ds_gen N. 6 – 2007 – Tradizione Romana

 

 

coppola-piccola.jpgventrella-piccola.jpgRaffaele Coppola

Carmela Ventrella Mancini

Università di Bari

 

Consensus e utilitas come elementi di identificazione del popolo di Dio in Agostino*

 

 

SOMMARIO: 1. Precisazioni terminologiche. – 2. Il pensiero di Agostino. – 3. Populus Dei e communio mistico-giuridica: un'alternativa inesistente nel quadro di riferimento storico.

 

 

1. – Precisazioni terminologiche

 

L’ampiezza dell'oggetto della comunicazione a noi affidata ha suggerito di restringere la lettura del testo ad alcuni aspetti dell’indagine compiuta e con specifico riferimento al pensiero di Agostino, che segue e reinterpreta in non pochi brani le costruzioni ciceroniane. Riteniamo opportuna qualche breve precisazione, di carattere preliminare, intorno all’uso del termine “populus” in questo grande, sempre attuale Padre della Chiesa, anche se molti sono i passi in cui si rinvengono le espressioni “populus Christianus” e/o “populus Dei”; in essi l’Autore viene a manifestare nitidamente l’originale concezione che la Chiesa ha del popolo di Dio[1], costituente la stimolante intitolazione della presente sessione dei lavori del nostro seminario internazionale.

Sotto il profilo evidenziato è paradigmatico un discorso pronunciato dal Santo Vescovo in occasione della solennità dei martiri Maccabei, dove, nel quadro di una ricostruzione “genealogica” del popolo cristiano, si afferma:

 

“… Nec quisquam arbitretur, antequam esset populus Christianus, nullum fuisse populum Deo. Imo vero … christianus etiam ille tunc populus fuit. Neque enim post passionem suam coepit habere populum Christus: sed illius populus erat ex Abraham genitus …”[2].

 

Esisteva dunque un popolo di Dio prima che vi fosse un popolo cristiano, anzi fin da principio si può parlare di popolo cristiano; Cristo, infatti, non cominciò ad avere un popolo dopo la sua passione in quanto era suo il popolo che discendeva da Abramo.

Il ricorso, in questo contesto, alle espressioni “populus Christianus” e “populus Dei”, in una significativa distinzione dei figli di Dio, sottolinea il compimento delle Scritture in ordine alla costruzione del  regno secondo la Legge. Nella prospettiva in questione, dunque, il popolo cristiano è il popolo che eredita la promessa di Dio; il popolo cristiano non è un popolo nuovo, ma rinnovato: «è sempre lo stesso popolo, alcuni muoiono, altri nascono, ma è sempre lo stesso popolo. Sono mutati i sacramenti, ma non la fede, sono mutati i segni con i quali veniva significato qualcosa, ma non la cosa che veniva significata»[3]. Agostino sottolinea che il «popolo di Dio si chiama ora popolo cristiano» (populus Dei, qui nunc est populus christianus)[4], il quale, «essendo più giovane del popolo dei Giudei, crescendo senza dubbio lo supera e lo soppianta»: “…ipse populus christianus; qui cum sit minor natu, quam populus Judaeorum, tamen eum crescendo superat, et subdit…”[5]. Il brano evidenzia l’uso in Agostino di espressioni alternative a quella di “populus Dei”: in questo contesto al “populus Christianus” si contrappone, sul piano terminologico, il “populus Judaeorum”. In una visione, storica e profetica, della derivazione dall’antica stirpe giudaica il popolo cristiano è il popolo della Nuova Alleanza, mentre il popolo di Dio è il progenitore: «popolo dei Giudei» o «popolo d’Israele»[6], il cui Dio è il «Dio d’Israele» (populi Deus appellaretur Deus Israel)[7]. Con un’espressione omnicomprensiva, che racchiude il senso del radicale cambiamento della condizione dell’umanità, il popolo giudaico e quello cristiano sono due popoli differenti, il primo del Vecchio, l’altro del nuovo Testamento:

 

“… Haec verba indicant duos quodammodo populos: alterum ad Vetus, alterum ad Novum Testamentum …”[8];

 

i precetti, infatti, imposti al popolo del Vecchio Testamento non devono più essere osservati, ma solo rettamente intesi (interpretati) dal popolo cristiano:

 

“… quae multa Veteris Testamenti populo illi facienda mandata sunt, neque a populo cristiano nunc fiunt, sed tantummodo intelligenda requiruntur …”[9].

 

2. – Il pensiero di Agostino

 

Il popolo cristiano ha per condizione la dignità e la libertà dei suoi consociati e tra i principi costitutivi  pone la carità e la giustizia. Agostino fa del popolo cristiano il modello di società civile teorizzato dalla tradizione sacra e profana, fondato sulla vera giustizia. Analizzando globalmente il pensiero di Cicerone, che individua la res publica, ossia la res populi, solo quando si governi bene e con giustizia, egli osserva:

 

«La vera giustizia non si ha se non in quella repubblica, di cui Cristo è fondatore e sovrano; se anche piaccia definirla repubblica, giacché non possiamo negare che appartenga al popolo. Se poi questo nome, che si usa diversamente nei vari luoghi, è forse meno adatto al nostro modo di parlare, vi è certamente giustizia in quella città, di cui la Sacra Scrittura dice: Azioni gloriose sono state narrate da te, o città di Dio»[10].

 

Nella impostazione fondata sulla preminenza della giustizia, in un’operazione quasi di “cristianizzazione” della visione ciceroniana, Agostino viene ad assumere tale virtù quale prerogativa del popolo: la dimensione trascendente nella quale è collocato il principio condiviso di giustizia, fonte della civile convivenza dei popoli, ne esalta le caratteristiche di stabilità per la forza di coesione, che viene ad instaurarsi all’interno della moltitudine intorno ad un’unica Verità. Nel sistema delineato la giustizia è insita nell’idea stessa di Dio quale bene assoluto e nella conformità alle leggi divine come guide sicure nel percorso terreno verso la redenzione dal male.

 

«Il Signore, volendo elevare il popolo alla pace suprema attraverso la grazia del Vangelo, su questo gradino ne edificò un altro, affinché chi avesse imparato a non vendicarsi in modo sproporzionato al torto ricevuto potesse assaporare nel suo animo placato la gioia di perdonare completamente»[11].

 

Agostino, come Cicerone[12], identifica il concetto di giustizia con il precetto dell’amore:

 

«Allo stesso modo di un solo giusto, così il coetus, il popolo dei giusti vive di fede, la quale opera mediante l’amore con cui l’uomo ama Dio, come si deve amare, ed il prossimo come se stesso. Dove dunque non c’è un simile tipo di giustizia, certamente non vi è l'insieme degli uomini associati dal consenso del diritto e dalla comunione di un’utilità. Se così non è, non vi è neanche il popolo, se è vera questa definizione di popolo. Perciò non vi è neanche la repubblica: perché non si ha res populi dove non esiste il popolo»[13].

 

La giustizia diventa, in realtà, sinonimo di amore e, inevitabilmente, di utilità sociale nel raggiungimento del fine ultimo.

Dall’interesse collettivo per la salvezza nascono l’idea e le opere di giustizia. La solidarietà e il rispetto del fratello alla base della comunità cristiana implicano, all’interno della struttura visibile del popolo, un complesso di relazioni concorrenti all’utilità della realizzazione di un’uniformità anche sotto il profilo “economico”: il condividere le risorse disponibili esalta l’aspetto sistematico della ordinazione dei rapporti sociali. Il “senso comune” dei beni materiali diventa il principio che opera il coordinamento delle azioni all’interno della comunità. Agostino paragona il popolo cristiano ad una «società, in cui a nessuno era lecito avere nulla di proprio essendo tutto in partecipazione comune»[14]; nessuno considerava come proprietà privata i beni di cui disponeva «ma li poneva tutti in comune»[15]; in altre occasioni il Vescovo definisce Dio nostro podere o meglio forse (in una traduzione meno letterale, ma più efficace) possesso pubblico[16]. Agostino riferisce che i giudei, non appena abbracciarono la fede in Cristo, «vendettero tutto quello che avevano e deposero il ricavato dei campi alienati ai piedi degli Apostoli per essere utilizzato nelle elargizioni secondo il bisogno di ciascuno»[17]. Basata sul sentimento positivo della benevolenza, la dottrina agostiniana consente di evidenziare l’equilibrio armonioso tra i singoli e la Chiesa come società umana nella generale finalità provvidenziale:

 

«La conversione di tutte quelle migliaia di persone fu così radicale che li vediamo vendere i propri beni … migliaia di persone compiono tale gesto immediatamente»[18].

 

Sotto detto profilo, andando anche al di là delle fondamenta ciceroniane, in questo tipo di società non vi è vero utile per il singolo che non coincida anche con il bene di tutti; proprio la coincidenza tra il fine (o utilità) degli individui e il fine (o utilità) della corporazione istituzionale innalza la comunità cristiana a “popolo” esemplare alla luce dei parametri della concezione agostiniana. Ricorrendo al concetto di “utilità comune”, Agostino individua altresì i soggetti che devono guidare i popoli e in modo particolare la Chiesa. Si tratta di uomini che, agendo in mezzo alle masse e persuadendo i popoli, governano non per capeggiare ma per servire; la loro autorità è amata dai popoli e il loro impegno è rivolto all’utilità della moltitudine (multitudinis utilitas)[19]. Agostino, nel riferire del rimprovero di Lia a Rachele, che aveva chiesto un po’ di mandràgore raccolte da Ruben, osserva:

 

«E’ bene che anche questa vita, man mano che si conosca, meriti la gloria popolare, ma è ingiusto che la consegua, se trattiene il suo estimatore nell’ozio quando egli è adatto e idoneo ad amministrare gli affari della Chiesa e non lo spinge ad occuparsi dell’utilità comune»[20].

 

Come in Cicerone, per il quale l’impegno sociale e politico prevale sulla ricerca individuale della sapienza[21], il peso della vita attiva procura, per Agostino, lode alla vita contemplativa, virtù rappresentate dalle due mogli del Patriarca del popolo di Israele. L’esigenza della Chiesa è quella di avere dei capi, che come Giacobbe «sono in grado di generare figli alla fede nella notte di questo secolo»; tanti sono gli uomini che scelgono di impegnarsi concretamente per sovvenire alle necessità della Chiesa[22]. Con una descrizione morfologica del regno di Dio, Agostino riconduce i monti e le colline ad un unico àmbito prospettico: le comuni caratteristiche della giustizia e della pace rendono armonioso il paesaggio, pur nella dissonanza delle alture. All’interno del popolo di Dio i monti rappresentano quegli uomini capaci di istruire gli altri sia con le parole sia con gli esempi; questi devono vegliare sulla pace con attento zelo per evitare che, comportandosi superbamente nella ricerca dei loro onori, si abbiano a creare scismi e si spezzi la compagine dell’unità. I colli invece seguono i monti con docilità per il conseguimento della medesima finalità. Ad entrambi sono necessarie la giustizia e la pace[23].

L’appartenenza del popolo a Dio (felice il popolo, di cui Dio è il Signore) fa sì che nella comunità dei credenti ci sia l’autentica giustizia; la città degli empi (traduciamo dei non credenti), in realtà, per il fatto che Dio non le ingiunge obbedienza, offerta a lui soltanto di sacrifici, «caret justitiae veritate»[24]. In quest’ ordine, in cui la norma s’informa a giustizia, agire secondo diritto significa agire secondo giustizia.

Non è sufficiente l’esistenza della virtù della giustizia per garantire il rispetto da parte dei consociati. È necessario che il popolo si dia delle regole e adotti misure disciplinari, onde evitare e contenere pericolosi danni alla giustizia. L’esigenza dell’unità giustifica lo sviluppo e l’applicazione di un diritto penitenziale ispirato dalla carità; il ricorso alla disciplina e agli strumenti “leciti ed autorizzati” risponde alla necessità di recuperare il singolo alla collettività e ciò corrisponde, a sua volta, al dovere di vigilanza del popolo sul comportamento dei singoli membri:

 

«In tal modo la disciplina salvaguarda la pazienza e la pazienza tempera la disciplina; sia l’una sia l’altra sono finalizzate alla carità per evitare che la pazienza senza la disciplina favorisca l’iniquità o la disciplina senza la pazienza dissolva l’unità. … Neppure separiamo dal popolo di Dio coloro che abbiamo relegato, in seguito a degradazione o a scomunica, al posto più umile della penitenza»[25].

 

L’esclusiva comunanza di un disegno favorisce la formazione di un ius proprium, di un apparato di norme nell’organizzazione di una formazione sociale, che trova il proprio principio costitutivo e aggregante nel consenso personale (torna lo iuris consensus ciceroniano). La libera scelta del singolo di aderire alla corporazione è, in concreto, il vero ed unico elemento di coesione, che si manifesta anche dopo l’atto d’iniziazione nella compartecipazione e corresponsabilità delle scelte di ciascun membro. Nel sistema agostiniano la società cristiana è costruita idealmente intorno ai saldi pilastri della conversione e della fede da un gruppo di individui associati dall’adesione ad un comune credo[26]. Solo in virtù della grazia divina e non della consanguineità terrena si diventa fratelli:

 

«Quando si dice che la Chiesa è sorella di Cristo per parte di padre e non di madre, si fa riferimento non alla parentela derivante dalla nascita terrena, che passerà, ma a quella che deriva dalla grazia celeste, che rimarrà in eterno. Secondo tale grazia, noi non saremo più una razza mortale, avendo ricevuto il potere di essere chiamati figli di Dio e di esserlo realmente»[27].

 

Il popolo cristiano è la realizzazione della libertà dalla schiavitù del peccato secondo il concetto della volontà ricondotta al fine universale della salvezza. La natura sacramentale dell’incardinazione in Ecclesia rende unico il regno di Cristo (qui, visibilmente, Agostino si distacca dalla legge ed, ancor più, dal mondo dei romani): «… noi siamo il popolo di colui che fu chiamato Gesù proprio per la ragione che salvò il suo popolo dai peccati»[28].

La comunanza degli interessi legati alla generalità del fine ultraterreno unisce i membri legati da uno specifico vincolo. A coadunarli è un rapporto di tipo organico, di natura partecipativa e finalizzato al perseguimento di un interesse superiore, coinvolgente l’intero gruppo, il popolo, anche se qui Agostino utilizza i termini “gens” e “gentes”:

 

«Tutte le genti nell’unico Signore sono una sola gente e costituiscono l’unità. Come ci sono la Chiesa e le Chiese, e quelle Chiese sono la Chiesa, così quelle genti sono la gente. Dapprima c’erano molte genti; ora c’è una gente sola … Perché una sola è la fede, una sola la speranza, una sola la carità, una sola l’attesa. Infine, perché non dovrebbe essere una sola gente, se una sola è la patria? La patria è celeste, la patria è Gerusalemme. Chiunque non è suo cittadino non appartiene a questa gente; ma chiunque è suo cittadino appartiene all’unica gente di Dio. E questa gente si estende da Oriente ad Occidente, da settentrione fino al mare, nelle quattro parti del mondo intero»[29].

 

Tale concetto di popolo va indubbiamente oltre la definizione filosofica di Cicerone, ma è opportuno evidenziare le importanti convergenze, consistenti nella mancanza di rilievo degli elementi etnici e territoriali. L'universalismo politico romano è certamente differente dall'universalismo religioso cristiano, ma il popolo resta un insieme di cui i cittadini sono le parti, che si oppone sia al concetto di “Volk” sia a quello di “nazione” o di “Staat”, la cui base è etnica-nazionale o razziale, quantunque possa rivestirsi di una colorazione religiosa. Contrariamente all'uso di Agostino, tuttavia, nella lingua latina, che la Chiesa pian piano trasformerà nel c.d. latino perenne, non è dato assimilare populus ad altre espressioni, quali natio ed appunto gens[30].

 

3. – Populus Dei e communio mistico-giuridica: un'alternativa inesistente nel quadro di riferimento storico

 

Una domanda potrebbe sorgere, guardando al corpo basilare di leggi oggi in vigore per la Chiesa latina e le Chiese orientali cattoliche. In esso è certamente presente e viva la categoria di “popolo di Dio”, ma qualcuno si è chiesto se questa possa esprimere, da sola, l’intima natura della Chiesa o se, invece, sia necessario un recupero non solo ecclesiologico, ma anche ermeneutico e storico, della categoria di “comunione” nella sua rilevanza teologico-biblica[31].

Per quanto è possibile ritenere, a nostro convincimento, non si tratta di riproporre due prospettive fra loro confliggenti nel quadro del rinnovamento conciliare, quella giuridica di “populus” e quella di comunione. Fra gli elementi, che contraddistinguono l’immagine genuina della Chiesa, facendo riferimento al lungo cammino che ne ha caratterizzato l'esistenza nel corso dei secoli, la Costituzione Sacrae disciplinae leges, di promulgazione del nuovo codice di diritto canonico per la Chiesa latina, ha posto in evidenza tanto la dottrina, secondo cui la Chiesa viene presentata come popolo di Dio (Lumen Gentium, 2) e l’autorità gerarchica come servizio (ibidem, 3), quanto la dottrina per la quale la Chiesa viene riguardata quale “comunione” sia a livello istituzionale, anche interecclesiale, sia a livello individuale dei rapporti fra i fedeli cristiani o le loro associazioni.

Tale imprescindibile criterio, che, come abbiamo visto, vale a meglio chiarire lo stesso concetto di populus Dei, è immanente alla vita della Chiesa e perciò formalmente idoneo a distinguere, in maniera inimitabile, il diritto del popolo di Dio e a definire la Chiesa stessa, comunità spirituale di credenti «quae in gloria Dei consummabitur»[32]. In questo senso il principio di comunione è illuminante rispetto a molteplici settori della vita della Chiesa e nella Chiesa[33], incluso il fine della salus animarum, data l'interpretazione riduttiva e solo escatologica tuttora dominante nella dottrina canonistica[34].

Come il concetto di popolo di Dio, anche nella specificazione di popolo cristiano (magistralmente scolpito da Agostino), così quello di communio offre interessantissimi spunti al giurista, specialmente agli inizi della vita della Chiesa[35]. Un’approfondita indagine, estesa al periodo pre-costantiniano, potrebbe anzi fornire molteplici dati circa la prevalenza degli aspetti giuridici su quelli teologici della communio o, quanto meno, potrebbe servire a spiegare la compenetrazione, senza confusione, dei due aspetti[36].

In conclusione la prospettiva comunionale, se ben intesa dall'angolo visuale teologico e giuridico, anche e principalmente nell'angolazione della Lumen Gentium, non si oppone alle altre, note immagini della Chiesa, Corpo di Cristo, tempio dello Spirito, popolo di Dio, «una plebe adunata dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»[37]. Intende, infatti, tale nuova ed antica prospettiva unicamente donare ad esse «il contenuto e il riferimento teologico sorgivo, singolare e originale, e permette di comprendere il mistero della Chiesa all'interno della relazione, essenziale e rivelata, con il mistero di Dio»[38].

 

 



 

* Relazione presentata nel XXVII Seminario Internazionale di Studi Storici “Da Roma alla Terza Roma” «Il Popolo nella storia e nel diritto. Da Roma a Costantinopoli a Mosca» (Roma, Campidoglio, 19-21 aprile 2007); seminario organizzato dall’Unità di ricerca ‘Giorgio La Pira’ del Consiglio Nazionale delle Ricerche e dall’Istituto di Storia Russa dell’Accademia delle Scienze di Russia, con il contributo dell’Università di Roma “La Sapienza”.

 

[1] Con attenzione alle fonti patristiche ed intorno alle diverse espressioni utilizzate, fra le quali plebs Dei, che non assume una connotazione negativa nel latino paleo-cristiano, fra gli altri cfr. M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione nella legislazione dei secoli IV-VI, Torino 1996, 179 ss.

 

[2] Sermo CCC, cap. I, 1, in PL 38, col. 1377.

 

[3] «… Ipse enim populus, aliis decedentibus, aliisque nascentibus, idem est populus. Sacramenta sunt mutata, non fides. Signa mutata sunt quibus aliquid significabatur, non res quae significabatur…» (Sermo XIX, in PL 38, 3, col. 133).

 

[4]  Adversus Judaeos, cap. III, 4, in PL 42, col. 53.

 

[5] Ibidem, cap. VII, 9, col. 58.

 

[6] «… Per illos sanctos patriarchas et prophetas carnali populo Israel, qui postea etiam Iudaei appellati sunt, et visibilia beneficia ministrabantur quae carnaliter a Domino desiderabant …» (De catechizandis rudibus, cap. XIX, 33, in PL 40, col. 334 s.).

 

[7] «… Haec et ad Jacob nepotem Abrahae…, qui etiam Israel appellatus est, ex quo universus ille populus et propagatus et nominatus est, ut hujus populi Deus appellaretur Deus Israel: non quod ipse non sit Deus omnium Gentium, sive nescientium, sive jam scientium: sed quia in isto populo voluit manifestius apparere virtutem promissorum suorum. Ille enim populus primo in Aegypto multiplicatus, et de illa servitute per Moysen in multis signis portentisque liberatus, debellatis plurimis Gentibus terram etiam promissionis accepit, in qua regnavit per regos suos de tribu Juda exortos… Ecce nunc fit, ecce nunc gentes ab extremo terrae veniunt ad Christum ita dicentes, et simulacra frangentes. Et hoc enim magnum est, quod Deus praestitit Ecclesiae suae ubique diffusae, ut gens Judaea merito debellata et dispersa per terras, ne a nobis haec composita putarentur, codices prophetiarum nostrarum ubique portaret…» (De consensu evangelistarum, liber I, cap. XXV, 39, cap. XXVI, 40, in PL 34, coll. 1060 s.).

 

[8] Enarratio in psalmum LXXVII, cit., cap. VIII, in PL 36, col. 988.

 

[9] De scriptura sacra speculum, praefatio, in PL 34, col. 889.

 

[10] «… Vera autem justitia non est, nisi in ea republica, cujus conditor retorque Christus est; si et ipsam rempublicam placet dicere, quoniam eam rem populi esse negare non possumus. Si autem hoc nomen, quod alibi aliterque vulgatum est, ab usu nostrae locutionis est forte remotius; in ea certe civitate est vera justitia, de qua Scriptura sancta dicit, Gloriosa dicta sunt de te, civitas Dei …» (De civitate Dei contra paganos, liber II, cap. XXI, 4, in PL 41, coll. 68 s.).

 

[11] «Unde Dominus jam per Evangelii gratiam ad summam pacem populum deducens, huic gradui superaedificavit alterum; ut qui jam audierat non ampliorem vindictam, quam quisque laesus esset, reddere, placata mente totum se donare gauderet» (Contra Adimantum Manichaei discipulum, cap. VIII, in PL 42, col. 139).

 

[12] «... natura propensi sumus ad diligendos homines, quod fundamentum iuris est» (De Legibus 1.43).

 

[13] «… ut quemadmodum justus unus, ita coetus populusque justorum vivat ex fide, quae operatur per dilectionem, qua homo diligit Deum, sicut diligendus est Deus, et proximum sicut semetipsum: ubi ergo non est ista justitia, profecto non est coetus hominum juris consensu et utilitatis communione sociatus. Quod si non est, utique populus non est, si vera est haec populi definitio. Ergo nec respublica est: quia res populi non est, ubi ipse populus non est» (De civitate Dei contra paganos, liber XIX, cap. XXIII, 5, in PL 41, col. 655). Le espressioni centrali, come noto, sono di Cicerone (De republica 1.25.39). Cfr., fra gli altri (per la comprensione della definizione), M.P. BACCARI, Dall'Urbs alla comunione dei popoli, in Euntes docete, 2003, 185 s. Il criterio dell'utilitas in Cicerone, a nostro avviso, differisce da quello ulpianeo (D. 1.1.1.2), posto dal Fedele alla base della sua rigorosa concezione panpubblicistica dell'ordinamento canonico (P. FEDELE, Discorsi sul diritto canonico, Roma 1973, 23), anche se, nella più genuina concezione romana, le nozioni di publicus e privatus, «pur se distinte in vario modo, non sono mai assolutamente contrapposte» (P. CATALANO, Diritto e persone. Studi su origine e attualità del sistema romano, Torino 1990, I, 186). Sull'aspetto volontaristico, cioè sul consenso rilevante per il diritto della più antica definizione di Cicerone, vanno ricordati anche, dello stesso, Pro Balbo 12.29 e, specialmente 13.31: «ne quis invitus civitate mutetur neve in civitate maneat invitus!».

 

[14] «… in ea societate viveret, ubi nemini licebat dicere aliquid suum, sed essent illis omnia communia …» (Sermo CCCLVI, 2, in PL 39, col. 1575).

 

[15] «… quorum nemo dicebat aliquid proprium, sed erant illis omnia communia» (Enarratio in psalmum LXXVIII, 2, in PL 36, col. 1010).

 

[16] «Fac nos beatos de te, quia Beatus populus, cujus est Dominus Deus ipsius. Nec irascitur si dixerimus de Deo, Fundus noster. Legimus enim quoniam Dominus pars haereditatis meae” » (Sermo CXIII, cap. VI, in PL 38, col. 651).

 

[17] «… Iudaei…quando crediderunt in Christum, attende quid fecerint. Quidquid habuerunt, vendiderunt, et posuerunt pretia praediorum suorum ante Apostolorum pedes: et distribuebatur unicuique, prout cuique opus erat …» (Sermo CCLII, cap. III, 3, in PL 38, col. 1173).

 

[18] «..Sic autem omnia illa conversa sunt millia hominum, ut res suas venderent, et pretia rerum suarum ante pedes Apostolorum ponerent … hoc fecerunt subito tot millia eorum hominum …» (Enarratio in psalmum XCIV, 7, in PL 37, col. 1222).

 

[19] «… eos qui in mediis turbis agendo ac suadendo populis praesunt, non ut praesint, sed ut prosint: quia dum isti actuosi et negotiosi homines, per quos multitudinis administratur utilitas, et quorum auctoritas populis chara est …» (Contra Faustum Manichaeum, liber XXII, cap. LVI, in PL 42, col. 436).

 

[20] «Sed quia bonum est ut etiam haec vita latius innotescens popularem gloriam mereatur, injustum est autem ut eam consequatur , si amatorem suum administrandis ecclesiasticis curis aptum et idoneum in otio detinet, noc gubernationi communis utilitatis impertit …» (ibidem, cap. LVII, col. 436).

 

[21] De officiis 1.153-155.

 

[22] «Quis non videat hoc geri toto orbe terrarum, venire homines ex operibus saeculi et ire in otium cognoscendae et contemplandae veritatis, tanquam in amplexum Rachel; et excipi de transverso ecclesiastica necessitate, atque ordinari in laborem, tanquam Lia dicente, Ad me intrabis? Quibus caste mysterium Dei dispensantibus, ut in nocte hujus saeculi filios generent fidei …» (ibidem, cap. LVIII, col. 437).

 

[23] «Excellenti ergo sanctitate eminentes in Ecclesia, montes sunt; qui idonei sunt et alios docere, sic loquendo ut fideliter instruantur, sic vivendo ut salubriter imitentur: colles autem sunt illorum excellentiam sua obedientia subsequentes. Quare ergo montes pacem, et colles justitiam? An forte nihil interesset, etiamsi ita diceretur: Suscipiant montes justitiam populo, et colles pacem? Utrisque enim justitia, et utrisque pax necessaria est: et fieri potest ut alio nomine pax appellata sit ipsa justitia; haec est enim vera pax, non qualem injusti inter se faciunt…Excellentes quippe in Ecclesia, paci debent vigilanti intentione consulere; ne propter suos honores superbe agendo schismata faciant, unitatis compage disrupta. Colles autem ita eos imitando et obediendo subsequantur, ut eis Christum anteponant …» (Enarratio in psalmum LXXI, 5, in PL 36, col. 904).

 

[24] «Generaliter quippe civitas impiorum, cui non imperat Deus obedienti sibi, ut sacrificium non offerat, nisi tantummodo sibi…, caret justitiae veritate» (De civitate Dei contra paganos, liber XIX, cap. XXIV in PL 41, col. 656).

 

[25] « … ita sane ut nec emendationis vigilantia quiescat, corripiendo, degradando, excommunicando, caeterisque coercitionibus licitis atque concessis, quae salva unitatis pace in Ecclesia quotidie fiunt secundum praeceptum apostolicum charitate servata…Sic enim et disciplina servat patientiam, et patientia temperat disciplinam; et utrumque refertur ad charitatem, ne forte aut indisciplinata patientia foveat iniquitatem, aut impatiens disciplina dissipet unitatem… Neque … a populo Dei separamus, quos vel degradando vel excommunicando ad humiliorem poenitendi locum redigimus» (Ad Donatistas post collationem, capp. IV, 6, XX, 28, in PL 43, coll. 656 ss.).

 

[26] Si entra a far parte di questo popolo non per legami di sangue ma per comunione di fede: «… nos promerendo Deum, de genere Abrahae facti sumus, non pertinentes ad carnem, sed pertinentes ad fidem. Imitati enim fidem, filii facti sumus: illi autem degenerando a fide, exhaeredari meruerunt …» (Enarratio in psalmum LXXXIV, 4, in PL 37, col. 1071).

 

[27] «Cum autem dicitur de patre esse sororem Christi Ecclesiam, non de matre, non terrenae generationis quae evacuabitur, sed gratiae coelestis quae in aeternum manebit, cognatio commendatur. Secundum quam gratiam genus mortale non erimus, accepta protestate ut filii Dei vocemur et simus …» (Contra Faustum Manichaeum, Liber XXII, cit., capp. XXXIX, col. 425).

 

[28] Il battesimo contraddistingue il popolo cristiano. Così Agostino: «… populus ejus sumus, qui propterea est appellatus Jesus, quia salvum facit populum suum a peccatis eorum …» (Operis imperfecti contra Julianum, liber II, cap. II, in PL 45, col. 1143).

 

[29] «… omnes gentes in uno una; ipsa est unitas. Quomodo enim Ecclesia et Ecclesiae, illae Ecclesiae quae Ecclesia; sic illa gens quae gentes: antea gentes, multae gentes; modo una gens. Quare una gens? Quia una fides, quia una spes, quia una charitas, quia una exspectatio. Postremo quare non una gens, si una patria? Patria coelestis est, patria Jerusalem est: qui quis inde civis non est, ad istam gentem non pertinet; quisquis autem inde civis est, in una gente Dei est. Et haec gens ab oriente in occidentem, ab aquilone et mari distenditur per quatuor partes totius orbis …» (Enarratio in psalmum LXXXV, 14, in PL 37, coll. 1091-1092).

 

[30] Cfr. Cicerone, De officiis 1.53.

 

[31] Cfr. G. CALABRESE, Quaestiones disputatae: Chiesa come “popolo di Dio” o Chiesa come “comunione”? Ermeneutica e recezione della Lumen Gentium, in Rassegna di teologia (46) 2005, 695-717.

 

[32] W. ONCLIN, Opera consultorum in parandis canonum schematibus, in Communicationes, 1971, 51.

 

[33] Cfr. R. BACCARI, La comunione ecclesiale, sintesi di accentramento e decentramento, in Scritti minori di Renato Baccari, a cura di R. COPPOLA, Bari, I, 1997, 105-114.

 

[34] Cfr. le anticipazioni di A. ROUCO VARELA - E. CORECCO, Sacramento e diritto: antinomia nella Chiesa? Riflessioni per una teologia del diritto canonico, Milano 1971, 59.

 

[35] Cfr. i magisteriali approfondimenti sul pensiero di Sant'Agostino circa la Chiesa, tornati alla ribalta dopo la visita pastorale di Benedetto XVI a Pavia, presso il sepolcro del Doctor gratie (21-22 aprile 2007, all'indomani della sessione dei lavori del nostro seminario dedicata al populus Dei), davanti alla penna di J. RATZINGER, Popolo e casa di Dio in Sant'Agostino, Milano 2005. Cfr. altresì, per uno sguardo d'insieme sui problemi di fondo dell'ecclesiologia, ID, Il nuovo popolo di Dio, Brescia 1992.

 

[36] Cfr. R. COPPOLA, La non esigibilità nel diritto penale canonico. Dottrine generali e tecniche interpretative, Bari 1992, passim. Per i concetti di communio, mistica e societaria, cfr. G. D'ERCOLE, Communio – Collegialità - Primato e sollicitudo omnium ecclesiarum, Roma 1964, 59-66; ID., L'essenza del Vangelo nel tempo. Il fine individuale nella costituzione dell'esse christianum e il fine sociale della Chiesa, Roma 1969, 135 ss.; Acta conventus internationalis de historia sollicitudinis omnium Ecclesiarum. “Comunione interecclesiale - Collegialità - Primato - Ecumenismo, Roma 1972. Dopo la recezione codiciale della dottrina della communio cfr., in particolare, G. SARACENI, Riflessioni preliminari a una costituzione giuridica della Chiesa in quanto comunione, in AA.VV., Scienza giuridica e diritto canonico, a cura di R. BERTOLINO, Torino 1991, 189 ss. Sull'utilizzazione del termine communio nella Bibbia, specialmente nel Nuovo Testamento, cfr. R. COPPOLA, La non esigibilità cit., 180 s.

 

[37] «... de unitate Patris, et Filii, et Spiritus sancti, plebs adunata» (CYPRIANUS, De oratione Dominica, cap. XXIII, in PL 4, col. 553).

 

[38] G. CALABRESE, op. cit., 713.