Memorie-2017

 

 

Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: carta TERZA ROMA 

DA ROMA ALLA TERZA ROMA

XXXVII SEMINARIO INTERNAZIONALE DI STUDI STORICI

 

Campidoglio, 21-22 aprile 2017

 

 

Sini-2015-306 - CopiaFrancesco Sini

Università di Sassari

Direttore di Diritto @ Storia

 

FONDAZIONE DELLA URBS ROMA

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Sommario: 1. Premessa: oggetto e limiti dell’esposizione. 2. Urbs tra terminologia e dogmatica nei Digesta dell’imperatore Giustiniano. 3. Realtà religiose e giuridiche dell’urbs: il pomerium. Fonti e definizioni. 3.a. Fonti da cui si ricava che il pomerio è il confine religioso e giuridico dell’urbs. 3.b. Pomerio come luogo inaugurato per poter costruire le mura della città. 4. Tra spazio e tempo nell’Eneide di Virgilio: dall’urbs Roma, all’Imperium sine fine, agli aurea saecula. 5. Riti di fondazione dell’urbs Roma (rielaborazione poetica della Urbis origo nei Fasti di Ovidio). – 6. «Auspicato inauguratoque condita»: Tito Livio e la urbs Roma come «città degli dèi».

 

 

1. – Premessa: oggetto e limiti dell’esposizione

 

Per trattare delle implicazioni giuridiche e religiose insite negli atti di fondazione della urbs, ed in particolare della urbs Roma, sarà bene muovere dalla concettualizzazione e dalla terminologia di sacerdoti e giuristi; ad iniziare da questi ultimi, poiché della loro attività definitoria è rimasta traccia indelebile nei Digesta dell’imperatore Giustiniano[1].

Questa comunicazione, dopo aver analizzato alcuni frammenti dei Digesta, tratterà di tre autori dell’età di Augusto, che danno particolarmente voce alla restaurazione religiosa del primo imperatore romano. Del quale, peraltro, connesso ad un nuovo initium Urbis, o se si preferisce ad una rifondazione di Roma, appare lo stesso Augusti cognomen attribuito ad Ottaviano nel 27 a.C., quando in Senato prevalse la proposta di Munazio Planco su quanti ritenevano che lo si dovesse chiamare invece con il cognomen Romolo (connesso anche questo al nuovo initium Urbis). Dal passo di Svetonio, che ci riferisce nel dettaglio l’episodio, apprendiamo che quel nome fu scelto ispirandosi al noto verso, con cui il poeta Ennio aveva cantato l’antichissima fondazione dell’Urbe: Augusto augurio postquam inclyta condita Roma est[2].

L’esempio di Augusto è particolarmente calzante anche agli effetti del nostro discorso; in quanto la sua presenza nella storia di Roma rappresenta per poeti e storiografi dell’epoca l’angolo di osservazione imprescindibile da cui rimodellare la tradizione (religiosa e giuridica) degli initia Urbis. Non è certo una novità, sostenere la tesi che negli scrittori dell’età augustea (o meglio ancora nell’ideologia che presiedeva alla ‘restaurazione’ augustea[3]) il motivo storiografico dell’antichissima fondazione della urbs Roma (origo Urbis e imperii principium, per usare le parole di Tito Livio[4]) si saldava indissolubilmente con il presente: sia con le giustificazioni religiose insite nella concezione provvidenziale e universalistica dell’impero ‘mondiale’ dei Romani[5]; sia col mito dell’eternità di Roma[6].

Infine, avrei dovuto concludere – come da titolo annunciato nel programma del Seminario – con alcune suggestioni sulla “città antica” nelle forme economiche precapitalistiche. Lo spoglio del materiale bibliografico (quasi immenso) su “Marx antichista”, mi ha indotto a non sacrificare il tema in una conclusione necessariamente limitata[7]. Col proposito di dedicarvi una nuova ed autonoma ricerca; che al momento – purtroppo – non mi è stato possibile intraprendere.

 

 

2. – Urbs tra terminologia e dogmatica nei Digesta dell’imperatore Giustiniano

 

Naturalmente, sono molte le occorrenze di urbs fra i frammenti giurisprudenziali di tale opera, ma solo un numero piuttosto limitato riguarda la terminologia e la dogmatica. Da alcuni frammenti del cinquantesimo libro, raccolti nel titolo XVI sotto la rubrica “De verborum significatione”, è possibile percepire ancora l’eco delle discussioni dei giuristi romani della tarda età repubblicana e dei primi secoli dell’impero, intorno al concetto e alle implicazioni normative della parola urbs[8].

I tre frammenti in questione sono rispettivamente del giurista Marcello (D. 50.16.87 [Marcellus libro XII digestorum])[9], del giurista Pomponio (D. 50.16.239.6-8 [Pomponius libro singulari enchiridii]) e del giurista Paolo (D. 50.16.2 pr. [Paulus libro primo ad edictum])[10].

Per quanto riguarda il primo ed il terzo frammento, sarà sufficiente evidenziare subito che l’interesse definitorio di Marcello e Paolo si sostanzia nel rilevare la configurazione dell’urbs (nel caso specifico la urbs Roma), sia in rapporto alla cinta muraria che la circonda, sia in rapporto agli edifici che essa contiene al suo interno.

Bisogna analizzare, invece, più nel dettaglio il frammento di Pomponio[11]:

 

D. 50.16.239.6-8 (Pomponius libro singulari enchiridii): [6] "Urbs" ab urbo appellata est: urbare est aratro definire. Et Varus ait urbum appellari curvaturam aratri, quod in urbe condenda adhiberi solet. [7] "Oppidum" ab ope dicitur, quod eius rei causa moenia sint constituta. [8] "Territorium" est universitas agrorum intra fines cuiusque civitatis: quod ab eo dictum quidam aiunt, quod magistratus eius loci intra eos fines terrendi, id est summovendi ius habent.

 

Di questo frammento appare immediatamente la notevole potenzialità definitoria; troviamo infatti esplicitato in esso, fra diverse verborum significationes (es. pupillus, servus, incola, munus publicum, advena, decuriones), anche il significato delle parole urbs, oppidum, territorium.

L’etimologia proposta da Pomponio nel § 6 fa derivare urbs da urbum ed il verbo urbare significa aratro definire, cioè tracciare confini con l’aratro. Il richiamo al rito di fondazione dell’urbs risulta meglio precisato nel prosieguo del paragrafo, dove con le parole et Varus ait si introduce una citazione del giurista Alfeno Varo, il quale aveva affermato chiamarsi urbum la curvatura dell’aratro, poiché si era soliti usarlo in urbe condenda; con sotteso ma chiaro riferimento al tracciamento del solco del pomerio dell’urbs[12].

Come si è detto, il frammento di Pomponio (o di Alfeno Varo) definisce, sempre partendo dall’etimologia, anche i concetti di oppidum e di territorium.

Nell’indicare l’etimologia di oppidum il giurista segue la prassi antica di ricavare il significato di un termine dall’uso o dalla funzione di esso: Oppidum ab ope dicitur; poiché per ragione di difesa sono appunto costruite le mura, moenia sint costituta. Da notare che nel caso dell’oppidum si mette l’accento sulla fortificazione delle mura, mentre manca qualsiasi riferimento ai riti di fondazione, che qualificano in senso giuridico le urbes rispetto ad altre forme di insediamenti umani.

Infine la definizione di territorium. L’insieme delle campagne (universitas agrorum) che si trova dentro i confini (intra fines) di una qualsiasi civitas costituisce il territorium; in tal modo per il giurista intra fines civitatis si determina anche la connessione di urbs e ager[13]; mentre il riferimento etimologico allo ius dei magistrati che si esercita nel territorio, evidenzia la dicotomia urbs / ager o domi / militiae nello ius publicum del popolo romano.

 

 

3. – Realtà religiose e giuridiche dell’urbs: il pomerium. Fonti e definizioni

 

Le significationes di urbs, oppidum e territorium proposte dal giurista Pomponio mostrano, dunque, il ruolo insostituibile del pomerio nella determinazione delle realtà religiose e giuridiche dell’urbs. è infatti l’esistenza del pomerio che contraddistingue l’urbs rispetto agli altri centri abitati (oppida); ed al tempo stesso ne delinea la diversa fisionomia (umana e divina) rispetto al suo territorio (ager) e agli altri territori (vedi gli agrorum genera degli auguri)[14], con rilevanti conseguenze nel campo della religione e dello ius (sacrum, publicum, privatum).

Sarà bene, a questo punto, esporre alcune fonti da cui si rileva il concetto normativo di pomerium nel linguaggio giuridico-religioso romano. I testi sono molto noti, quindi si procederà ad una ricognizione sommaria.

 

3.a. Fonti da cui si ricava che il pomerio è il confine religioso e giuridico dell’urbs

 

Varrone, De ling. Lat. 5.143: Oppida condebant in Latio Etrusco ritu multi, id est iunctis bobus, tauro et vacca interiore, aratro circumagebant sulcum (hoc faciebant religionis causa die auspicato), ut fossa et muro essent muniti. Terram unde exculpserant, fossam vocabant et introrsum iactam murum. Post ea qui fiebat orbis, urbis principium; qui quod erat post murum, postmoerium dictum, eo usque auspicia urbana finiuntur. Cippi pomeri stant et circum Ariciam et circ[o]um Romam. Quare et oppida quae prius erant circumducta aratro ab orbe et urvo urb[s]es[t]; ideo coloniae nostrae omnes in litteris antiquis scribuntur urbes, quod item conditae ut Roma, et ideo coloniae et urbes conduntur, quod intra pomerium ponuntur[15].

 

Nel passo Marco Terenzio Varrone[16] riferisce dell’Etruscus ritus, utilizzato da molti anche nel Lazio all’atto di fondare una città. Il rito, descritto dal grande antiquario con cura dei particolari[17], si svolgeva nel modo seguente: in un giorno di auspicii favorevoli, si aggiogavano un toro e una vacca, lasciando quest’ultima dalla parte interna, con l’aratro si tracciava un solco circolare al fine di essere difesi da un fossato (rappresentato dallo spazio da cui si era estratta la terra) e da un muro (rappresentato da quella stessa terra, gettata verso l’interno rispetto al solco).

Ed ecco la definizione di pomerium: «Il circolo (orbis) che si trovava dietro questi elementi segnava il principium urbis; e poiché esso stava dopo il muro (post murum) fu chiamato postmoerium e andava fin dove auspicia urbana finiuntur».

Il testo varroniano continua menzionando i cippi pomeriali ancora esistenti ai suoi tempi ad Ariccia e a Roma; e poi vi si legge la sua etimologia di urbs, da orbis (solco circolare) e urvum (aratro); etimologia che quasi certamente – dato il grandissimo prestigio di cui godeva già fra i contemporanei la sapienza di M. Terenzio Varrone – ha influenzato la dottrina dei giuristi citati in precedenza[18].

Il testo chiude con la notazione che le colonie romane erano fondate ut Roma, cioè poste dentro un pomerio, e che per questa ragione erano esse stesse chiamate urbes; lasciando così intravvedere quella configurazione urbana dello spazio romano, per cui si afferma, non senza ragione, che l’imperium del popolo romano fu un impero di città.

 

Gellio, Noct. Att. 13.14.1-6: Quid sit "pomerium". "Pomerium" quid esset, augures populi Romani, qui libros de auspiciis scripserunt, istiusmodi sententia definierunt: «Pomerium est locus intra agrum effatum per totius urbis circuitum pone muros regionibus certeis determinatus, qui facit finem urbani auspicii»[19]. [2] Antiquissimum autem pomerium, quod a Romulo institutum est, Palati montis radicibus terminabatur. Sed id pomerium pro incrementis reipublicae aliquotiens prolatum est et multos editosque collis circumplexum est. [3] Habeat autem ius proferendi pomerii, qui populum Romanum agro de hostibus capto auxerat. [4] Propterea quaesitum est ac nunc etiam in quaestione est, quam ob causam ex septem urbis montibus, cum ceteri sex intra pomerium sint, Aventinus solum, quae pars non longinqua nec infrequens est, extra pomerium sit, neque id Servius Tullius rex neque Sulla, qui proferundi pomerii titulum quaesivit, neque postea divus Iulius, cum pomerium proferret, intra effatos urbis fines incluserint. [5] Huius rei Messala aliquot causas videri scripsit, sed praeter eas omnis ipse unam probat, quod in eo monte Remus urbis condendae gratia auspicaverit avesque inritas habuerit superatusque in auspicio a Romulo sit: [6] «Idcirco» inquit «omnes, qui pomerium protulerunt, montem istum excluserunt quasi avibus obscenis ominosum»[20].

 

Aulo Gellio, per spiegare che cosa sia il pomerio si appella ad una sententia definitoria di certi sacerdoti augures populi Romani, che avevano scritto libri de auspiciis: «Il pomerio è lo spazio fissato (dagli auguri con solenne dichiarazione), tutt’intorno alla città, dietro le mura (pone muros), delimitato da confini determinati, che stabilisce il confine dell’auspicio urbano».

Il passo prosegue con una notizia sul più antico pomerio istituito da Romolo, che era delimitato dalle falde del monte Palatino, ed espone modalità e protagonisti dei successivi ampliamenti in corrispondenza con l’ampliarsi della res publica: da Servio Tullio, a Silla[21], a Giulio Cesare. Aveva il diritto di allargare il pomerio chi avesse “accresciuto” il popolo romano con territorio strappato ai nemici (per la religione e per il diritto, vi era una interconnessione tra il pomerium [e dunque l’urbs] e i fines populi Romani)[22]. Tuttavia, risulta inspiegabile all’autore latino il perché solo sei delle sette alture di Roma siano state incluse nel pomerio, mentre l’Aventino ne è rimasto escluso fino all’epoca dell’imperatore Claudio.

Sul punto Gellio trascrive una citazione dell’augure e giurista Marco Valerio Messala (console nel 53 a.C. ed autore di De auspiciis libri, da cui quasi per certo è tratta la citazione di Gellio), dove si leggeva questa spiegazione: tutti coloro che allargarono il pomerio esclusero l’Aventino, ritenendolo luogo di malaugurio; poiché sull’Aventino Remo trasse gli auspici per la fondazione di Roma, ma gli uccelli non gli furono propizi.

Dalle definizioni degli auguri, qui libros de auspiciis scripserunt, e di Varrone si ricava, dunque, che il pomerio è il confine dell’urbs. Questo dato assume grande rilevanza nel campo giuridico-religioso: nel sistema romano certi poteri e certe norme si plasmavano sull’esistenza del concetto di confine dell’urbs; così come certe attività pubbliche potevano compiersi solo fuori del pomerio o solo al suo interno.

Nell’esercizio dei poteri dei magistrati e delle prerogative derivanti dall’imperium, espressioni quali extra pomerium ed extra urbem assumevano il medesimo senso ed addivenivano al medesimo risultato; come insegnava il giurista Lelio Felice citando la norma di ius publicum che recitava: centuriata autem comitia intra pomerium fieri nefas esse, quia exercitum […] intra urbem imperari ius non sit[23]. La linea pomeriale dell’urbs distingueva auspicia urbana e militaria ed allo stesso modo connotava i poteri dei magistrati, in quanto l’imperium domi e l’imperium militiae si concretizzavano nella modalità di esercizio intra o extra pomerium[24].

 

3.b. – Pomerio come luogo inaugurato per poter costruire le mura della città

 

Tito Livio 1.44.4-5: [4] Pomerium, verbi vim solam intuentes, postmoerium interpretantur esse; est autem magis circamoerium, locus, quem in condendis urbibus quondam Etrusci, qua murum ducturi erant, certis circa terminis inaugurato consecrabant, ut neque interiore parte aedificia moenibus continuarentur, quae nunc vulgo etiam coniungunt, et extrinsecus puri aliquid ab humano cultu pateret soli. [5] Hoc spatium, quod neque habitari neque arari fas erat, non magis, quod post murum esset, quam quod murus post id, pomerium Romani appellarunt; et in urbis incremento semper, quantum moenia processura erant, tantum termini hi consecrati proferebantur[25].

 

Tito Livio propende per una definizione di pomerium che, per sua stessa ammissione, trascende la mera etimologia e porterebbe ad interpretare la parola nel senso di «che si trova dietro il muro» (postmoerium); esso sta piuttosto intorno alle mura, poiché designa lo spazio dove si doveva costruire un muro, che nel fondare la città gli antichi Etruschi consacravano dopo aver preso gli auspici (inaugurato consecrabant) fissando intorno dei cippi, così da impedire che dalla parte interna le costruzioni venissero addossate alle mura e da lasciare al di fuori un tratto di terreno libero da ogni coltivazione. Secondo Livio questo spazio, che non era lecito né urbanizzare né coltivare, i Romani lo chiamarono pomerio tanto perché stava dietro il muro (quod post murum esset), quanto perché il muro stava dietro di esso (quod murus post id); ed ogni volta che la città veniva ampliata di quanto dovevano avanzare le mura, tanto erano spostati in avanti i cippi consacrati a delimitare il pomerio.

La definizione accolta da Tito Livio identifica il pomerio come il luogo su cui era stata chiesta l’approvazione divina, e quindi inaugurato, perché vi si potessero costruire le mura[26]; da cui consegue che le mura della città erano sante[27].

 

 

4. – Tra spazio e tempo nell’Eneide di Virgilio: dall’urbs Roma, all’Imperium sine fine, agli aurea saecula

 

Negli anni quaranta dell’Ottocento Lorenz Lersch, in un paragrafo delle sue Antiquitates Vergilianae, intitolato: «De urbis condendae more»[28], aveva rilevato come nel poema di Virgilio[29] non mancassero precisi riferimenti ai riti necessari «ad novae urbis vel coloniae aedificationem». Nel descrivere tali riti, «oltre che il mondo della colonizzazione greca», Virgilio avrà certamente tenuto presenti soprattutto «i concetti, le forme e la prassi della colonizzazione romana»: le parole virgolettate si leggono nella voce “Città”, scritta nel 1984 da G.A. Mansuelli per l’Enciclopedia Virgiliana[30].

Così il poeta, nei versi Aen. 5.755-761 [31], ci presenta Enea che, anacronisticamente[32], procede alla fondazione di una nuova Troia, la città governata da Aceste in Sicilia, sulla base del rituale romano di fondazione, con il tracciamento del solco e il sorteggio delle case. Ma per completare l’opera di fondazione, sono necessarie anche le strutture giuridico-politiche comunitarie: vi provvede Aceste, re della nuova città, costituendo l’assemblea del popolo e promulgando le prime leggi[33].

Nel poema virgiliano, le fondazioni più importanti di città appaiono proiettate in un futuro più o meno lontano. Tale è il caso di Alba Longa che sarà fondata da Ascanio (Aen. 6.766). Tale è il caso della Roma di Romolo, l’inclita Roma, di cui Anchise nei versi Aen. 6.781-784 tratteggia il destino imperiale[34]; anche se per poter raggiungere il magnum imperium a cui è destinata, l’Urbs avrà bisogno di essere fondata anche legibus da Numa Pompilio (Aen. 6.809-812)[35].

Dalla profezia di Anchise emerge, dunque, il destino di Roma all’Impero. Negli initia Urbis stanno le premesse per ciò che si dovrà compiere: «In altri termini – scrive Massimiliano Pavan – la R(oma) di Romolo è già città imperiale, nella stessa misura in cui l’impero pacificato da Augusto sarà un impero romuleo»[36]. Del resto, fin dal primo libro dell’Eneide si appalesa nella promessa di Iuppiter[37], subito dopo la fondazione di Roma, il futuro imperium dei Romani: l’imperium sine fine (Aen. 1.275-279):

 

Inde lupae fulvo nutricis tegmine laetus

Romulus excipiet gentem et Mavortia condet

moenia Romanosque suo de nomine dicit.

His ego nec metas rerum nec tempora pono,

imperium sine fine dedi.

 

La forte carica ideologica e la precisa connotazione religiosa del passo non sono sfuggiti a P. Boyancé, per il quale proprio sull’annuncio Imperium sine fine dedi «sur l’annonce de l’Empire dans la bouche du dieu suprême repose pour ainsi dire toute l’oeuvre»[38]. Già i commentari antichi (cfr. Servio, Ad Aen. 1.278) avevano stabilito un nesso ben preciso tra l’imperium sine fine e l’eternità di Roma; lo stesso orientamento si registra nella maggior parte della dottrina contemporanea (C. Koch, F. Fabbrini, E. Paratore, K.D. Bracher, J.-L. Pomathios ecc.).

Tuttavia, ad un esame più attento, il verso non sembra avere univoco senso temporale. Lo interpretano in senso spazio/temporale sia G. Piccaluga[39], sia R. Turcan[40]; mentre A. Mastino sostiene che nei due versi è attestata la propensione augustea a superare tutti i limiti di spazio: «l’impero romano era almeno teoricamente un imperium sine fine, che non aveva frontiere»[41].

Nella prospettiva storiografica dell’Eneide, il regno di Saturno (Aen. 8.314-327), che fonda nell’antichissimo Lazio il mos, il cultus, le leges e la pax, costituisce il vero punto d’inizio della storia “nazionale” romana; la quale si sviluppa attraverso il re Latino e la discendenza di Enea, ancora presente a Roma nella persona di Cesare Augusto: il Troianus Caesar profetizzato da Iuppiter in Aen. 1.286-290. Con Ottaviano il passato si fonde col presente e si proietta nel futuro: solo a lui, tra i personaggi dei tempi storici, è riservato il raffronto con Saturno, solo a lui è consentito dalla profezia di Anchise il condere aurea saecula (Aen. 6.791-795)[42]. Si adempiono in tal modo, per Virgilio e per la sua generazione, i fata degli Eneadi e della urbs Roma: appare ora evidente che le vicende storiche dell’imperium dei Romani sono state determinate dagli dèi al fine di instaurare nell’età presente, tramite Augusto, un nuovo secolo d’oro, forse superiore per stabilità anche agli antichi aura saecula di Saturno[43].

 

 

5. – Riti di fondazione dell’urbs Roma (rielaborazione poetica della Urbis origo nei Fasti di Ovidio)

 

Per i sacerdoti (e i giuristi) romani, solo il compimento del rito di fondazione[44], solenne atto giuridico-religioso improntato all’Etruscus ritus, poteva assicurare l’esistenza giuridica di una città (urbs). Senza dubbio, il rito etrusco di fondazione di città (e la sua adozione da parte della religione e del diritto di Roma) va datato in età piuttosto risalente; Macrobio attesta, infatti, che in tale cerimonia il vomere utilizzato per tracciare il solco pomeriale doveva essere necessariamente di bronzo[45].

Di grande interesse, dal punto di vista religioso e giuridico, si presenta la rielaborazione ovidiana (e quindi augustea) della origo Urbis Romae; soprattutto per evidenziare la fortissima connotazione spazio/temporale che i riti di fondazione davano agli initia Urbis: sia determinando il tempo della città (e delle sue istituzioni), sia qualificando la condizione giuridica del popolo romano (i cives), sia diversificando lo spazio terrestre.

è noto che la vicenda della Urbis origo viene trattata dal poeta Ovidio nel IV libro dei Fasti ai versi 807-862 [46], nel quadro dell’illustrazione della festività dei Parilia[47]; che i calendari antichi annotavano con la formula Roma condita o Natalis Urbis. La narrazione poetica presenta diverse articolazioni: a) la consultazione divina per mezzo degli uccelli (vv. 807-818); b) il rituale della fondazione (vv. 819-836); c) il sacrilegio, la morte e il funerale di Remo (vv. 837-856); d) la preghiera per Roma (vv. 857-862).

Nella descrizione della Urbis origo proposta da Ovidio, i riti di fondazione della città sono stati improntati – come ha ormai da tempo dimostrato P. Catalano – «secondo i concetti del diritto augurale che vediamo consolidato nella Repubblica»[48]. Va altresì sottolineata l’attenzione del poeta nel configurare con esattezza terminologia e realtà giuridiche (precedenti e successive) connesse alla fondazione dell’Urbs. I due gemelli, che ancora guidavano un vulgus di pastori[49], convengono di fondare la città (moenia ponere) al fine di contrahere agrestis (Fast. 4.810); quindi si procede alla consultazione degli aves, che ha esito favorevole per Romolo (Fast. 4.818: et arbitrium Romulus urbis habet); solo a questo punto hanno inizio i riti di fondazione veri e propri: col tracciamento del solco pomeriale, la preghiera di Romolo alle divinità, la costruzione delle mura (Fast. 4.819-836)[50].

Il testo, come ho detto, è stato assai ben studiato dal punto di vista dello ius augurium: non sarebbe, dunque, molto significativo soffermarsi ulteriormente a descrivere le varie fasi del manifestarsi della volontà degli dèi, i quali col tuono e col fulmine determinano l’augurium che perfeziona e conferma l’avvenuta fondazione della città. Dal momento in cui si manifesta l’augurium, che costituisce anche l’atto conclusivo della fondazione, ha inizio l’esistenza (religiosa e giuridica) della urbs Roma e quindi anche dei suoi cives; i quali, infatti, non più vulgus ma cives, costruiranno in breve tempo le mura della città. Da sottolineare, ancora una volta, l’aderenza del poeta alla tradizione sacerdotale dello ius augurium: è noto, infatti, che gli augures publici populi Romani distinguevano tra il pomerio, confine religioso dell’Urbs, e la cinta muraria della città, che non si identificava con il pomerio, né era indispensabile per l’esistenza giuridica dell’Urbs[51].

 

 

6. – «Auspicato inauguratoque condita»: Tito Livio e la urbs Roma come «città degli dèi»

 

L’urbs ‘sacralizzata’ dall’inaugurazione del pomerio, e dunque auspicato inauguratoque condita, viveva affidandosi alla tutela con i suoi dèi[52]; prosperava accogliendo fin dall’età arcaica sempre nuovi dèi[53], sia mediante ricorso ai sacra peregrina[54], sia che si trattasse di evocationes delle divinità dei nemici[55].

Nei libri ab urbe condita di Tito Livio[56] traspare più volte la convinzione che la storia dei Romani costituisse la prova più inconfutabile di come nelle vicende umane «omnia prospera evenisse sequentibus deos»[57]: per lo storico la pietas e la fides[58] avevano costituito (e costituivano) gli elementi essenziali per la legittimazione divina dell’imperium dei Romani; gli dèi si erano mostrati, in ogni circostanza, più ben disposti verso coloro i quali avevano osservato la pietas ed onorato la fides[59].

Per comprendere la peculiarità religiosa della urbs Roma, a mio avviso, risulta di estrema importanza il seguente passo di Tito Livio:

 

Tito Livio 5.52.1-3: [1] Haec culti neglectique numinis tanta monumenta in rebus humanis cernentes ecquid sentitis, Quirites, quantum vixdum e naufragiis prioris culpae cladisque emergentes paremus nefas? [2] Urbem auspicato inauguratoque conditam habemus; nullus locus in ea non religionum deorumque est plenus; sacrificiis sollemnibus non dies magis stati quam loca sunt in quibus fiant. [3] Hos omnes deos publicos privatosque, Quirites, deserturi estis?[60]

 

Nel testo liviano si teorizza – seguendo la dottrina religiosa e giuridica dei sacerdoti romani – l’esistenza di un legame imprescindibile tra dèi e luoghi deputati al loro culto; di tale legame proprio la urbs Roma costituisce il caso più significativo, in ragione dei riti primordiali della fondazione della città (urbs augurato inauguratoque condita).

In questo testo, relativo alla narrazione degli eventi appena successivi alla distruzione dell’Urbe ad opera dei Celti, il grande annalista, con un discorso attribuito a Furio Camillo, ha voluto caratterizzare la città di Roma, proprio in ragione dei suoi initia (cioè dei riti della sua fondazione), come lo spazio terrestre massimamente votato alla religione («Abbiamo una città fondata con regolari auspici e augurii, dove non vi è luogo che non sia pieno di cose sacre e di dèi»)[61].

La valenza religiosa di questo testo liviano era stata già colta assai bene da Huguette Fugier nel suo libro dedicato all’espressione del sacro nella lingua latina[62]. Del resto, il testo di Livio è molto esplicito: con buone argomentazioni, tutte svolte sul filo della teologia e dello ius sacrum, Camillo sosteneva che il popolo romano sarebbe perito qualora avesse abbandonato il sito dell’urbs Roma, dove «nullus locus in ea non religionum deorumque est plenus»; cioè l’unico luogo che aveva determinato (al momento degli initia Urbis) e poteva assicurare (nel tempo) l’identità religiosa e giuridica del popolo romano, in quanto fondato da Romolo con un atto inaugurale seguendo il volere degli dèi. Detto in altre parole, il pensiero di Camillo è che non si potesse conservare la pax deorum al di fuori del solo ambito locale (la urbs Roma) adatto a contenere i riti e i sacrifici che ordinariamente assicuravano al popolo romano la conservazione della pax deorum. Anzi nella parte finale del testo, si confondono volutamente i luoghi con gli dèi onorati in quei luoghi: Tito Livio, infatti, fa dire a Camillo che l’abbandono del sito di Roma corrisponderebbe all’abbandono degli dèi romani: «Volete abbandonare, o Quiriti, tutti questi dèi, pubblici e privati?».

Tuttavia, questo imprescindibile legame tra gli dèi e la urbs Roma non deve far dimenticare, che la religione politeista romana fu sempre caratterizzata da forti tensioni universalistiche e da costanti “aperture” cultuali verso l’esterno[63]; connaturate alla stessa concezione romana di pax deorum. I sacerdoti romani operavano sulla base dell’esigenza (e preoccupazione) di integrare l’“alieno” (divino o umano): dalle divinità dei vicini fino alle divinità dei nemici[64], in cerchi concentrici sempre più larghi, che potenzialmente abbracciavano l'intero spazio terrestre e, quindi, tutto il genere umano.

Un mirabile esempio di semplicità, di efficacia interpretativa e di potenzialità universalistiche della scienza sacerdotale è costituito dalla divisione dello spazio terrestre in cinque agrorum genera[65]; divisione operata dagli auguri certo già in età regia (vedi il ruolo dell’ager Gabinus). Pur salvaguardando la centralità dell’ager Romanus (verso gli dèi, i cittadini, i magistrati), la classificazione dei genera agrorum mostra la forte propensione del sistema giuridico-religioso romano ad instaurare rapporti – tanto reali quanto potenziali – con la molteplicità degli spazi terrestri; con gli homines che hanno relazioni a vario titolo con questi spazi; con gli innumerevoli dèi che quegli spazi (e quanti li abitano) presiedono e tutelano.

 

 

Sassari, 20 aprile 2017.

 

 



 

[Un evento culturale, in quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende impossibile qualsiasi valutazione veramente anonima dei contributi ivi presentati. Per questa ragione, gli scritti di questa parte della sezione “Memorie” sono stati valutati “in chiaro” dal Comitato promotore del XXXVII Seminario internazionale di studi storici “Da Roma alla Terza Roma” (organizzato dall’Unità di ricerca ‘Giorgio La Pira’ del CNR e dall’Istituto di Storia Russa dell’Accademia delle Scienze di Russia, con la collaborazione della ‘Sapienza’ Università di Roma, sul tema: LE CITTÀ DELL’IMPERO DA ROMA A COSTANTINOPOLI A MOSCA) e dalla direzione di Diritto @ Storia]

 

[1] Sul tema, penetranti riflessioni di F.P. CASAVOLA, Il concetto di urbs Roma: giuristi e imperatori romani, in L'idea giuridica e politica di Roma e personalità storiche I, Roma 1991, 39 ss. [= Labeo 38, 1992, 20 ss.].

 

[2] Svetonio, Aug. 7: Postea Gai Caesaris et deinde Augusti cognomen assumpsit, alterum testamento maioris avunculi, alterum Munati Planci sententia, cum, quibusdam censentibus Romulum appellari oportere quasi et ipsum conditorem urbis, praevaluisset, ut Augustus potius vocaretur, non tantum novo sed etiam ampliore cognomine, quod loca quoque religiosa et in quibus augurato quid consecratur augusta dicantur, ab auctu vel ab avium gestu gustuve, sicut etiam Ennius docet scribens: Augusto augurio postquam inclyta condita Roma est.

 

[3] Fra la sterminata mole di bibliografia vedi: per gli aspetti politico-sociali, R. SYME, La rivoluzione romana, trad. it., Torino 1962 (rist. 1974), 442 ss.; C. PARAIN, Augusto, trad. it., Roma 1979, 113 ss.; M.A. LEVI, Augusto e il suo tempo, Milano 1986, 245 ss.; per i riflessi giuridico-costituzionali, F. DE MARTINO, Storia della costituzione romana, IV, 2a ed., Napoli 1974, 230 ss.; per la materia propriamente religiosa, J. BAYET, La religione romana. Storia politica e psicologica, trad. it., Torino 1959, 185 ss., e K. LATTE, Römische Religionsgeschichte, München 1960, 294 ss.

 

[4] Tito Livio 1.4.1: Sed debebatur, ut opinor, fatis tantae origo urbis maximique secundum deorum opes imperii principium.

 

[5] F. SINI, Impero Romano e religioni straniere: riflessioni in tema di universalismo e “tolleranza” nella religione politeista romana, in Sandalion. Quaderni di cultura classica, cristiana e medievale 21-22, 1998-1999 [ma 2001], 57 ss.: si tratta del testo della relazione presentata con lo stesso titolo al Convegno Internazionale «Roma Imparatorlugu’ndan Osmanli Imperatorlugu’na - Empire Romain, Esprit romain et Empire Ottoman», organizzato ad Istanbul, nei giorni 25-26 novembre 1999, dalla Türk Tarih Kurumu (Società di Storia Turca) per celebrare il 700° anniversario della fondazione dell’Impero Ottomano); ID., Sua cuique civitati religio. Religione e diritto pubblico in Roma antica, [Università di Sassari. Dipartimento di Scienze Giuridiche - Seminario di Diritto Romano (Collana a cura di Giovanni Lobrano e Francesco Sini) 13] Torino 2003, 1 ss.; infine, ID., Aspetti e problemi dell’universalismo romano. Ricerche di ius publicum (e ius sacrum), in Diritto @ Storia. Rivista internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana 14, 2016 < http://www.dirittoestoria.it/14/innovazione/Sini-Aspetti-problemi-universalismo-romano-Ricerche-ius-publicum-ius-sacrum.htm >.

 

[6] P. CATALANO, Alcuni sviluppi del concetto giuridico di imperium populi Romani, in Popoli e spazio romano tra diritto e profezia, Da Roma alla Terza Roma, Studi III, Napoli 1986, 649 ss.

 

[7] Intanto, sugli «elementi per una rinnovata visione storica» di Marx ed Engels, rinvio alle pagine che vi ha dedicato P. CATALANO, Populus Romanus Quirites, Torino [1970] 1974, 71 ss.

 

[8] Sul tema sono ormai imprescindibili i risultati delle ricerche di P. CATALANO: Contributi allo studio del diritto augurale I, Torino 1960, 292 ss.; Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano. Mundus, templum, urbs, ager, Latium, Italia, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, II.16.1, Berlin-New York 1978, 479 ss.

 

[9] D. 50.16.87 (Marcellus libro XII digestorum) Ut Alfenus ait, "urbs" est "Roma", quae muro cingeretur, "Roma" est etiam, qua continentia aedificia essent: nam Romam non muro tenus existimari ex consuetudine cotidiana posse intellegi, cum diceremus Romam nos ire, etiamsi extra urbem habitaremus. Valutazione di sintesi sul giurista: H. ANKUM, Quelques observations sur la méthode et les opinions juridiques d’Ulpius Marcellus, in Au-delà des frontières. Mélanges de droit romain offerts à Witold Wolodkiewicz, I, édités par Maria Zablocka et Jerzy Krzynówek, Jabuk Urbanik, Zuzanna Sluzewska, Varsovie 2000, 17 ss.

 

[10] D. 50.16.2 pr. (Paulus libro primo ad edictum): "Urbis" appellatio muris, "Romae" autem continentibus aedificiis finitur, quod latius patet. Più in generale sul giurista: C.A. MASCHI, La conclusione della giurisprudenza classica all’età dei Severi: Iulius Paulus, in Aufstieg und Niedergang der römische Welt II.15, Berlin-New York 1976, 667 ss.; sulla carriera, vedi H. TAPANI KLAMI, Iulius Paulus. Comments on a Roman lawyer's career in the III Century, in Sodalitas. Scritti in onore di Antonio Guarino, IV, Napoli 1984, 1829 ss.

 

[11] Sulla dimensione storica del giurista rinvio all’accurato studio di D. NÖRR, Pomponius oder “Zum Geschichtsverständnis der römischen Juristen”, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, II.15, cit., 497 ss. [trad. it. D. NÖRR, Pomponio o «della intelligenza storica dei giuristi romani», con una «nota di lettura» di A. Schiavone, a cura di M.A. Fino ed E. Stolfi, in Rivista di Diritto Romano II, 2002 < http://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/allegati/dirittoromano02noerr.pdf >. Quanto poi ai problemi di critica testuale, vedi i risultati delle ricerche "pomponiane'' di M. BRETONE, ora raccolte nel suo Tecniche e ideologie dei giuristi romani, 2ª ed., Napoli 1982, 209 ss.; sempre sul giurista, da vedere il lavoro di E. STOLFI, Studi sui «libri ad edictum» di Pomponio. I. Trasmissione e fonti, Napoli 2002; II. Contesti e pensiero (Collana della Rivista di Diritto Romano – LED Edizioni universitarie 2002).

 

[12] Fra la dottrina basterà citare: A. von BLUMENTHAL, v. Pomerium, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, 21.2, Stuttgart 1952, coll. 1867 ss.; J. LE GALL, A propos de la Muraille Servienne et du Pomerium. Quelques rappels et quelques remarques, in Etudes d’archéologie classique 2, 1959, 41 ss.; P. CATALANO, v. Pomerio, in Novissimo Digesto Italiano XIII, Torino 1966, 263 ss.; G. LUGLI, I confini del pomerio suburbano di Roma primitiva, in Mélanges d’archéologie, d’épigraphie et d’histoire offerts à J. Carcopino, Rome 1966, 641 ss.; J. GAGÉ, La ligne pomériale el les catégories sociales de la Rome primitive. A propos de l’origine des Poplifugia et des «Nones Caprotines», in Revue Historique de Droit français et étranger 48, 1970, 5 ss. (ora in Id., Enquêtes sur les structures sociales et religieuses de la Rome primitive, Bruxelles 1977, 162 ss.); F. DE MARTINO, Storia della costituzione romana, I, 2a ed., Napoli 1972, 126 ss.; A. MAGDELAIN, Le pomerium archaïque et le mundus, in Revue des études latines 54, 1976, 71 ss. (= ora in Id., Jus imperum auctoritas. études de droit romain, Rome 1990, 155 ss.); R. ANTAYA, The Etymology of “pomerium”, in American Journal of Philology 101, 1980, 184 ss.; B. LIOU-GILLE, Le pomerium, in Museum Helveticum 50, 1993, 94 ss.

 

[13] Sulla connessione di urbs e ager secondo lo ius augurium, vedi P. CATALANO, Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano, cit., 491 ss.

 

[14] Varrone, De ling. Lat. 5.33: Ut nostri augures publici dixerunt, agrorum sunt genera quinque: Romanus, Gabinus, peregrinus, hosticus, incertus. Romanus dictus unde Roma ab Rom<ul>o; Gabinus ab oppido Gabis; peregrinus ager pacatus, qui extra Romanum et Gabinum, quod uno modo in his servantur auspicia; dictus peregrinus a pergendo, id est a progrediendo: eo [quod] enim ex agro Romano primum progrediebantur. Quocirca Gabinus quoque peregrinus, sed quod auspicia habet singularia, ab reliquo discretus; hosticus dictus ab hostibus; incertus is, qui de his quattuor qui sit ignoratur. A. BRAUSE, Librorum de disciplina augurali ante Augusti mortem scriptorum reliquiae, Lipsiae 1875, 42 fr. XXVII.

 

[15] A. CENDERELLI, Varroniana. Istituti e terminologia giuridica nelle opere di M. Terenzio Varrone, Milano 1983, 35, fr. 67. Cfr. anche Ovidio, Fast. 4.819 ss.; Festo, De verb. sign., p. 358 L. Quanto alla dottrina, vedi P. CATALANO, Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano, cit., 479 ss.

 

[16] Per la bibliografia, rinvio a Y. LEHMANN, Varron théologien et philosophe romain [Collection Latomus, 237], Bruxelles 1997.

 

[17] Pur senza arrivare alle posizioni di C. CICHORIUS, Römische Studien. Historisches, Epigraphisches, Literargeschichtliches aus vier Jahrhunderten Roms, Leipzig-Berlin 1922, 198 ss., il quale riteneva probabile l’appartenenza di Varrone al collegio dei Quindecimviri sacris faciundis; la dottrina romanistica dominante è piuttosto unanime nel dare per scontate la conoscenza diretta e l’utilizzazione di prima mano dei documenti ufficiali dei collegi sacerdotali da parte del grande Reatino: cfr. per tutti G. ROHDE, Die Kultsatzungen der römischen Pontifices, Berlin 1936, 19 ss.; B. CARDAUNS, M. Terentius Varro Antiquitates rerum divinarum, II. Kommentar, Wiesbaden 1976, 239 ss.

 

[18] Penso alla vecchia tesi di F.D. SANIO, Varroniana in den Schriften der römischen Juristen, Leipzig 1867.

 

[19] H. FUNAIOLI, Grammaticae Romanae fragmenta, Lipsiae 1907 (rist. an. Roma 1961) 429, fr. 9, attribuisce la definizione ai libri de auspiciis dell’augure M. Valerio Messala.

 

[20] I §§ 4-6 del passo di Gellio sono classificati fra i frammenti di Messala ex incertis libris da F.P. BREMER, Iurisprudentiae Antehadrianae que supersunt, I. Liberae rei publicae iuris consulti, Lipsiae 1896 (rist. an. Roma 1964), 264, fr. 3; mentre li considera escerpiti dai libri De auspiciis Ph.E. HUSCHKE, Iurisprudentiae Anteiustinianae reliquias, editione sexta aucta et emendata ediderunt E. Seckel et B. Kuebler, I, Lipsiae 1908 (Reprint der Originalausgabe Leipzig 1988), 48, fr. 3.

 

[21] MARTA SORDI, Silla e lo "ius pomerii proferendi", in Il confine nel mondo classico, a cura di M. Sordi, Milano 1987, 200-211.

 

[22] Tacito, Ann. 12.23.2: et pomerium urbis auxit Caesar, more prisco, quo iis, qui protulere imperium, etiam terminos urbis propagare datur.

 

[23] Gellio, Noct. Att. 15.27.5: Item in eodem libro hoc scriptum est: 'Cum ex generibus hominum suffragium feratur, 'curiata' comitia esse; cum ex censu et aetate, 'centuriata'; cum ex regionibus et locis, 'tributa'; centuriata autem comitia intra pomerium fieri nefas esse, quia exercitum extra urbem imperari oporteat, intra urbem imperari ius non sit.

 

[24] P. CATALANO, Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano, cit., 480 ss.

 

[25] Sul passo vedi commenti di J. BAYET, Tite Live. Histoire romaine I, Paris 1965, 72 n. 3; R.M. OGILVIE, A Commentary on Livy. Books 1-5, Oxford 1965 [reprinted 1998], 179 s.

 

[26] Servio, Aen. 5.755, che cita Catone; Solino 1.18, con citazione di Varrone.

 

[27] Cicerone, De nat deor. 3.94.

 

[28] L. LERSCH, Antiquitates Vergilianae ad vitam populi Romani descriptae, Bonnae 1843, 30 ss.

 

[29] Per la bibliografia sul poema virgiliano, mi pare utile rinviare a W. SUERBAUM, Hundert Jahre Vergil-Forschung: eine systematische Arbeitsbibliographie mit besonderer Berücksichtigung der Aeneis, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, II. 31,1, Berlin-New York 1980, 3 ss. Quanto alla “divini et humani iuris scientia” di Virgilio, vedi F. SINI, Bellum nefandum. Virgilio e il problema del "diritto internazionale antico", Sassari 1991, 17 ss.

 

[30] G.A. MANSUELLI, v. “Città”, in Enciclopedia Virgiliana, I, Roma 1984, 803: «In sostanza la peregrinazione degli Eneadi equivale al trasferimento di un nucleo coloniale classico, di cui i responsi oracolari e l’organizzazione interna fanno appunto una potenziale c(ittà), anche prima che questa si materializzi nelle strutture costruite, ma, prima che questo avvenga, di c(ittà) in senso pieno non si può parlare, anche per il condizionamento di adempimenti rituali. In realtà quindi l’asserzione tucididea che la c(ittà) sono gli uomini e non le mura, non è accettata da V(irgilio): la c(ittà) potenziale vive e si muove nella speranza di attualizzarsi. In questa angolazione si può dire che V(irgilio), oltre che il mondo della colonizzazione greca, ha tenuto presenti i concetti, le forme e la prassi della colonizzazione romana».

 

[31] Aen. 5.755-761: Interea Aeneas urbem designat aratro / sortiturque domos; hoc Ilium et haec loca Troiam / esse iubet. Gaudet regno Troianus Acestes / indicitque forum et patribus dat iura vocatis. / Tum vicina astris Erycino in vertice sedes / fundatur Veneri Idaliae tumuloque sacerdos / ac lucus late sacer additur Anchiseo.

 

[32] Ottima la spiegazione di G.A. MANSUELLI, v. “Città”, in Enciclopedia Virgiliana, I, cit., 805: «Il ribaltamento nell’antichità ancestrale del rituale di fondazione vale a presentare come originariaquesta prassi romana: in ciò V(irgilio) ha condiviso le opinioni correnti e le ha accreditate quasi come un dogma, stante la stretta connessione con la sfera sacrale. A ogni modo viene messa in primo piano, pur se con espressioni sintetiche, l’interdipendenza stretta fra i preliminari rituali e l’assolvimento giuridico-sociale».

 

[33] Cfr. E. PARATORE, Virgilio, Eneide, III (Libri V-VI), Milano 1979, 191 ss.; G.A. MANSUELLI, v. “Città”, in Enciclopedia Virgiliana, I, cit., 805.

 

[34] Aen. 6.781-784: en huius, nate, auspiciis illa incluta Roma / imperium terris, animos aequabit Olympo / septemque una sibi muro circundabit arces, / felix prole virum. Sulla valenza religiosa del verso 781, vedi H. LEHR, Religion und Kultus in Vergils Aeneis, Giessen 1934, 97. Sul significato più ampio del contesto, vedi invece P. CATALANO, v. “Auspicia”, in Enciclopedia Virgiliana, I, cit., 424-425: «Con tutta la forza della sua polivalenza (omen-potestas) la parola a(uspicia) torna in E 6, 781 ss. en huius, nate, auspiciis illa incluta Roma / imperium terris, animos aequabit Olimpo / septemque una sibi muro circundabit arces. L’espressione virgiliana (auspicia vi indica la potestà romulea e non direttamente i segni augurali interpretati dal primo rex) non trova perfetta corrispondenza in quella degli altri autori antichi; il linguaggio dell’Eneide sembra dunque sottolineare maggiormente la continuità delle potestà: da Romolo, attraverso gli a(uspicia). dei magistrati, fino ad Augusto. D’altra parte, questa continuità, grazie all’augurium di Giove, risale alla partenza di Enea da Troia; l’aeternitas di Roma assicurata dai riti augurali di fondazione, cioè dagli a(uspicia). di Romolo, risale dunque a Troia».

 

[35] Aen. 6.809-812: nosco crinis incanaque menta / regis Romani, primum qui legibus urbem /fundabit, Curibus parvis et paupere terra / missus in imperium magnum. Cfr. Tito Livio 1.19.1: [Numa] Qui regno ita potitus urbem novam, conditam vi et armis, iure eam legibusque ac moribus de integro condere parat.

 

[36] M. PAVAN, v. “Roma (Storia)”, in Enciclopedia Virgiliana, IV, Roma 1988, 531.

 

[37] Per gli aspetti ideologici della figura e del culto della massima divinità romana in età tardo-repubblicana e augustea, vedi C. KOCH, Das römische Iuppiter, Frankfurt a. M. 1937; J.R. FEARS, The Cult of Jupiter and Roman Imperial Ideology, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, II.17,1, Berlin-New York 1981, 3 ss.

In relazione allo spazio romano, da vedere il saggio di R. DEL PONTE, Giove Capitolino nello spazio romano, in Diritto @ Storia. Rivista internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana 5, 2006 < http://www.dirittoestoria.it/5/D-&-Innovazione/Del-Ponte-Iuppiter-spazio-romano.htm >.

 

[38] P. BOYANCÉ, La religion de Virgile, Paris 1963, 54.

 

[39] G. PICCALUGA, Terminus. I segni di confine nella religione romana, Roma 1974, 209.

 

[40] R. TURCAN, Rome éternelle et les conceptions gréco-romains de l’éternité, in Aa.Vv., Roma Costantinopoli Mosca, “Da Roma alla Terza Roma”, Studi I, Napoli 1983, 16.

 

[41] A. MASTINO, ‘Orbis’, ‘kosmos’, ‘oikoumene’: aspetti spaziali dell’idea dell’impero universale da Augusto a Teodosio, in Aa.Vv., Popoli e spazio romano tra diritto e profezia, cit., 71.

 

[42] Aen. 6.791-795: Hic vir, hic est, tibi quem promitti saepius audis, / Augustus Caesar, Divi genus, aurea condet / saecula qui rursus Latio regnata per arva / Saturno quondam; super et Garamantes et Indos / proferet imperium. E. PARATORE, Virgilio, Eneide, III, cit., 345 ss.; cfr. R. SYME, La rivoluzione romana, cit., 465.

 

[43] Così si spiegano anche i vv. Aen. 1.291-296 della profezia di Iuppiter. Cfr. A. NOVARA, Poésie virgilienne de la mémoire. Questions sur l’histoire dans énéide 8, Clermont-Ferrand 1986, 13.

 

[44] Questa rilevanza giuridico-religiosa del rito di fondazione non sfugge a R. ORESTANO, I fatti di normazione nell’esperienza romana arcaica, Torino 1967, 47: «per tutto il corso dell’esperienza romana s’attribuirà al compimento di tale rito valore costitutivo per l’esistenza giuridica di una città, proprio in quanto determinazione del “punto di riferimento” di situazioni giuridiche».

Di recente, l’intera tematica è stata rivisitata da ELVIRA QUADRATO, Urbem condere: la città «nuova» tra fas e ius, in S. RANDAZZO (a cura), Religione e diritto romano. La cogenza del rito, Tricase 2015, 357 ss.

 

[45] Macrobio, Sat. 5.19.13 (Sed Carminii <viri> curiosissimi et docti, verba ponam, qui in libro de Italia secundo sic ait: prius itaque et Tuscos aeneo vomere uti cum conderentur urbes solitos, in Tageticis eorum sacris invenio et in Sabinis ex aere cultros quibus sacerdotes tonderentur). Sul punto vedi P. DE FRANCISCI, Primordia civitatis, Roma 1959, 104; P. CATALANO, Linee del sistema sovrannazionale romano, Torino 1965, 104; ID., Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano, cit., 485.

 

[46] Per il testo seguo l’edizione di H. LE BONNIEC, Ovide, Les fastes, tome II, Bologna 1970. Sulla figura del poeta non è possibile dare qui referenze bibliografiche complete: cfr., per tutti, F. STELLA MARANCA, Ius pontificium nelle opere dei giureconsulti e nei fasti di Ovidio, in Annali del Seminario giuridico dell’Università di Bari 1, 1927, 3 ss.; R. DÜLL, «Ovidius iudex». Rechtshistorische Studien zu Ovids Werken, in Studi in onore di Biondo Biondi I, Milano 1965, 73 ss.; R. SCHILLING, Ovide interpréte de la religion romaine, in Revue des études Latines 46, 1968, 222 ss.; A.W.J. HOLLEMAN, Ovid and politics, in Historia 20, 1971, 458 ss.; R. SYME, History in Ovid, Oxford 1978, in part. 21 ss.: «Evidence in the Fasti»; D. PORTE, L’étiologie religieuse dans les ‘Fastes’ d’Ovide, Paris 1985, ivi ampia rassegna bibliografica, 539 ss.

 

[47] J.H. VANGGAARD, On Parilia, in Temenos 7, 1971, 93 ss.; D. SABBATUCCI, La religione di Roma antica, dal calendario festivo all’ordine cosmico, Milano 1988, 128 ss.

 

[48] P. CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale, cit., 580 ss.; ben evidenziato dallo studioso quanto siano correttamente descritte da Ovidio «l’inaugurazione di scelta circa il regnum (versi 812-818); implicitamente, l’auspicazione circa il dies (versi 819 s.); e infine l’inaugurazione di approvazione del luogo, cioè del pomerio (versi 825 ss.)» (582).

 

[49] Ovidio, Fast. 4.809-810: Iam luerat poenas frater Numitoris, et omne / pastorum gemino sub duce vulgus erat.

 

[50] Ovidio, Fast. 4.819-836: Apta dies legitur, qua moenia signet aratro; / sacra Pales suberant: inde movetur opus. / Fossa fit ad solidum, fruges iaciuntur in ima / et de vicino terra petita solo; / fossa repletur humo, plenaeque imponitur ara, / et novus accenso finditur igne focus. / Inde premens stivam designat moenia sulco; / alba iugum niveo com bove vacca tulit. / Vox fuit haec regis: «Condenti, Iuppiter, urbem, / et genitor Mavors Vestaque mater, ades, / quosque pium est adhibere deos, advertite cuncti! / auspicibus vobis hoc surgat opus. / Longa sit huic aetas dominaeque potentia terrae, / sitque sub hac oriens occiduusque dies». / Ille praecabatur, tonitru dedit omina laevo / Iuppiter et laevo fulmina missa polo. / Augurio laeti iaciunt fundamina cives, / et novus exiguo tempore murus erat.

 

[51] Varrone, De ling. Lat. 5.143; Tito Livio 1.44.3-7; Gellio, Noct. Att. 13.14.1.

 

[52] Servio Dan., in Verg. Aen. 2.351: excessere quia ante expugnationem evocabantur ab hostibus numina propter vitanda sacrilegia. Inde est, quod Romani celatum esse voluerunt, in cuius dei tutela urbs Roma sit. Et iure pontificum cautum est, ne suis nominibus dii Romani appellarentur, ne exaugurari possint. Et in Capitolio fuit clipeus consecratus, cui inscriptum eratgenio urbis Romae, sive mas sive femina’. Et pontifices ita precabanturIuppiter optime maxime, sive quo alio nomine te appellari volueris. Macrobio, Sat. 3.9.3: nam propterea ipsi Romani et deum in cuius tutela urbs Roma est et ipsius urbis Latinum nomen ignotum esse voluerunt.

 

[53] Cfr. C. AMPOLO, La città riformata e l’organizzazione centuriata. Lo spazio, il tempo, il sacro nella nuova realtà urbana, in Storia di Roma. 1. Roma in Italia, direzione di A. Momigliano e A. Schiavone, Torino 1988, 202 ss., in part. 231 ss.

 

[54] Festo, De verb. sign., v. Peregrina sacra, p. 268 L.: Peregrina sacra appellantur, quae aut evocatis dis in oppugnandis urbibus Romam sunt † conata † [conlata Gothofr.; coacta Augustin.], aut quae ob quasdam religiones per pacem sunt petita, ut ex Phrygia Matris Magnae, ex Graecia Cereris, Epidauro Aesculapi: quae coluntur eorum more, a quibus sunt accepta. Quanto alla fonte del testo verriano, F. BONA, Contributo allo studio della composizione del «de verborum significatu» di Verrio Flacco, Milano 1964, 16 n. 11, ha avanzato l’ipotesi che possa trattarsi di una “glossa catoniana”: una delle glosse, cioè, «il cui lemma è costituito da espressioni verbali o nominali tratte dal lessico di Catone (nella quasi totalità dalle orazioni)» (15); nello stesso senso ID., Opusculum Festinum, Ticini 1982, 15.

Sui sacra peregrina vedi, per tutti, J. MARQUARDT, Römische Staatsverwaltung, III. Das Sacralwesen, 2a ed. a cura di G. Wissowa, Leipzig 1885 (rist. an. New York 1975), 42 ss., 74 ss. [= ID., Le culte chez les Romains, I, trad. francese di M. Brissaud, Paris 1889, 44 ss., 81 ss.]; G. WISSOWA, Religion und Kultus der Römer, 2ª ed., München 1912, 348 ss.; M. van DOREN, Peregrina sacra. Offizielle Kultübertragungen im alten Rom, in Historia 3, 1955, 488 ss. Cfr. R. TURCAN, Lois romaines, dieux étrangers et «religion d’Etat», in Diritto e religione da Roma a Costantinopoli a Mosca, a cura di M.P. Baccari, Roma 1994, 23 ss.; F. SINI, Dai peregrina sacra alle pravae et externae religiones dei Baccanali: alcune riflessioni su ‘alieni’ e sistema giuridico-religioso romano, in La Condition des “autres” dans les systèmes juridiques de la Méditerranée, sous la direction de F. Castro et P. Catalano, Paris 2001 (pubbl. 2004), 59 ss.

 

[55] Tito Livio 5.21.3: Te simul, Iuno regina, quae nunc Veios colis, precor ut nos victores in nostram tuamque mox futuram urbem sequare, ubi te dignum amplitudine tua templum accipiat. L’evocatio di Giunone Regina è stata studiata, fra gli altri, da V. BASANOFF, Evocatio. Étude d’un rituel militaire romain, Paris 1947, 42 ss.; S. FERRI, La Iuno Regina di Veii, in Studi Etruschi 24, 1955, 106 ss.; J. HUBAUX, Rome et Véies. Recherches sur la chronologie légendaire du moyen âge romain, Paris 1958, 154 ss.; R.E.A. PALMER, Roman Religion and Roman Empire. Five Essays, Philadelphia 1974, 21 ss.; G. DUMÉZIL, La religion romaine archaïque, 2ème éd., Paris 1974, 426 s. [= ID., La religione romana arcaica, trad. it. di F. Jesi, Milano 1977, 370 s.]; R. BLOCH, Interpretatio, in Id., Recherches sur les religions de l’Italie antique, Genève 1976, 15 ss.

Macrobio, Sat. 3.9.6-9: [6] Nam repperi in libro quinto rerum reconditarum Sammonici Sereni utrumque carmen, quod ille se in cuiusdam Furii vetustissimo libro repperisse professus est. [7] Est autem carmen huius modi quo di evocantur cum oppugnatione civitas cingitur: “Si deus, si dea est, cui populus civitasque Carthaginiensis est in tutela, teque maxime, ille qui urbis huius populique tutelam recepisti, precor venerorque, veniamque a vobis peto ut vos populum civitatemque Carthaginiensem deseratis, loca templa sacra urbemque eorum relinquatis, [8] absque his abeatis eique populo civitatique metum formidinem oblivionem iniciatis, propitiique Romam ad me meosque veniatis, nostraque vobis loca templa sacra urbs acceptior probatiorque sit, mihique populoque Romano militibusque meis propitii sitis. Si <haec> ita faceritis ut sciamus intellegamusque, voveo vobis templa ludosque facturum”. [9] In eadem verba hostias fieri oportet, auctoritatemque videri extorum, ut ea promittant futura. P. PREIBISCH, Fragmenta librorum pontificiorum, Tilsit 1878, 11, fr. 52; F.P. BREMER, Iurisprudentiae antehadrianae quae supersunt I, cit., 29, fr. 1; C. THULIN, Italische sakrale Poesie und Prosa. Eine metrische Untersuchung, Berlin 1906, 59 ss.; HUSCHKE-SECKEL-KÜBLER, Iurisprudentiae anteiustinianae reliquias I, cit., 15, fr. 1.

 

[56] Già G. SCHERILLO, Il diritto pubblico romano in Tito Livio, in Liviana, Milano 1943, 79 ss., sottolineava, a ragione, la notevole rilevanza dei libri ab urbe condita quale fonte privilegiata per la conoscenza della complessa materia dello ius publicum in età repubblicana; nello stesso senso, C.St. TOMULESCU, La valeur juridique de l’histoire de Tite-Live, in Labeo 21, 1975, 295 ss.

 

[57] Tito Livio 5.51.4-5. Cfr. 1.9.3-4; 1.21.1-2; 1.55.3-4; 8.3.10; 28.11.1.

 

[58] M.-L. DEISSMANN-MERTEN, Fides Romana bei Livius, Diss. 1964, Frankfurt am Main 1965; W. Flurl, Deditio in fidem. Untersuchungen zu Livius und Polybios, Diss. München 1969, 127 ss.; P. BOYANCÉ, Études sur la religion romaine, Rome 1972, 105 ss. [Fides romana et la vie internationale], 135 ss. [Les Romains, peuple de la Fides]; K.-J. HÖLKESKAMP, Fides - deditio in fidem - dextra data et accepta: Recht, Religion und Ritual in Rom, in The Roman middle republic. Politics, religion, and historiography c. 400-133 B.C., edited by C. Bruun, Rome 2000, 223 ss.; su fides e pietas vedi T.J. MOORE, Artistry and Ideology: Livy’s Vocabulary of Virtue, Frankfurt am Main 1989, in part. 35 ss., 56 ss.

 

[59] Tito Livio 44.1.9-11. Per una visione d’insieme delle concezioni religiose del sommo annalista romano, sono da consultare G. STÜBLER, Die Religiosität des Livius, Stuttgart-Berlin 1941; I. KAJANTO, God and fate in Livy, Turku 1957; A. PASTORINO, Religiosità romana dalle Storie di Tito Livio, Torino 1961; W. LIEBESCHUETZ, The Religious position of Livy’s History, in The Journal of Roman Studies 67, 1967, 45 ss.; D.S. LEVENE, Religion in Livy, Leiden-New York-Köln 1993; per le formule di preghiera, vedi invece F.V. HICKSON, Roman prayer language: Livy and the Aeneid of Virgil, Stuttgart 1993.

 

[60] Sul testo di Livio, da leggere la riflessione di C.M. TERNES, Tantae molis eratDe la ‘nécessité’ de fonder Rome, vue par quelques écrivains romains du –1er siècle, in “Condere Urbem”. Actes des 2èmes Rencontres Scientifiques de Luxembourg (janvier 1991), Luxembourg 1992, 18 s.

 

[61] Cfr., in tal senso, A. FERRABINO, Urbs in aeternum condita, Padova 1942; J. VOGT, Römischer Glaube und römisches Weltreich, Padova 1943. Per quanto riguarda, invece, più specificamente l’ideologia, vedi H. HAFFTER, Rom und römische Ideologie bei Livius, in Gymnasium 71, 1964, 236 ss. [= ID., Römische Politik und römische Politiker, Heidelberg 1967, 74 ss.]; M. MAZZA, Storia e ideologia in Livio. Per un’analisi storiografica della ‘praefatio’ ai ‘libri ab urbe condita’, Catania 1966, 129 ss.; G. MILES, Maiores, Conditores, and Livy’s Perspective of the Past, in Transactions of the American Philological Association 118, 1988, 185 ss.; B. FEICHTINGER, Ad maiorem gloriam Romae. Ideologie und Fiktion in der Historiographie des Livius, in Latomus 51, 1992, 3 ss.

 

[62] H. FUGIER, Recherches sur l'expression du sacré dans la langue latine, Paris 1963, 207: «En fait, le populus ne pourrait subsister s’il perdait le milieu sacré qui le nourrit pour ainsi dire, en quittant l’urbs fondée avec l’acquiescement des auspices et par un acte inaugural; ou pour exprimer la même idée à un niveau religieux un peu plus moderne, il ne pourrait conserver la pax deorum, hors du cadre seul apte à contenir les sacrifices réguliers, par lesquels cette “paix” se maintient. Telles sont les vérités que lui rappelle Camille, pour ruiner la folle suggestion des tribuns, d’émigrer en masse vers le site de Véies».

 

[63] F. SINI, Impero Romano e religioni straniere: riflessioni in tema di universalismo e “tolleranza” nella religione politeista romana, in Sandalion, cit., 57 ss.; Id., Sua cuique civitati religio. Religione e diritto pubblico in Roma antica, cit., 44 ss.; ID., Dai documenti dei sacerdoti romani: dinamiche dell’universalismo nella religione e del diritto pubblico di Roma, in Diritto @ Storia. Rivista internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana 2, Marzo 2003 < http://www.dirittoestoria.it/tradizione2/Sini-Dai-Documenti.htm >; ID., Dai peregrina sacra alle pravae et externae religiones dei Baccanali: alcune riflessioni su ‘alieni’ e sistema giuridico-religioso romano, in La Condition des “autres” dans les systèmes juridiques de la Méditerranée, cit., 59 ss.

Fra la bibliografia più di recente sulla questione, merita di essere segnalato il pregevole articolo A. ARNESE, La religione degli altri: tolleranza o repressione?, in S. RANDAZZO (a cura), Religione e Diritto Romano. La cogenza del rito, cit., 93 ss.

 

[64] Sul complesso fenomeno dei rapporti con le divinità dei vicini e con le divinità dei nemici, interpretato in termini di "estensioni" e "mutamenti" della religione tradizionale, vedi G. DUMÉZIL, La religion romaine archaïque, cit., 409 ss., 425 ss. [= ID., La religione romana arcaica, cit., 355 ss., 369 ss.].

 

[65] Varrone, De ling. Lat. 5.33: testo latino supra in nota 14.