Testatina-Rassegne2013

 

 

foto (2)Civitas Romana: emersione di una categoria nel diritto e nella politica tra Regnum e Res publica

 

 

ADRIANA MURONI

Università di Sassari

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SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Modi ‘privati’ di acquisto della cittadinanza.2.1. Acquisto della cittadinanza per filiazione. – 2.2. Acquisto della cittadinanza per adoptio. – 2.3 La manumissio servorum. – 2.4. Acquisto della cittadinanza mediante iscrizione al censo. – 3. Modi di concessione ‘pubblici’ della cittadinanza. – 3.1. La concessione da parte del rex. – 3.2. La concessione della cittadinanza mediante leges. – 3.2.1. Leges rogatae e plebiscita. – 3.2.2. Concessione per provvedimento del magistrato. – 4. Conclusioni.

 

 

1. -       Introduzione

 

In Roma arcaica si rinvengono molteplici forme di concessione della cittadinanza[1] in una casistica piuttosto vasta - concessioni al singolo o a comunità, concessioni ampie o limitate - sino alla constitutio Antoniniana che estenderà la cittadinanza a tutti gli abitanti dell’Impero[2]. L’esame di questo articolato sistema mira a evidenziare gli aspetti giuridici e le tendenze politiche che hanno caratterizzato il concetto stesso di cittadinanza romana. Per questa ricerca, si è proceduto ad analizzare le forme di concessione più risalenti e diffuse in uso tra il Regnum e la Res publica dalle quali trarre la definizione e l’emersione stessa della categoria civitas Romana.

A tal fine, ho ritenuto opportuno operare una classificazione generale dei modi attraverso i quali è possibile in Roma arcaica ottenere la cittadinanza romana, distinti in modi ‘privati’ di acquisto e modi ‘pubblici’ di concessione.

Tra i modi ‘privati’ sono stati analizzati l’acquisto della civitas per filiazione legittima, per adoptio e per manumissio. Accanto a questi modi ‘tipici’ sono stati discussi anche alcuni acquisti della cittadinanza mediante iscrizione al censo.

In riferimento ai modi di concessione ‘pubblici’, si è proceduto ad esaminare, per il Regnum, l’attribuzione della cittadinanza da parte del rex e, per l’epoca repubblicana, la concessione mediante lex, sia essa rogata, plebiscitum, ovvero decretum o altro provvedimento del magistrato dotato di imperium.

 

 

2. -       Modi ‘privati’ di acquisto della cittadinanza

 

I modi qui definiti ‘privati’ permettono l’acquisto della civitas Romana in assenza di uno specifico provvedimento costitutivo di diritto pubblico. L’acquisto della cittadinanza diviene conseguenza automatica di atti e fatti giuridici, espressione delle facoltà proprie del pater familias, e le istituzioni politiche romane non intervengono, se non per delimitarne, normarne o attestarne l’esercizio, come usualmente avveniva nella sfera giuridica.

Istituti tipici sono la filiazione, l’adoptio e la manumissio. A queste tipologie si possono in qualche modo accomunare quei modi di concessione della cittadinanza - tipici dei Latini ma in ogni caso attribuibili per lex anche a stranieri - nei quali l’acquisto della civitas Romana è lasciato alla libera scelta dell’individuo che decide, recandosi a Roma, di avvalersi del beneficio attribuitogli normativamente. In tali casi, infatti, pur se non siamo di fronte ad un acquisto tipicamente ‘privato’, emerge la rilevanza dell’elemento volontaristico che determina il compimento necessario di uno specifico atto, l’iscrizione al censo, da cui, qualora ovviamente sussistano tutti i requisiti prescritti, deriverà il conseguente acquisto della cittadinanza romana. La voluntas è così un aspetto caratteristico che differenzia queste fattispecie dalle concessioni tipiche di diritto pubblico.

Tutte le forme ‘private’, come si vedrà, possono comportare esclusivamente l’acquisto della cittadinanza per uno o più individui, ma non per una collettività, la cui assimilazione nella civitas passa da una concessione operata dal sistema giuridico-religioso romano.

 

 

2.1. - Acquisto della cittadinanza per filiazione

 

La nascita da genitori entrambi in possesso della cittadinanza romana rappresenta la forma originaria di acquisto della civitas Romana[3]. è discusso se, in tale evenienza, l’attribuzione della cittadinanza sia conseguenza automatica della nascita o se, invece, sia l’effetto giuridico del tollere liberos[4], attraverso il quale il pater accoglie il neonato nella famiglia e, dunque, nella civitas.

Qualora uno dei due coniugi non sia Romano gli effetti della filiazione sulla concessione della cittadinanza sono diversi a seconda del periodo storico analizzato.

In epoca risalente è ipotizzabile che fosse la condizione giuridica del pater a determinare la cittadinanza del filius. Ciò ritengo si possa trarre dal racconto di Tito Livio sul ratto delle Sabine, nel quale emerge chiaramente la sentita necessità, durante il Regnum di Romolo, di accrescere il numero dei cittadini romani attraverso la filiazione:

 

Iam res Romana adeo erat valida ut cuilibet finitimarum civitatum bello par esset; sed penuria mulierum hominis aetatem duratura magnitudo erat, quippe quibus nec domi spes prolis nec cum finitimis conubia essent. Tum ex consilio patrum Romulus legatos circa vicinas gentes misit qui societatem conubiumque novo populo peterent: urbes quoque, ut cetera, ex infimo nasci; dein, quas sua virtus ac di iuvent, magnas opes sibi magnumque nomen facere; satis scire, origini Romanae et deos adfuisse et non defuturam virtutem; proinde ne gravarentur homines cum hominibus sangumem ac genus miscere. Nusquam benigne legatio audita est: adeo simul spernebant, simul tantam in medio crescentem molem sibi ac posteris suis metuebant. Ac plerisque rogitantibus dimissi ecquod feminis quoque asylum aperuissent; id enim demum compar conubium fore[5].

 

Il rifiuto delle popolazioni latine di procedere ad accordi di conubium induce i Romani a rapire le Sabine, rese così spose e madri di nuovi cittadini romani. Tuttavia, nella narrazione liviana si può evidenziare un aspetto ulteriore, poiché sembrerebbe che anche alle captae venga concessa da Romolo la cittadinanza romana. Tito Livio, infatti, precisa che:

 

Sed ipse Romulus circumibat docebatque patruin id superbia factuin qui conubium finitimis negassent; illas tamen in matrimonio, in societate fortunarum omnium civitatisque et quo nihil carius humano generi sit liberum fore[6].

 

Gli effetti della filiazione per la concessione della cittadinanza sono trattati dal giurista Gaio, il quale analizza la normativa della lex Minicia[7] e, in ragione di questa, richiama anche la più arcaica norma di ius gentium per cui i figli devono seguire la condizione della madre. Di tale ultima norma non è precisata la collocazione temporale, Gaio riferisce solo come questa sia remota e, dunque, di certo antecedente alla lex Micinia, senza che ne sia determinabile l’effettiva arcaicità. In riferimento alla lex Minicia, collocabile nel I sec. a.C.[8], il giurista ricorda come questa distingua i casi di filiazione da matrimonio cum conubium, dai casi di sine conubium. Nella prima fattispecie è prescritto che i figli seguano status e cittadinanza del pater[9]; dunque, se il padre è Latino, pur con madre romana, il figlio acquisterà la cittadinanza Latina[10]:

 

Iustas autem nuptias contraxisse liberosque iis procreatos in potestate habere cives Romani ita intelleguntur, si cives Romanas uxores duxerint vel etiam Latinas peregrinasve, cum quibus conubium habeant: cum enim conubium id efficiat, ut liberi patris condicionem sequantur, evenit, ut non solum cives Romani fiant, sed et in potestate patris sint[11].

 

In caso di figli nati da un’unione tra soggetti privi di ius conubii, la lex Minicia prescrive, invece, che il figlio segua la condizione giuridica del soggetto dotato di condizione deteriore, ovvero lo status della persona priva di cittadinanza romana:

 

Quod autem diximus inter civem Romanum peregrinamque nisi conubium sit, qui nascitur, peregrinum esse, lege Minicia cavetur, ut is quidem deterioris parentis condicionem sequatur. Eadem lege autem ex diverso cavetur, ut si peregrinus, cum qua ei conubium non sit, uxorem duxerit civem Romanam, peregrinus ex eo coitu nascatur. Quod autem diximus inter civem Romanum peregrinamque nisi conubium sit, qui nascitur, peregrinum esse, lege Minicia cavetur, ut is quidem deterioris parentis condicionem sequatur. Eadem lege autem ex diverso vavetur, ut si peregrinus, cum qua ei conubium non sit, uxorem duxerit civem Romanam, peregrinus ex eo coitu nascatur. Sed hoc maxime casu necessaria lex Minicia fuit; nam remota ea lege diversam condicionem sequi debebat, quia ex eis, inter quos non est conubium, qui nascitur, iure gentium matris condicioni accedit. Qua parte autem iubet lex ex cive Romano et peregrina peregrinum nasci, supervacua videtur; nam et remota ea lege hoc utique iure gentium futurum erat[12].

 

Questo aspetto porta il giurista a ritenere supervacua la specificazione operata dalla lex Minicia sull’acquisto dello status di peregrinus da parte del figlio nato da madre peregrina e padre cittadino, poiché un simile risultato, riferisce, era già prescritto dalla richiamata norma di ius gentium[13]. Secondo l’insegnamento di Gaio, la lex Minicia ha operato un capovolgimento dell’assetto originario di ius gentium basato sulla condizione della madre, per introdurre due ordini di effetti: in caso di conubium lo status del figlio si lega alla condizione del padre, in caso di sua assenza diviene invece determinante la condizione del soggetto privo di cittadinanza romana. Tale riforma del sistema di concessione della cittadinanza ha senz’altro comportato nel I sec. a.C. la riduzione del numero dei nuovi nati dotati di cittadinanza romana.

Il conubium[14], istituto particolarmente arcaico, posto dalle fonti alle origini stesse di Roma e già presente nelle comunità del Latium vetum[15], assume così un rilievo importante nell’acquisto della cittadinanza per filiazione. Per la definizione giuridica del conubium sarà bene prendere le mosse dal noto passo dell’autore dei Tituli ex corpore Ulpiani[16]:

 

Conubium est uxoris iure ducendae facultas. Conubium habent cives Romani cum civibus Romanis, cum Latinis autem et peregrinis ita si concessum est[17].

 

Il connubio è, per il giurista, quella facoltà dei cittadini romani di sposare una donna secondo lo ius[18]. Si tratta di un diritto in uso anche tra Romani e Latini, che può trovare applicazione tra Romani e peregrini purché ciò sia stato stabilito e concesso dallo ius[19]. Non contrasta con quanto appena visto la definizione del grammatico Servio[20], per il quale conubium est ius legitimi matrimonii[21], ovvero il diritto di contrarre un matrimonio legittimo[22], riconosciuto dal sistema giuridico-religioso romano.

L’effetto giuridico della presenza di conubium è, dunque, la costituzione di un legame matrimoniale riconosciuto dallo ius civile e conseguentemente definito dalle fonti con le espressioni iustae/legitimae nuptiae o iustum/legitimum matrimonium[23].

Il conubium ha così rappresentato uno strumento politico importante per i rapporti tra Romani e stranieri, tant’è che, sovente, è concesso in sede di trattati[24].

Riporto qui di seguito una parte del discorso pronunciato, secondo la ricostruzione di Tito Livio, dal delegato romano Lucius Furius Purpureo al Concilium Aetolorum del 200 a.C.:

 

An Campanorum poenae, de qua ne ipsi quidem queri possunt, nos paeniteat? Hi homines, cum pro iis bellum adversus Samnites per annos prope septuaginta cum magnis nostris cladibus gessissemus, ipsos foedere primum, deinde conubio atque inde cognationibus, postremo civitate nobis coniunxissemus, tempore nostro adverso primi omnium Italiae populorum, praesidio nostro foede interfecto, ad Hannibalem defecerunt, deinde indignati se obsideri a nobis Hannibalem ad oppugnandam Romam miserunt[25].

 

Il passo è interessante per l’indicazione delle fasi di concessione della cittadinanza ai Campani, anticipata da un foedus e dalla concessione del conubium. Emerge così l’evidente uso politico dell’istituto, particolarmente rilevante all’interno della politica estera romana, per essere in grado di creare un fitto insieme di legami con famiglie e gruppi stranieri[26] in previsione della futura concessione della cittadinanza.

 

 

2.2. - Acquisto della cittadinanza per adoptio

 

Il tema relativo all’acquisto della cittadinanza romana attraverso l’adoptio risulta piuttosto controverso[27]. L’istituto è espressamente inserito da Ulpiano tra i modi di acquisto della cittadinanza ‘locale’ di un municipio, per il quale municipem aut nativitas facit aut manumissio aut adoptio[28]. Tuttavia, per il periodo precedente tale aspetto non è attestato nelle fonti giuridiche. La definizione di Sesto Pompeo Festo, ma attribuibile al giurista Elio Gallo[29], precisa, infatti, che municipes est, ut ait Aelius Gallus, qui in municipio natus est[30] omettendo dunque il richiamo all’adoptio tra i modi di acquisto di questa cittadinanza ‘locale’.

Elementi a favore dell’acquisto della cittadinanza romana attraverso l’adoptio possono essere rilevati nell’epitaffio bilingue di Massavetere del medico L. Manneius, la cui datazione è incerta, ma pacificamente collocabile nella tarda Repubblica[31]:

 

L(ucius) ∙ Manneius ∙ Q(uinti) ∙ medic(us) / veivos ∙ fecit ∙ φσει δ / Μενεκρτης Δημη/τρου Τραλλιανς, / φυσικς ονοδτης / ζν ποησεν [...][32].

 

L’iscrizione - riferita ad un medico di origine greca, Menecrate figlio di Demetrio di Tralles, diventato poi cittadino romano come L(ucius) Manneius - è interessante perché potrebbe riportare un caso di acquisto della cittadinanza romana attraverso adoptio. Tuttavia, poiché l’epitaffio, a differenza della parte greca, non riporta nella parte latina la formula ‘filius’ o ‘libertus’, è difficile determinare se Quintus possa essere il padre adottivo[33], ovvero l’ex dominus del medico[34].

La possibilità di adottare uno straniero si può anche dedurre dall’adoptio del servus, espressamente prevista nelle fonti:

 

Alioquin, inquit [scil. Masurius Sabinus] si iuris ista antiquitas servetur, etiam servus a domino per praetorem dari in adoptionem potest[35].

 

Nel passo Gellio, successivamente alla trattazione dell’adozione del liberto[36], ricorda le parole del giurista Masurio Sabino, il quale riferisce dell’adoptio del servus, già ammessa da veteres auctores[37]; indicazione che permette di collocare verosimilmente questa evenienza di certo in  età repubblicana[38].

La possibilità dell’adoptio di un servus è ulteriormente regolata nella compilazione giustinianea[39]:

 

Apud Catonem bene scriptum refert antiquitas, servi si a domino adoptati sint, ex hoc ipso posse liberari. Unde et nos eruditi in nostra constitutione etiam eum servum, quem dominus actis intervenientibus filium suum nominaverit, liberum esse constituimus, licet hoc ad ius filii accipiendum ei non sufficit[40].

 

Il passo, secondo la dottrina dominante[41], si riferisce al figlio di Catone il Censore, M. Porcius Cato Licinianus, la cui morte è attestata nel 152 a.C. a riprova della effettiva possibilità di adottare un servus in epoca repubblicana[42].

Sembrerebbe, pertanto, che l’adozione dello straniero, al pari dell’adozione dello schiavo, dovesse essere ammessa a Roma.

 

 

2.3. - La manumissio servorum

 

Altro modo ‘privato’ di acquisto della cittadinanza romana è la manumissio[43], quell’atto volontario del dominus, attraverso il quale il servus acquista lo status di uomo libero e, conseguentemente, una civitas[44].

La definizione giuridica dell’istituto è fornita da Ulpiano:

 

Manumissiones quoque iuris gentium sunt. Est autem manumissio de manu missio, id est datio libertatis: nam quamdiu quis in servitute est, manui et potestati suppositus est, manumissus liberatur potestate. Quae res a iure gentium originem sumpsit, utpote cum iure naturali omnes liberi nascerentur nec esset nota manumissio, cum servitus esset incognita: sed posteaquam iure gentium servitus invasit, secutum est beneficium manumissionis. Et cum uno naturali nomine homines appellaremur, iure gentium tria genera esse coeperunt: liberi et his contrarium servi et tertium genus liberti, id est hi qui desierant esse servi[45].

 

Sia l’atto di manomissione, sia la stessa condizione servile[46] sono collocati dal giurista nell’ambito dello ius gentium[47], in contrapposizione alla naturale condizione di libertà che caratterizza gli uomini[48]. In tal senso, la manomissione è quell’istituto che, contrastando lo squilibrio arrecato dalla schiavitù, permette di riportare ai principi del diritto naturale i soggetti privati della libertà attraverso la datio libertatis che determina la fuoriuscita del servus dalla manus del dominus.

Le diverse forme di manumissiones sono sovente estrinsecazione di un potere discrezionale proprio del cittadino romano che può liberamente attribuire libertas e civitas al proprio servus. L’intervento del magistrato nella manumissio vindicta, indipendentemente dal valore che si voglia attribuire all’addictio[49], poiché si tratta di un atto dovuto, non limita questa facultas del dominus. Differente è, invece, il discorso sulle manomissioni dei servi publici[50], la cui manumissio, in ragione della loro peculiare condizione, è decisa dal populus Romanus[51].

Il potere di affrancazione sui propri servi accorda al cittadino romano la facultas di attribuire la cittadinanza romana[52]. Si tratta di un potere tanto rilevante ed applicato che più avanti sarà limitato, seppur non eliminato, attraverso forme di restrizione che comporteranno la concessione dello status di latino o di peregrino e non più di romano[53].

I requisiti necessari affinché alla manumissio consegua l’attribuzione della civitas Romana sono enumerati da Gaio:

 

Nam in cuius personam tria haec concurrunt, ut maior sit annorum triginta et ex iure Quiritium domini et iusta ac legitima manumissione liberetur, id est vindicta aut censu aut testamento, is civis Romanus fit; sin vero aliquid eorum deerit, Latinus erit[54].

 

Il giurista precisa gli elementi che devono sussistere congiuntamente affinché la manomissione comporti, come ulteriore effetto giuridico, la concessione della civitas Romana al liberto: essere maggiore di trent’anni, sottoposto a un dominium ex iure Quiritium e manomesso tramite una manumissio iusta e legitima. Qualora manchi anche uno solo di questi requisiti, Gaio riferisce che il servo liberato non otterrà la cittadinanza romana, pur se vi sarà in ogni caso l’assegnazione della civitas Latina.

Il passo è interessante perché sembra escludere, in caso di liberazione di un servus, il possibile verificarsi di situazioni di apolidia. Pertanto, se la libertas è, come si è visto sopra, la condizione naturale dell’individuo, altrettanto si può dire della cittadinanza, giacché il servus, una volta liberato[55], acquisterà ipso iure una civitas. Varrebbe forse la pena di approfondire in altra sede il fondamento del principio che ne deriverebbe, ovvero se, in via di principio, un individuo libero che condivide gli elementi fondamentali di un determinato sistema giuridico debba essere civis di tale sistema[56].

La connessione tra manumissio ed acquisto automatico della cittadinanza è ricondotta da Dionigi di Alicarnasso ad una lex di Servio Tullio:

 

Ξνους ποδεχμενοι κα μεταδιδντες τς σοπολιτεας φσιν τ´ τχην ατν οδεμαν παξιοντες, ες πολυανθρωπαν προγαγον τν πλιν. δ Τλλιος κα τος λευθερουμνοις τν θεραπντων, ἐὰν μ θλωσιν ες τς αυτν πλεις πιναι, μετχειν τς σοπολιτεας πτρεψε. Κελεσας γρ μα τος λλοις πασιν λευθροις κα τοτους τιμσασθαι τς οσας, ες φυλς κατταξεν ατος τς κατ πλιν ττταρας παρχοσας, ν ας κα μχρι τν καθ´ μς χρνων ταττμενον διατελε τ ξελευθερικν φλον, σον ν · κα πντων πδωκε τν κοινν ατος μετχειν, ν τος λλοις δημοτικος[57].

 

Servio[58], secondo la ricostruzione dello storico greco, stabilisce che con la manomissione i liberti vengono distribuiti nelle quattro tribù urbane, acquistando così la piena cittadinanza romana[59]. La narrazione dionisiana prosegue con il discorso di Servio Tullio, il quale giustifica la propria decisione:

 

Χωρς δ το κοιν χρησμου κα δίᾳ πολλ φελσεσθαι τος επορωττους ωμαων, ἐὰν τος πελευθρους ἐῶσι τς πολιτεας μετχειν, ν κκλησαις τε κα ψηφοφοραις κα τας λλαις πολιτικας χρεαις τς χριτας, ν ος μλιστα δονται πργμασι, κομιζομνους κα τος κ τν πελευθρων γινομνους πελτας τος γγνοις τος αυτν καταλεποντας[60].

 

Nel brano, il discorso del rex evidenzia i grandi benefici politici e militari che la riforma porterà a Roma, giacché i liberti muniti di cittadinanza potranno partecipare alle assemblee ed ivi votarvi, compiacendo così i patroni, nonché far parte dell’esercito, assicurando così una fonte inesauribile di nuovi soldati romani. Secondo Gabba, le motivazioni addotte da Servio, che evidenziano in particolare l’utilitas della riforma per i patrizi, potrebbero essere una rielaborazione postuma[61], poiché un tale ragionamento, così palesemente teso a placare le ire dei patrizi, deve ritenersi in contrasto con la politica filo-popolare che ha distinto tale rex. In ogni caso, il fenomeno di servirsi di liberti per ottenere la maggioranza nelle votazioni comiziali, o per avere nell’esercito un seguito di fedelissimi su cui contare, non è un fatto insolito in Roma arcaica[62], fatto che può aver contribuito a rendere la manumissio dei servi e la loro ammissione alla civitas un aspetto politicamente rilevante nella storia antica.

Il massiccio uso di manomissioni determinerà in seguito la politica restrittiva di Augusto, volta a limitare il numero massimo di servi che un unico cittadino romano poteva legittimamente liberare[63]. Va, in ogni caso, rilevato che, pur se non sono mancati di tanto in tanto atteggiamenti contrastanti[64], è riscontrabile nelle fonti un giudizio positivo circa la concessione della cittadinanza ai servi manomessi, sia da parte degli stessi Romani, sia da parte degli stranieri, per i quali è, in alcuni casi, un esempio da seguire[65]. Ciò è bene evidenziato in un passo di Dionigi di Alicarnasso:

 

'Ρωμύλου δέ την έπώνυμον αύτοΰ πόλιν οίκίσαντος έκκαίδεκα γενεαΐς των Τρωικών ύστερον, ην νϋν εχουσιν όνομασίαν μεταλαβόντες, έθνος τε μέγιστον έξ ελαχίστου γενέσθαι χρόνω παρεσχεύασαν καί περιφανέστατον έξ άδηλοτάτου, των τε δεομένων οίκήσεως παρά σφίσι φιλανθρώπφ υποδοχή καί πολιτείας μεταδόσει τοις μετά τοΰ γενναίου έν πολέμω κρατηθεΐσι, δούλων τε δσοι παρ* αύτοΐς έλευθερωθεϊεν άστοίς είναι συγχωρήσει, τύχης τε ανθρώπων ουδεμιάς εί μέλλοι τό κοινον ώφελείν απαξιώσει· υπέρ ταύτα δέ πάντα κόσμφ τοΰ κολιτεύματος, ον έκ πολλών κατεστήσαντο παθημάτων, έκ παντός καιρού λαμβάνοντες τι χρήσιμον[66].

 

Lo storico afferma che i Romani - tra utilitas per la Res publica e pura filantropia - hanno sempre generosamente concesso la cittadinanza[67]. In un contesto di esaltazione della grandezza Romana, Dionigi spiega come Roma sia cresciuta anche grazie alla concessione della cittadinanza a stranieri, nemici vinti e schiavi liberati. Questa tendenza, che caratterizzerà specialmente l’esperienza giuridica romana antica, è rilevabile dalla fondazione stessa di Roma.

La percezione esterna della politica di concessione della cittadinanza ai servi manomessi emerge con chiarezza dalla lettera del 215 a.C. di Filippo V re di Macedonia ai Larissei, in cui questi esorta i propri sudditi a seguire l’esempio romano per risolvere la profonda crisi demografica della città tessala:

 

ν κα ο ‘Ρωμα|οί εσιν, ο κα τος oκέτας οταν λευθερσωςίν προσδεχμενοι ες τ πολίτευμα κα τν ρχαίον με[ταδι]δντες[68].

 

Il re esalta l’usanza romana di liberare i propri servi ed accoglierli nella cittadinanza, evidenziando come, in tal modo, Roma abbia potuto contare su un importante fattore di crescita e forza, senza le limitazioni etniche che nelle popolazioni greche hanno determinato un grave impoverimento demografico[69].

 

 

2.4. - Acquisto della cittadinanza mediante iscrizione al censo

 

A conclusione dell’analisi sui modi ‘privati’ di acquisto della cittadinanza, si analizzeranno ora quei modi tipici dei Latini[70], ma assegnabili per lex anche a stranieri, attraverso i quali soggetti determinati possono ottenere la cittadinanza romana mediante iscrizione alle liste censitarie romane, ovvero mediante dichiarazione ad un magistrato.

Si è detto che si tratta di un genus particolare, non immediatamente assimilabile ai modi ‘pubblici’ di concessione della cittadinanza che si vedranno appresso e, per alcune caratteristiche, in qualche modo accomunabile ai modi ‘privati’ di acquisto della civitas. In particolare, in questi modi di acquisto compartecipano tre distinti elementi: il diritto concesso dal sistema romano di acquistare la cittadinanza, la volontà dell’individuo di beneficiare di tale diritto, rinunciando così alla propria cittadinanza, e l’atto pubblico di iscrizione al censo (o diversa dichiarazione) che, nel caso sussistano i requisiti prescritti, diviene un atto costitutivo dovuto. Proprio in considerazione del necessario compimento di tale atto volontario, gli acquisti della cittadinanza qui analizzati sono stati trattati congiuntamente ai modi ‘privati’.

Un primo rilevante diritto, perfettamente riassunto nella formula in civitatem Romanam per migrationem et censum transire[71], si fonda sullo ius migrandi[72], un antico privilegio concesso ai Latini[73], già presente per De Ruggiero in uno degli accordi inseriti nell’antico trattato d’alleanza tra Lazio e Roma[74]. Tale ius, una volta stabilito il domicilio in Roma, permette di acquistare la cittadinanza romana con la semplice iscrizione operata dal censore nelle liste dei cittadini[75].

Lo ius migrandi è stato certamente utilizzato ampiamente, con conseguenti effetti negativi di spopolamento per il popolo Latino. Ciò è attestato da un racconto di Tito Livio:

 

Legatis deinde sociorum Latini nominis, qui toto undique ex Latio frequentes convenerant, senatus datus est. His querentibus magnam multitudinem civium suorum Romam commigrasse et ibi censos esse, Q. Terentio Culleoni praetori negotium datum est, ut eos conquireret, et quem C. Claudio M. Livio censoribus postue eos censores ipsum parentemve eius apud se censum esse probassent socii, ut redire eo cogeret, ubi censi essent. Hac conquisitione duodecim milia Latinorum domos redierunt, iam tum multitudine alienigenarum urbem onerante[76].

 

Il passo narra i fatti del 187 a.C. relativi allarrivo a Roma dei legati sociorum Latini nominis[77]. L’ambasciata si reca a Roma per chiedere un pronto intervento delle istituzioni romane al fine di addivenire ad una soluzione che risolva il grave problema di spopolamento causato dalla migrazione di molti Latini che avevano acquistato la cittadinanza romana mediante l’iscrizione al censo. Secondo la ricostruzione liviana, si affida al pretore Terenzio Culleone l’incarico di avviare un’inchiesta che, una volta conclusasi, farà emergere problematiche su ben 12.000 Latini iscritti al censo. Tali soggetti saranno privati della cittadinanza romana e fatti rientrare nelle proprie città, pur se il passo non spiega chiaramente le motivazioni giuridiche a fondamento di un simile provvedimento.

Non si può certo affermare che i Latini espulsi avessero ottenuto la cittadinanza romana in violazione del requisito della dimora a Roma, giacché Livio espressamente dice che questi domos redierunt, fatto che presuppone la loro residenza nell’Urbs e non invece nelle città d’origine. Si può solo ipotizzare o che i Latini espulsi fossero congiuntamente iscritti sia alle liste censitarie romane, sia a quelle delle loro città d’origine, e che l’eventuale possibilità di una doppia cittadinanza[78] fosse all’epoca condizione idonea a determinare un tale provvedimento estremo, o che l’acquisto della cittadinanza attraverso lo ius migrandi fosse subordinata ad alcune condizioni. Proprio la possibile sussistenza di limiti allo ius migrandi emerge da una lex Claudia de sociis[79] richiamata da Tito Livio:

 

Lex sociis [ac] nominis Latini, qui stirpem ex sese domi relinquerent, dabat, ut cives Romani fierent. Ea lege male utendo alii sociis, alii populo Romano iniuriam faciebant. Nam et ne stirpem domi relinquerent, liberos suos quibuslibet Romanis in eam condicionem, ut manu mitterentur, mancipio dabant, libertinique cives essent; et quibus stirps deesset, quam relinquerent, ut cives Romani * * fiebant. Postea his quoque imaginibus iuris spretis, promiscue sine lege, sine stirpe in civitatem Romanam per migrationem et censum transibant. Haec ne postea fierent, petebant legati, et ut redire in civitates iuberent socios; deinde ut lege cauerent, ne quis quem civitatis mutandae causa suum faceret neue alienaret; et si quis ita civis Romanus factus esset, <civis ne esset>. Haec impetrata ab senatu[80].

 

Lo storico riferisce le richieste delle delegazioni socium nominis Latini del 177 a.C., analoghe a quelle di appena 10 anni prima viste sopra, le quali giungono in Senato per lamentarsi ancora una volta dello spopolamento delle loro terre. Questa volta l’ambasceria precisa l’antigiuridicità dei cambi di cittadinanza, ottenuti in violazione della richiamata lex Claudia[81] che consentiva di acquistare la cittadinanza romana trasferendosi a Roma e lasciando nelle città d’origine la propria stirpe. Il passo non è integro nella parte che qui è più rilevante[82], ovvero nella precisazione dei tipi di frode lamentati dalla delegazione. È chiaro, infatti, che alcuni soci fossero soliti aggirare la legge dando in mancipium la prole a cittadini romani, dietro accordo che questi poi la manomettessero con conseguente acquisto della cittadinanza romana[83]. Tuttavia, non è dato conoscere inequivocabilmente il secondo tipo di uso distorto della lex richiamato nel passo. Si può, tuttavia, ipotizzare che il richiamo al ‘suum faceret’ accanto all’‘alienaret’, possa leggersi come la prassi di adottare un soggetto al solo fine di avere i requisiti necessari per ottenere la cittadinanza[84].

Va, tuttavia, rilevato che, poco oltre, Livio precisa l’adozione da parte del Senato di una deliberazione in accoglimento delle richieste delle delegazioni socium nominis Latini per cui all’atto della manomissione, il dominus avrebbe dovuto prestare davanti al magistrato un giuramento attraverso il quale dichiarava solennemente che la manumissio non era compiuta al mero scopo di modificare la cittadinanza. La sanzione in caso di rifiuto del giuramento era l’inefficacia della manomissione stessa:

 

Ad legem et edictum consulis senatus consultum adiectum est, ut dictator, consul, interrex, censor, praetor, qui nunc esset <quive postea futurus esset>, apud eorum quem <qui> manu mitteretur, in libertatem vindicaretur, ut ius iurandum daret, qui eum manu mitteret, civitatis mutandae causa manu non mittere; in quo id non iuraret, eum manu mittendum non censuerunt[85].

 

Nonostante le lacune, per quanto qui rileva, il racconto liviano è interessante perché esprime chiaramente il largo uso dello ius migrandi, sino alla sua definitiva abrogazione nel 95 a.C. attraverso la lex Licinia Mucia de civibus redigundis[86].

Altro beneficio[87], stavolta esteso a tutti gli stranieri[88], attraverso il quale un soggetto può decidere di acquistare la cittadinanza romana è stabilito dalla lex Acilia repetundarum, un plebiscito fatto votare da M. Acilus Glabrio - tribuno collega di Caio Gracco - nel 123-122 a.C.[89] attraverso il quale si prometteva la cittadinanza romana allo straniero che avesse intentato con successo un processo repetundarum. Qui si riporta la parte significativa per questa ricerca:

 

De civitate danda sei quis eoru//m quei ceivis Romanus non erit ex hace lege alteri nomen [--- ad praetor]em quoius ex hace lege quaestio erit detolerit et is [eo] iudicio hace lege condemnatus erit tu[m eis quei eius nomen detolerit quoius eorum opera maxime unius eum condemnatum esse constiterit --- sei volet ipse filieique quei eiei gnatei] / [erunt quom] // ceivis Romanus ex hace lege fiet nepotesque [tu]m eiei filio gnateis ceivis Romanei iustei sunto [et in quam tribum quoius is nomen ex h(ace) l(ege) detolerit sufragium tulerit in eam tribum sufragiu]m ferunto inque ea[m] tribum censento militiaeque eis vocatio esto aera stipendiaque o[mnia eis merita sunto neiqui magistratus prove magistratu][90].

 

La cittadinanza romana è nel plebiscito in esame uno dei premi cui avrà diritto lo straniero che abbia fondatamente mosso l’accusa di crimen repetundarum contro un cittadino romano[91] risultato condannato nel relativo processo. Per lo straniero che non avesse accettato la cittadinanza romana è, in ogni caso, previsto il beneficio di godere a Roma dello ius provocationis[92]. Anche nel caso richiamato, dunque, emerge la volontarietà, ovvero la scelta autonoma dell’individuo di beneficiare della cittadinanza.

Si fonda sempre su un plebiscito, la lex Plautia Papiria de civitate proposta dai tribuni C. Papirius Carbo e M. Plautius Silvanus dell’89 a.C., la possibilità per tutti i socii domiciliati in Italia di ottenere la cittadinanza romana attraverso la semplice presentazione di una dichiarazione al pretore. Il contenuto della norma è ricordato da Cicerone:

 

Data est civitas Silvani lege et Carbonis: si qui foederatis civitatibus adscripti fuissent; si tum, quum lex ferebatur, in Italia domicilium habuissent; et, si sexaginta diebus apud praetorem essent professi[93].

 

Secondo A.N. Sherwin-White il passo riporterebbe una clausola integrativa della precedente lex Iulia, analizzata nel paragrafo successivo, nella quale non era stato disciplinato il caso di concessione della cittadinanza anche agli adscripticii delle città federate[94].

Tali modi di acquisto della cittadinanza rappresentano uno strumento interessante che consente l’integrazione nel sistema romano di determinati soggetti, siano essi membri di specifiche civitates, ovvero specificatamente riconosciuti meritevoli, lasciando che siano questi a scegliere volontariamente la civitas Romana.

 

 

3. - Modi di concessione ‘pubblici’ della cittadinanza

 

I modi qui definiti ‘pubbliciriguardano concessioni della cittadinanza operate attraverso il necessario intervento delle istituzioni romane. L’uso politico che si fa di queste concessioni, le cui finalità variano a seconda del periodo storico analizzato, è in tali casi particolarmente evidente.

Questi modi di datio della cittadinanza romana particolarmente elastici possono essere rivolti sia singoli individui, sia comunità più vaste.

Durante il Regnum, si assiste alla concessione della cittadinanza da parte del rex, mentre, in epoca repubblicana, è la lex lo strumento principale di concessione della civitas Romana[95].

 

 

3.1. - La concessione da parte del rex

 

I modi più arcaici di concessione della cittadinanza romana durante il Regnum sono ricondotti, dalle fonti letterarie, ai poteri del rex, pur se, data l’inadeguatezza delle fonti, è impossibile valutare se in ciò vi sia l’indicazione completa degli strumenti per la concessione della civitas dell’età regia.

L’istituto più arcaico per la concessione della cittadinanza romana coincide, secondo il racconto tradizionale riferito da Tito Livio, con l’asylum romuleo:

 

Nobilis Romulus imaginem urbis magis quam urbem fecerat: nam incolae deerant. Erat in proximo vetus lucus; Romulus eum asylum facit, et statim singularis vis hominum collecta est: Latini Tuscique pastores, quidam etiam transmarini: Phryges sub miti Aenea, Arcades sub insigni Evandro duce influxerant. Ita ex variis elementis congregavit potens corpus unum, populumque Romanum insignis rex fecit. Sed omnes viri unius aetatis erant. Itaque quia matrimonia a nationibus finitimis petiverant et non impetrabant, feroci vi ea ceperunt. Simulaverunt ludos equestres; virgines ad spectaculum venerant et praedae fuere[96].

 

Secondo la tradizione accolta da Livio, Romolo apre le porte della nuova città a varii elementi, sia liberi, sia servi, i quali, in tal modo, divengono nuovi cives[97]. I soggetti che usufruiscono dell’asylum acquistano la cittadinanza romana e parimenti la libertà, nel caso in cui la loro condizione fosse di servi. In tal modo l’asylum diviene uno strumento fondamentale per la consolidazione stessa di Roma[98].

Al di fuori dell’istituto dell’asylum, le fonti riferiscono al rex altri modi di concessione della cittadinanza. Sul punto, un’importante testimonianza riferita a Romolo può leggersi in un passo liviano:

 

Duplicique victoria ovantem Romulum Hersilia coniunx precibus raptarum fatigata orat ut parentibus earum det veniam et in civitatem accipiat: ita rem coalescere concordia posse[99].

 

La moglie di Romolo, Ersilia, chiede al proprio marito di rendere cittadini i parenti delle Sabine rapte e sposate dai Romani. Dal passo emerge chiaramente il potere del rex di concedere autonomamente la cittadinanza.

Le fonti ricordano poi altri atti di concessione della cittadinanza ad opera dei reges successivi. La concessione effettuata dal terzo re di Roma, Tullo Ostilio, è riportata in un passo di Dionigi di Alicarnasso in cui si ricorda la distruzione di Alba Longa e il successivo assorbimento dei suoi cittadini come civis romani:

 

Οδν τι ξεστιν μν νεωτερζειν οδ´ ξαμαρτνειν, νδρες λβανο. μες γρ ν παρακινεν τι τολμσητε, πντες πολεσθε π τοτων· δεξας τος χοντας τ ξφη. Δχεσθε Oν τ διδμενα κα γνεσθε π το χρνου τοδε ωμαοι. Δυεν γρ νγκη θτερον μς ποιεν Ῥώμην κατοικεν μηδεμαν τραν γν χειν πατρδα. Οχεται γρ ωθεν κπεμφθες π´ μο Μρκος ρτιος ναιρσων τν πλιν μν κ θεμελων κα τος νθρπους παντας ες Ῥώμην μετξων. Τατα ον εδτες σον οπω γενησμενα πασασθε θανατντες κα ποιετε τ κελευμενα. Μττιον δ Φουφττιον φανς τε μν πιβουλεσαντα κα οδ νν κνσαντα π τ πλα τος ταραχδεις κα στασιαστς καλεν τιμωρσομαι τς κακς κα δολου ψυχς ξως[100].

 

Dionigi rappresenta la ricostruzione del discorso di Tullo Ostilio atto ad esortare gli Albani a trasferirsi a Roma e conseguentemente divenire cittadini romani. Il rex, in particolare, quale condizione di resa, concede agli Albani la cittadinanza romana in cambio del loro trasferimento Roma. Attraverso tale provvedimento, Roma si amplia ancora una volta sia nel numero dei cives, sia da un punto di vista territoriale con l’annessione del monte Celio[101].

Altra concessione della cittadinanza attribuita ad Anco Marzio è ricordata da Tito Livio in un passo sulla vittoria dei Romani contro la città Latina di Politorio:

 

Ancus [...] exercitu novo conscripto profectus, Politorium, urbem Latinorum, vi cepit; secutusque morem regum priorum, qui rem Romanam auxerant hostibus in civitatem accipiendis, multitudinem omnem Romam traduxit. Et cum circa Palatium, sedem veterum Romanorum, Sabini Capitolium atque arcem, Caelium montem Albani implessent, Aventinum novae multitudini datum[102].

 

Livio riferisce che Anco Marzio concede la cittadinanza ai vinti, integrandoli così nella civitas Romana, nel rispetto di quella che era la tradizione dei suoi predecessori. Anche in seguito a tale concessione si determinerà una modifica dell’assetto territoriale e numerico di Roma.

Pur se, come si è detto, lo stato delle fonti rende impossibile operare un’analisi dettagliata dei modi di concessione della cittadinanza che hanno caratterizzato il Regnum; dalle fonti richiamate, sembra, in ogni caso, evidente che in questa prima fase la concessione della cittadinanza rappresenti già uno strumento politico. Nello specifico, la civitas è concessa per integrare e accrescere Roma[103], sia numericamente, sia territorialmente. Ciò emerge anche dalla terminologia utilizzata nei passi: per Romolo si parla di congregare ovvero, su richiesta di Ersilia, di accipere; accipere è utilizzato sempre da Livio per la concessione della cittadinanza operata da Anco Marzio, mentre Dionigi utilizza per Tullo Ostilio il verbo κατοικέω. Tutti i passi analizzati, dunque, parlano di concessioni per assimilazione in stretto contatto con l’Urbs[104]. I nuovi cittadini, siano essi stranieri, servi o popolazioni vinte, diventano, in vario modo, parte di Roma.

 

 

3.2. - La concessione della cittadinanza mediante leges

 

Le leges rappresentano lo strumento per eccellenza di concessione della civitas Romana in epoca repubblicana, siano esse le leggi votate nei comizi, i plebiscita, ovvero i provvedimenti dei magistrati dotati di imperium[105]. Si tratta di uno strumento che si adatta bene all’uso romano di operare concessioni di differente portata e tipo a seconda delle esigenze del caso. La tendenza a rapportare la scelta dei contenuti della concessione a precise valutazioni ed esigenze specifiche, emerge chiaramente in un passo di Tito Livio:

 

‘Patres conscripti, quod bello armisque in Latio agendum fuit, id iam deum benignitate ac virtute militum ad finem Venit. Caesi ad Pedum Asturamque sunt exercitus hostium; oppida Latina omnia et Antium ex Volscis aut vi capta aut recepta in deditionem praesidiis tenentur vestris. Reliqua consultatio est, quoniam rebellando saepius nos sollicitant, quonam modo perpetua pace quietos obtineamus. Dii immortales ita vos potentes huius consilii fecerunt ut, sit Latium deinde an non sit, in vestra manu posuerint; itaque pacem vobis, quod ad Latinos attinet, parare in perpetuum vel saeviendo vel ignoscendo potestis. Voltis crudeliter consulere in deditos victosque? Licet delere omne Latium, vastas inde solitudines facere, unde sociali egregio exercitu per multa bella magnaque saepe usi estis. Voltis exemplo maiorum augere rem Romanam victos in civitatem accipiendo? Materia crescendi per summam gloriam suppeditat. Certe id firmissimum longe imperium est quo oboedientes gaudent. Sed maturato opus est quidquid statuere placet; tot populos inter spem metumque suspensos animi habetis; et vestram itaque de eis curam quam primum absolui et illorum animos, dum exspectatione stupent, seu poena seu beneficio praeoccupari oportet. Nostrum fuit efficere ut omnium rerum vobis ad consulendum potestas esset; vestrum est decernere quod optimum vobis reique publicae sit’[106].

 

Il testo riporta il discorso di Furio Camillo che, evidenziando l’attuale vittoria ed egemonia romana sui Latini, chiede al Senato di adottare provvedimenti tesi al mantenimento di una pace duratura con le popolazioni sottomesse secondo l’esempio degli antichi, i quali hanno reso cittadini i vinti in battaglia, poiché, evidenzia il dictator, è più agevole governare una popolazione serena.

Secondo la ricostruzione liviana, il princeps del Senato, pur giudicando corrette le parole pronunciate da Camillo, ritiene più opportuno procedere a concessioni della cittadinanza solo successivamente alla valutazione specifica degli elementi che hanno caratterizzato la condotta di ogni singolo popolo:

 

Principes senatus relationem consulis de summa rerum laudare sed, cum aliorum causa alia esset, ita expediri posse consilium dicere, [si] ut pro merito cuiusque statueretur, [si] de singulis nominatim referrent populis. Relatum igitur de singulis decretumque[107].

 

In tal modo, si procede con diverse forme di concessione più o meno ampie a seconda dell’atteggiamento tenuto dalle singole civitates durante la guerra[108].

Il passo è interessante anche per un ulteriore aspetto; la deferenza del dictator è, infatti, tale che, pur con l’ampiezza dei suoi poteri, questi si attiene al consilium del Senato, la cui decisione appare essenziale nella valutazione della concessione ‘pubblica’ della cittadinanza romana e dei suoi eventuali limiti.

 

 

3.2.1. - Leges rogatae e plebiscita

 

È notevole il numero di concessioni della cittadinanza romana attraverso leges rogatae o plebiscita[109] di cui è rimasta traccia nelle fonti.

L’evento più risalente di cui si ha notizia è la concessione della cittadinanza del 504 a.C. ad Appio Claudio, considerato il principale strumento di successo nella guerra con i Sabini, e al suo seguito:

 

Τατην ρρωδν τν δκην· δει γρ ατν π τν λλων δικασθναι πλεων· ναλαβν τ χρματα κα τος φλους τος ωμαοις προστθεται οπν τ´ ο μικρν ες τ πργματα παρσχε κα το κατορθωθναι τνδε τν πλεμον πντων δοξεν ατιτατος  γενσθαι· νθ´ ν βουλ κα δμος ες τε τος πατρικους ατν νγραψε κα τς πλεως μοραν εασεν σην βολετο λαβεν ες κατασκευν οκιν χραν τ´ ατ προσθηκεν κ τς δημοσας τν μεταξ Φιδνης κα Πικετας[110].

 

Dionigi utilizza il verbo γγράφω per specificare l’iscrizione di Claudio a patrizio che diviene così cittadino romano unitamente all’assegnazione di ager. Il passo purtroppo non chiarisce esattamente i modi di concessione della civitas Romana e, pertanto, non consente di affermare con certezza che ci si trovi davanti ad una concessione mediante lex; in ogni caso il passo precisa che il provvedimento con cui Attius Clausus è divenuto patrizio e cittadino romano è stato assunto con decisione unanime di Senato e Popolo.

Altra arcaica, seppur anch’essa controversa, possibile concessione della cittadinanza romana mediante lex è collocabile intorno all’anno 458 a.C.:

 

Eo die L. Mamilio Tusculano, adprobantibus cunctis, civitas data est[111].

 

Si tratta della menzione, piuttosto sintetica, della concessione personale a L. Mamilio Tusculano. Il fatto che Livio precisi che la concessione della cittadinanza sia avvenuta adprobantio cunctis può, tuttavia, far ipotizzare che ci sia stato l’intervento di partes politiche, forse proprio di Senato e Popolo come emerge dal passo di Dionigi, rispettivamente per autorizzarne l’evento ed assumere un conseguente provvedimento che possa far rientrare questa concessione tra quelle mediante leges. In ogni caso, non si può tacere che in dottrina l’attendibilità di tale concessione è fortemente criticata[112], in ragione principalmente dell’alta risalenza della stessa.

La norma più risalente considerata generalmente come attendibile è collocata tra il 389 e il 365 a.C. e coincide con la concessione della cittadinanza a quei Veienti, Capenati e Falisci che, durante la guerra contro Veio, sono stati dalla parte dei Romani[113]:

 

Eo anno in civitatem accepti qui Veientium Capenatiumque ac Faliscorum per ea bella transfugerant ad Romanos, agerque his novis civibus adsignatus[114].

 

Il passo non fornisce informazioni sullo specifico provvedimento adottato. Tuttavia, considerato che si tratta di un tipo di concessione diretta a premiare il comportamento di determinati individui, i quali sono assimilati alla civitas anche con assegnazione di appezzamenti di terra, si può certamente dedurre si tratti di una lex.

Più avanti nella narrazione liviana troviamo il richiamo alla lex Papiria de civitate Acerranorum, una legge dal contenuto simile alla precedente datata 332 a.C. e proposta dal praetor L. Papirio[115] che, tuttavia, concede una civitas sine suffragio:

 

Romani facti Acerrani lege ab L. Papirio praetore lata, qua civitas sine suffragio data[116].

 

Nel 111 a.C. si avrà una lex agraria[117] nella quale è ricordata la concessione, anch’essa di natura premiale, di terre e forse di cittadinanza romana[118] a quei popoli amici di Roma e soldati cartaginesi, i quali - nell’ultima guerra punica non avevano combattuto contro Roma o avevano disertato per unirsi alle fila di Scipione.

Molteplici furono in seguito i provvedimenti normativi di concessione della cittadinanza con riferimento alla spinosa questione degli Italici[119]. Proseguendo, è interessante richiamare la lex Iulia de civitate Latinis et sociis danda del 90-89 a.C.[120], la cui effettiva portata è discussa in dottrina in ragione delle difficoltà interpretative della prescrizione qui fundi populi facti non essent civitatem non haberent[121]:

 

Ipsa denique Iulia, qua lege civitas est sociis et Latinis data, qui fundi populi facti non essent civitatem non haberent. In quo magna contentio Heracliensium et Neapolitanorum fuit, cum magna pars in iis civitatibus foederis sui libertatem civitati anteferret[122].

 

Tale legge concede la cittadinanza optimo iure a soci e Latini; è tuttavia discusso se la concessione sia stata operata in ragione della premiata condotta di quei popoli che non avessero preso le armi contro Roma o, in ogni caso, le avessero deposte[123], ovvero se si tratti di una mera offerta sub condizione della cittadinanza[124]. La discussione di Eraclensi e Napoletani, che valutano con difficoltà l’abbandono del loro vigente diritto, fa capire che questa datio civitatis prescrive espressamente l’estensione dell’applicazione del diritto romano ai nuovi cittadini. Tale aspetto, tuttavia, non inficia la natura premiale della concessione che, secondo la narrazione di Velleio Patercolo, è diretta a qui arma aut non ceperant aut deposuerant maturius[125].

La caratteristica che emerge con immediatezza dai provvedimenti di concessione della cittadinanza mediante specifiche leges è l’uso politico della stessa, sia preventivo, sia conseguente ad una specifica azione meritevole, come aver sostenuto Roma durante una campagna militare. La natura premiale sembra essere, in ogni caso, una caratteristica piuttosto ricorrente nelle concessioni della cittadinanza attraverso leges rogatae o plebiscita. Non è insolito, infatti, che nello stesso provvedimento venga precisato che la concessione della civitas Romana rappresenti la ricompensa per una determinata condotta meritevole.

A differenza delle concessioni più arcaiche operate dal rex, in cui i nuovi cives venivano assimilati nell’urbs Roma, la concessione della cittadinanza attraverso leges supera il limite territoriale dell’Urbs[126]. Nello specifico, la civitas è concessa ancora per accrescere Roma, ma in un senso più ampio, universale, a riprova che il concetto di cittadinanza romana è ormai divenuto uno status giuridico e sociale che caratterizza i compartecipi a principi comuni, ovvero ad un medesimo diritto e ad una medesima religione.

Tale aspetto emerge con chiarezza dagli atti di concessione operati dai magistrati dotati di imperium, i quali, seppur investiti di tale potestas da specifiche leges autorizzative, possiedono, in ogni caso, una propria autonomia decisionale attraverso la quale si integrano, attraverso la concessione della cittadinanza, soggetti ritenuti meritevoli nel sistema giuridico-religioso romano.

 

 

3.2.2. - Concessione per provvedimento del magistrato

 

Per completare l’analisi delle principali leges di concessione della cittadinanza, sarà, dunque, necessario ricordare quegli atti di concessione della civitas operati da magistrati muniti di imperium. Da un punto di vista generale, i magistrati cum imperio sono intrinsecamente in grado di dare leges[127]. Tuttavia, come si è visto nel paragrafo precedente, le concessioni ‘pubbliche’ della cittadinanza romana passano attraverso l’intervento del Popolo[128] su autorizzazione del Senato. Dunque, anche la facoltà del magistrato di operare concessioni di cittadinanza si fonda su una specifica lex emanata ad hoc, e si manifesta in una sorta di regolamento di esecuzione di quest’ultima.

Le fonti ricordano questa facoltà in capo a Mario, sancita da una lex Apuleia agraria del 100 a.C.:

 

Itaque cum paucis annis post hanc civitatis donationem acerrima de civitate quaestio Licinia et Mucia lege venisset, num quis eorum, qui de foederatis civitatibus esset civitate donatus, in iudicium est vocatus? Nam Spoletinus T. Matrinius, unus ex iis quos C. Marius civitate donasset, dixit causam ex colonia Latina in primis firma et inlustri. Quem cum disertus homo L. Antistius accusaret, non dixit fundum Spoletinum populum non esse factum, videbat enim populos de suo iure, non de nostro fundos fieri solere, sed cum lege Apuleia coloniae non essent deductae, qua lege Saturninus C. Mario tulerat ut in singulas colonias ternos civis Romanos facere posset, negabat hoc beneficium re ipsa sublata valere debere[129].

 

Il plebiscito in esame assegna a Mario, in caso di fondazione di nuove colonie[130], il potere di attribuire autonomamente la cittadinanza a tre coloni[131].

Altro importante esempio dell’esercizio di tale facoltà è dato dal decretum Cn. Pompei Strabonis de civitate equitibus Hispanis danda del 89 a.C.[132]:

 

Cn. Pompeius Sex. [f. imperator] virtutis causa / equites Hispanos ceives [Romanos fecit in castr]eis apud Asculum a. d. XIV k. dec. / ex lege Iulia. / In consilio fuerunt: / Turma Sallvitana / Cn. Pompeius Sex. f. imperator / virtutis caussa turmam / Sallvitanam donavit in / castreis apud Asculum / cornuculo et patella, torque, / armilla, palereis; et frumentum / duplex[133].

 

Si tratta del primo esempio riportato dalle fonti di una lex data di concessione della cittadinanza secondo le previsioni della lex Iulia[134]. Il testo contiene il decreto emanato dal console Cn. Pompeo Strabone[135], padre del triumviro Pompeo, attraverso il quale si concede la cittadinanza romana alla turma che ha combattuto ai suoi ordini durante l’assedio di Firmum e Asculum all’atto della guerra sociale (91-88 a.C.). Accanto a tale concessione vi sono, per lo stesso squadrone, una serie di altre onorificenze accompagnate dall’assegnazione di una doppia razione di frumento. La concessione è caratterizzata dalla natura premiale che, in questo caso, riconosce la condotta valorosa di soldati con l’attribuzione della cittadinanza ex virtute.

Nel 72 a.C. si ha poi la lex Gellia Cornelia de civitate:

 

Nascitur, iudices, causa Corneli ex ea lege quam L. Gellius Cn. Cornelius ex senatus sententia tulerunt; qua lege videmus <rite> esse sanctum ut cives Romani sint ii quos Cn. Pompeius de consili sententia singillatim civitate donaverit. Donatum esse L. Cornelium praesens Pompeius dicit, indicant publicae tabulae. Accusator fatetur, sed negat ex foederato populo quemquam potuisse, nisi is populus fundus factus esset, in hanc civitatem venire[136].

 

La norma conferisce a Cn. Pompeius Magnus[137] il potere di concedere la cittadinanza romana de consili sententia, a coloro, ritenuti degni, che lo hanno sostenuto nella campagna contro Sertorio[138].

Da questo momento inizia la prassi di concedere la cittadinanza attraverso i diplomi militari rilasciati ai soldati distintisi per valore durante le campagne militari. Tale modo di concessione della cittadinanza sarà un istituto tipico del principato, utilizzato largamente a partire da Claudio.

 

 

4. - Conclusioni

 

Mi pare si possa pervenire alla conclusione che la cittadinanza romana è un concetto formato sin dalle origini di Roma a conferma dell’idea di Gaio sul principium[139], per cui gli initia Urbis sono presentati «come principium della storia delle istituzioni romane, e quindi come potissima pars di quelle istituzioni; che, nel divenire storico della vita del popolo romano, hanno accresciuto e perfezionato la loro completezza iniziale»[140].

È così emerso un concetto di civitas che nasce in stretto collegamento con l’Urbe ed i suoi abitanti, ben rappresentato nei modi ‘privati’ di acquisto della cittadinanza, espressione della struttura collettiva del Populus Romanus[141] dove anche il civis crea il civis[142], colui che concorre alla formazione e alla vita stessa della comunità politico-religiosa organizzata, costituitasi proprio con gli individui e nella comunanza d’interesse in capo agli stessi[143]. Il concetto di cittadinanza romana, con la sua vocazione universale[144], si sposta ben presto da una dimensione ‘territoriale’ ad una dimensione giuridica[145], per andare a definire quello status giuridico e sociale tipico dei partecipanti a un medesimo diritto e a una medesima religione.

Come mi pare di aver dimostrato con l’analisi dei diversi modi di acquisto della cittadinanza, le richiamate tendenze universalistiche[146] e il correlato atteggiamento di apertura verso l’alienus[147] - spesso esaltato nelle fonti a dimostrazione di grandezza e virtù romane – rendono la cittadinanza un efficace strumento in mano alle classi dirigenti romane[148]. Il carattere politico della civitas ben si riscontra nelle concessioni ‘pubbliche’ sin dall’età regia, in cui le dationes civitatis hanno il fine di accrescere il Populus Romanus e i fines Populi Romani[149]. Tale tendenza prosegue in età repubblicana, con inevitabili trasformazioni, quali ad esempio la cittadinanza non più legata alla residenza nell’Urbs.

La cittadinanza appare, quindi, il principale motore di crescita fin dalla Roma più antica, che – combinata con la propensione universalistica insita fin dai primordi nella religione – ha favorito la costante aggregazione, per lo più volontaria, di elementi sempre nuovi (per quanto etnicamente differenziati).

 

 



 

[1] Sul concetto di elasticità della cittadinanza romana si veda, in particolare, F. De Visscher, L’espansione della civitas Romana, Milano 1960, 185.

 

[2] In materia rimando in particolare a: A.H.M. Jones, Another Interpretation of the ‘Constitutio Antoniniana’, in The Journal of Roman Studies 26.2 (1936), 223 ss.; P. de Francisci, Ancora intorno alla Costituzione Antoniniana, in Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano 65 (1962), 1 ss.; P. Romanelli, Constitutio Antoniniana, in Romanitas 4 (1962), 29 ss.; R.G. Boehm, Studien zur Civitas Romana III, in Aegyptus 43 (1963), 278 ss.; W. Seston, Marius Maximus et la date de la “Constitutio Antoniniana”, in Mélanges d’archéologie, d’épigraphie et d’histoire offerts à Jérome Carcopino, Paris 1966, 877 ss.; V. Arangio-Ruiz, v. Editto di Caracalla, in Novissimo Digesto Italiano VI (1968), 403 s.; G. De Sensi-Sestito, Problemi della Constitutio Antoniniana, in Helikon 9-10 (1969-1970), 243 ss.; P. Keresztes, The Constitutio Antoniniana and the Persecutions under Caracalla, in The American Journal of Philology 91.4 (1970), 446 ss.; M. Talamanca, Su alcuni passi di Menandro di Laodicea relativi agli effetti della “Constitutio Antoniniana”, in Studi in onore di E. Volterra V, Milano 1971, 433 ss.; N.A. Sherwin-White, The Tabula of Banasa and the Constitutio Antoniniana, in The Journal of Roman Studies 63 (1973), 86 ss.; H. Wolff, Die Constitutio Antoniniana und Papyrus Gissensis 40.1, Köln 1976, 28 ss.; J. Modrzejewski, Édit de Caracalla conférant aux habitants de l’Empire le droit de cité romaine (Constitutio Antoniniana, 212 ap. J.-C.), in P.F. Girard-F. Senn, Les lois des Romains. 7e édition des «Textes de droit romain» II, Napoli 1977, 478 ss.; P. Pinna Parpaglia, Sacra peregrina, civitatis romanorum, dediticii nel papiro Giessen 40, Sassari 1995; L. De Giovanni, Gli effetti della Constitutio Antoniniana: un’ulteriore prospettiva d’indagine, in Fraterna munera. Studi in onore di L. Amirante, Salerno 1998, 145 ss.; V. Marotta, La cittadinanza romana in età imperiale (secoli I-III d.C.). Una sintesi, Torino 2009.

 

[3] Si veda in particolare E. Cantarella, Filiazione legittima e cittadinanza, in Symposion 1995. Vorträge zur griechischen und hellenistischen Rechtsgeschichte (Korfu 1-5 September 1995), Köln-Wien 1997, 97 ss.

 

[4] Dion. Hal. 2.15.1-2: Τεταγμνην μν ον κα κεκοσμημνην πρς ερνην τε ποχρντως κα πρς τ πολμια πιτηδεως κ τοτων τν πολιτευμτων τν πλιν ωμλος πειργσατο, μεγλην δ κα πολυνθρωπον κ τνδε. Πρτον μν ες νγκην κατστησε τος οκτορας ατς πασαν ρρενα γενεν κτρφειν κα θυγατρων τς πρωτογνους, ποκτιννναι δ μηδν τν γεννωμνων νετερον τριετος, πλν ε τι γνοιτο παιδον νπηρον τρας εθς π γονς. Τατα δ´ οκ κλυσεν κτιθναι τος γειναμνους πιδεξαντας πρτερον πντε νδρσι τος γγιστα οκοσιν, ἐὰν κκενοις συνδοκ. κατ δ τν μ πειθομνων τ νμ ζημας ρισεν λλας τε κα τς οσας ατν τν μσειαν εναι δημοσαν. Sull’analisi del passo rimando, in particolare, a L. Capogrossi-Colognesi, Tollere Liberos, in Mélanges de l’École française de Rome. Antiquité 102 (1990), 110 ss., http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/mefr_0223-5102_1990_num_102_1_1662. Per la dottrina sulla rilevanza della cerimonia del tollere liberos si vedano anche: S. Perozzi, Tollere liberum, in Studi in onore di Vincenzo Simoncelli, Napoli 1917 (ora in Id, Scritti giuridici III, Milano 1948, 95 ss.) per il quale l’apprensione del figlio da parte del pater non ha una espressa rilevanza giuridica, ma solo sociale; E. Volterra, Un’osservazione in tema di tollere liberos, in Festschrift Fritz Schulz I, Weimar 1951, 388 ss.; Id., Ancora in tema di “tollere liberos”, in Iura 3 (1952), 216 s.; P. de Francisci, Primordia civitatis, Roma 1959, 280; A. Romano, Tollere liberos: uomo, donna e potere, in Sodalitas. Scritti in onore di Antonio Guarino II, Napoli 1984, 881 ss.; M. Corbier, La petite enfance à Rome: lois, normes, pratiques individuelles et collectives, in Annales 54 (1999), 1257 ss.; N. Santoro, Sul ‘tollere liberos’, in Index 28 (2000), 273 ss.

 

[5] Liv. 1.9.1-5.

 

[6] Liv. 1.9.14.

 

[7] Gai. Inst. 1.78: Quod autem diximus inter civem Romanum peregrinamque nisi conubium sit, qui nascitur, peregrinum esse, lege Minicia cavetur, ut is quidem deterioris parentis condicionem sequatur. Eadem lege autem ex diverso cavetur, ut si peregrinus, cum qua ei conubium non sit, uxorem duxerit civem Romanam, peregrinus ex eo coitu nascatur. Sed hoc maxime casu necessaria lex Minicia fuit; nam remota ea lege diversam condicionem sequi debebat, quia ex eis, inter quos non est conubium, qui nascitur, iure gentium matris condicioni accedit. Qua parte autem iubet lex ex cive Romano et peregrina peregrinum nasci, supervacua videtur; nam et remota ea lege hoc utique iure gentium futurum erat. La medesima legge si trova menzionata anche nei Tit. ex corp. Ulp. 5.8: Conubio interveniente liberi semper patrem sequuntur; non interveniente conubio matris conditioni accedunt, excepto eo, quod ex peregrino et cive Romana peregrinus nascitur, quoniam lex Minicia ex alterutro peregrino natum deterioris parentis condicionem sequi iubet.

 

[8] La datazione della legge è incerta, sul punto rimando a: O. Karlowa, Römische Rechtsgeschichte II, Leipzig 1901, 182; G. Rotondi, Leges publicae populi romani, Milano 1912, 338; C. Castello, L’acquisto della cittadinanza e i suoi riflessi familiari nel diritto romano, Milano 1951; Id., La data della legge Minicia, in Studi in onore di V. Arangio-Ruiz 3, Napoli 1953, 308 ss.; G. Luraschi, Sulla data e sui destinatari della ‘lex Minicia de liberis’, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 42 (1976), 440 s.; Id., La questione della cittadinanza nell’ultimo secolo della repubblica, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 61 (1995), 54; D. Cherry, The Mincian Law: Marriage and the Roman Citizenship, in Phoenix 44 (1990), 244 ss.; C. Williamson, The Laws of the Roman People. Public Law in the Expansion and Decline of the Roman Republic, Ann Arbor 2005, 230.

 

[9] E. Volterra, Ancora sulla manus e sul matrimonio, cit., 676.

 

[10] C. Fayer, La familia romana: aspetti giuridici ed antiquari. Sponsalia. Matrimonio. Dote II, cit., 40.

 

[11] Gai. Inst. 1.56; concetto identico è ribadito poco più avanti, 1.76: Loquimur autem de his scilicet, inter quos conubium non sit; nam alioquin si civis Romanus peregrinam, cum qua ei conubium est, uxorem duxerit, sicut supra quoque diximus, iustum matrimonium contrahitur, et tunc ex iis qui nascitur, civis Romanus est et in potestate patris erit. Vedi anche Cic. top. 20: Si mulier, cum fuisset nupta cum eo quicum conubium non esset, nuntium remisit; quoniam qui nati sunt patrem non sequuntur, pro liberis manere nihil oportet.

 

[12] Gai. Inst. 1.78. Vedi anche i paragrafi 77, 82, 84, 86 e 89.

 

[13] Si veda P. Ferretti, In rerum natura esse / in rebus humanis nondum esse. L’identità del concepito nel pensiero giurisprudenziale classico, Milano 2008, 121 ss.

 

[14] Per il significato etimologico si veda A. Ernout-A. Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine. Histoire des mots 3a ed., Paris 1979, v. nubo, -is -psi, -nuptum, -ere, 449; per le varie accezioni del termine rimando a L., v. cōnūbium, -(i)ī, in Thesaurus Linguae Latinae IV, fasc. IV continosus-cornix, coll. 814 ss. Per l’analisi della dottrina sull’istituto, rinvio, tra i tanti, a: E Volterra, La nozione giuridica del conubium, in Studi in memoria di Emilio Albertario 2, Milano 1950, 381 ss.; F. De Visscher, ‘Conubium’ et ‘civitas’, in Revue internationale des droits de l’antiquité I (1952), 401 ss.; A. De La Chevalerie, Observations sur la nature du ‘conubium’ et la situation juridique des Campaniens avant et après les guerres d’Annibal, in Revue internationale des droits de l’antiquité III (1954), 271 ss.; L. Capogrossi Colognesi, Ius commercii, conubium, civitas sine suffragio. Le origini del diritto internazionale privato e la romanizzazione delle comunità romano-campane, in Le Strade del Potere: Maiestas Populi Romani, Imperium, Coercitio, Commercium (a cura di A. Corbino), Catania 1994, 3 ss.; Id., La famiglia romana, la sua storia e la sua storiografia, in Mélanges de l’École française de Rome 122.1 (2010), 147 ss.; F. Sturm, Conubium, ius migrandi, conventio in manum, in Le droit de la famille en Europe. Son évolution depuis l’antiquité jusqu’à nos jours, Strasbourg 1992, 717 ss.; M. Humbert, Le conubium des patriciens et plébéiens: une hypothèse, in Nonagesimo anno. Mélanges en hommage à Jean Gaudemet, Paris 1999, 281 ss.; G. Brizzi, Forme di integrazione a Roma tra l’età monarchica e la prima repubblica: qualche ulteriore considerazione, in Integrazione mescolanza rifiuto. Incontri di popoli, lingue e culture in Europa dall’Antichità all’Umanesimo. Atti del convegno internazionale, Cividale del Friuli, 21-23 settembre 2000 (a cura di G. Urso), Roma 2001, 115 ss., http://www.fondazionecanussio.org/atti2000/brizzi.pdf; R. Astolfi, Il matrimonio nel diritto romano preclassico, 2a ed., Padova 2002, 32 ss.; Id., Il matrimonio nel diritto romano classico, Milano 2006; M.V. Sanna, Matrimonio e altre situazioni matrimoniali nel diritto romano classico. Matrimonium iustum - Matrimonium iniustum, Napoli 2012, 1 ss.

 

[15] L’arcaicità dell’istituto emerge dalla narrazione liviana sul ratto delle Sabine, in cui si evidenzia, inoltre, il tentativo, seppur infruttuoso, di concludere accordi di conubium con le popolazioni vicine al fine di preservare attraverso unadeguata crescita della popolazione la grandezza raggiunta da Roma (Liv. 1.9.1-4: Iam res Romana adeo erat valida ut cuilibet finitimarum civitatum bello par esset; sed penuria mulierum hominis aetatem duratura magnitudo erat, quippe quibus nec domi spes prolis nec cum finitimis conubia essent. Tum ex consilio patrum Romulus legatos circa vicinas gentes misit qui societatem conubiumque novo populo peterent: urbes quoque, ut cetera, ex infimo nasci; dein, quas sua virtus ac di iuvent, magnas opes sibi magnumque nomen facere; satis scire, origini Romanae et deos adfuisse et non defuturam virtutem; proinde ne gravarentur homines cum hominibus sanguinem ac genus miscere).

 

[16] Intorno al problema dell’attribuzione dell’identità all’autore dell’opera e sul suo contenuto rinvio a F. Mercogliano, “Tituli ex corpore Ulpiani”. Storia di un testo, Napoli 1997; Id., Una ricognizione sui Tituli ex corpore Ulpiani, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana XIV Convegno Internazionale in memoria di Guglielmo Nocera, Napoli 2003, 407 ss.; M. Avenarius, Der Pseudo-Ulpianische ‘liber singularum regularum’. Entsetehung. Eigenart und Überlieferung einer hochklassischen Juristenschrift, Göttingen 2005 (con nuova edizione e trad. in ted.); Id., Il liber singularis regularum pseudo-ulpianeo: sua specificità come opera giuridica altoclassica in comparazione con le Institutiones di Gaio, in Index 34 (2006), 455 ss.; L. De Giovanni, Istituzioni scienza giuridica codici nel mondo tardoantico. Alle radici di una nuova storia, Roma 2007, 276 ss. n. 316.

 

[17] Tit. ex corp. Ulp. 5.3-4.

 

[18] Si veda l’analisi sui vari significati assunti dal termine conubium operata da M.P. Baccari, Il conubium nella legislazione di Costantino, in Poteri religiosi e istituzioni: il culto di San Costantino imperatore tra Oriente e Occidente (a cura di F. Sini e P.P. Onida), Torino 2003, 197 ss.

 

[19] Sul punto, si vedano: Gai. Inst. 1.77: Item si civis Romana peregrino, cum quo ei conubium est, nupserit, peregrinus sane procreatur et is iustus patris filius est, tamquam si ex peregrina eum procreasset. Hoc tamen tempore e senatus consulto, quod auctore divo Hadriano sacratissimo factum est, etiamsi non fuerit conubium inter civem Romanam et peregrinum, qui naseitur, iustus patris filius est; Liv. 1.9.2: Iam res Romana adeo erat valida ut cuilibet finitimarum civitatum bello par esset; sed penuria mulierum hominis aetatem duratura magnitudo erat, quippe quibus nec domi spes prolis nec cum finitimis conubia essent. Tum ex consilio patrum Romulus legatos circa vicinas gentes misit qui societatem conubiumque novo populo peterent.

 

[20] Per un’analisi generale dell’opera di Servio rinvio in particolare a: P. Wessner, v. Servius, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 2, Stuttgart 1923, coll. 1834 ss.; N. Marinone, Elio Donato, Macrobio e Servio commentatori di Virgilio, Vercelli 1946; H. Naumann, Die Arbeitsweise des Servius, in Rheinisches Museum für Philologie 118 (1975), 166 ss.; S. Timpanaro, Per la storia della fililogia virgiliana antica, Roma 1986, 148 s.; C.E. Murgia, Aldhelm and Donatus’s Commentary on Virgil, in Philologus 131 (1987), 289 ss.; F. Sini, Documenti sacerdotali di Roma antica I. Libri e commentarii, Sassari 1983, 108 ss.; G. Brugnoli, v. Servio, in Enciclopedia Virgiliana IV, Roma 1988, 805 ss.; Id., Il consolidamento della glossa virgiliana nella programmazione di Elio Donato, in Cultura latina pagana fra terzo e quinto secolo dopo Cristo. Atti del Convegno. Mantova, 9-11 ottobre 1995, Firenze 1998, 161 ss., A. Pellizzari, Servio. Storia, cultura e istituzioni nell’opera di un grammatico tardoantico, Torino 2003.

 

[21] Serv. in Verg. Aen. 1.73.

 

[22] Per ragioni di brevità, si utilizzerà qui genericamente il termine ‘matrimonio’ per indicare tutti quegli istituti di diritto romano attraverso i quali si otteneva l’unione di un uomo con una donna rilevante per il sistema giuridico-religioso romano. Per un approfondimento e, in particolare, sulla diatriba sorta su matrimonio e acquisto della manus richiamo, senza presunzione di completezza, i lavori di: F. Bozza, Manus e matrimonio, in Annali dell’Università di Macerata 15 (1941), 119; E. Volterra, Ancora sulla ‘manus’ e sul matrimonio, in Studi in onore di S. Solazzi, Napoli 1948, 687; E. Cantarella, Sui rapporti fra matrimonio e conventio in manum, in Rivista Italiana per le Scienze Giuridiche (1959-1962), 181 ss.; R. Villers, Manus et mariage, in The Irish Jurist 4 (1969), 173; C.S. Tomulescu, Les rapports de la mancipatio et de la monnaie dans l’ancien droit romain, in Revue internationale des droits de l’antiquité 16 (1969), 345 ss.; L. Capogrossi Colognesi, Idee vecchie e nuove sui poteri del paterfamilias, in ‘Poteri’ ‘negotia’ ‘actiones’ nella esperienza romana arcaica. Atti del Convegno di diritto romano, Copanello 12-15 maggio 1982, Napoli 1984, 62; G.L. Falchi, Osservazioni sulla natura della ‘coemptio matrimonii causa’ nel diritto preclassico, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 50 (1984), 375 ss.; C. Fayer, La familia romana: aspetti giuridici ed antiquari. Sponsalia. Matrimonio. Dote II, cit., 196 ss.; L. Peppe, Uso e Ri-uso del diritto romano, Torino 2012, 131 ss.; M.V. Sanna, Matrimonio e altre situazioni matrimoniali nel diritto romano classico. Matrimonium iustum - Matrimonium iniustum, cit.; A. Maiuri, Sacra privata. Rituali domestici e istituti giuridici in Roma antica, Roma 2013, 41 ss.

 

[23] II concetto di matrimonium iustum è ben espresso nella formula riportata nei Tituli ex corp. Ulp. 5.2: Iustum matrimonium est, si inter eos qui nuptias contrahunt conubium sit, … si in potestate sunt. Per un’analisi del passo rinvio a C. Fayer, La familia romana: aspetti giuridici ed antiquari. Sponsalia. Matrimonio. Dote II, cit., 400 s.

 

[24] Rimando a E. Manni, Per la storia dei municipi fino alla guerra sociale, Roma 1947, 29 ss. e G. Luraschi, ‘Foedus’, ‘Ius Latii’, ‘Civitas’. Aspetti costituzionali della romanizzazione in Transpadana, Padova 1979, 238 ss.

 

[25] Liv. 31.31.10-12. Sul passo si veda G. Brizzi, Forme di integrazione a Roma tra l’età monarchica e la prima repubblica: qualche ulteriore considerazione, cit., 115 ss.

 

[26] E Volterra, La nozione giuridica del conubium, cit., 381 ss.

 

[27] In particolare, E. Volterra, La nozione dell’adoptio e dell’adrogatio secondo i giuristi romani del II e del III sec. d.C., in Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano 69 (1966), 134 ss., limita adoptio ed adrogatio esclusivamente a soggetti già in possesso della cittadinanza romana. Si vedano, inoltre: G. Mancinetti Santamaria, La concessione della cittadinanza a Greci e orientali nel II e I sec. a.C., in Les bourgeoisies municipales italiennes aux IIe et Ier siècles av.J.-C., Colloque internationaux, Naples 7-10 décembre 1981 (ed. M. Cébeillac-Gervasoni), Naples-Paris 1983, 125 ss.; C. Russo Ruggeri, La datio in adoptionem I. Origine, regime giuridico e riflessi politico-sociali in età repubblicana ed imperiale, Milano 1990, 86 ss. e 209; J. Gardner, Status, Sentiment and Strategy in Roman Adoption, in Adoption et fosterage (a cura di M. Corbier), Paris 1999, 69 ss.

 

[28] D. 50.1.0 (Ulpianus lib. 2 ad ed.). Si veda anche C. 10.40.7pr.: (Imperatores Diocletianus, Maximianus). Cives quidemorigo manumissio adlectio adoptio, incolas vero, sicut et divus hadrianus edictosuo manifestissime declaravit, domicilium facit.

 

[29] Sul giurista si vedano, in particolare: E. Klebs, v. Aelius, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 1, Stuttgart 1893, coll. 492 s.; H. Bardon, La littérature latine inconnue I. L’époque républicaine, Paris 1952, 302; R. Orestano, v. Gallo C. Elio, in Novissimo Digesto Italiano VII, Torino 1961, 738; F. Bona, Alla ricerca del “De verborum, quae ad ius civile pertinent, significatione” di C. Elio Gallo, in Bullettino dell’Istituto di diritto romano 90 (1990), 119 ss.; G. Falcone, Per una datazione del «de verborum quae ad ius pertinent significatione» di Elio Gallo, in Annali del Seminario Giuridico dell’Università di Palermo 41 (1991), 225 s.; F. Sini, A quibus iura civibus praescribebantur. Ricerche sui giuristi del III secolo a.C., Torino 1995, 59 ss., nonché n. 55 sulla questione se Elio Gallo debba qualificarsi o meno giurista, http://www.dirittoestoria.it/dirittoromano/Sini-Ricerche-giuristi-III-secolo-I-Cap-2.htm#_ftn41.

 

[30] Fest. v. Municipes 126 L.

 

[31] Sulla datazione dell’iscrizione si vedano: H. Gummerus, Der Ärztestand im römischen Reiche nach der Inschriften, Helsinki 1932, 58; H. Solin, Zu Lukanischen Inschriften, Helsinki 1981, 36; V. Nutton, Ancient Medicine, London 2004, 164; G. Mancinetti Santamaria, La concessione della cittadinanza a Greci e Orientali nel II e I sec. a.C., cit., 130; L. Vecchio, Menekrates di Tralli oinodotes physikòs, in Synergia. Festschrift für Friederich Krinzinger (hrsg. von B. Brandt-V. Gassner-S. Landstätter), Wien 2005, 367 n. 2; A. Cristofori, Menecrate di Tralles, un medico greco nella Lucania romana, in L’arte di Asclepio. Medici e malattie in età antica Atti della giornata di studio sulla medicina antica (a cura di G. De Sensi), Catanzaro 2008, 71 ss. http://www.fondazionecanussio.org/palaestra/cristofori.pdf.

 

[32] CIL I (II ed.) 1684; X.388.

 

[33] Propendono per l’adoptio: G. Kaibel, Inscriptiones Graecae XIV. Inscriptiones Siciliae et Italiae, Berlin 1890, 721 il quale precisa L. Manneius Q. f.; H. Dessau, Inscriptiones Latinae Selectae, Berlin 1892-1916, num. 7791, https://archive.org/details/inscriptioneslat22dessuoft, che legge Μενεκρτης Δημη/τρου come «Sic apellabalur more Graeco, antequam per adoptionem puto in civitatem Romanam receptus esset»; H. Gummerus, Der Ärztestand im römischen Reiche nach der Inschriften, cit., 57; A. Russi, v. Lucania, in Dizionario epigrafico di antichità romane IV.33, Roma 1959, 1924; A. Degrassi, Inscriptiones Latinae Liberae Rei Publicae II, Firenze 1963, num. 799; G. Mancinetti Santamaria, La concessione della cittadinanza a Greci e Orientali nel II e I sec. a.C., cit., 130; V. Nutton, Ancient Medicine, cit., 164; L. Vecchio, Menekrates di Tralli oinodotes physikòs, cit., 367 ss. e in part. 370: «Appare probabile, dunque, che Menecrate giunto in Italia come libero cittadino per esercitarvi la professione di medico, in un periodo in cui la maggior parte dei medici attivi in Italia era appunto di origine greca, sia stato successivamente adottato dalla gens Manneia».

 

[34] Si veda la formula L. Manneius Q. (l.) negli indici CIL X.1045. A favore della manumissio del medico greco: Th. Mommsen, Inscriptiones Regni Neapolitani Latinae, Lipsiae 1852, 16 num. 236, https://archive.org/stream/gri_inscriptione00momm#page/n53/mode/2up; Id., Observationes epigraphicae. XLVIII. Civium romanorum libertinorum appellatio graeca, in Ephemeris Epigraphica. Corporis Inscriptionum Latinarum Supplementum. Edita iussu Instituti Archaeologici Romani VII, Roma 1892, 453 n. 3, https://archive.org/stream/ephemerisepigrap07deut#page/452/mode/2up, per il quale il termine φσει indicherebbe un’adozione che, tuttavia, l’A. esclude nel caso specifico in ragione dell’impossibilità di adottare a Roma uno straniero; R. Cagnat, Inscriptiones Graecae ad Res Romanas Pertinentes I, Paris 1901, 156 num. 473, https://archive.org/details/inscriptionesgra01cagnuoft, che legge Μενεκρτης Δημη/τρου come «hic vir de patre servo, Demetrio nomine, natus primum Menecratus vocabatur; post libertatem L. Manneius»; S. Treggiari, Roman Freedmen During the Late Republic, Oxford 1969, 131 s.; G. Fabre, Libertus. Recherches sur les rapports patron-affranchi à la fin de la République romaine, Rome 1981, 236; H. Solin, Zu Lukanischen Inschriften, cit., 35 s. Restano dubbiosi tra adoptio e manumissio: E. Rawson, Intellectual Life in the Late Roman Republic, Baltimore 1985, 85; A. Cristofori, Menecrate di Tralles, un medico greco nella Lucania romana, cit.: «Le diverse formule onomastiche che compaiono rispettivamente nella parte latina – L(ucius) Manneius Q(uinti) – e nella parte greca del documento – fuvsei de; Menekravth “Dhmhtrivou Trallianov” – sono certamente indizio di un mutamento della condizione giuridica di Menecrate occorso tra la sua nascita a Tralles e il momento in cui egli fece redigere la sua iscrizione sepolcrale. L’assenza della normale formula f(ilius) o l(ibertus) dopo il ricordo del prenome Quintus, da riferire al padre o al patrono, non consente tuttavia di comprendere con certezza se Menecrate sia entrato nella gens Manneia, assumendo il nome di L. Manneius, per adozione oppure per manomissione».

 

[35] Gell. noct. Att. 5.19.13. Sulle fonti che riportano l’adozione del servus si veda anche: Plaut. Men. 57-62: Epidamniensis ille, quem dudum dixeram, / Geminum illum puerum qui surrupuit alterum, / Ei liberorum, nisi divitiae, nil erat. / Adoptat illum puerum surrupticium / Sibi filium eique uxorem dotatam dedit / Eumque heredem fecit, quom ipse obiit diem; Poen. 72-77: Ille qui surripuit puerum, Calydonem avehit: / Vendit eum domino hic diviti quoidam seni, / cupienti liberorum, osori mulierum. / Emit hospitalem is filium inprudens senex / Puerum illum eumque adoptat sibi pro filio / eumque heredem fecit, quom ipse obiit diem; 901-904: Nimium lepidum memoras facinus: nam erus meus Agorastocles / Ibidem gnatust, inde surruptus fere sexennis: postibi / Qui eum surrupuit huc devexit meoque ero eum hic vendidit: / Is in divitias homo adoptavit hunc, quom diem obiit suom; 1045: Siquidem Antidama[t]i quaeris adoptaticium, Ego sum ipsus, quem tu quaeris; 1058 s.: Surruptus sum illinc, hic me Antidama[s] hospes tuos / Emit et is me sibi adoptavit filium.

 

[36] Gell. noct. Att. 5.19.111: Libertinos vero ab ingenuis adoptari iure quidem posse Massurius Sabinus scripsit. sed id neque permitti dicit neque permittendum esse unquam putat, ut homines libertini ordinis per adoptiones in iura ingenuorum invadant. In materia si veda C. Cosentini, Per la storia della adrogatio libertorum, Napoli 1948, 4 ss.

 

[37] Gell. noct. Att. 5.19.14. Idque ait plerosque iuris veteris auctores posse fieri scripsisse. Sulla risalenza dell’istituto rinvio a: O. Lenel, Palingenesia Iuris Civilis II, Lipsiae 1889 [rist. a cura di L. Capogrossi Colognesi, Roma 2000], coll. 215 s.; F.P. Bremer, Iurisprudentiae Antehadrianae quae supersunt II.1, Lipsiae 1898 [rist. an., Roma 1964], 484 fr. 60; Id., Iurisprudentiae Antehadrianae quae supersunt II.2, Lipsiae 1901 [ed. an., Roma 1967], 509 s. fr. 19; P.E. Huschke-E. Seckel-B. bler, Iurisprudentiae Anteiustinianae reliquias I, 6a ed., Lipsiae 1908 [rist. an., Leipzig 1988], 79 fr. 27. Sul passo si veda da ultimo C.M.A. Rinolfi, Servi e religio, in Diritto@Storia 9 (2010), §3 in part. n. 49, anche per la bibliografia precedente, http://www.dirittoestoria.it/9/Tradizione-Romana/Rinolfi-Servi-religio.htm.

 

[38] A. Calonge, Problemas de la adopción de un esclavo, in Revue internationale des droits de l’antiquité 14 (1967), 248; D. Dalla, L’adoptio servi tra manomissione e adozione nelle norme giustinianee, in Scritti in onore di A. Falzea IV, Milano 1991, 237 s.; G. Luchetti, La legislazione imperiale nelle Istituzioni di Giustiniano, Milano 1996, 82 ss. e n. 103; C.M.A. Rinolfi, Servi e religio, cit., in part. n. 53 con ampi riferimenti dottrinali sull’interpretazione del termine veteres.

 

[39] Si veda, in particolare, M. Melluso, La schiavitù nelletà giustinianea. Disciplina giuridica e rilevanza sociale, Paris 2000, 93 ss.

 

[40] I. 1.11.12. Vedi anche C. 7.6.1.10: (Imp. Iustinianus A. Iohanni pp.) Similique modo si dominus inter acta quendam servum filium suum nominaverit, voci eius quantum ad liberam condicionem credendum est. si enim ipse tali adfectione fuerat accensus, ut etiam filium servum suum nominare non indignetur, et hoc non secreto neque inter solos amicos, sed etiam actis intervenientibus et quasi in iudicii figura nominaverit, quomodo potest eum servum iterum saltem morientem habere? sed producatur et ipse in civitatem romanam, vera liberalitate et non falso sermone domini sui sustentatus.

 

[41] D. Dalla, Ladoptio servi tra manomissione e adozione, cit., 176; G. Luchetti, La legislazione imperiale, cit., 80 n. 99; M. Melluso, La schiavitù nelletà giustinianea, cit., 93 n. 317; C.M.A. Rinolfi, Servi e religio, cit. Contra C. Russo Ruggeri, La datio in adoptionem, cit., 63, che fa riferimento a Catone il Censore.

 

[42] F. Serrao, Diritto privato economia e società nella storia di Roma, cit., 165; C. Russo Ruggeri, La datio in adoptionem, cit., 58 ss.; D. Dalla, Ladoptio servi tra manomissione e adozione, cit., 239; C.M.A. Rinolfi, Servi e religio, cit., in part. n. 54 con riferimenti bibliografici sull’uso dell’istituto, se per fini di effettiva adozione, ovvero di manomissione.

 

[43] Interessante sul punto è la definizione riportata da Sesto Pompeo Festo v. Manu mitti 149 L.: Servus dicebatur, quum dominus eius, aut caput eiusdem servi, aut aliud membrum tenens dicebat: Hunc hominem liberum esse volo, et emittebat eum e manu. In dottrina rimando, tra i tanti lavori sull’argomento, a: C.B. Welles, Manumission and Adoption, in Revue internationale des droits de l’antiquité 3 (1949), 507 ss.; E. Volterra, Manomissione e cittadinanza, in Studi in onore di U.E. Paoli, Firenze 1955, 695 ss.; M. Balestri Fumagalli, “Libertas id est civitas” (Cic., pro Balbo 9,24), in Labeo 33 (1987), 63 ss.; G. Crifò, Remarques sur les problèmes de l’égalité et de la liberté à Rome, in Ktèma 6 (1981), 193 ss.; Id. Normazione e libertà. Il rapporto tra legislazione altorepubblicana ed identità civica, in Staat und Staatlichkeit in der frühen römischen Republik. Akten eines Symposiums, 12.-15 Juli 1988 (hrsg. W. Eder), Stuttgart 1990, 344 ss.; L. Amirante, Famiglia, libertà, città nell’epoca decemvirale, in Società e diritto nell’epoca decemvirale. Atti del convegno di diritto romano, Copanello, 3-7 giugno 1984, Napoli 1988, 67 ss.; D. Dalla, L’adoptio servi tra manomissione e adozione, cit.; Sklaven und Freigelassene in der Gesellschaft der römischen Kaiserzeit (hrsg. Eck Werner-Heinrichs Johannes), Darmstadt 2005 (rist. ed. 1993); K.R. Bradley, Slavery and Society at Rome, Cambridge 1994; G.J. Wolf, Funktion und Struktur der ‘mancipatio’, in Mélanges de droit romain et d’histoire ancienne. Hommage à la mémoire de A. Magdelain, Paris 1998, 501 ss.; Id., In iure cessio und manumissio vindicta. Überlegungen zu zwei archaischen Rechtsgeschäften, in Liber amicorum Christoph Krampe zum 70. Geburtstag (hrsg. M. Armgardt-F. Klinck-I. Reichard), Berlin 2013, 375 ss.; M. Melluso, La schiavitù nell’età giustinianea. Disciplina giuridica e rilevanza sociale, cit.; F.M. De Robertis, Occorrenze destabilizzanti e sbandamenti dottrinali in tema di schiavitù, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 69 (2003), 623 ss.; B.K. Vetter, The Historical Development of Some Important Methods of Manumission in Roman Law, in Revue internationale des droits de l’antiquité 51 (2004), 355 ss., http://local.droit.ulg.ac.be/sa/rida/file/2004/Vetter.pdf; V. Arena, Liberti and libertas: A Call for Civic Freedom, in The Faces of Freedom. The Manumission and Emancipation of Slaves in Old World and New World Slavery, Leiden-Boston 2006, 71 ss.; G. Crifò, Semitae et vestigia libertatis, in Studi per Giovanni Nicosia I, Milano 2007, 60 ss.; P. López Barja de Quiroga, Historia de la manumisión en Roma: de los orígenes a los Severos, Madrid 2007; C. Venturini, Note in materia di emancipata e di parens manumissor, in Φιλία. Scritti per Gennaro Franciosi IV (a cura di F.M. D’Ippolito), Napoli 2007, 2749 ss.; E. Herrmann-Otto, Sklaverei und Freilassung in der griechisch-römischen Welt, Hildesheim 2009; G. Gulina, In iure cessio e mancata vindicatio contraria nella legis actio contenziosa, in Iuris antiqui historia 3 (2011), 109 ss.; W. Wołodkiewicz, Libertas privata sed non res publica est, in Civis civitas libertas. Index per Franco Salerno, Napoli 2011, 38 ss.

 

[44] Rinvio in particolare a E. Volterra, Manomissione e cittadinanza, cit., 695 ss.; Id., La nozione dell’adoptio e dell’adrogatio secondo i giuristi romani del II e del III secolo d.C., cit., 109 ss.; G. Crifò, ‘Civis’. La cittadinanza tra antico e moderno, Bari 2000, 87 ss.

 

[45] D. 1.1.4 (Ulpianus lib. 1 Inst.). Sul passo rinvio in part. ad A. Schiavone, Ius. L’invenzione del diritto in Occidente, Torino 2005, 393.

 

[46] Secondo alcuni autori la nozione è ispirata da una visione stoica, si veda C.M.A. Rinolfi, Servi e religio, cit., con bibl. ivi.

 

[47] Il richiamo allo ius gentium si rinviene anche in Gai. Inst. 1.52: In potestate itaque sunt servi dominorum. Quae quidem potestas iuris gentium est: nam apud omnes peraeque gentes animadvertere possumus dominis in servos vitae necisque potestatem esse, et quodcumque per servum adquiritur, id domino adquiritur; 1.82: Illud quoque his consequens est, quod ex ancilla et libero iure gentium servus nascitur, et contra ex libera et servo liber nascitur; D. 1.5.5.1 (Marcianus lib. 1 Inst.): Servi autem in dominium nostrum rediguntur aut iure civili aut gentium: iure civili, si quis se maior viginti annis ad pretium participandum venire passus est. Iure gentium servi nostri sunt, qui ab hostibus capiuntur aut qui ex ancillis nostris nascuntur.

 

[48] Sul concetto di libertas come naturalis facultas si veda: D. 1.5.4. pr.-1 (Florentinus lib. 9 Inst.): Libertas est naturalis facultas eius quod cuique facere libet, nisi si quid vi aut iure prohibetur. Servitus est constitutio iuris gentium, qua quis dominio alieno contra naturam subicitur. Sul passo si vedano in particolare: Ch. Wirszubski, Libertas as a Political Idea at Rome during the Late Republic and Early Principate, cit., 2 ss.; S. Querzoli, Il sapere di Fiorentino: etica, natura e logica nelle Institutiones, cit., 110 ss.; G. Crifò, Semitae et vestigia libertatis, cit., 60 ss.; R. Quadrato, Hominum gratia, in Studi in onore di Remo Martini III, Milano 2010, 276 ss. Mi si permetta di rinviare alle osservazioni già svolte in A. Muroni, Sull’origine della libertas in Roma antica: storiografia annalistica ed elaborazioni giurisprudenziali, in Diritto @ Storia 11 (2013), http://www.dirittoestoria.it/11/tradizione/Muroni-Origine-libertas-Roma-antica.htm.

 

[49] Sugli effetti dell’addictio si vedano in part. P. Meylan, L’individualité de la manumissio vindicta, in Studi Arangio-Ruiz IV, cit., 469 ss. e V. Devilla, La ‘manumissio vindicta’ nel diritto giustinianeo, in Studi in onore di P. de Francisci II, cit., 273 ss.

 

[50] Cic. Phil. 8.8; Liv. 9.29, 26.47. Si veda Ae. Forcellini, v. servus, in Totius latinitatis Lexicon (consilio et cura J. Facciolati) IV, Lipsiae 1835, 98, e, per la dottrina, in particolare: N. Rouland, A propos des servi publici Populi Romani, in Chiron 7 (1977), 261 ss.; W. Eder, Servitus publica. Untersuchungen zur Entstehung, Entwicklung und Funktion der öffentlichen Sklaverei in Rom, Wiesbaden 1980, 37 ss.

 

[51] L’intervento necessario del magistrato per operare la manumissio del servus publicus emerge da Varr. de ling. lat. 8.83: Habent plerique libertini a municipio manumissi, in quo, ut societatum et fanorum servi, non servarunt proportione rationem, et Romanorum liberti debuerunt dici ut a Faventia Faventinus, ab Reate Reatinus sic a Roma Romanus, ut nominentur libertini orti a publicis servis Romani, qui manumissi ante quam sub magistratuum nomina, qui eos liberarunt, succedere coeperunt. Sul passo si vedano: F. D’Ippolito, Concessioni pubbliche di libertà, in Labeo 10 (1964), 38 ss.; N. Rouland, A propos des servi publici Populi Romani, cit., 261 ss.; R. Düll, Rechtsprobleme in Bereich des römischen Sakralrechts, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt I.2, Berlin-New York 1972, 287 s. Si veda anche D. 38.2.4 (Paulus lib. 42 ad edict.): Si necem domini detexerit servus, praetor statuere solet, ut liber sit: et constat eum quasi ex senatus consulto libertatem consecutum nullius esse libertum, che, pur se riferisce del caso di manomissione di un servus appartenente a un privato che soleva essere liberato qualora avesse scoperto l’assassino del padrone, può fornire indicazioni utili sulle manomissioni del servus publicus.

 

[52] Vedi in tal senso A. Giardina, L’uomo romano, Bari 1993, XVII: «impressionante nel caso romano, era l’iniziativa del singolo dominus: la sua volontà, accompagnata da un rituale semplice e dall’approvazione formale del magistrato, era sufficiente a liberare uno schiavo e a farne un cittadino. Il cittadino, in altre parole, creava il cittadino». Rinvio anche a L. Capogrossi Colognesi, Il potere romano: cittadinanza e schiavitù, in Ankara Üniversitesi Hukuk Fakültesi Dergisi 43 (1993), 285 ss.

 

[53] Nella legislazione augustea vengono inserite una serie di restrizioni alle manomissioni relative sia al numero di schiavi in proprietà del dominus (si veda la lex Fufia Caninia: Gai. Inst. 2.228: In libertatibus quoque dandis nimiam licentiam conpescuit lex Fufia Caninia, sicut in primo conmentario rettulimus), sia rispetto all’età del servus o del dominus (vedi la lex Aelia Sentia: I. 1.5.3: Libertinorum autem status tripertitus antea fuerat: nam qui manumittebantur, modo maiorem et iustam libertatem consequebantur et fiebant cives Romani, modo minorem et Latini ex lege Iunia Norbana fiebant, modo inferiorem et fiebant ex lege Aelia Sentia dediticiorum numero). Sul punto rinvio a J.P.V.D. Baldson, Romans and Aliens, London 1979, 86 s.

 

[54] Gai. Inst. 1.17. Si veda anche Tit. ex corp. Ulp. 1.6.

Per la dottrina intorno alla manumissio vindicta (Liv. 2.5.9: Secundum poenam nocentium, ut in utramque partem arcendis sceleribus exemplum nobile esset, praemium indici pecunia ex aerario, libertas et civitas data. Ille primum dicitur vindicta liberatus; quidam vindictae quoque nomen tractum ab illo putant; Vindicio ipsi nomen fuisse. Post illum obseruatum ut qui ita liberati essent in civitatem accepti viderentur) rinvio a: H. Lévy-Bruhl, L’affranchissement par la vindicte, in Studi in onore di Salvatore Riccobono 3, Palermo 1936, 1 ss.; P. Meylan, L’individualité de la manumissio vindicta, in Studi Arangio-Ruiz IV, Napoli 1953; R. Monier, Contribution à l’étude des rites de la manumissio vindicta, in Studi in memoria di Emilio Albertario 1, Milano 1953, 197 ss.; V. Devilla, La ‘manumissio vindicta’ nel diritto giustinianeo, in Studi in onore di P. de Francisci II, Milano 1956, 273 ss.; B.K. Vetter, The historical development of some manumissio in roman law, in Revue internationale des droits de l’antiquité 51 (2004), 355 ss.; P. López Barja de Quiroga, Historia de la Manumisión en Roma. De los origenes a los Severos, Madrid 2007, 15 ss.; J.G. Wolf, In iure cessio und manumissio vindicta. Überlegungen zu zwei archaischen Rechtsgeschäften, cit., 375 ss. Sull’origine e sul significato del termine vindicta si veda inoltre S. Tondo, Aspetti simbolici e magici nella struttura giuridica della manumissio vindicta, Milano 1967, 88 s.

Sul procedimento di affrancamento mediante iscrizione nelle liste del censo (Tit. ex corp. Ulp. 1.8: Censu manumittebantur olim, qui lustrali censu Romae iussu dominorum inter cives Romanos censum profitebantur; cfr. anche Boeth. in Cic. top. 1.2.10) si rinvia a C. Cosentini, Studi sui liberti: contributo allo studio della condizione giuridica dei liberti cittadini I, Catania 1948; M. Lemosse, L’affranchissement par le cens, in Revue historique de droit francais et étranger 27 (1949), 161 ss.; R. Danieli, In margine ad un recente studio sulla «manumissio censu», in Studia et Documenta Historiae et Iuris 15 (1949), 198 ss.; Id., Contributi alla storia delle manomissioni romane I. Origine ed efficacia delle forme civili di manomissione, Milano 1953, 152 ss.; P. Frezza, Note esegetiche di diritto pubblico romano, in Studi in onore di Pietro de Francisci 1, Roma 1956, 199 ss.

Quanto alla manumissio testamentum (Tit. ex corp. Ulp. 2.1-4: Qui sub condicione testamento liber esse iussus est, statu liber appellatur. Statu liber quamdiu pendet condicio, servus heredis est. Statu liber seu alienetur ab herede, sive usu capiatur ab aliquo, libertatis condicionem secum trahit. Sub hac condicione liber esse iussus: “si decem milia heredi dederit” etsi ab herede abalienatus sit, emptori dando pecuniam ad libertatem perveniet; idque lex Duodecim Tabularum iubet) si veda in materia: W.W. Buckland, The Roman Law of Slavery: The Condition of the Slave in Private Law from Augustus to Justinian, Cambridge 1921, 442; G.B. Impallomeni, Le manomissioni mortis causa, Padova 1963, 20 ss.; C. Cosentini, Studi sui liberti: contributo allo studio della condizione giuridica dei liberti cittadini I, cit., 32 ss.

Va riferito che accanto a queste forme di manomissione si ammisero anche altri modi, non solenni, attraverso i quali si conferiva al manomesso solo la libertà, ma non la cittadinanza. È questo il caso dei Latini Iuniani di cui alla lex Iunia Norbana del I sec. d.C.; si veda sul punto Gai. Inst. 3.56: Quae pars iuris ut manifestior fiat, admonendi sumus, id quod alio loco diximus, eos, qui nunc Latini Iuniani dicuntur, olim ex iure Quiritium servos fuisse, sed auxilio praetoris in libertatis forma servari solitos; unde etiam res eorum peculii iure ad patronos pertinere solita est. Postea vero per legem Iuniam eos omnes, quos praetor in libertate tuebatur, liberos esse coepisse et appellatos esse Latinos Iunianos: Latinos ideo, quia lex eos liberos proinde esse voluit, atque si essent cives Romani ingenui, qui ex urbe Roma in Latinas colonias deducti Latini coloniarii esse coeperunt; Iunianos ideo, quia per legem Iuniam liberi facti sunt, etiamsi non essent cives Romani. Legis itaque Iuniae lator cum intellegeret futurum, ut ea fictione res Latinorum defunctorum ad patronos pertinere desinerent, quia scilicet neque ut servi decederent, ut possent iure peculii res eorum ad patronos pertinere, neque liberti Latini hominis bona possent manumissionis iure ad patronos pertinere, necessarium existimavit, ne beneficium istis datum in iniuriam patronorum converteretur, cavere [voluit], ut bona eorum proinde ad manumissores pertinerent, ac si lex lata non esset. Itaque iure quodam modo peculii bona Latinorum ad manumissores ea lege pertinent.

 

[55] Sulla posizione giuridica dei liberti rimando, tra i molteplici, a: B. Loreti Lorini, La condizione del liberto orcino nella compilazione giustinianea, in Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano 34 (1925), 29 ss.; C. Cosentini, Studi sui liberti. Contributo allo studio della condizione giuridica dei liberti cittadini II, Catania 1950, 11 s.; Id., Nota minima sui liberti, in Sodalitas. Scritti in onore di Antonio Guarino III, Napoli 1984, 1345 ss.; O. Robleda, Il diritto degli schiavi nell’antica Roma, Roma 1976, 170 ss.; B. Albanese, Le persone nel diritto privato romano, Palermo 1979, 56 ss.; G. Fabre, Libertus. Recherches sur les rapports patron-affranchi à la fin de la République romaine, cit.; M.A. Levi, Cittadinanza dei liberti, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana, IV Convegno Internazionale, in onore di Mario De Dominicis, Perugia 1981, 501 ss.; C. Masi Doria, Civitas operae obsequium: tre studi sulla condizione giuridica dei liberti, Napoli 1993; R. Quadrato, Beneficium manumissionis e obsequium, in Index 24 (1996), 341 ss.; M. Melluso, La schiavitù nell’età giustinianea, cit., 123 ss.

 

[56] Si veda in particolare l’orazione ciceroniana in favore del poeta Archia, descritto come degno della civitas Romana, Cic. pro Arch. 6: Interim satis longo intervallo, cum esset cum M. Lucullo in Siciliam profectus, et cum ex ea provincia cum eodem Lucullo decederet, venit Heracliam: quae cum esset civitas aequissimo iure ac foedere, ascribi se in eam civitatem voluit; idque, cum ipse per se dignus putaretur, tum auctoritate et gratia Luculli ab Heracliensibus impetravit.

 

[57] Dion. Hal. 4.22.4.

 

[58] Sul regno di Servio Tullio si vedano: M. Pallottino, Servius Tullius à la lumière des nouvelles découvertes archéologiques et épigraphiques, in Comptes-Rendus, Académie des Inscriptions et et Belles Lettres 121.1 (1977), 216 ss. http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/crai_0065-0536_1977_num_121_1_13345; G. Valditara, Aspetti religiosi del regno di Servio Tullio, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 52 (1986), 395 ss.; A. Fraschetti, Servio Tullio e la partizione del corpo civico, in Mètis. Anthropologie des mondes grecs anciens 9-10 (1994), http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/metis_1105-2201_1994_num_9_1_1017; V.E. Vernole, Servius Tullius, Roma 2002; N.J. ALLEN, «The Founders of Rome as a Sequence of Mythic Figures», in A. MEURANT (ed.), Routes et parcours mythiques : des textes à l’archéologie. Actes du Septième colloque international d’anthropologie du monde indo-européen et de mythologie comparée (Louvain-la-Neuve, 19-21 mars 2009), Brussels 2011.

 

[59] Successivamente, nel 311 a.C. il censore Appio Claudio ordinerà la distribuzione dei liberti in tutte le tribù (Plut. Public. 7; Liv. 9.46; Diod. Sic. 20.36). Nel 304 saranno ricollocati nelle quattro tribus urbanae (Liv. 9.46) e si ha notizia di un reinserimento nelle stesse anche del 220 a.C. (Liv. perioch. 20), fatto che può far ipotizzare una ulteriore modifica intermedia. Nel 169, durante la censura di Tiberio Gracco, i liberti sono stati distribuiti a sorte nelle tribù urbane (Liv. 45.15; cfr. Dion. Hal. 4.22), o come riferisce Cicerone (de orat. 1.9) nutu atque verbo. In seguito, con una legge del 116 a.C., la loro posizione sarà mantenuta costante nelle tribù urbane fino alla fine della repubblica.

 

[60] Dion. Hal. 4.23.6.

 

[61] Si veda la trattazione di E. Gabba, Studi su Dionigi di Alicarnasso. II, in Athenaeum 39 (1961), 98 ss., in part. 112.

 

[62] M.A. Levi, Cittadinanza dei liberti, cit., 501 ss.; C. Cosentini, Nota minima sui liberti, cit., 1345 ss.; C. Masi Doria, Civitas operae obsequium: tre studi sulla condizione giuridica dei liberti, cit.; R. Quadrato, Beneficium manumissionis e obsequium, cit., 341 ss.

 

[63] In materia J.P.V.D. Baldson, Romans and Aliens, cit., 86 s.

 

[64] Vedi Dion. Hal. 4.24 e Tac. ann. 13.27.

 

[65] Si veda, in particolare, M. Sordi, Paolo a Filemone o della schiavitù, Milano 1987, 31.

 

[66] Dion. Hal. 1.9.4.

 

[67] Per il concetto di cittadinanza espresso da Dionigi di Alicarnasso rinvio a G. Poma, Dionigi d’Alicarnasso e la cittadinanza romana, in Mélanges de l’École française de Rome 1 (1989), 187 ss.

 

[68] Sylloge, II (3a ed.) 543 (Decretum Larisaeorum, quod duas Philippi regis epistulas continet), 32 ss. Sulla datazione del decretum rinvio a C. Habicht, Epigraphische Zeugnisse zur Geschichte Thessaliens unter der Makedonische Herrschaft, in Arcaia Makedonia, Thessaloniki 1970, 273 ss. Analogamente Appiano parla della cittadinanza romana incrementata da stranieri e servi emancipati, ma, al contrario di Filippo, manifesta un giudizio negativo sulla sostanziale assenza di distinzione fra cittadini e liberti, App. bell. civ. 2.120: Οτω δ’ χοντες τ Καπιτλιον σν τος μονομχοις νθορον. Κα ατος βουλευομνοις δοξεν π τ πλθη μισθματα περιπμπειν·λπιζον γρ, ρξαμνων τινν παινεν τ γεγενημνα, κα τος λλους συνεπιλψεσθαι λογισμ τε τς λευθερας κα πθ τς πολιτεας. τι γρ οντο τν δμον εναι ωμαον κριβς, οον π το πλαι Βροτου τν ττε βασιλεαν καθαιροντος πυνθνοντο γενσθαι κα ο συνεσαν δο τδε λλλοις ναντα προσδοκντες, φιλελευθρους μο κα μισθωτος σφσιν σεσθαι χρησμως τος παρντας. ν θτερον εχερστερον ν, διεφθαρμνης κ πολλο τς πολιτεας. Παμμιγς τε γρ στιν δη τ πλθος π ξενας, κα ξελεθερος ατος σοπολτης στ κα δουλεων τι τ σχμα τος δεσπταις μοιος·χωρς γρ τς βουλευτικς λλη στολ τος θερπουσν στιν πκοινος. Τ τε σιτηρσιον τος πνησι χορηγομενον ν μν Ῥώμ τν ργν κα πτωχεοντα κα ταχυεργν τς ταλας λεν ς τν Ῥώμην πγεται. Τ τε πλθος τν ποστρατευομνων, ο διαλυμενον ς τς πατρδας τι ς πλαι καθ’ να νδρα δει το μ δικαους πολμους νους πεπολεμηκναι, κοιν δ ς κληρουχας δκους λλοτρας τε γς κα λλοτρων οκιν ξιν, θρουν ττε στθμευεν ν τος ερος κα τεμνεσιν φ’ ν σημείῳ κα φ’ ν ρχοντι τς ποικας, τ μν ντα σφσιν ς π ξοδον δη διαπεπρακτες, εωνοι δ’ ς τι μισθοντο.

 

[69] Vedi M. Sordi, Paolo a Filemone o della schiavitù, cit., 31.

 

[70] Per lo status generale dei Latini «second only to the Roman citizenship», rinvio a N.A. Sherwin-White, The Roman Citizenship, Oxford 1973, 110.

 

[71] Si veda Liv. 41.8.9.

 

[72] Per un approfondimento del tema rinvio a: C. Castello, Il cosidetto ‘ius migrandi’ dei Latini a Roma (ricerche in tema di concessione e di accertamento degli ‘status civitatis et familiae’ dal 338 al 95 av.C.), in Bullettino dell’Istituto di diritto romano 61 (1958), 209 ss.; E. Ferenczy, Zur Vorgeschichte des ius Latii. Das Problem der «römischen Hegemonie» über Latium, in Religion, société et politique. Mélanges en hommage à Jacques Ellul, Paris 1983, 233 ss.; M. Talamanca, I mutamenti della cittadinanza, in Mélanges de l’École française de Rome. Antiquité 103.2 (1991), 703 ss., http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/mefr_0223-5102_1991_num_103_2_1733; F. Sturm, Conubium, ius migrandi, conventio in manum, cit., 717 ss.; L. Capogrossi Colognesi, Ius commercii, conubium, civitas sine suffragio. Le origini del diritto internazionale privato e la romanizzazione delle comunità romano-campane, cit., 3 ss.; W. Broadhead, Rome’s migration policy and the so-called ius migrandi, in Cahiers du Centre Gustave-Glotz 12 (2001), 69 ss., http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/ccgg_1016-9008_2001_num_12_1_1544; Id., Rome and the mobility of the Latins: problems of control, in La mobilité des personnes en Méditerranée, de l’antiquité à l’époque moderne. Procédures de contrôle et documents d’identification II. La mobilité négociée, Rome 2004, 315 ss.; O. Licandro, Domicilium habere: Persona e territorio nella disciplina del domicilio romano, Torino 2004, 135; L. Gagliardi, Mobilità e integrazione delle persone nei centri cittadini romani: La classificazione degli incolae, Milano 2006, 331 ss.

 

[73] Merita una menzione, un altro importante privilegio concesso ai Latini, seppur forse meno arcaico: lo ius adipiscendae civitatis Romanae per magistratum per il quale questi potevano divenire cittadini romani qualora nella loro patria avessero ricoperto una magistratura (Gai. Inst. 1.95: Quod ius quibusdam peregrinis civitatibus datum est vel a populo Romano vel a senatu vel a Caesare    aut maius est Latium aut minus; maius est Latium, cum et hi, qui decuriones leguntur, et ei, qui honorem aliquem aut magistratum gerunt, civitatem Romanam consecuntur; minus Latium est, cum hi tantum, qui vel magistratum vel honorem gerunt, ad civitatem Romanam perveniunt). In materia rinvio a: G. Luraschi, Foedus Ius Latii Civitas. Aspetti costituzionali della romanizzazione in Transpadana, Padova 1979, 179 ss.; D.J. Piper, The ius adipiscendae civitatis Romanae per magistratum and its effect on Roman-Latin relations, in Latomus 47 (1988), 59 ss.; J. González, El ius Latii y la lex Irnitana, in Athenaeum 65 (1987), 327; F. Lamberti, Tabulae Irnitanae. Municipalità e «ius Romanorum», Napoli 1993, 26 ss.; P. Le Roux, Rome et le droit latin, in Revue historique de droit français et étranger 76 (1998), 315 ss.; D. Kremer, Ius latinum. Le concept de droit latin sous la République et l’Empire. Romanité et modernité du droit, Paris 2006, 119 ss.; A. Torrent, Ius Latii y Lex Irnitana, in Revista Internacional de derecho romano 2 (2009), 159 ss. http://www.ridrom.uclm.es/documentos2/IusLatii_pub.pdf; Id., Exclusión de los hijos adoptivos del “ius adipiscendae civitatis romanae per magistratum vel honorem” en la “lex Irnitana” cap. 21, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 77 (2011), 105 ss.

 

[74] E. De Ruggiero, v. Civitas (Romana), in Dizionario epigrafico di antichità romane II, Roma 1920, 261. Si tratta di un istituto assai risalente anche per G. Luraschi, Foedus, ius Latii, civitas. Aspetti costituzionali della romanizzazione in Transpadana, cit., 223.

 

[75] Si veda W. Broadhead, Rome’s migration policy and the so-called ius migrandi, cit., 69 ss.

 

[76] Liv. 39.3.4-6. Sul passo si vedano: G. Tibiletti, Ricerche di storia agraria romana, in Athenaeum 28 (1950), 247 ss.; Id., Latini e Ceriti, in Studi Vanoni, Pavia 1961, 247; P. Frezza, Note esegetiche di diritto pubblico romano: I) Pro cive se gerere (Acquisto della cittadinanza romana e iscrizione nel censo), in Studi in onore di Pietro de Francisci I, cit., 202 s.; V. Ilari, Gli Italici nelle strutture militari romane, Milano 1974, 76 s.; U. Laffi, Sull’esegesi di alcuni passi di Livio relativi ai rapporti tra Roma e gli alleati latini e italici nel primo quarto del II sec. a.C., cit., 43 ss. (ora in Id., Studi di storia romana e di diritto, Roma 2001, 45 ss.).

 

[77] L’espressione tratta da Liv. 41.8.6 per U. Laffi, Sull’esegesi di alcuni passi di Livio relativi ai rapporti tra Roma e gli alleati latini e italici nel primo quarto del II sec. a.C., in Pro Populo Ariminense, Faenza 1995 (ora in Id., Studi di storia romana e di diritto, Roma 2001, 51) è «asindetica, com’è nell’uso normale di Livio, ed indica globalmente gli alleati di Roma in Italia, Latini e Italici». Contra J. Briscoe, A Commentary on Livy, Books 41-45, Oxford 2012, 63, per il quale il termine indica i soli Latini.

 

[78] Il divieto di doppia cittadinanza emerge in Cic. pro Balb. 11.28: Duarum civitatum civis noster esse iure civili nemo potest. L’argomento è dibattuto in dottrina, sul punto, tra i tanti, rinvio a: V. Arangio-Ruiz, Sul problema della doppia cittadinanza nella Repubblica e nell’Impero romano, in Scritti giuridici F. Carnelutti IV, Padova 1950, 53 ss.; G. Luraschi, La questione della cittadinanza nell’ultimo secolo della Repubblica, in Res publica e princeps. Vicende politiche, mutamenti istituzionali e ordinamento giuridico da Cesare ad Adriano, Atti del Convegno internazionale di diritto romano, Copanello 25-27 maggio 1994, Napoli 1996, 35 ss.; M. Talamanca, I mutamenti della cittadinanza, cit., 703 ss.; S. Barbati, Gli studi sulla cittadinanza romana prima e dopo le ricerche di Giorgio Luraschi, in Rivista di Diritto Romano 12 (2012), 34 ss. http://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/allegati/dirittoromano12Barbati.pdf.

 

[79] Sulla lex si veda in particolare G. Grosso, Note critiche di diritto romano, I. La lex Claudia de sociis e i rapporti fra lex e ius, in Mélanges Meylan I. Droit Romain, Lausanne 1963, 167 ss.

 

[80] Liv. 41.9.9-10.

 

[81] In materia si veda G. Rotondi, Gli atti di frode alla legge nella dottrina romana e nella sua evoluzione posteriore, Torino 1911, 50; L. Fascione, Fraus legi. Indagini sulla concezione della frode alla legge nella lotta politica e nell’esperienza giuridica romana, Milano 1983, 45 ss.

 

[82] Liv. 41.8.9. Unica fonte dei libri XLI-XLV è il Codex Vindobonensis, di cui alcune parti, tra cui il passo in analisi, sono andate perse. Sulle difficoltà ricostruttive e sull’esegesi del passo rimando a: U. Laffi, Sull’esegesi di alcuni passi di Livio relativi ai rapporti tra Roma e gli alleati latini e italici nel primo quarto del II sec. a.C., cit., 43 ss.; W. Broadhead, Rome’s migration policy and the so-called ius migrandi, cit., 69 ss.

 

[83] A.J. Toynbeee, Hannibal’s Legacy II, London 1965, 140; U. Laffi, Sull’esegesi di alcuni passi di Livio relativi ai rapporti tra Roma e gli alleati latini e italici nel primo quarto del II sec. a.C., cit. (ora in Id., Studi di storia romana e di diritto, cit., 51). Sulla limitazione di questo potere ai soli Latini dotati di ius commerci si veda M. Kaser, Vom Begriff des ‘commercium’, in Studi in onore di Vincenzo Arangio-Ruiz nel 45 anno del suo insegnamento II, Napoli 1953, 131 ss.

 

[84] Parla di adrogatio Th. Mommsen, Droit public romain VI.2, cit., 252 s. Contra M. Kaser, Vom Begriff des ‘commercium’, cit., 148; C. Russo Ruggeri, La datio in adoptionem, cit., 91 s. che propendono, invece, per la frode consistente nell’adozione in patria di un soggetto per potersi trasferire a Roma ed acquistare la cittadinanza.

 

[85] Liv. 41.9.11-12.

 

[86] Vedi sul punto: Cic. de off. 3.47: Male etiam, qui peregrinos urbibus uti prohibent eosque exterminant, ut Pennus apud patres nostros, Papius nuper. Nam esse pro cive, qui civis non sit, rectum est non licere; quam legem tulerunt sapientissimi consules Crassus et Scaevola; pro Balb. 48: Itaque cum paucis annis post hanc civitatis donationem acerrima de civitate quaestio Licinia et Mucia lege venisset, num quis eorum, qui de foederatis civitatibus esset civitate donatus, in iudicium est vocatus?; 54: Quod si acerbissima lege Servilia principes viri ac gravissimi et sapientissimi cives hanc Latinis, id est foederatis, viam ad civitatem populi iussu patere passi sunt, neque ius est hoc reprehensum Licinia et Mucia lege, cum praesertim genus ipsum accusationis et nomen eius modi praemium quod nemo adsequi posset nisi ex senatoris calamitate neque senatori neque bono cuiquam nimis iucundum esse posset, dubitandum fuit quin, quo in genere iudicum praemia rata essent, in eodem iudicia imperatorum valerent?; Brut. 63: Catonis autem orationes non minus multae fere sunt quam Attici Lysiae, cuius arbitror plurumas esse - est enim Atticus, quoniam certe Athenis est et natus et mortuus et functus omni civium munere, quamquam Timaeus eum quasi Licinia et Mucia lege repetit Syracusas. Si veda anche Ascon. pro Corn. 67-68: Legem Liciniam et Muciam de civibus redigendis video constare inter omnis, quamquam duo consules omnium quos vidimus sapientissimi tulissent, non modo inutilem sed perniciosam rei publicae fuisse. - L. Licinium Crassum oratorem et Q. Mucium Scaevolam pont. max. eundemque et oratorem et iuris consultum significat. Hi enim legem eam de qua loquitur de redigendis in suas civitates sociis in consulatu tulerunt. Nam cum summa cupiditate civitatis Romanae Italici populi tenerentur et ob id magna pars eorum pro civibus Romanis se gereret, necessaria lex visa est ut in suae quisque civitatis ius redigeretur. Verum ea lege ita alienati animi sunt principum Italicorum populorum ut ea vel maxima causa belli Italici quod post triennium exortum est fuerit. Per la letteratura rimando a: Th. Mommsen, Römische Geschichte II, Breslau 1856, 214; Id., Le Droit public romain 6.2, trad. fr., Paris 1889, 262; Id., Le Droit pénal romain III, trad. fr., Paris 1907, 186; G. Rotondi, Leges publicae populi Romani, cit., 335; O. Behrends, La lex Licinia Mucia de civibus redigundis de 95 a.C. Une loi néfaste d’auteurs savants et bienveillants, in Antiquité et Citoyenneté, Actes du Colloque International tenu à Besançon les 3, 4 et 5 novembre 1999, Paris 2002, 15 ss. Sull’attribuzione dello status di municipia civium Romanorum si veda per tutti U. Laffi, Studi di storia romana e di diritto, Roma 2001, 152 ss. (fonti e bibliografia ivi).

 

[87] E. De Ruggiero, v. Civitas (Romana), in Dizionario epigrafico di antichità romane II, cit., 261; secondo il De Ruggiero tale privilegio è stato istituito con la legge che fondò la colonia di Ariminum.

 

[88] Cicerone riferisce che, più avanti, la lex Servilia repetundarum limiterà questa prerogativa ai soli Latini. Cic. pro Balb. 54: Quod si acerbissima lege Servilia principes viri ac gravissimi et sapientissimi cives hanc Latinis, id est foederatis, viam ad civitatem populi iussu patere passi sunt, neque ius est hoc reprehensum Licinia et Mucia lege, cum praesertim genus ipsum accusationis et nomen <et> eius modi praemium quod nemo adsequi posset nisi ex senatoris calamitate neque senatori neque bono cuiquam nimis iucundum esse posset, dubitandum fuit quin, quo in genere iudicum praemia rata essent, in eodem iudicia imperatorum valerent? Num fundos igitur factos populos Latinos arbitramur aut Serviliae legi aut ceteris quibus Latinis hominibus erat propositum aliqua ex re praemium civitatis? Cfr. anche Cic. pro Rab. post. 9. Sulla lex Servilia rimando a G. Crifò, Ecumene e cittadinanza, in Φιλία. Scritti per Gennaro Franciosi I, Napoli 2007, 627 ss.; F. Lamberti, Romanización y ciudadanía. El camino de la expansión de Roma en la República, Lecce 2009; Id., Civitas Romana e diritto latino fra tarda repubblica e primo principato, in Index 39 (2011), 227 ss.

 

[89] Sulla lex si veda C.G. Bruns, Fontes iuris Romani antiqui I, cit., 55 ss.; S. Riccobono, Fontes Iuris Romani Antejustiniani, pars prima. Leges, Firenze 1941, 84 ss. e n. 7; P.F. Girard-F. Senn, Les lois des Romains. 7e édition des «Textes de droit romain» II, cit., 90 ss.; C. Williamson, The laws of the Roman people: public law in the expansion and decline of the Roman Republic, cit., 302 s.

 

[90] CIL I (II ed.) 583. La dottrina prevalente ritiene che il testo epigrafico tratto dalla Tabula Bembina sia parte della lex Acilia, vedi sul punto: A. Lintott, The ‘leges de repetundis’ and Associate Measures under the Republic, cit., 182 ss., e da ultimo P. Lepore, Introduzione allo studio dell’epigrafia giuridica latina, Milano 2010, 73. Si vedano anche le tesi contrarie di G. Tibiletti, Le leggi ‘de iudicii repetundarum’ fino alla guerra sociale, cit., 19 ss., per il quale l’epigrafe conterrebbe piuttosto la lex Sempronia iudiciaria e H.B. Mattingly, The Extortion Law of the ‘Tabula Bembina’, in The Journal of Roman Studies 60 (1970), 154 ss., il quale ritiene si tratti invece della lex Servilia Glauciae del 104-100 a.C.

 

[91] Sul crimen repetundarum e il suo giudizio rimando a: C.W. Göttling, Fünfzehn römische Urkunden auf Erz und Stein nach den Originalen neu verglichen und herausgegeben, Halle 1845, 36 ss.; L. Guenoun, La lex Sempronia iudiciaria, in Études Girard I, Paris 1912, 85 ss.; N.A. Sherwin-White, Procurator Augusti, in Papers of the British School at Rome 15 (1939), 15 ss.; L. Wenger, Die Quellen des römischen Rechts, Wien 1953, 373; F. Pontenay De Fontette, Leges repetundarum, Paris 1954, 82 s.; G. Tibiletti, Le leggi de iudiciis repetundarum fino alla guerra sociale, in Athenaeum 31 (1955), 388; A.C. Johnson-P.R. Coleman-Norton-F.C. Bourne, Ancient Roman Statutes, Austin 1961, 38 ss. e n. 45; W. Kunkel, Untersuchungen zur Entwicklung des römischen Kriminalverfahrens in vorsullanischer Zeit, Münich 1962; B. Schmidlin, Das Rekuperatoren verfahren, Freiburg 1963, 71 ss.; C. Nicolet, L’ordre équestre à l’époque républicaine (312-43 av. J.-C.). Définitions juridiques et structures sociales I, Paris 1966, 88 ss.; E.S. Gruen, Roman politics and the criminal courts, 149-78 BC, Cambridge 1968, 88 ss.; F. Serrao, v. Repetundae, in Novissimo Digesto Italiano 15 (1968), 459; Id., Classi, partiti e legge nella Repubblica Romana, Pisa 1974, 216 s.; W. Eder, Das vorsullanische Repetundenverfahren, München 1969, 120 ss.; A.H.M. Jones, The criminal courts of the roman Republic and Principate, Oxford 1972, 45 ss.; P.F. Girard-F. Senn, Les lois des Romains, cit., 90 ss. e n. 7; C. Venturini, Studi sul crimen repetundarum nell’età repubblicana, Milano 1979, 6 ss.; A. Lintott, The ‘leges de repetundis’ and Associate Measures under the Republic, in Zeitschrift der Savigny - Stiftung für Rechtsgeschichte (Romanistische Abteilung) 98 (1981), 182 ss.; Id., Judicial Reform and Land Reform in the Roman Republic, Cambridge 1992, 32 s.; D. Mantovani, Il problema d’origine dell’accusa popolare, Padova 1989; C. Williamson, The laws of the Roman people: public law in the expansion and decline of the Roman Republic