G. Colliva, G. DE ANTONELLIS, Un concordato per gli anni settanta. Rapporti fra Stato e Chiesa dal 1848 a oggi. Patti Lateranensi: perché e come una revisione, Bramante, Milano 1969, p. 111.

[163] Cfr. AA.VV., Solo i cattolici possono insegnare? La denuncia di una grave sopraffazione, in «Il Paese» [16 dicembre 1953], p. 3; L. Salvatorelli, Una lettera, in «Il Mondo» [15 dicembre 1953], p. 2, sul dibattito relativo al caso Gonnet e ai differenti culti e alle loro interazioni. Un episodio simile, a dimostrazione che negli anni poco o nulla è mutato, è narrato da B. Celano, Costituzione italiana e pluralismo religioso, in «Ragion Pratica» 44, 1 [2015], pp. 279-284 (in questo caso, il protagonista è uno studente musulmano in una scuola pubblica italiana).

[164] Cfr. P. Barile, Concordato e Costituzione, in V. Gorresio, Stato e Chiesa, cit., pp. 50-94.

[165] F. Finocchiaro, Uguaglianza giuridica e fattore religioso, Giuffrè, Milano 1958.

[166] Osvaldo Lasagna, in un contributo intitolato Libertà religiosa, in «L’Incontro» [1955], nella rubrica “Parlano i Lettori”, trattando dell’attuale confessionalismo dello Stato italiano, ricorda le pagine di Italia religiosa, dedicate da Pettazzoni alle minoranze religiose, nei confronti delle quali, in contrasto con i principi costituzionali, si continua ad applicare la normativa fascista. Alcuni passi dell’articolo  di Lasagna vengono riportati, nella rubrica “Rilievi e Commenti”, in due colonne di un periodico italo-americano: O. Lasagna, Libertà religiosa / I cattolici e la libertà / Proudhom e la libertà, in «L’Adunata dei Refrattari – The Call of the Refractaires» [1955], p. 2, ma la denuncia che Pettazzoni fa circa le vessazioni cui devono soggiacere le minoranze religiose italiane è, paradossalmente, attribuita al padre gesuita Cavalli (quello de “La Civiltà Cattolica”, per intenderci).

[167] Sul dibattito, soprattutto giuridico, scaturito da tale polemica, cfr. F. Finocchiaro, Confessioni religiose e libertà religiosa nella Costituzione, Edizioni Foro Italiano, Roma 1976; G. Leziroli, Stato e Chiesa tra due costituzioni, Giappichelli, Torino 2003; S. Troilo, La libertà religiosa nell’Ordinamento costituzionale italiano, in «Anales de Derecho» 26 [2008], pp. 333-404; L. Forni, La laicità nel pensiero dei giuristi italiani, cit., capp. II, III, IV.

[168] A regolare tali rapporti sono intervenute le Leggi 11 agosto 1984, n. 449, 22 novembre 1988, n. 516, 22 novembre 1988, n. 517 e 8 marzo 1989, n. 101 (G.U. 13 agosto 1984, n. 222; 2 dicembre 1988, n. 283; 23 marzo 1989, n. 69), emesse sulla base di previe «intese- intercorse, rispettivamente, con la Tavola valdese, le Chiese cristiane avventiste, le Assemblee di Dio e le Comunità ebraiche, e più di recente le leggi 5 ottobre 1993, n. 409 (G.U. 11 ottobre 1993, n. 239), 12 aprile 1995, n. 116 (G.U. 22 aprile 1995, n. 94), 29 novembre 1995, n. 520 (G.U. 7 dicembre 1995, n. 286), 20 dicembre 1996, nn. 637 e 638 (G.U. 21 dicembre 1996, n. 299), per la regolamentazione dei rapporti con altre confessioni o per la modifica delle precedenti intese. Cfr. V. Parlato, Le intese con le confessioni acattoliche: i contenuti, seconda edizione, Giappichelli, Torino 1996.

[169] Su questo punto, cfr. D. Maselli, Libertà religiosa ed evangelici, in «Quaderni del Circolo Rosselli» 96, 1 [2007], pp. 1000-1008.

[170] A.C.  JemoloLa  Costituzione,  difetti,  modifiche,  integrazioni.  Relazione  svolta nella seduta ordinaria dell’11 dicembre 1965, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1966, passim.

[171] A.C. Jemolo, Costituzione: confiteor…, in «La Stampa» [22 gennaio 1978], ripubblicato in A.C. Jemolo, Il malpensante, a cura di B. Quaranta, Aragno Editore, Torino 2011, p. 159.

[172] A.C. Jemolo, La Costituzione, difetti, modifiche, integrazioni, cit.

[173] Ivi. Cfr. anche: M. Madonna, Libertà religiosa e principi costituzionali. Un breve itinerario di lettura nella dottrina di Arturo Carlo Jemolo, in «Stato, Chiese e Pluralismo Confessionale» 8 [2016], pp. 1-27.

[174] Il dibattito concettuale è assai risalente se già nei primissimi anni del 1900 un illustre studioso vi dedicava un’opera che, seppur datata, appare tutt’ora un caposaldo in materia. Secondo Francesco Ruini, La libertà religiosa, Fratelli Bocca Editori, Torino 1901, vol. 1: Storia dell’idea, succede non di rado che nei discorsi e negli scritti «la parola Libertà religiosa sia usata a significare cose molto differenti fra loro e tutte quante poi lontane da quella significazione precisa e tecnica, che la scienza le ha ormai da tempo assegnato. V’è chi, di fatto, l’intende in un senso troppo largo e l’adopera come uguale a quella di Libertà di pensiero […]. V’è chi, per contro, dà in una esagerazione affatto opposta, e l’intende in un senso troppo ristretto, cioè come espressione uguale a quella di Libertà ecclesiastica […]. Emerge da tutto questo, che la libertà religiosa non è, come il libero pensiero, un concetto o un principio filosofico, non è neppure, come la libertà ecclesiastica, un concetto o un principio teologico; ma è un concetto o un principio essenzialmente giuridico» (pp. 1-5).

[175] G. LO CASTRO, La libertà religiosa e l’idea del diritto, in AA.VV., La libertad religiosa: Memoria del IX Congreso Internacional de Derecho Canónico, Universidad Nacional Autónoma de México, México 1996, pp. 19-42.

[176] M. Ventura, Funerali o battesimo della laicità? Una nuova politica religiosa italiana ed europea, in R. De Vita, F. Berti, L. Nasi (a cura di), Democrazia, laicità e società multiculturale, FrancoAngeli, Milano 2005, pp. 74-85, partic., pp. 81-85; J. PASQUALI CERIOLI, L’indipendenza dello Stato e delle confessioni religiose. Contributo allo studio del principio di distinzione degli ordini nell’Ordinamento italiano, Giuffrè, Milano 2006, pp. 157-161; S. Briccola, Libertà religiosa e “res publica”, CEDAM, Milano 2009, p. 9.

[177] M. Tedeschi, Manuale di Diritto ecclesiastico, Giappichelli, Torino 2004, p. 109.

[178] G. Filoramo, F. Remotti  (a cura di), Pluralismo religioso e modelli di convivenza. Atti del Convegno Internazionale di Torino, 20-21 settembre 2006, Edizioni Dell’Orso, Torino 2009; G. Filoramo, Religione/i tra secolarizzazione e globalizzazione, in «Humanitas» 66, 2-3 [2011], pp. 185-200; G. Filoramo, F. Pajer, Di che Dio sei? Tante religioni un solo mondo, SEI, Torino 2011.

[179] B.R. Wilson, La religione nel mondo contemporaneo, Il Mulino, Bologna 1996, p. 98: «nel mondo moderno sembra essere presente un processo virtualmente universale che porta a una diminuzione dell’influenza sociale della religione»; cfr. anche: G. Filoramo, La sacralizzazione della politica tra teologia politica e religione civile, in G. Paganini, E. Tortarolo (a cura di), Pluralismo e religione civile. Una prospettiva storica e filosofica, Bruno Mondadori, Milano 2004, pp. 202-212, partic., p. 202; L. Alici, Differenze senza differenza. L’idolatria nell’epoca post- secolare, in «Hermeneutica» 19 [2012], pp. 9-36.

[180] R.  GIRARD, La violence et le sacré, Grasset, Paris 1972; i lavori contenuti in AA.VV., “Religion and Violence”, in «Numen» 52, 1 [2005], pp. 1-145; G. Filoramo, Le religioni e le guerre, in A. D’ORSI (a cura di), Guerre globali. Capire i conflitti del XXI secolo, Carocci, Roma 2003, pp. 153-164; C. Cremonesi, Religioni e conflitti: La comparazione oggi tra strategie retoriche e prospettiva storico-religiosa, in G. Sfameni Gasparro, A. Cosentino, M. Monaca (a cura di), Religion in the History of European Culture, cit., vol. 2, pp. 1099-1108; C. Cardia, La libertà religiosa tra ascesa e crisi dei diritti umani, in «Stato, Chiese e Pluralismo Confessionale» 22 [2016], pp. 1-17, partic., pp. 14-17.

[181] F. Heiler, The History of Religions as a Way to Unity of Religions, in AA.VV., Proceedings of the IXth International Congress for the History of Religions, Tokyo and Kyoto, august 25-september 9, 1958, Maruzen Company, Tokyo  1960,  pp. 8-22.

[182] P. Morgan, The Study of Religions and Interfaith Encounter, in «Numen» 42, 2 [1995], pp. 156-171.

[183] J. Delors (edited by), Learning. The Treasure within. Report to UNESCO of the International Commission on Education for the Twenty-first Century, UNESCO, Paris 1996 (citazione dalla tr. it. Nell’educazione un Tesoro. Rapporto all’UNESCO della Commissione Internazionale sull’Educazione per il XXI secolo, Armando, Roma 1997, p. 86).

[184] Cfr. M. Faggioli, La ricerca storico-religiosa in Europa, in «Il Mulino» 4 [2005], pp. 758-767, partic., pp. 764-765.

[185] Cfr. AA.VV., Atti Parlamentari – Camera dei Deputati, N. 2729; XV Legislatura (Disegni di Legge e Relazioni – Documenti). Proposta di Legge costituzionale d’iniziativa degli onorevoli Turco, Beltrandi, D’Elia  “Modifica degli artt. 7,    8 e 19 della Costituzione, per il rafforzamento della laicità della Repubblica”, presentata il 5 giugno 2007, pp. 1-4, http://leg15.camera.it/_dati/lavori/stampati/ pdf/15PDL0032780.pdf, partic., p. 3. Cfr. anche: F. Onida, Osservazioni per il progetto di legge sulla libertà religiosa (“A chiare lettere – Confronti”), in «Stato, Chiese e Pluralismo Confessionale» 37 [2015], pp. 1-4.