Testatina-internaseconda-tradizione

 

 

Muroni fotoADRIANA MURONI

Università di Sassari

 

Cittadinanza romana in Sardegna durante la Res publica: concessioni tra politica e diritto

open in pdf

 

SOMMARIO: 1. La Sardegna nel primo trattato tra Roma e Cartagine. Storiografia antica e prospettive della ricerca contemporanea. – 2. (Ri)emersione dell’interesse romano sulla Sardegna. – 3. La difficile romanizzazione della provincia Sardegna: supremazia militare e resistenza. – 4. Civitates amicae ac liberae. 5. Tipologie e problematiche delle concessioni della cittadinanza romana nell’Isola 6. Conclusioni. – Abstract.

 

 

1. - La Sardegna nel primo trattato tra Roma e Cartagine. Storiografia antica e prospettive della ricerca contemporanea

 

Una delle notizie più risalenti della Sardegna si legge in Polibio per il 509-508 a.C. in merito al primo trattato tra Roma e Cartagine[1]. Lo storico[2] riporta il testo dell’accordo - o, più verosimilmente, di alcune sue parti[3] - riferendo di averlo visto direttamente e di aver avuto bisogno dell’aiuto di esperti per superare le problematiche derivanti dalla sua arcaicità.

Questa συνθήκη, tra le varie clausole, prevede la possibilità per i Romani di operare commerci in Sardegna alla presenza di un κρυξ o un γραμματεύς[4], arcaico esempio di ricorso alla πίστις / fides quale fondamento dei rapporti tra Romani e stranieri[5]. Ciò che qui rileva in merito a tale previsione imposta a Roma è la sua natura di testimonianza - per dirla come Piero Meloni - del «virtuale controllo cartaginese della Sardegna»[6] durante il primo periodo repubblicano.

Per quanto l’attendibilità della notizia riferita da Polibio[7] sia stata - per oltre due secoli - argomento di lunghi dibattiti tra gli storici moderni, oggi si è giunti alla sua generale accettazione, anche in ragione delle evenienze archeologiche di Pyrgi[8].

 

 

2. (Ri)emersione dell’interesse romano sulla Sardegna

 

Un intensificarsi degli interessi romani nell’Isola è forse attestato per il IV a.C. nel passo di Diodoro Siculo in cui si ricorda l’invio da parte dei Romani in Sardegna (Σαρδώ), nel 378 a.C., di 500 coloni esenti da imposte:

 

Diod. Sic. 15.27.4: Μετ δ τατ’ θηναοι μν πανλθον ες τν πατρίδα, Θηβαοι δ Θεσπις πολιορκήσαντες πρακτον σχον τν πιβολήν. μα δ τούτοις πραττομένοις ωμαοι μν π τελεί πεντακοσίους ποίκους ες Σαρδονίαν πέστειλαν[9].

 

Anche questo passo non è certo stato scevro da critiche circa la sua attendibilità storica, fondate in primo luogo su eccezioni di principio in ragione di quelle idee che giudicavano inverosimile una politica coloniaria extra italica così risalente[10], avvalorate dall’unicità della notizia riportata da Diodoro[11]. In ragione di ciò, alcuni autori hanno proposto di emendare il termine ‘Sardegna’ con ‘Sutrium’ ovvero ‘Satricum’[12] in accordo con la notizia riferita da Livio 6.16.6 sulla fondazione di questa colonia[13].

È difficile aderire alla proposta di emendamento, poiché sia il manoscritto Patmiacus 50, sia il Marcianus gr. 375, i più antichi contenenti il libro XV della Bibliotecha Historica, riportano proprio il termine ‘Σαρδονίαν’[14].

La notizia, di cui Diodoro non è fonte così tarda, è pertanto da accettare[15]. D’altronde Cartagine non controllava l’intero territorio sardo e da un punto di vista fattuale Roma era perfettamente in grado di affrontare la tratta verso la Sardegna già nel VI secolo[16]. Lo storico, peraltro, riporta la notizia insieme a avvenimenti di storia greca[17], per cui è legittimo pensare che si tratti di un evento particolarmente rilevante[18].

In ogni caso il verificarsi di uno o più tentativi di fondare colonie in Sardegna appare in linea con alcune clausole del secondo trattato di amicitia tra Roma e Cartagine del 348 a.C., ricordato da varie fonti[19], il cui contenuto è ancora una volta riferito da Polibio:

 

Polyb. 3.24.1-13: Μετ δ ταύτας τέρας ποιονται συνθήκας, ν ας προσπεριειλήφασι Καρχηδόνιοι Τυρίους κα τν τυκαίων δμον. (2) Πρόσκειται δ κα τ Καλ κρωτηρί Μαστία, Ταρσήιον· ν κτς οονται δεν  ωμαίους μήτε λζεσθαι μήτε πόλιν κτίζειν. (3) Εσ δ τοιαίδε τινές· «π τοσδε φιλίαν εναι ωμαίοις κα τος ωμαίων συμμάχοις κα Καρχηδονίων κα Τυρίων κα τυκαίων δήμ κα τος τούτων συμμάχοις. (4) Το Καλο κρωτηρίου, Μαστίας Ταρσηίου, μ λζεσθαι πέκεινα ωμαίους μηδ’ μπορεύεσθαι μηδ πόλιν κτίζειν. (5) Ἐὰν δ Καρχηδόνιοι λάβωσιν ν τ Λατίν πόλιν τιν μ οσαν πήκοον ωμαίοις, τ χρήματα κα τος νδρας χέτωσαν, τν δ πόλιν ποδιδότωσαν. (6) Ἐὰν δέ τινες Καρχηδονίων λάβωσί τινας, πρς ος ερήνη μέν στιν γγραπτος ωμαίοις, μ ποτάττονται δέ τι ατος, μ καταγέτωσαν ες τος ωμαίων λιμένας· ἐὰν δ καταχθέντος πιλάβηται ωμαος, φιέσθω. (7) σαύτως δ μηδ’ ο ωμαοι ποιείτωσαν. (8) ν κ τινος χώρας, ς Καρχηδόνιοι πάρχουσιν, δωρ φόδια λάβ ωμαος, μετ τούτων τν φοδίων μ δικείτω μηδένα πρς ος ερήνη κα φιλία στ <Καρχηδονίοις. (9) σαύτως δ μηδ’ ὁ> Καρχηδόνιος ποιείτω. (10) Ε δέ, μ δί μεταπορευέσθω· ἐὰν δέ τις τοτο ποιήσ, δημόσιον γινέσθω τ δίκημα. (11) ν Σαρδόνι κα Λιβύ μηδες ωμαίων μήτ’ μπορευέσθω μήτε πόλιν κτιζέτω, ***, ε μ ως το φόδια λαβεν πλοον πισκευάσαι. Ἐὰν δ χειμν κατενέγκ, ν πένθ’ μέραις ποτρεχέτω. (12) ν Σικελί ς Καρχηδόνιοι πάρχουσι, κα ν Καρχηδόνι πάντα κα ποιείτω κα πωλείτω σα κα τ πολίτ ξεστιν. (13) σαύτως δ κα Καρχηδόνιος ποιείτω ν ώμ»[20].

 

Il divieto, previsto per i Romani, di fondare città in Sardegna e in Libia, unitamente all’interdizione di commerci nei medesimi territori (fatta eccezione per il rifornimento di viveri), può essere interpretato come la diretta conseguenza di potenziali mire romane in tal senso. La previsione limitativa potrebbe, certamente essere solo una cautela preventiva rispetto alla politica di espansione territoriale romana. Tuttavia, il verbo φαιρέω[21] riferito ai Cartaginesi rispetto al territorio sardo ha l’accezione del portare via qualcosa a qualcuno, fatto per cui si può propendere per la veridicità della notizia di una precedente presenza romana nell’Isola[22]. Ciò può verosimilmente essere il pensiero di Polibio, come emerge più avanti nel commento dello stesso al medesimo trattato (Polyb. 3.24.14: Πλιν ν ταταις τας συνθκαις τ μν κατ Λιβην κα Σαρδνα προσεπιτενουσιν ξιδιαζμενοι κα πσας φαιρομενοι τς πιβθρας ωμαων[23]) in cui questi ribadisce l’idea del controllo cartaginese su Sardegna e Libia a danno dei Romani come un rinsaldarsi.

Di certo dal passo emerge la volontà cartaginese nel 348 a.C. di rafforzare il controllo sulla Sardegna, isola di strategica rilevanza per la sua centralità nel Mar Mediterraneo.

La situazione sancita da questo accordo è però votata al cambiamento in ragione degli attriti tra le due potenze da cui scaturiranno, com’è noto, lunghi ed estenuanti conflitti.

L’assetto geopolitico all’inizio della prima guerra punica è ben descritto da Polibio nei libri I-III delle sue Storie.

 

Polyb. 1.10.5-9: Ο µν γνοοντές γε τούτων οδέν, θεωροντες δ τος Καρχηδονίους ο µόνον τ κατ τν Λιβύην λλ κα ττς βηρίας πήκοα πολλ µέρη πεποιηµένους, τι δ τν νήσων πασν γκρατες πάρχοντας τν κατ τ Σαρδόνιον κα Τυρρηνικν πέλαγος, γωνίων, (6) ε Σικελίας τι κυριεύσαιεν, <µ> λίαν βαρες κα φοβερο γείτονες ατος πάρχοιεν, κύκλ σφς περιέχοντες κα πσι τος τς ταλίας µέρεσιν πικείµενοι. (7) Διότι δ ταχέως φ´ ατος ποιήσονται τν Σικελίαν, µ τυχόντων πικουρίας τν Μαµερτίνων, προφανς ν. (8) κρατήσαντες γρ γχειριζοµένης ατος τς Μεσσήνης µελλον ν λίγ χρόν τς Συρακούσας πανελέσθαι δι τ πάσης σχεδν δεσπόζειν τς λλης Σικελίας. (9) προορώμενοι ωμαοι κα νομίζοντες ναγκαον εναι σφίσι τ μ προέσθαι τν Μεσσήνην μηδ' ἐᾶσαι Καρχηδονίους οονε γεφυρσαι τν ες ταλίαν ατος διάβασιν, πολν μν χρόνον βουλεύσαντο[24].

 

Il passo fornisce un quadro preciso e pone le due potenze entro ambiti spaziali ben determinati: Roma ha il pieno controllo del suolo italico, mentre Cartagine è saldamente presente su molte regioni della Libia e dell’Iberia e su tutte le isole del Mare di Sardegna e del Tirreno[25]. L’assetto territoriale cambia a conclusione della prima guerra punica come attestato dal trattato romano-cartaginese del 241 a.C. in cui si prevede che i Cartaginesi si ritirino da tutte le isole tra l’Italia e la Sicilia compresa. Ma a questo punto la rilevanza strategica della Sardegna nella politica estera romana è ormai palese, tant’è che Roma, minacciando la ripresa del conflitto, in seguito se ne appropria, imponendo ai Cartaginesi una una clausola aggiuntiva al precedente trattato che sanciva la pace tra le due potenze[26].

 

 

3. La difficile romanizzazione della Sardegna: supremazia militare e resistenza

 

Tra il 238 e il 237 a.C. la Sardegna passa sotto il controllo di Roma grazie a un’abile politica diplomatica che porta Cartagine a rinunciare all’Isola per evitare un conflitto potenzialmente troppo gravoso[27].

Dal III secolo a.C., dunque, Roma inizia a contare regolarmente sugli approvvigionamenti cerealicoli sardi[28], ma l’Isola non può dirsi pacata sotto il suo dominio. La definitiva presenza romana determina, infatti, un’immediata reazione di contrasto da parte delle popolazioni locali con conseguente e gravoso impegno militare romano, come può certo dedursi dalla celebrazione di molteplici trionfi de Sardeis[29].

Gli anni tra il 234 a.C. e il 232 a.C. sono, infatti, caratterizzati da numerose ribellioni sarde sedate attraverso una dura risposta militare, tale da portare alla celebrazione di tre trionfi in rapida successione in favore di Tito Manlio Torquato[30], Spurio Carvilio Massimo[31] e Marco Pomponio Matone[32]. Dal trionfo di Marco Pomponio Matone i Fasti trionfali registrano una pausa relativamente lunga sino al 175 a.C. Tale dato può forse far pensare ad una riduzione dell’impegno militare, divenuto relativamente meno gravoso, e soprattutto ad un miglior controllo del territorio da parte di Roma, possibile conseguenza della creazione di un pretore ad hoc per il governo della Sardegna, come è attestato in un passo dell’Enchiridion. 

 

D.1.2.2.32 (Pomponius libro singulari enchiridii): Capta deinde Sardinia mox Sicilia, item Hispania, deinde Narbonensi provincia totidem praetores, quot provinciae in dicionem venerant, creati sunt, partim qui urbanis rebus, partim qui provincialibus praeessent.

 

Pomponio riferisce, dunque, la definitiva organizzazione nel 227 a.C. della Sardegna in provincia[33]. Se l’instaurazione di un governo stabile può aver agevolato un migliore controllo del territorio da parte di Roma, ancora non comporta una integrale pacificazione[34]. Si registrano, infatti, nuove ribellioni di Sardi nel 226-225 a.C.[35] e nel 215 a.C.[36] dopo la battaglia di Canne. Tuttavia, quantomeno dal 216 a.C., le fonti registrano un significativo mutamento dei rapporti tra Sardi e Romani con l’individuazione di popolazioni, verosimilmente di origine sardo-punica, che collaborano con Roma. Molteplici sono le testimonianze antiche che riferiscono aiuti ai Romani[37]; esemplificativo è l’intervento fornito dalle benigne[38] civitates sociae sarde a Cornelio Mammula[39], al quale non erano pervenuti rifornimenti da Roma[40].

Pertanto, pur se le operazioni militari in Sardegna non possono dirsi cessate, va rilevato come queste siano ormai incentrate nella lotta alle popolazioni dell’interno e, in via prevalente, agli Ilienses e Balari. Si rammentano, infatti, le operazioni militari del pretore M. Pinario Rusca[41] nel 181 a.C., nonché l’intervento militare del console Tiberio Sempronio Gracco nel 177 a.C.[42], che gli valse la celebrazione di un trionfo[43] in seguito all’uccisione e cattura di un numero elevato di Sardi tale da non esserci a Roma abbastanza compratori[44].

Nei Fasti triumphales è ricordato un altro trionfo nel 111 a.C., concesso al proconsole M. Cecilio Metello[45] di cui si ricorda una importante attività di organizzazione del territorio sardo. Ciò è testimoniato dalla c.d. tavola di Esterzili[46], un documento epigrafico datato 69 d.C., attestante la delimitazione dei confini fra i Galillenses, una popolazione locale, e i Patulcenses Campani, immigrati dalla penisola[47].

Gli anni successivi registreranno altre ribellioni ad opera di popolazioni sarde, la cui connotazione e forza sarà però ormai distante dai fatti precedenti e tale da impegnare Roma più in operazioni di polizia che strettamente militari. Un esempio è dato, nel 107-106 a.C., dalle operazioni militari, seppur vittoriose, condotte dal pretore Tito Albucio[48] a cui il Senato negherà il trionfo[49]. Il fatto è raccontato da Cicerone:

 

Hosce igitur imperatores habebimus? quorum alter non audet nos certiores facere cur imperator appellatur, alterum, si tabellarii non cessarint, necesse est paucis diebus paenitat audere. Cuius amici si qui sunt, aut si beluae tam immani tamque taetrae possunt ulli esse amici, has consololatione utantur, etiam T. Albucio supplicationem hunc ordinem denegasse. Quod est primum dissimile, res in Sardinia cum mastrucatis latrunculis a propraetore una cohorte auxiliaria gesta et bellum cum maximis Syriae gentibus et tyrannis consulari exercitu imperioque confectum. Deinde Albucius, quod a senatu petebat, ipse sibi in Sardinia ante decreverat. Constabat enim Graecum hominem ac levem in ipsa provincia quasi triumphasse, itaque hanc eius temeritatem senatus supplicatione denegata notavit[50].

 

Pare, dunque, che le ribellioni sarde siano ormai limitate a piccoli focolai di soggetti non organizzati, mastrucati latrunculi, non qualificabili da un punto di vista giuridico come nemici[51]. Non è un caso che Cicerone utilizzi il termine latruncoli connesso al preciso concetto giuridico di latrones[52] distinto già espressamente dagli hostes, come sarà ripreso in Pomponio e in Ulpiano[53]. L’utilizzo, in particolare, del diminutivo peggiorativo di latrones, unitamente al termine mastruca riferibile ad una comunità primitiva, è rappresentativo della considerazione negativa più volte espressa dall’oratore sul popolo sardo.

Il passo precisa, inoltre, come la forza militare a disposizione di Albucio sia data da una sola cohors, fatto rappresentativo della semplicità intrinseca dell’operazione e, di conseguenza, come la sua vittoria non sia ritenuta dal Senato idonea alla celebrazione di un trionfo[54].

Il dispiegamento militare e, più in generale, il rapporto tra Romani e Sardi cambierà al tempo delle guerre civili e per effetto di queste[55]. Esemplificativo è lo scontro in Sardegna tra il pretore sillano Valerio Triario[56] e il console Emilio Lepido[57] tra il 78 e il 77 a.C. ma, soprattutto, i fatti della lotta tra Cesare e Pompeo. Da questo periodo si delineerà in modo netto quella tendenza dei comandanti militari romani a stringere rapporti personali con le famiglie locali e, parallelamente, lo schierarsi di famiglie, o intere città, con una determinata fazione politica cui seguiranno specifiche conseguenze. Dalle fonti emerge, in particolare, l’appoggio di Caralis per Cesare[58] e, dall’altra, il sostegno di Sulcis offerto a Pompeo. In tal contesto, si è ritenuto che Cesare abbia concesso lo status di civitas libera e la cittadinanza romana agli abitanti di Carales[59] e, parallelamente, le fonti riportano le pesanti indennità di guerra applicate da questi a Sulcis[60].

Ulteriore mutamento nell’assetto dell’Isola si avrà a partire da Augusto. Un’iscrizione rivenuta a Fordongianus (Forum Traiani) ricorda l’omaggio all’imperatore da parte delle civitates Barbariae sotto un prefetto di cui non è noto il nome a causa della lacuna dell’iscrizione:

 

[ -- - Caesa]ri Aug(usto) p[ont(ifici) max(imo) - - - ] / [ - - - civ]itates Barb[ariae - - - ] / [ - - - prae]f(ecto) provincia[e Sard(iniae) - - -][61]

 

Dall’iscrizione si deduce il definitivo riconoscimento delle c.d. civitates Barbariae[62], la cui integrazione emerge anche dalla partecipazione all’esercito, come attestato da una iscrizione rivenuta a Palestrina in cui si ricorda Sesto Giulio Rufo[63], prefetto della I coorte dei Corsi e delle civitates Barbariae:

 

Sex(tus) Iulius S(purii) f(ilius) Pol(lia tribu) Rufus / evocatus Divi Augusti / praefectus I cohortis / Corsorum et civitatum / Barbariae in Sardinia[64].

 

Le civitates Barbariae hanno a lungo rappresentato quelle popolazioni ostili al governo di Roma, espressione di quella parte di Sardegna non romanizzata, che ora, attraverso la partecipazione all’esercito e le concessioni di cittadinanza a conclusione del cursus militiae, convivono in maniera certamente più pacifica[65].

 

 

4. Civitates amicae ac liberae

 

Dalle argomentazioni difensive di Cicerone nella complessa vicenda giudiziaria su Marco Emilio Scauro[66] propretore della Sardinia emerge, quantomeno per il 54 a.C., una Sardegna priva di civitates amicae ac liberae.

 

Cic. Pro Scauro 44: A me est de universo genere dicendum, in quo fortasse aliqui suis moribus et humanitate stirpis ipsius et gentis vitia vicerunt: magnam quidem esse partem sine fide, sine societate et coniunctione nominis nostri res ipsa declarat. Quae est enim praeter Sardiniam provincia quae nullam habeat amicam populo Romano ac liberam civitatem.

 

L’affermazione relativa all’assenza di rapporti di amicitia[67] verso Roma, nonostante la condizione giuridica di provincia dell’Isola, si può forse mettere in rapporto con la forte opposizione di alcune popolazioni sarde al dominio romano[68], cui segue una massiccia risposta militare. Il concetto è rafforzato nel proseguo del discorso in cui Cicerone mette in evidenza il caso eccezionale della Sardinia in raffronto alla vicina Africa.

 

Africa ipsa parens illa Sardiniae, quae plurima et acerbissima cum maioribus nostris bella gessit, non solum fidelissimis regnis sed etiam in ipsa provincia se a societate Punicorum bellorum Utica teste defendit[69].

 

Nonostante l’Africa, come la Sardegna, sia stata una ‘plurima’ e ‘acerbissima’ nemica del passato, nel passo se ne sottolinea la distinzione per la presenza di fidelissima regna e popoli che non combatterono contro Roma durante le guerre puniche.

Si deve certamente rilevare come le affermazioni di Cicerone siano da collocarsi nel contesto oratorio in cui questi opera e nel suo tentativo di denigrare l’intero popolo sardo[70]. Una controparte indegna, poco credibile e certamente inaffidabile rende, infatti, più facile il tentativo di screditare, quasi ridicolizzare, l’accusa contro Scauro. A tal fine, l’oratore denigra un genus unico[71], descritto come privo di fides, societas et coniunctio nominis verso Roma[72] e per far ciò omette di mostrare le peculiarità e differenze dei vari e molteplici popoli sardi[73].

Tuttavia, se non può mettersi in dubbio in Cicerone l’uso speculativo della realtà e la sua utilitaristica manipolazione ai fini della difesa, alcune informazioni in merito alla Sardegna devono essere considerate veritiere. Non può sfuggire come il dato relativo all’assenza di civitates amicae ac liberae sia stato inserito in un’orazione pubblica, facilmente disconoscibile da giudici e accusatori, come ben sottolineato dal Luzzatto[74]. Ciò valga anche per il dato, ribadito più volte da Cicerone in occasione della difesa di Lucio Cornelio Balbo, di una Sardegna diffusamente stipendiaria[75]. Pur ammettendone un qualche fondamento, si tratta di dati il cui esatto contesto in cui sono stati pronunciati fa pensare ad una iperbole. Raimondo Zucca, in particolare, ne ammette la veridicità seppur ritiene resti «impregiudicata la possibilità che in età precedente la Sardinia abbia posseduto città dotate di uno statuto diverso da quello delle civitates stipendiariae»[76] poiché l’informazione ciceroniana, circa l’assenza di città amicae ac liberae, deve intendersi circostanziata allo specifico periodo dei fatti del processo e in un senso strettamente letterale, riferita alla sola Sardegna e non alla intera provincia quando questa ricomprendeva talvolta la Corsica[77].

Livio, in riferimento a precedenti del bellum Sardum, delinea una realtà che potrebbe apparire differente:

 

Liv. 23.21.6: Cornelio in Sardinia civitates sociae benigne contulerunt.

 

Qui si descrive l’approvvigionamento di grano del 216 a.C. da parte di città, definite sociae, in soccorso al propretore Cornelio Mammula[78]. L’avvenimento, arricchito di particolari, è stato riportato anche da Valerio Massimo, con il riferimento a soci o urbes sociae[79].

 

Val. Max. 7.6.1: Propter eandem cladem senatus Otacilio, qui Siciliam, Cornelio Mammulae, qui Sardiniam pro praetoribus obtinebant, querentibus quod neque stipendium neque frumentum classibus eorum et exercitibus socii praeberent, adfirmantibus etiam ne habere quidem eos unde id praestare possent, rescripsit aerarium longinquis inpensis non sufficere: proinde quo pacto tantae inopiae succurrendum esset ipsi viderent. His litteris quid aliud quam imperii sui gubernacula e manibus abiecit Siciliamque et Sardiniam, benignissimas urbis nostrae nutrices, gradus <et> stabilimenta bellorum, tam multo sudore et sanguine in potestatem redactas paucis verbis, te scilicet Necessitate iubente, dimisit.

 

Il significato del termine socius usato da entrambi gli autori può avvicinarsi al concetto di societas parallelo all’amicitia, delineatosi a partire dal III secolo a.C. in riferimento ai rapporti tra Roma e i popoli extra italici[80]. Socius è quel popolo caratterizzato da «una collaborazione militare accessoria ed eventuale con Roma, tendenzialmente perpetua, che presupporrebbe la sottomissione del popolo straniero»[81]. Tuttavia, in entrambi i passi, l’intervento delle civitates è caratterizzato dalla benignitas[82] per cui sembrerebbe ravvisarsi l’assenza di uno specifico obbligo giuridico di aiuto verso Cornelio Mammula in capo a queste città. Ciò si pone in accordo con le fonti, nelle quali non vi è memoria di un espresso accordo con civitates sarde[83].

La locuzione civitates sociae deve, in ogni caso, denotare una qualche forma di amicitia con Roma, sia essa riferita ad un vero e proprio foedus, sia invero ad una collaborazione fattuale concretizzatasi in una semplice forma di benevolenza, ricordata con gratitudine nelle fonti letterarie.

Altro esempio di societas con Roma in Sardegna si può trarre dal passo liviano sui fatti della rivolta sarda del 177 a.C., sconfitta in battaglia già quell’anno, in maniera irreparabile, da Sempronio Gracco:

 

Liv. 41.12.6: Victorem exercitum in hiberna sociarum urbium reduxit.

 

All’esito della battaglia Tiberio Gracco conduce l’esercito vittorioso a svernare in urbes sociae. Non sono contenuti nel passo elementi tali da consentire una precisa individuazione di tali urbes, pur se si è ipotizzato possano «identificarsi con alcune città dell’Oristanese, indubbiamente anche con quelle (o con alcune di quelle) che inviarono la legatio a Roma per scongiurare aiuti militari»[84], né è meglio precisata la natura del rapporto tra esse e Roma.

Il passo può, in ogni caso, essere interessante se letto in raffronto con l’iscrizione trionfale di Tiberio Gracco per la medesima battaglia, contenuta in una tabula picta offerta al tempio di Mater Matuta nel Foro Boario[85], il cui testo è ricordato sempre da Livio.

 

Liv. 41.28.8-10: Eodem anno tabula in aede matris Matutae cum indice hoc posita est: 'Ti. Semproni Gracchi consulis imperio auspicioque legio exercitusque populi Romani Sardiniam subegit. In ea provincia hostium caesa aut capta supra octoginta milia. Re publica felicissume gesta atque liberatis sociis, vectigalibus restitutis, exercitum salvom atque incolumem plenissimum praeda domum reportavit; iterum triumphans in urbem Romam redit[86].

 

L’iscrizione dà conto della virulenza della guerra, sotto il comando e gli auspici del console Tiberio Sempronio Gracco, che ha portato l’uccisione e la cattura di più di 80.000 nemici.

La lettura congiunta del passo con il precedente Liv. 41.12.6 ha portato all’inclusione, tradizionalmente accolta, del termine ‘sociis’ quale complemento del verbo ‘libero’, invero non presente nel codex Vindobonensis[87]. Tali ‘soci’ inseriti nel passo potrebbero essere sia soci italici o extra italici ma non sardi, capti dai ribelli e liberati dal proconsole, sia soci propriamente sardi, forse anche quelle stesse popolazioni che avevano chiesto l’intervento di Roma tramite i loro legati, come riferito da Livio:

 

Liv. 41.6.5-7: Eodem tempore et in Sardinia magnum tumultum esse litteris T. Aebuti praetoris cognitum est, quas filius eius ad senatum attulerat. Ilienses adiunctis Balarorum auxiliis pacatam provinciam invaserant, nec eis invalido exercitu et magna parte pestilentia absumpto resisti poterat. Eadem et Sardorum legati nuntiabant orantes, ut urbibus saltem — iam enim agros deploratos esse — opem senatus ferret. Haec legatio totumque quod ad Sardiniam pertinebat ad novos magistratus reiectum est.

 

Dal passo emerge che i Romani, ai tempi del proconsole Gracco, consideravano la Sardegna ormai pacata[88]. È, infatti, evidente come vi siano ora nell’Isola popolazioni che contano sull’intervento di Roma, richiesto espressamente attraverso i propri legati, per difendersi dalle incursioni delle popolazioni dell’interno. Ciò può far ritenere quantomeno ragionevole la suggestiva lettura di Liv. 41.28.8-10 nel senso di una espressa distinzione tra socii e stipendiarii in Sardegna e, dunque, la presenza di civitates amicae di Roma al tempo dell’intervento militare di Tiberio Gracco[89].

In ogni caso, appare problematico giungere ad una inequivoca conclusione, poste le persistenti complicazioni interpretative riguardo la Sardegna romana difficilmente superabili anche in ragione dell’assenza di una formula provinciae e dello stato limitato delle fonti[90]. Non esistono, pertanto, dati certi dai quali possa accertarsi inequivocabilmente l’esistenza di un accordo espresso con singole civitates sarde che, in ogni caso, non potrà escludersi aprioristicamente.

In letteratura non è mancato chi abbia affermato l’esistenza di uno status speciale per alcune città dell’Isola. Secondo il Pais «par lecito pensare che se in Sardegna non vi furono vere e proprie città sociae aventi un trattato di alleanza (foedus) con Roma, ve ne esistevano però talune che in via di fatto, se non di diritto, si trovarono presto in condizione migliore delle rimanenti[91].

In ogni caso, alla luce di quanto visto, l’affermazione ciceroniana quantomeno sull’assenza in Sardegna di civitates amicae appare verosimile solo se legata strettamente ai belligeranti popoli dell’entroterra, non invece per tutti i popoli sardi, i quali hanno certamente manifestato in più occasioni amicitia verso Roma.

 

 

5. Tipologie e problematiche delle concessioni della cittadinanza romana nell’Isola

 

Molteplici sono le ipotesi di concessioni a titolo particolare della cittadinanza romana in Sardegna riferite da studiosi moderni, non fondate su fonti sicure. Non mette conto dar seguito alle notizie fondate su vecchie falsificazioni, come per le concessioni operate in Sardegna dal governatore Marco Azio Balbo[92], nonno di Ottaviano e ricordato da questi nella moneta in bronzo detta del Sardus Pater[93]. Diversi studiosi, anche di recente, riportano la notizia, senza tuttavia specificarne una fonte attendibile[94].

A ciò si aggiungano le ipotesi di concessioni della cittadinanza al tempo di Tiberio Gracco, di T. Manlio, di Silla, nonché della guerra civile fra Cesare e Pompeio Magno o Sesto Pompeio ed Ottaviano[95]. Supposizioni sono avanzate soprattutto in merito a Cesare sulla concessione della cittadinanza agli abitanti di Carales quale premio per il loro sostegno a lui offerto in occasione della guerra civile[96]. Tuttavia, se ci si vuole attenere alla rigorosa considerazione delle fonti in nostro possesso relative alla concessione della cittadinanza in Sardegna in epoca repubblicana, ci si dovrà soffermare sui soli casi ben attestati nelle fonti, come quelli riferiti da Cicerone.

Come visto in precedenza, nella Pro Balbo l’oratore ribadisce la condizione di stipendiari dei Sardi, unitamente ad Africani e Siciliani o Ispanici, ma, nonostante la manifestata avversione verso i Sardi, non si esime dal ricordare quanti fra questi furono giudicati degni di conseguire la cittadinanza latina o romana[97].

 

Cic. Pro Balbo 9.24: Nam stipendiarios ex Africa, Sicilia, Sardinia, ceteris provinciis multos civitate donatos videmus et, qui hostes ad nostros imperatores perfugissent et magno usui rei publicae nostrae fuissent, scimus civitate esse donatos; servos denique, quorum ius, fortuna, condicio infima est, bene de re publica meritos persaepe libertate, id est civitate, publice donari videmus.

 

Il passo ricorda la concessione della cittadinanza agli stipendiari di queste tre province, senza metterne in luce le modalità. Dall’uso di alcuni aggettivi - come multos e magnus - si può ritenere che la cittadinanza sia stata diffusamente attribuita. L’uso del verbo donare[98], spesso presente nelle fonti nelle forme civitate Romana donatus[99], civitate donatus[100] - unitamente al verbo dare con civitatem dare[101], de ceivitate danda[102], civitatem Romanam dare[103] - rappresenta un manifesto richiamo all’atto di generosità e liberalità insito nella concessione della civitas, operata sovente su impulso del Senato sia con atto di un magistrato, cui lo specifico potere era assegnato da una lex, sia attraverso specifiche leges[104].

Il carattere premiale della concessione della cittadinanza si deduce dall’espresso richiamo alla virtus[105], contenuto anche più avanti:

 

Cic. Pro Balbo 18.41: Quod si Afris, si Sardis, si Hispanis agris stipendioque multatis virtute adipisci licet civitatem, Gaditanis autem officiis vetustate fide periculis foedere coniunctis hoc idem non licebit, non foedus sibi nobiscum <ictum> sed iniquissimas leges impositas a nobis esse arbitrabuntur.

 

Queste concessioni di cittadinanza sono da leggere sotto la prospettiva storica del contesto di difficile pacificazione generale, in cui il legame con illustri famiglie ed intere civitates è favorito per fini politici dagli stessi governatori di Roma ed è il risultato delle strette relazioni con le città sardo-puniche della costa, avvicinatesi ai Romani per essere protette dalle incursioni degli abitanti del centro o per vedere tutelati i propri commerci.

La tendenza della politica romana a costituire legami con singole famiglie o civitates provinciali[106], affinché i diversi partiti politici possano ottenerne l’appoggio[107], si rafforzerà ulteriormente nel corso delle guerre civili. In tale ottica, si colloca la concessione della cittadinanza ad opera del governatore sillano Lucio Valerio Triario, ricordata sempre da Cicerone.

 

Cic. Pro Scauro 29: etiamne Valerio teste primam actionem confecisti, qui patris tui beneficio civitate donatus

 

Il governatore, infatti, concede, secondo quanto riferito dall’oratore, la cittadinanza ad un Valerio, padre del Valerio che mosse accusa verso Scauro, il quale vent’anni prima aveva combattuto contro Marco Emilio Lepido[108].

In tal senso, la concessione della cittadinanza può essere letta come strumento essenziale e funzionale nella contesa all’atto delle guerre civili. Va inoltre detto che la notizia riportata da Cicerone potrebbe essere solo un esempio di più ampie concessioni operate da Triario, forse a beneficio di quei peregrini da lui reclutati contro Lepido[109]. A riprova di tale dato è stata osservata l’ampia diffusione del gentilizio Valerius in Sardegna[110]. Più in generale, l’analisi di tipo onomastico ha permesso al Mastino ulteriori deduzioni su possibili concessioni di cittadinanza in età repubblicana verso singoli o gruppi familiari[111].

In seguito, i Sardi beneficeranno di concessioni a titolo individuale della cittadinanza romana da parte di Pompeo Magno[112], di cui sappiamo che aveva già ottenuto, tramite la lex Gellia Cornelia de civitate del 72 a.C.[113], il potere di accordare la cittadinanza romana de consili sententia ai propri sostenitori durante la campagna contro Sertorio[114].

Cicerone attesta il legame di Pompeo ad alcune famiglie locali, come nel caso di Domitius Sincaius:

 

Cic. Pro Scauro 43: hic mihi ignoscet Cn. Domitius Sincaius, vir ornatissimus, hospes et famigliaris meus, ignoscent d***s ab eodem Cn. Pompeio civitate donati, quorum tamen omnium laudatione utimur: ignoscent alii viri boni ex Sardinia: credo enim esse quosdam; neque ego, cum de vitiis gentis loquor, neminem excipio.

 

La lacuna presente nel passo ha dato origine a problematiche sulla sua interpretazione e, tra le diverse proposte di integrazione, la dottrina più recente si allinea su ‘denique omnes[115].

Altro aspetto interessante del passo è il nome stesso del soggetto beneficiato della cittadinanza. Domizio è, infatti, un nome latino, fatto per cui si può presupporre che questi avesse già in precedenza ottenuto la cittadinanza latina. Da ciò il Pais ha ipotizzato che «da epoca non determinabile, Roma abbia cominciato ad accordare la cittadinanza Latina a privati ed anche a città Secondo ogni verosimiglianza, non fu l’unico Sardo a cui era già stato concesso tale privilegio»[116].

 

 

6. Conclusioni

 

La congiunta lettura di questi ultimi dati con le precedenti informazioni tratte da Cicerone porta ad avvalorare l’idea già espressa che l’affermazione ciceroniana in merito all’assenza di amicitia verso Roma in Sardegna sia solo espressione di una generalizzazione di cui, peraltro, lo stesso oratore dà conto[117].

Pertanto, se le informazioni fornite da Cicerone non devono ritenersi del tutto infondate, esse non rappresentano però l’intero ed esatto quadro giuridico dell’Isola, caratterizzato da una grande eterogeneità. Sono, si è visto, diffusamente evidenziabili popolazioni stipendiarie alle quali, tuttavia, si affiancano, già in epoca repubblicana, città verosimilmente sardo-puniche in un certo qual modo ‘socie’. Tali civitates paiono alleate, almeno di fatto, a Roma e dotate di una certa autonomia interna e, almeno formalmente, esterna[118]. Appare, dunque, lecito ritenere, seppur non si possano mostrare specifici foedera con Roma, la presenza di popolazioni privilegiate rispetto alle altre cui Roma abbia accordato, almeno di fatto, specifici benefici[119].

In questo contesto, la stessa concessione della cittadinanza ai Sardi diviene uno degli strumenti privilegiati di controllo di un territorio etnicamente eterogeneo e di difficile gestione logistica. Attraverso la concessione della cittadinanza si attua quella politica provinciale volta a creare legami con famiglie o comunità per realizzare una rete di rapporti attraverso i quali, in prima istanza, si garantirà un miglior controllo del territorio, anche ai fini militari e di approvvigionamento.

In tal senso, la concessione della cittadinanza appare un importante strumento per integrare stranieri, nemici vinti e schiavi liberati[120], in coerenza con quella tendenza di crescita rilevabile fin dalle origini di Roma[121], fondata sulle “tensioni universalistiche” della religio, in quel processo di costante integrazione ed aggregazione a sé di elementi sempre nuovi[122].

 

 

Abstract

 

This study deals with the granting of Roman citizenship in Sardinia during the Res publica. The Roman interest in Sardinia has ancient roots, but the Romanization of this Island has been particularly difficult with several conflicts between Romans and indigenous Sardinian of the hinterland. Therefore Cicero described Sardinia as a province without civitates amicae ac liberae. In this difficult pacification context, the citizenship grants highlight the close relations with the Sardinian-Punic city of the coast, approached to the Romans to be protected from the indigenous Sardinian of the hinterland incursions or to save their trade, and the tendency Roman political designed to make ties with major Sardinian families.

 

 



 

[Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Tradizione Romana” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind]

 

* Un ringraziamento particolare va al Professor Attilio Mastino per aver accettato di rileggere il testo di questo articolo; la sua indiscutibile competenza nella storia della Sardegna romana ha contribuito con puntuali rilievi a migliorarne non poco il contenuto.

 

[1] Polyb. 3.22.1-13: Γίνονται τοιγαρον συνθκαι ωμαίοις κα Καρχηδονίοις πρται κατ Λεύκιον ούνιον Βροτον κα Μάρκον ράτιον, τος πρώτους κατασταθέντας πάτους μετ τν τν βασιλέων κατάλυσιν, φ’ ν συνέβη καθιερωθναι κα τ το Δις ερν το Καπετωλίου. (2) Τατα δ’ στι πρότερα τς Ξέρξου διαβάσεως ες τν λλάδα τριάκοντ’ τεσι λείπουσι δυεν. (3) ς καθ’ σον ν δυνατν κριβέστατα διερμηνεύσαντες μες πογεγράφαμεν. Τηλικαύτη γρ διαφορ γέγονε τς διαλέκτου κα παρ ωμαίοις τς νν πρς τν ρχαίαν στε τος συνετωτάτους νια μόλις ξ πιστάσεως διευκρινεν. (4) Εσ δ’ α συνθκαι τοιαίδε τινές· «π τοσδε φιλίαν εναι ωμαίοις κα τος ωμαίων συμμάχοις κα Καρχηδονίοις κα τος Καρχηδονίων συμμάχοις· (5) μ πλεν ωμαίους μηδ τος ωμαίων συμμάχους πέκεινα το Καλο κρωτηρίου, (6) ἐὰν μ π χειμνος πολεμίων ναγκασθσιν· ἐὰν δέ τις βί κατενεχθ, μ ξέστω ατ μηδν γοράζειν μηδ λαμβάνειν πλν σα πρς πλοίου πισκευν πρς ερά, (7) <ν πέντε δ’ μέραις ποτρεχέτω.> (8) Τος δ κατ’ μπορίαν παραγινομένοις μηδν στω τέλος πλν π κήρυκι γραμματε. (9) σα δ’ ν τούτων παρόντων πραθ, δημοσί πίστει φειλέσθω τ ποδομέν, σα δ’ ν ν Λιβύ ν Σαρδόνι πραθ. (10) Ἐὰν ωμαίων τις ες Σικελίαν παραγίνηται, ς Καρχηδόνιοι πάρχουσιν, σα στω τ ωμαίων πάντα. (11) Καρχηδόνιοι δ μ δικείτωσαν δμον ρδεατν, ντιατν, Λαρεντίνων, Κιρκαιιτν, Ταρρακινιτν, μηδ’ λλον μηδένα Λατίνων, σοι ν πήκοοι· (12) ἐὰν δέ τινες μ σιν πήκοοι, τν πόλεων πεχέσθωσαν· ν δ λάβωσι, ωμαίοις ποδιδότωσαν κέραιον. (13) Φρούριον μ νοικοδομείτωσαν ν τ Λατίν. Ἐὰν ς πολέμιοι ες τν χώραν εσέλθωσιν, ν τ χώρ μ ννυκτερευέτωσαν».

Trad. it.: Il primo trattato tra Romani e Cartaginesi fu stipulato al tempo di Lucio Giunio Bruto e Marco Orazio, i primi consoli eletti dopo la cacciata dei re, sotto i quali avvenne anche la dedicazione del tempio di Giove Capitolino. (2) Ciò avvenne ventotto anni prima del passaggio di Serse in Grecia. (3) Questo trattato l’ho riportato più sotto, cercando di interpretarlo il più esattamente possibile, perché c’è una tale differenza tra la lingua romana attuale e quella antica, che anche i più esperti riescono a capirne solo qualche parte con grande difficoltà e dopo attento esame. (4) Il testo dice pressappoco così: “L’amicizia tra Romani e i loro alleati, e i Cartaginesi e i loro alleati è garantita da questi patti. (5) Né i Romani né i loro alleati dovranno navigare oltre il Promontorio Kalòs, a meno che non vi siano costretti da una tempesta o da nemici. (6) Se poi qualcuno sarà condotto per forza oltre questo promontorio, non gli sarà lecito né fare acquisti, né portarsi via alcunché, ad eccezione di quanto gli possa servire per la riparazione della nave o per la celebrazione dei riti sacri. (7) (e dovrà andarsene entro cinque giorni). (8) Coloro che vengono per affari, non potranno concludere nessun contratto senza la presenza di un araldo o di un pubblico ufficiale. (9) e il pagamento del prezzo di tutte le merci vendute alla presenza di questi, sia in Libia che in Sardegna, sarà garantito al venditore dallo Stato. (10) Se qualcuno dei Romani arriva in qualche parte della Sicilia che sia sotto la giurisdizione cartaginese, godrà di tutti gli stessi diritti degli altri. (11) Da parte loro, i Cartaginesi non faranno torti alle popolazioni di Ardea, di Anzio, di Laurento, di Circeo, di Terracina né ad alcun’altra fra le città dei Latini che sono soggette a Roma. (12) Si terranno inoltre lontani dalle città non soggette ai Romani e, qualora ne prendano qualcuna, la restituiranno intatta ai Romani. (13) Non costruiranno alcuna fortezza in territorio latino e, se vi dovessero entrare in armi, non potranno passarvi la notte (L. Capogrossi Colognesi, Cittadini e territorio. Consolidamento e trasformazione della ‘civitas Romana’, Roma 2000, 108 s. n. 4).

 

[2] Su Polibio e il suo metodo storico si vedano, tra i tanti, in particolare: F.A. Brandstäter, Bemerkungen über das Geschichtswerk des Polybios, Danzig 1843 ora visionabile anche online all’indirizzo http://reader.digitale-sammlungen.de/de/fs1/object/display/bsb10216327_00005.html; N. [D.] Fustel De Coulanges, Polybe ou la Grèce conquise par les Romains, Amiens 1858, disponibile anche online nel sito http://remacle.org/bloodwolf/historiens/polybe/fustel.htm; A. Momigliano, Ancient History and the Antiquarian, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes 13 (1950), 285 ss. (= Id., Contributo alla storia degli studi classici, Roma 1955, 67 ss.); Id., The Historian’s Skin, in The New York Review of Books 21, 12, 18 July 1974, 33 ss. (= Id., Sesto contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico I, Roma 1980, 77 ss.); Id., Polibio, Posidonio e l’imperialismo romano, in Id., La storiografia greca, Torino 1982, 258 ss. (= Id., Sesto contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico I, loc. cit., 89 ss.); F.W. Walbank, A Historical Commentary on Polybius I, Oxford 1965, 337; Id., Political Morality and the Friends of Scipio, in Journal of Roman Studies 55 (1965), 1 ss. (= Id., Selected Papers: Studies in Greek and Roman History and Historiography, Cambridge 1985, 157 ss.); Id., Polybian studies, c.1975-2000, in Id., Polybius, Rome and the Hellenistic World. Essays and Reflections, Cambridge 2002, 1 ss.; D. Musti, Polibio negli studi dell’ultimo ventennio (1950-1970), in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, Berlin-New York 1972, 1137 ss.; Id., Polibio e l’imperialismo romano, Napoli 1979; P. JAL, L’impérialisme romain: observations sur les témoignages littéraires latines de la fin de la République romaine, in Ktéma 7 (1982), 143 ss.; J.-L. FERRARY, Philhellénisme et impérialisme. Aspects idéologiques de la conquête romaine du monde hellénistique, Rome 1988; M. Dubuisson, La vision polybienne de Rome, in H. Verdin, G. Schepens, E. De Keyser (eds.), Purposes of History. Studies in Greek Historiography from the 4th to the 2nd Centuries B.C., Proceedings of the International Colloquium Leuven, 24-26 may 1988, Louvain 1990, 233 ss.; D. Golan, The res Graeciae in Polybius. Four Studies, Como 1995; J. Carey, Nullus videtur dolo facere: the Roman seizure of Sardinia in 237 B.C., in Classical Philology 91 (1996), 204; A. Eckstein, Moral vision in the Histories of Polybius, Berkeley-Los Angeles 1995, 84 ss., J. Thornton, Polibio e Roma. Tendenze negli studi degli ultimi anni, in Studi Romani 52 (2004), 107 ss.

 

[3] Così L. Capogrossi Colognesi, Cittadini e territorio. Consolidamento e trasformazione della ‘civitas Romana’, cit., 107 n. 2.

 

[4] La traduzione più diffusa di κρυξ e γραμματεύς è rispettivamente di ‘banditore’ e di ‘scriba’ (o ‘scrivano’): già utilizzata da G. Manno, Storia di Sardegna I, 3a ed., Milano 1835, 34 (ried. a cura di A. Mattone, Nuoro 1996, ora in versione e-book all’indirizzo http://www.liberliber.it/mediateca/libri/m/manno/storia_di_sardegna/pdf/storia_p.pdf), (su questo autore vedi ora la giusta dimensione storiografica nel saggio di A. Mastino, La Sardegna dalle origini all’età vandalica nell’opera di Giuseppe Manno, in Diritto @ Storia 4 (2005), http://www.dirittoestoria.it/4/Contributi/Mastino-Sardegna-antica-Giuseppe-Manno.htm [= Id., Studi Sardi XXXIV (2009), 271 ss.]; è stata ripresa da ultimo da F. Arcaria-O. Licandro, Diritto Romano: I - Storia costituzionale di Roma, Torino 2014, 58. Traduce invece ‘araldo’ e ‘cancelliere’ D. Musti, Polibio, Storie III, Milano 2000, 22.

Per l’analisi del loro rilievo giuridico rinvio, in particolare, a: M. David, The Treaties between Rom and Carthege and their Significance for the Knowledge of International Law, in M. David, B.A. van Groningen, E.M. Meyers (eds.), Symbolae ad Ius et Historiam Antiquitatis Pertinentes Julio Christiano van Oven dedicatae, Leiden 1946, 231 ss.; P. Frezza, Ius gentium, in Revue international des droits de l’antiquité 2 (1949), 269 ss.; G. Sautel, Essai sur la notion romaine de ‘commercium’ à l’époque ancienne, in Varia. Études de droit romain, Paris 1952, 67 s.; F. De Martino, Storia della costituzione romana II, 2a ed., Napoli 1973, 70 s.; R. Werner, Der Beginn der römischen Republik, München-Wien 1963, 319;L. Capogrossi Colognesi, In margine al primo trattato tra Roma e Cartagine, in Studi in onore di Edoardo Volterra V, Milano 1971, 171 ss.; Id., Cittadini e territorio. Consolidamento e trasformazione della ‘civitas Romana’, cit., 112 ss. e, da ultimo, M. Frunzio, Ancora sui rapporti internazionali nell’opera di Francesco De Martino, in Cultura giuridica e diritto vivente 1 (2014), http://ojs.uniurb.it/index.php/cgdv/article/view/370/362.

 

[5] Più in generale, sulle implicazioni della fides come fondamento dei rapporti tra popoli si veda: P. Frezza, Ius gentium, cit., 263 ss.; Id., Fides bona, in Studi sulla buona fede, Milano 1975, 1 ss.; G. Gandolfi, Un documento del diritto internazionale antico. Il primo trattato tra Roma e Cartagine (VI sec. a. C.), in Comunicazioni e Studi dell’Istituto di diritto internazionale e straniero dell’Università di Milano, Milano 1960, 323 ss., 335 s.; L. Lombardi, Dalla «fides» alla «bona fides», Milano 1961; C. Becker, v. Fides, in Reallexikon für Antike und Christentum VII, Stuttgart 1969, 801 ss.; L. Capogrossi Colognesi, In margine al primo trattato tra Roma e Cartagine, cit., 171 ss.; P. Boyancé, Études sur la religion romaine, Rome 1972, 105 ss.; A. Carcaterra, Dea Fides e ‘fides’. Storia di una laicizzazione, in Studia et documenta historiae et iuris 50 (1984), 199 ss.; D. Nörr, Aspekte des römischen Völkerrechts. Die Bronzetafel von Alcàntara, München 1989; Id., Fides punica Fides Romana. Bemerkungen zur ‘demosia pistis’ im ersten karthagisch-römischen Vertrag und zur Rechtsstellung des Fremden in der Antike, in L. Garofalo (a cura di), Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea II, Padova 2003, 497 ss.; R. Meyer, Bona fides und lex mercatoria in der europäischen Rechtstradition, Göttingen 1994; M.A. Levi, Clientela e fides, in Rendiconti dell’Accademia Lombarda 7 (1996), 677 ss.; V. Marotta, Tutela dello scambio e commerci mediterranei in età arcaica e repubblicana, in Ostraka 5 (1996), 63 ss.; R. Martini, ‘Fides’ e ‘pistis’ in materia contrattuale, in Il ruolo della buona fede oggettiva nell'esperienza giuridica storica e contemporanea, loc. cit., 439 ss.; S. Tafaro, Brevi riflessioni su buona fede e contratti, in Diritto @ Storia 3 (2004), http://www.dirittoestoria.it/3/TradizioneRomana/Tafaro-Buona-fede-contratti.htm.

 

[6] P. Meloni, La provincia romana di Sardegna, I. I secoli I-III, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt II.11.1, Berlin–New York 1988, 452.

 

[7] Non posso dare conto della discussione, lunga e articolata, concentrata, in particolare, sui problemi di datazione dell’evento all’epoca dei consoli Lucio Giuno Bruto e Marco Orazio. Tra l’amplissima bibliografia si vedano in particolare: E. Pais, La Sardegna prima del dominio romano: studi storici ed archeologici, Roma 1881, 64; G. De Sanctis, Recensioni, 1923, in Id., Scritti minori, Roma 1972, 178; M. Pallottino, Etruscologia, Milano 1942, 169; Id., Saggi di antichità I, Alle origini dell'Italia antica, Roma 1979, 287 ss., 383 ss.; P. de Francisci, Primordia civitatis, Roma 1959, 714; M. David, The Treaties between Rom and Carthege and their Significance for the Knowledge of International Law, cit., 231 ss.; L. Gernet, L’obligation contractuelle dans la vente hellénique, in Id., Droit et société dans la Grèce ancienne, Paris 1955, 225 s.; A. Aymard, Les deux premiers traités entre Rome et Carthage, in Revue des études anciennes 59 (1957), 277; G. Gandolfi, Un documento del diritto internazionale antico. Il primo trattato tra Roma e Cartagine (VI sec. a. C.), cit., 323 ss.; H. Bengtson (hrs.), Die Staatsverträge des Altertums. Die Verträge der griechisch-römischen Welt von 700 bis 338 v.Chr. 3, München 1962, 19 ss.; A. Alföldi, Early Rome and the Latins, Leiden 1963, 350 ss.; F.W. Walbank, A Historical Commentary on Polibius I, cit., 337; M. Cary, A History of Rome down to the Reign of Constantine II, London 1962, 104 n. 11; R. Werner, Der Beginn der römischen Republik, cit., 305 n. 1; J. Gaudemet, Les institutions de l’antiquité, Paris 1967, 288 ss.; A. Piganiol, Le conquiste dei romani. Fondazione e ascesa di una grande civiltà, trad. it., Milano 2010 [La conquête romaine, Paris 1967], 133, 592 n. 4; A. Momigliano, Quarto contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, Roma 1969, 359 s.; D. Musti, Polibio negli studi dell’ultimo ventennio (1950-1970), cit., 1137 ss.; J. Heurgon, Il mediterraneo occidentale dalla preistoria a Roma arcaica 2, trad. it., Roma-Bari 1972 [Rome et la Méditerranée occidentale jusqu'aux guerres puniques, Paris 1969], 379 ss.; B. Scardigli, Il primo trattato romano-cartaginese, in I trattati romano-punici, Pisa 1991, 47 ss. e 56; M. Mancini, I volsci e il loro territorio, Frosinone 2013, 119 ss.; F. Arcaria-O. Licandro, Diritto Romano: I - Storia costituzionale di Roma, cit., 58.

 

[8] La scoperta, negli anni sessanta, delle c.d. lamine d’oro di Pyrgi attesta la presenza di interessi cartaginesi in Etruria in epoca coeva al primo trattato fra Roma e Cartagine secondo la datazione polibiana. Su queste tre lamine, commemorative della fondazione del culto di Uni-Astarte a Caere, vedi tra i tanti: G. Colonna-M. Pallottino-L. Vlad Borrelli-G. Garbini, Scavi nel Santuario di Pyrgi, in Archeologia Classica 16 (1964), 49 ss.; G. Colonna, Il santuario di Pyrgi alla luce delle recenti scoperte, in Studi Etruschi 33 (1965), 201 ss.; Id., A proposito del primo trattato romano-cartaginese (e della donazione Pyrgense ad Astarte), in G.M. Della Fina (a cura di), La Grande Roma dei Tarquini. Atti del XVII Convegno Internazionale di Studi sulla Storia e l'Archeologia dell'Etruria, Roma 2010, 275 ss.; A. Dupont-Sommer, L’inscription punique récemment découverte à Pyrgi (Italie), in Journal asiatique 252 (1964), 289 ss.; Aa.Vv., Le lamine di Pyrgi. Tavola rotonda internazionale sulla interpretazione dei testi fenicio ed etrusco di contenuto analogo inscritti su due delle lamine d'oro scoperte nel santuario etrusco di Pyrgi. (Roma, 19 aprile 1968), Roma 1970; J. Ferron, Un traité d’alliance entre Caere et Carthage contemporain des derniers temps de la royauté étrusque à Rome ou l’événement commémoré par la quasi-bilingue di Pyrgi, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt 1.1, Berlin–New York 1972, 189 ss.; G. Garbini, L'iscrizione di Pyrgi, in Rivista di Studi Fenici 17 (1989), 179 ss.; M. Kropp, Versioni indipendenti o traduzione? Rilettura delle lamine d’oro di Pyrgi, in Circolazioni culturali nel Mediterraneo antico. Atti della VI giornata camito-semitica e indoeuropea, I Convegno Internazionale di linguistica dell’area mediterranea, Sassari 24-27 aprile 1991, Cagliari 1994, 189 ss.

 

[9] Per il testo greco ho seguito la versione Diodore de Sicilie, Bibliothèque historique XV, texte étabili et traduit par C. Vial, Paris 1977, 33.

Trad. it.: Successivamente gli Ateniesi rientrarono a casa e i Tebani assalirono senza ottenere risultati. Mentre queste cose erano in corso in Grecia, i Romani inviarono cinquecento coloni, esenti da imposte, per fondare una colonia in Sardegna.

 

[10] Cfr. ad esempio E. Pais, Storia critica di Roma durante i primi cinque secoli IV. I Sanniti ed i Galli. Pirro e Cartagine. Roma alla testa della confederazione italica, 2° ed., Roma 1920, 764 (ora in 3a ed. Storia di Roma dalle origini all’inizio delle guerre puniche, 5 voll., Roma 1926-28) per il quale l’attenzione alla politica marittima da parte di Roma, sorta quasi suo malgrado, sarebbe riscontrabile dal IV secolo a.C.; vedi anche Id., Storia della Sardegna e della Corsica durante il periodo romano I (Roma 1923), riedito a cura di A. Mastino, Nuoro 1999, 119: «furono navigazioni isolate, determinate soprattutto da interessi commerciali, non da fini politici e militari. Non erano nemmeno tali da venir confrontate con le ardite piraterie dei Volsci di Anzio e degli Etruschi partecipi, in misura più o meno notevole, alle spedizioni militari degli Ateniesi contro Siracusa e più tardi a quelle del siracusano Agatocle contro Cartagine».

 

[11] Va, tuttavia, rilevato che Teofrasto (Hist. plant. 5.8.2) riporta la notizia di un tentativo coevo di colonizzazione romana in Corsica. Si veda in materia G. Brizzi, Nascita di una provincia: Roma e la Sardegna, in Carcopino, Cartagine e altri scritti, Ozieri 1989, 67 ss.

 

[12] Si veda, in particolare, E. Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il periodo romano I, cit., 119 n. 17: «Il testo di Diodoro è corrotto. Lo storico di Agirio volle, secondo ogni probabilità, far menzione di una colonia dedotta in regioni limitrofe a Roma stessa. Diodoro intendeva parlare o dell’etrusca Sutrium o, meglio ancora, della volsca Satricum la quale, secondo la tradizione annalistica romana, fu dedotta verso quel tempo». Si veda, inoltre, G. Perl, Kritische Untersuchungen zu Diodors römischer Jahrzählung, Berlin 1957, 127; I. Didu, Il supposto invio di coloni romani in Sardegna nell’anno 378-7 a.C., in Athenaeum 50 (1972), 310 ss.

 

[13] Iamque haud procul seditione res erat; cuius leniendae causa postulante nullo largitor voluntarius repente senatus factus Satricum coloniam duo milia civium Romanorum deduci iussit.

 

[14] Differisce, ma solo per la presenza dell’omega al posto dell’omicron, il manoscritto Marcianus gr. 376 che riporta il termine Σαρδωνίαν. Si veda Diodore de Sicilie, Bibliothèque historique XV, texte étabili et traduit par C. Vial, cit., 33 e 131; cfr. F. Vogel, Diodorus, Bibliotecha Historica III, Stuttgart 1893 (rist. 1985), 394.

 

[15] Si vedano, tra coloro che in dottrina ammettono la veridicità della notizia, in particolare: A. Momigliano, Quarto contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, cit., 359 ss.; F. Cassola, I gruppi politici romani nel III sec. a.C., Trieste 1962, 32 ss.; M. Torelli, Colonizzazioni etrusche e latine di epoca arcaica: un esempio, in Gli Etruschi a Roma. Atti dell’incontro di studio in onore di M. Pallottino, Roma 11-13 dicembre 1979, Roma 1981, 72 ss.; P. Meloni, La Sardegna romana, Sassari 1975 (2° ed. Sassari 1991), 18 ss. e 444 ss.; B. Scardigli (a cura di), I trattati romano-cartaginesi, Pisa 1991, 64; A. Mastino, Saggio introduttivo, in E. Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il periodo romano I (ried. a cura di A. Mastino), cit., 15; Id., La Sardegna, in M. Brigaglia, A. Mastino, G.G. Ortu (a cura di), Storia della Sardegna. 1. Dalla Preistoria all'età bizantina, Roma-Bari 2002, 52; R. Zucca, La Corsica romana, Oristano 1996, 77 ss.

 

[16] Si veda, per tutti, S. Mazzarino, Introduzione alle guerre puniche, Catania 1947, 89 ss.

 

[17] Sull’opera diodorea rinvio, tra i tanti, in particolare, a: T.S. Brown, Timaeus and Diodorus, eleventh book, in The American Journal of Philology 73 (1952), 355; G. de Sanctis, Ricerche sulla storiografia siceliota, Palermo 1958, 76 s.; M. Pavan, La teoresi storica di Diodoro Siculo, in Rendiconti dell’Accademia dei Lincei 16 (1961), 149 ss.; R. Drews, Diodorus and his sources, in The American Journal of Philology 83 (1962), 384 ss., disponibile ora anche on-line http://rbedrosian.com/Ref/Drews/Drews_1962_Diodorus.pdf; E. Auccello, Sulla tecnica narrativa di Diodoro Siculo, in Helikon 3 (1963), 454 ss.; S. Mazzarino, Il pensiero storico classico II, Bari 1966, 388 s.; F.W. Walbank, The historians of Greek Sicily, in Kokalos 14-15 (1968-69) 477 ss.;

 

[18] Sulla possibile identificazione della colonia ricordata nel passo di Diodoro con Feronia rinvio a M. Bonello-A. Mastino, Il territorio di Siniscola in età romana, in E. Espa (a cura di), Siniscola dalle origini ai nostri giorni, Ozieri 1994, 159 ss.

 

[19] Liv. 7.27.2; Diod. 16.69.1; Oros. Hist. 3.7.1-9.

 

[20] Per il testo greco di norma ho seguito Polybe, Histoires III, texte étabili et traduit par J. de Foucault, Paris 1971, 59 s.

Trad. it.: Dopo questo trattato, i Cartaginesi ne stringono un altro, nel quale fanno includere gli abitanti di Tiro e la popolazione di Utica; (2) al Bel Promontorio aggiunsero Mastia e Tarseo, al di là dei quali proibirono ai Romani di fare saccheggi o di fondare città. (3) Questo è all’incirca il testo del trattato: «Alle condizioni seguenti c’è amicizia tra i Romani e i loro alleati, i Cartaginesi, gli abitanti di Tiro e di Utica e i loro alleati: (4) I Romani non compiano saccheggi, non facciano commerci e non fondino città al di là del Bel Promontorio, di Mastia e di Tarseo. (5) Se i Cartaginesi conquistino nel Lazio una città non soggetta ai Romani, che trattengano i beni e gli uomini e che restituiscano la città. (6) Se dei Cartaginesi catturino i cittadini di una civitas che ha sottoscritto un trattato di pace con i Romani ma a questi non è sottomessa, non dovranno farli sbarcare in porti romani; tuttavia, qualora uno di questi sia fatto sbarcare e un Romano metta la mano su di lui, questi sarà libero. (7) Lo stesso valga per i Romani. (8) Se un Romano prenda acqua o viveri in un territorio sottomesso ai Cartaginesi, grazie a questi viveri non compia ingiustizie contro popoli con i quali Cartagine ha trattati di pace o di amicizia. (9) E i Cartaginesi faranno lo stesso. (10) In caso contrario, non si persegua alcuna forma di vendetta privata; ma se qualcuno agirà così, che il crimine sia considerato pubblico. (11) Nessun romano faccia commerci né fondi città in Sardegna o in Africa, se non per rifornirsi di viveri o riparare la propria imbarcazione; se lo trascina una tempesta, che riparta nel giro di cinque giorni. (12) A Cartagine e nella Sicilia ad essa sottomessa che si faccia e venda tutto quello che è permesso a un cittadino. (13) Che I Cartaginesi agiscano allo stesso modo a Roma».

 

[21] Vedi v. φαιρέω in Thesaurus Linguae Graecae anche al sito http://stephanus.tlg.uci.edu/lsj/#eid=11579&context=search.

 

[22] In merito al controllo cartaginese sulla Sardegna rinvio a: C.R. Whittaker, Carthaginian imperialism in the fifth and fourth century, in P.D.A. Garsney-C.R. Whittaker (eds.), Imperialism in the ancient world, Cambridge 1978, 88 s.; P. Meloni La Sardegna romana, cit., 21 s.; B. Scardigli (a cura di), I trattati romano-cartaginesi, cit., 105 ss.; S.F. Bondì, Les institutions, l’organisation politique et administrative, in V. Krings (ed.), La civilisation phénicienne et punique. Manuel de recherche, Leiden 1995, 299; P. van Dommelen, Colonial constructs: colonialism and archaeology in the Mediterranean, in World Archaeology 28.3 (1997), 305 ss.; P. Bartoloni, La Sardegna fenicia e punica, in La Sardegna e la sua storia, cit., 43 ss.; A. Mastino, Roma in Sardegna: l’occupazione e la guerra di Hampsicora, ibid., 63 ss.

 

[23] Trad. it.: Di nuovo in questo trattato rivendicano a sé la Libia e la Sardegna appropriandosene e vietando ogni accesso dei Romani.

 

[24] Per il testo greco di norma ho seguito quello stabilito e tradotto da P. Pédech in Polybe, Histoires I, Paris 1969, 29 s.

Trad. it.: Pur essendo pienamente consapevoli di ciò, tuttavia sapevano che i Cartaginesi dominavano già l’Africa e molte parti dell’Iberia e che, oltretutto, avevano il controllo di tutte le isole del Mare di Sardegna e del Tirreno; (6) pertanto temevano che se si fossero impadroniti anche della Sicilia, sarebbero stati per loro dei vicini scomodi e pericolosi, visto che li avevano intorno come in un accerchiamento e incombevano su di loro da ogni parte dell’Italia. (7) Era d’altronde evidente che se i Mamertini non avessero ricevuto aiuto, ben presto i Cartaginesi avrebbero sottomesso la Sicilia: (8) se fossero divenuti padroni di Messina, che veniva consegnata loro su un piatto d’argento, in breve si sarebbero rivolti contro Siracusa, poiché dominavano quasi tutto il resto della Sicilia. (9) Questa era la previsione dei Romani, i quali ritenendo assolutamente necessario non abbandonare Messina e tanto meno permettere che i Cartaginesi si creassero una testa di ponte per il loro passaggio in Italia.

 

[25] Sugli eventi che porteranno alla guerra, si vedano S. Mazzarino, Introduzione alle guerre puniche, Catania 1947 (ried. Milano 2003, con prefazione di D. Musti); G. Brizzi, Nascita di una provincia: Roma e la Sardegna, cit., 84 ss.; Id., La conquista romana della Sardegna: una riconsiderazione?, in Dal mondo antico all’età contemporanea. Studi in onore di Manlio Brigaglia offerti dal Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari, Roma 2001, 45 ss.; Id., Cartagine e Roma: dall’intesa al confronto, in C. Bearzot-F. Landucci Gattinoni-G. Zecchini (a cura di), L’equilibrio internazionale dagli antichi ai moderni, Milano 2005, 29 ss.; A. Mastino-R. Zucca, Urbes et rura. Città e campagna nel territorio oristanese in età romana, in P.G. Spanu e R. Zucca (a cura di), Oristano e il suo territorio 1. Dalla preistoria all’alto Medioevo, Roma 2011, 418.

 

[26] Polyb. 3.27.1-8: Συντελεσθέντος τοίνυν το περ Σικελίας πολέμου ποιονται συνθήκας λλας, ν ας τ συνέχοντα τν γγράπτων ν τατα· (2) «κχωρεν Καρχηδονίους <κα Σικελίας πάσης κα> τν νήσων πασν τν κειμένων ταλίας μεταξ κα Σικελίας. (3) Τν σφάλειαν πάρχειν παρ’ κατέρων τος κατέρων συμμάχοις. (4) Μηδετέρους ν τας λλήλων παρχίαις μηδν πιτάττειν μηδ’οκοδομεν δημοσί μηδ ξενολογεν μηδ προσλαμβάνειν ες φιλίαν τος λλήλων συμμάχους. (5) ξενεγκεν Καρχηδονίους ν τεσιν δέκα δισχίλια κα διακόσια τάλαντα, παραυτίκα δ δοναι χίλια. (6) Τος αχμαλώτους χωρς λύτρων ποδοναι πάντας Καρχηδονίους τος ωμαίοις». (7) Μετ δτατα πάλιν, λήξαντες το Λιβυκο πολέμου, ωμαοι Καρχηδονίοις πόλεμον ξενέγκαντες ως δόγματος πισυνθήκας ποιήσαντο τοιαύτας·(8) «κχωρεν Καρχηδονίους Σαρδόνος κα προσεξενεγκεν λλα χίλια κα διακόσια τάλαντα», καθάπερ πάνω προείπαμεν.

Trad. it.: Terminata la guerra per la Sicilia, sottoscrissero un altro trattato, le cui clausole più rilevanti erano le seguenti: (2) «I Cartaginesi si ritireranno da <tutta la Sicilia e> le isole che si trovano tra l’Italia e la Sicilia. (3) È garantita la sicurezza da ciascuna delle parti agli alleati dell’altro. (4) Nessuna parte, sui territori appartenenti all’altra, si approprierà con la forza di quanto si trovi ivi, costruirà alcun edificio pubblico, recluterà mercenari o tratterà con gli alleati dell’altro. (5) I Cartaginesi pagheranno in dieci anni duemiladuecento talenti e subito ne verseranno mille. (6) I Cartaginesi restituiranno senza riscatto tutti i prigionieri ai Romani». (7) Subito dopo, cessata la guerra dei Mercenari, i Romani, avendo minacciato ai Cartaginesi la guerra in fase di approvazione, aggiunsero al trattato la seguente clausola addizionale: (8) «I Cartaginesi si ritirino dalla Sardegna e paghino una indennità supplementare di milleduecento talenti».

Cfr. Diod. 24.13-14; App. Sic. 2.1-14; Zonar. 8.17.1-7.

 

[27] Polyb. 3.10.1-4: ωμαίων δ μετ τ καταλύσασθαι Καρχηδονίους [δι] τν προειρημένην ταραχν παγγειλάντων ατος πόλεμον, τ μν πρτον ες πν συγκατέβαινον, πολαμβάνοντες ατος νικήσειν τος δικαίοις, καθάπερ ν τας πρ ταύτης βίβλοις περ τούτων δεδηλώκαμεν, (2) ν χωρς οχ οόν τε ν συμπεριενεχθναι δεόντως οτε τος νν λεγομένοις οτε τος μετ τατα ηθησομένοις φμν. (3) Πλν οκ ντρεπομένων τν ωμαίων, εξαντες τ περιστάσει, κα βαρυνόμενοι μέν, οκ χοντες δ ποιεν οδν, ξεχώρησαν Σαρδόνος, συνεχώρησαν δεσοίσειν λλα χίλια κα διακόσια τάλαντα πρς τος πρότερον, φ μ τν πόλεμον κείνοις ναδέξασθαι τος καιρος. (4) Δι κα δευτέραν, μεγίστην δ, ταύτην θετέον ατίαν το μετ τατα συστάντος πολέμου.

Trad. it.: Dopo che i Cartaginesi ebbero represso questa ribellione e poiché i Romani proclamavano di far loro guerra, all’inizio erano risoluti a tutto, pensando che avrebbero avuto la meglio in virtù delle loro giuste ragioni, (2) come è stato già esposto nel libro precedente  e senza il quale non è possibile comprendere ciò che si dice qui e ciò che si dirà in seguito. (3) Ma poiché i Romani mantenevano la loro posizione, i Cartaginesi, cedendo alla difficoltà della situazione, esacerbati nell’animo, ma non essendo loro possibile fare niente, evacuarono la Sardegna, accettando di pagare altri milleduecento talenti oltre quelli del tributo precedente pur di non accettare la guerra in quelle condizioni. (4) Perciò bisogna considerare questa come seconda causa - ma è la più importante - della guerra che si scatenò in seguito.

Cfr. Liv. 21.1.5. L’evento, posto come una delle cause della ripresa del conflitto, è ricordato dallo stesso Polibio anche più avanti, Polyb. 3.15.10-11; 3.30.1-4.

 

[28] Numerose sono le fonti che riportano tributi in grano o altri cereali riscossi in Sardegna, si veda, in particolare: Liv. 23.21.9: ad hoc fessos iam animos Sardorum esse duturnitate imperii Romani, et proximo iis anno acerbe atque auare imperatum; graui tributo et conlatione iniqua frumenti pressos; 23.41.7: quibus stipendio frumentoque imperato pro cuiusque aut viribus aut delicto; 25.20.3: ... frumentum, quod ex Sardinia nuper missum erat ...; 30.38.5: Per eos dies commeatus ex Sicilia Sardiniaque t(antam vilitatem annonae effecerunt ut pro vectura frumentum nautis mercator relinqueret; Siciliae Sardiniaeque binae ac proximo anno decumae frumenti imperatae; Siculum omne frumentum in Aetoliam ad exercitum portari iussum, ex Sardinia pars Romam pars in Aetoliam, eodem quo Siculum; 37.50.10: Idem ab Sardis exigi atque ad eosdem exercitus id frumentum, ad quos Siculum, deportari iussum.

 

[29] Si veda il testo dei Fasti triumphales I.It. XIII.1 76 ss.: L(ucius) Cornelius L(uci) f(ilius) Cn(aei) n(epos) Scipio co(n)s(ul) an(no) CDXCIV / de Poeneis et Sardin(ia) Corsica V Id(us) Mart(ias) / ... / C(aius) Sulpicius Q(uinti) f(ilius) Q(uinti) n(epos) Paterculus an(no) CDX[CV] / co(n)s(ul) de Poeneis et Sardeis III N[on(as) Oct(obres)] / ... / T(itus) Manlius T(iti) f(ilius) T(iti) n(epos) Torquatus an(no) DXV[III] / co(n)s(ul) de Sardeis VI Idus Mart(ias) / Sp(urius) Carvilius Sp(uri) f(ilius) C(ai) n(epos) Maximus an(no) D[XIX] / co(n)s(ul) de Sardeis K(alendis) April(ibus) / ... / M(anius) Pomponius M(ani) f(ilius) M(ani) n(epos) Matho ann(o) DX[X] / co(n)s(ul) de Sardeis Idibus Mart(iis) / / L(ucius) Aurelius L(uci) f(ilius) L(uci) n(epos) Orestes pro an(no) DC[XXXI] / co(n)s(ule) ex Sardinia VI Idus Dec(embres) / / M(arcus) Caecilius Q(uinti) f(ilius) Q(uinti) n(epos) Mete[llus pro a]n(no) DCXLII / co(n)s(ule) ex Sardini[a Idib(us) Quin]til(ibus) / ...

Per quanto sul punto vi sia una discussione dottrinale; vedi A. Mastino, Roma in Sardegna: l’età repubblicana, in Storia della Sardegna antica (a cura di A. Mastino), Nuoro 2005, 100, il quale ipotizza altri possibili trionfi: 106 a.C.? Titus Albucius, praetor 107?, propraetor 106?, ex Sardinia; 88 a.C. Publius Servilius Vatia Isauricus, praetor 90, propraetor 89-88, Sardinia ?

Si veda anche M.A. Porcu, I magistrati romani in Sardegna in età repubblicana, Sassari 1991, 35 ss.

 

[30] L’invio in Sardegna del console T. Manlio Torquato in sostituzione del pretore Quinto Mucio è ricordata da Liv. 23.34.15: Ad eam rem missus est T. Manlius Torquatus, qui bis consul et censor fuerat subegeratque in consulatu Sardos. Il medesimo autore ne attesta la vittoria del 234 a.C., Liv. 23.40-8: agrum populandum profectus, Carales perventurus erat, ni Manlius obuio exercitu ab effuse eum population continuisset. Vedi anche Per. 23.14: Praeterea in Hispania feliciter a Publio et Cn. Scipionibus, in Sardinia a T. Manlio praetore aduersus Poenos res gestas continet, a quibus Hasdrubal dux et Mago et Hanno capti. Su Titus Manlius Torquatus si veda F. Münzer, v. Manlius, in Paulys Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft XIV.1, Stuttgart 1928, coll. 1207 ss.; T.R.S. Broughton, The Magistrates of the Roman Republic I, New York 1951, 423. Rinvio inoltre a: P. Ruggeri, Titus Manlius Torquatus privatus cum imperio, in Ead., Africa ipsa parens illa Sardiniae. Studi di storia antica e di epigrafia, Sassari 1999, 115 ss.

 

[31] Zonar. 8.18: Κα ο μν πατοι οκ πόνως μέν, ο βραδέως δ τ προσταχθντα σφίσι κατέπραξαν· τος δ Σαρδονίους μή τι φρονοντας μέτριον σχυρ μάχ Καρουίλιος κατεστρέψατο.·Sul console si veda G. Götz, v. Carvilius, in Paulys Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft III.2, Stuttgart 1899, col. 1629.

 

[32] Zonar. 8.18: Κα Μάρκος μν Πομπώνιος Σαρδόνας φερε, κα μαθν τος πλείονας ατν ς σπήλαια λώδη κα δυσεξεύρετα καταδύντας, μ δυνάμενός τε ατος ερεν, κύνας κ τς ταλίας μετεπέμψατο ερινας, κα δι κείνων τν στίβον κα τν νθρώπων κα τν βοσκημάτων ερν πολλ πετέμετο. Su Marco Pomponio Matone rinvio a H. Gundel, v. Pomponius M. Matho, in Paulys Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft XXI, Stuttgart 1951, col. 2330 e T.R.S. Broughton, The Magistrates of the Roman Republic I, cit., 246. Vedi anche la posizione di sintesi di G. Long, v. Pomponia gens, in Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology III (W. Smith ed.), London 1861, 493.

 

[33] Cfr. Liv. Per. 20; Sol. 5.1. G. Brizzi, Nascita di una provincia: Roma e la Sardegna, cit.; M.H. Crawford, Origini e sviluppo del sistema provinciale romano, in Storia di Roma (a cura di G. Clemente, F. Coarelli, E. Gabba), Torino 1990, 91 ss.; F. Mora, Fasti e schemi cronologici: la riorganizzazione annalistica del passato, Suttgart 1999, 188; J. Prag, Sicily and Sardinia-Corsica: The first provinces, in A Companion to Roman Imperialism (D. Hoyos ed.), Leiden 2012, 54 ss.

 

[34] Sulla costante resistenza sarda si veda G. Lilliu, Resistenza e autonomia, in I quaderni di incontri, Cagliari 1970, 11 ss.; Id., La costante resistenziale sarda, Cagliari 1971, 225 (= Id., Sentidu de libbertade, Cagliari 2004, con trad. in lingua sarda de “La costante resistenziale sarda” ad opera del prof. G. Paulis, 124 ss.).

 

[35] Si veda l’invio in Sardegna del console Gaio Atilio Regolo, Polyb. 2.23.6-7: μν γρ τερος τν πάτων Γάιος τίλιος προεξεληλυθςτυχεν ες Σαρδόνα μετ τν στρατοπέδων, ο δ’ ν τ ώμ πάντες περιδεες σαν, μέγαν κα φοβερν ατος πολαμβάνοντες πιφέρεσθαι κίνδυνον, il quale non concluderà il suo intervento poiché le sue legioni saranno chiamate a combattere nella battaglia di Talamone contro i Galli. Sul console rinvio a T.R.S. Broughton, The Magistrates of the Roman Republic I, cit., 230. Vedi, inoltre, la sintesi di W. Ramsay, v. Regulus, Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology III (W. Smith ed.), cit., 642 ss.

 

[36] In tal contesto si assisterà alla sollevazione di popolazioni meridionali sarde guidate da Ampsicora un ricco latifondista, il cui ricordo si trova prevalentemente in Livio 23.40. Cfr. Sil. Ital. Punic. 12.340 in cui è utilizzato il nome Hampsagoras. Sul rapporto tra Livio e Silio Italico si veda M. Sechi, Nota ad un episodio di storia sarda nelle "Puniche" di Silio Italico, in Studi Sardi 6-7 (1942-47), 153 ss. Il bellum Sardum è riportato anche da altri autori che non accennano ad Amspicora, si vedano in particolare: Polyb. 2.23.6; Eutrop. 3.13. Si vedano in materia: E. Pais Storia della Sardegna e della Corsica durante il periodo romano I (ried. a cura di A. Mastino), cit., 164; A. Mastino, Cornus nella storia degli studi (con un catalogo delle iscrizioni rinvenute nel territorio del comune di Cuglieri), Cagliari 1979, 109 s.; Id., I Sardi Pelliti del Montiferru o del Marghine e le origini di Hampsicora, in G. Mele (a cura di), Santu Lussurgiu: dalle origini alla "Grande Guerra", Nuoro 2005, 141 ss.; G. Brizzi, Nascita di una provincia: Roma e la Sardegna, cit., 81; R. Zucca, Navibus longis ad Carales subductis, cit., 18 ss.; Id., Osservazioni sulla storia e sulla topografia di Cornus, in Ampsicora e il territorio di Cornus, Taranto 1988, 31 ss. Sulla derivazione di Silio da Ennio e di Livio da Catone vd. ora A. Mastino, Cornus e il Bellum Sardum di Hampsicora e Hostus, storia o mito?  Contro un processo a Tito Livio, Convegno internazionale di studi, Il processo di romanizzazione della provincia Sardinia et Corsica, Cuglieri, 26 marzo 2015, in corso di stampa.

Sulla collocazione di Ampsicora nel quadro della società sardo-punica rinvio per tutti a P. Meloni, La Sardegna romana, cit., 55 ss. Sul ‘mito’ di Ampsicora si veda E. Melis, Ampsicora, Hostus e la gens Manlia. Proposta di lettura storico religiosa di alcune pagine di Tito Livio sulla Sardegna, in Theologica & Historica. Annali della pontificia facoltà teologica della Sardegna 18 (2009), 323 ss.

 

[37] Liv. 29.36.1-2; 30.24.5; 30.38.5.

 

[38] Sulle accezioni di benignitas vedi [T.] Sinko, v. benignitās, -ātis, in Thesaurus Linguae Latinae II, 1899, coll. 10 ss.

 

[39] Si veda T.R.S. Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, cit., 250.

 

[40] Liv. 23.21.1-4: Eademque ferme de stipendio frumentoque ab A. Cornelio Mammula propraetore ex Sardinia scripta. Responsum utrique non esse unde mitteretur, iussique ipsi classibus atque exercitibus suis consulere. T. Otacilius ad unicum subsidium populi Romani, Hieronem, legatos cum misisset, in stipendium quanti argenti opus fuit et sex mensum frumentum accepit; Cornelio in Sardinia civitates sociae benigne contulerunt. Vedi anche Val. Max. 7.6.1.

 

[41] Liv. 40.34.12-13: Inde in Sardiniam exercitus ductus, et cum Iliensibus, gente ne nunc quidem omni parte pacata, secunda proelia facta. Sul pretore si veda T.R.S. Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, New York 1951, 384.

 

[42] Liv. 41.12.4-6: Et <ab> altero consule Ti. Sempronio in Sardinia prospere res gesta. Exercitum in agrum Sardorum Iliensium induxit. Balarorum magna auxilia Iliensibus venerant; cum utraque gente signis conlatis conflixit. Fusi fugatique hostes castrisque exuti, duodecim milia armatorum caesa. Postero die arma lecta conici in aceruum iussit consul sacrumque id Vulcano cremavit. Victorem exercitum in hiberna sociarum urbium reduxit; 41.6.5-7: Eodem tempore et in Sardinia magnum tumultum esse litteris T. Aebuti praetoris cognitum est, quas filius eius ad senatum attulerat. Ilienses adiunctis Balarorum auxiliis pacatam prouinciam inuaserant, nec eis inualido exercitu et magna parte pestilentia absumpto resisti poterat. Eadem et Sardorum legati nuntiabant orantes, ut urbibus saltem++iam enim agros deploratos esse++opem senatus ferret. Sull’ampiezza dell’esercito consolare inviato in sardegna si veda Liv. 41.9.2: in Sardiniam duae legiones scribi iussae, quina milia in singulas et duceni pedites, treceni equites, et duodecim milia peditum sociorum ac Latini nominis et sescenti equites. Sulle sanzioni del doppio vectigal agli stipendiarii veteres e sull’indennità in grano imposta agli altri sconfitti cfr. Liv. 41.15.4-7; 41.17.2-4.

 

[43] Liv. 41.28.8-9.

 

[44] Liv. 41.17.1: Ti. Sempronius eodem tempore in Sardinia multis secundis proeliis Sardos perdomuit. Quindecim milia hostium sunt caesa, omnes Sardorum populi, qui defecerant, in dicionem redacti. Da ciò deriverebbe il celebre detto «Sardi venales», Fest. 428, 430: ... at Sinnius Capito ait Ti. Gracchum consulem collegam P. Valeri Faltonis Sardiniam Corsicamque subegisse, nec praedae quicquam aliud quam mancipia captum, quorum vilissima multitudo fuerit. Sul punto si veda in particolare E. Pais Storia della Sardegna e della Corsica durante il periodo romano I (ried. a cura di A. Mastino), cit., 148 n. 80; M. Pittau, La lingua dei Sardi Nuragici e degli Etruschi, Sassari 1981, 36 ss.; A. Mastino, Ettore Pais e la Sardegna romana, in La figura di Ettore Pais (a cura di L. Polverini), Roma 2001, 287.

 

[45] Vedi supra n. 29.

 

[46] CIL 10.7582 = ILS 5947. Sul testo della tavola si vedano: E. De Ruggiero, L’arbitrato pubblico in relazione con il privato presso i Romani, in Bullettino dell'istituto di diritto romano 5 (1892), 350 ss.; C.G. Bruns, Fontes Iuris Romani Antiqui, Tübingen 1909 (rist. 1958), nr. 71a 240 ss.; P.F. Girard-F. Senn, Les lois des Romains. 7e édition des «Textes de droit romain» II, Napoli 1977, 377 ss.; S. Riccobono, Fontes Iuris Romani Antejustiniani, pars prima. Leges, Firenze 1941, n. 59 322 ss., nonché E. Cadoni, La Tabula bronzea di Esterzili (CIL X 7852 = ILS 5947), in Quaderni Bolotanesi 14 (1988), 247 (ora in La Tavola di Esterzili: il conflitto tra pastori e contadini nella Barbaria sarda, Atti convegno Esterzili 6 giugno 1992 (a cura di A. Mastino), Sassari 1992, 77). Sulla nuova trascrizione rinvio per tutti ad A. Boninu, Per una riedizione della Tavola di Esterzili (CIL X 7852), in Quaderni Bolotanesi 14 (1988), 231 ss. (= in Novedades de Epigrafia Juridica romana en el ultimo decenio. Actas del Coloquio Internacional AIEGL, Pamplona 9-11 de abril de 1987, Pamplona 1989, 137 ss. e, da ultimo, in A. Mastino (a cura di), La Tavola di Esterzili: il conflitto tra pastori e contadini nella Barbaria sarda, Atti convegno Esterzili 6 giugno 1992, loc. cit., 63 ss.).

 

[47] Sull’identificazione delle popolazioni richiamate nella Tabula e, in particolare, sulle origini dei Patulcenses Campani rinvio, tra i tanti, a: G. Spano, Tavola di bronzo trovata in Esterzili (Sardegna). Con Appendice di Carlo Baudi di Vesme, in Memorie della Regia Accademia delle scienze di Torino II, 25 (1867), 3 ss.; Th. Mommsen, Gesammelte Schriften, Berlin 1908, V, 325 ss. (Riguardo al rapporto scientifico e di stima tra Mommsen e Spano si veda A. Mastino, Il viaggio di Theodor Mommsen e dei suoi collaboratori in Sardegna per il Corpus Inscriptionum Latinarum, in Theodor Mommsen e l’Italia, Atti dei Convegni Lincei, 207, Accademia Nazionale dei Lincei, con la collaborazione di Rosanna Mara e di Elena Pittau, Roma 2004, 227 ss. [anche in Diritto @ Storia 3 (2004) http://www.dirittoestoria.it/3/TradizioneRomana/Mastino-Viaggio-di-Mommsen-in-Sardegna.htm]); E. Pais, Ricerche storiche e geografiche sull' Italia antica, Torino 1908, 587; Id., Storia della Sardegna e della Corsica durante il periodo romano I, cit., 169; G.D. Serra, Il nome di Cagliari e la Galilea di Sardegna, in Il Ponte. Rivista mensile di politica e letteratura 9-10 (1951), 1008 ss.; Id., Etruschi e Latini in Sardegna, in Mélanges de Philologie Romane offerts à M. Karl Michaëlsson par ses amis et ses élèves, Göteborg 1952, 443 ss.; Id., Appunti su l'elemento punico e libico nell'onomastica sarda, in Vox Romanica 13 (1953), 51; M. Bonello Lai, Sulla localizzazione delle sedi di Galillenses e Patulcenses Campani, in Studi Sardi 25 (1978-1980), 29 ss.; M. Le Glay, Isis et Serapis sur un autel de Bubastis à Porto Torres (Turris Libisonis), in Turris Libisonis colonia Iulia (a cura di A. Boninu, M. Le Glay, A. Mastino), Sassari 1984, 114; A. Boninu, Per una riedizione della Tavola di Esterzili (CIL X 7852), cit., 231 ss.; E. Cadoni, La Tabula bronzea di Esterzili (CIL X 7852 = ILS 5947), cit., 253 ss.; Y. Le Bohec, La Sardaigne et l'armée romaine sous le Haut-Empire, Sassari 1990, 58; P. Meloni, La Sardegna romana, cit., 82 ss.; A. Mastino (a cura di), La Tavola di Esterzili: il conflitto tra pastori e contadini nella Barbaria sarda, Atti convegno Esterzili 6 giugno 1992, cit., (in particolare i contributi di: A. Mastino, Tabularium Principis e Tabularia provinciali nel processo contro i Galillenses della Barbaria Sarda, 99 ss.; M. Pittau, La localizzazione dei Galillenses e dei Patulcenses, 123 ss.; S. Schipani, La repressione della vis nella sentenza di L. Helvius Agrippa del 69 d.C. (Tavola di Esterzili), 150 s.; R. Zucca, La Tavola di Esterzili e la controversia finium tra Vanacini e Mariani in Corsica, 185).

 

[48] J. Klein, Die Verwaltungsbeamten der Provinzen des Romischen Reichs bis auf Diocletian I.1, Sicilien und Sardinia, Bonn 1878, 236 ss.; T.R.S. Broughton, The magistrates of the Roman Republic I, cit., 556 e 560. Sul pretore si veda, inoltre, il lavoro dedicato all’analisi del primo processo per concussione contro un governatore della Sardegna di E. Ughi, Due poco noti processi per concussione: Tito Albucio e Gaio Megabocco pretori in Sardegna, in Diritto @ Storia 2 (2003), http://www.dirittoestoria.it/lavori2/Contributi/Ughi-Due-processi.htm; Ead., La Corruzione ed i grandi processi, in A. Mastino (a cura di), Storia della Sardegna antica, cit., 105 ss.

 

[49] Per quanto alcuni autori contemporanei tendano a ritenere storicamente fondato il trionfo di Tito Albucio del 107.106 a.C.: per tutti vedi A. Mastino, Roma in Sardegna: l’età repubblicana, cit., 100.

 

[50] Cic. De prov. cons. 7.15-16.

 

[51] Per le ricorrenze del termine rinvio a H. Ehlers, v. Hostis, in Thesaurus Linguae Latinae 6.2, 1934, coll. 3061 ss. Sul concetto giuridico di hostis rinvio per tutti a F. Sini, Bellum nefandum. Virgilio e il problema del “diritto internazionale antico”, Sassari 1991, 145 ss.; Id., Ut iustum conciperetur bellum: guerra “giusta” e sistema giuridico-religioso romano, in Diritto @ Storia 2 (2003), http://www.dirittoestoria.it/tradizione2/Sini-Iustum-bellum.htm.

 

[52] Sul concetto giuridico di latrones e, in particolare, in merito alla distinzione con il concetto di hostes rinvio ai lavori di: A. Milian, Ricerche sul “latrocinium” in Livio. I. “Latro” nelle fonti preaugustee, in Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti 138 (1979-1980), 171 ss.; Id., Ricerche sul “latrocinium” in Livio. II. Il “latrocinium” di Perseo, in Sodalitas. Scritti in onore di Antonio Guarino III, Napoli 1984, 103 ss.; J. Burian, Latrones. Ein Begriff in römischen literarischen und juristischen Quellen, in Eirene 21 (1984), 17 ss.; V. Giuffrè, Latrones desertoresque, in Labeo 27 (1981), 214 ss.; S. Morgese, Taglio di alberi e “latrocinium”: D. 47.7.2, in Studia et documenta historiae et iuris 49 (1983), 147 ss.; F. Sini, Bellum Nefandum. Virgilio e il problema del “diritto internazionale antico”, cit., 167 ss.; Id., Ut iustum conciperetur bellum: guerra “giusta” e sistema giuridico-religioso romano, cit., http://www.dirittoestoria.it/tradizione2/Sini-Iustum-bellum.htm; Id., Bellum, fas, nefas: aspetti religiosi e giuridici della guerra (e della pace) in Roma antica, in Diritto @ Storia 4 (2005), http://www.dirittoestoria.it/4/Memorie/Sini-Guerra-pace-Roma-antica.htm; Id., Notazioni (e/o rimeditazioni) su diritto romano e Carta de Logu de Arborea, in Diritto @ Storia 11 (2013), http://www.dirittoestoria.it/11/D&Innovazione/Sini-Notazioni-rimeditazioni-diritto-romano-Carta-Logu-Arborea.htm; M.F. Cursi, La struttura del ‘postliminium’ nella repubblica e nel principato, Napoli 1996, 137 ss.; Ead., ‘Captivitas’ e ‘capitis deminutio’. La posizione del ‘servus hostium’ tra ‘ius civile’ e ‘ius gentium’, in Iuris vincula. Studi in onore di Mario Talamanca II, Napoli 2001, 339 s.; T. Grunewald, Bandits in the Roman Empire: Myth and Reality (trad. engl.), London 2004, 15 ss.; R. Ortu, Praeda bellica: la guerra tra economia e diritto nell’antica Roma, in Diritto @ Storia 4 (2005), http://www.dirittoestoria.it/4/Memorie/Ortu-Praeda-bellica.htm; Ead., «Captus a piratis»: schiavitù di fatto?, in Rivista di Diritto Romano 10 (2010), http://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/allegati/dirittoromano10Ortu.pdf.

La distinzione è giuridicamente rilevantissima, poiché i prigionieri dei latrones non potevano essere fatti schiavi e non erano soggetti al postliminium, sul punto si vedano: F. De Visscher, Aperçus sur les origines du postliminium, in Festschrift Paul Koschaker, Weimar 1939, 367 ss.; Id., Droit de capture et postliminium in pace, in  Revue internationale des droits de l'antiquité 3 (1956), 197 ss. (= Id., Études de droit romain public et privé, Milano 1966, 117 ss.); C. Gioffredi, Sul ius postliminii. I La struttura dell’istituto, in Studia et documenta historiae et iuris 16 (1950); S. Solazzi, Il concetto del ius postliminii, in Scritti Ferrini 2, Milano 1947, 288 ss.; L. Amirante, Captivitas e postliminium, Napoli 1950; Id., Ancora sulla captivitas ed il postliminium, in Studi in onore di P. de Francisci 1, Milano 1956, 517 ss.; Id., Prigionia di guerra, riscatto e postliminium, Napoli 1970; P. Fuenteseca Díaz, Origen y perfiles clásicos del postliminium, in Anuario de historia del derecho español 31-32 (1951-52), 300 ss.; F. Bona, Postliminium in pace, in Studia et documenta historiae et iuris 21 (1955), 249 ss., 262; L. Amirante, Prigionia di guerra riscatto e postliminium. Lezioni I, Napoli 1969, A. Maffi, Ricerche sul postliminium, Milano 1992; M.F. Cursi, La struttura del ‘postliminium’ nella repubblica e nel principato, loc. cit., 136; G. Nicosia, Prigionia di guerra e perdita della libertà nell’esperienza giuridica romana, in Silloge. Scritti 1956-1996, Catania 1998, 701 ss.; M.V. Sanna, Nuove ricerche in tema di ‘postliminium’ e ‘redemptio ad hostibus’, Cagliari 2001; Ead., Capitis deminutio e captivitas, in Diritto @ Storia 6 (2007), http://www.dirittoestoria.it/6/Tradizione-romana/Sanna-MV-Capitis-deminutio-captivitas.htm.

 

[53] D. 49.15.24 (Ulpianus libro primo institutionum); D. 50.16.118 (Pomponius libro secundo ad Quintum Mucium). Per le ricorrenze del termine latro rinvio, in particolare, a P.G. Van Wess, v. Latro, in Thesaurus Linguae Latinae 7 (1979), 1014 ss..

 

[54] Sul ‘trionfo privato’ comunque celebrato da Tito Albucio in Sardegna si veda in particolare A. Mastino, La Dominazione romana, in La Provincia di Sassari: i secoli e la storia, Sassari 1983 (rist. 1987), 53.

 

[55] Così E. Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il periodo romano II, Roma 1923, ried. a cura di A. Mastino, Nuoro 1999, 99: « La romanizzazione della Sardegna proseguì notevolmente per effetto delle guerre civili, che resero più che mai necessario ai contendenti valersi dell’appoggio dei provinciali. Costoro, alla lor volta, accedevano ora all’uno ora all’altro partito politico romano con la speranza di trarne personale vantaggio [...] Quello che avvenne per la Spagna e per altre regioni dell’orbe romano si verificò pure in Sardegna, allorché Mariani e Sillani, Cesariani e Pompeiani più volte se la contesero».

 

[56] Exuper. 40-41: Atque ibi cum Triario propraetore, variis proeliis gravibusque conflixit. Nam sollertissime tutando provinciam, effecit ut Lepidi consilia vana forent. Undique enim prohibitus et munitionibus a civitatium expugnatione depulsus nequivit cogitata perficere. Ac dum multa parat, morbo gravi oppressus et mortuus est. Su Triario rinvio a Volkmann, v. Valerius Triarius, in Paulys Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, VIII.A, Stuttgart 1975, 234.

 

[57] Vedi T.R.S. Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, cit., 367.

 

[58] Si veda la cacciata dall’Isola del pompeiano M. Aurelio Cotta, Caes. de bello civ. 30: Caralitani, simul ad se Valerium mitti audierunt, nondum profecto ex Italia sua sponte Cottam ex oppido eiciunt. Ille perterritus, quod omnem provinciam consentire intellegebat, ex Sardinia in Africam profugit. Cfr. Cic. Ad Att. 1.16.3.

 

[59] Così A. Mastino, La Sardegna Romana, in Storia della Sardegna. 1. Dalle origini al Settecento (a cura di M. Brigaglia, A. Mastino, G.G. Ortu), Roma-Bari 2006, 38; Id., La Sardegna romana, in Quaderni di archeologia sulcitana 1. Summer school di archeologia fenicio-punica: atti 2011 (a cura di M. Guirguis, E. Pompianu, A. Unali), Sassari 2012, 5.

 

[60] Bell. Afr. 98.1: ... Ibi Sulcitanos quod Nasidium eiusque classem receperant copiisque iuverant, HS C multat et pro decumis octavas pendere iubet bonaque paucorum vendit et ante diem IIII Kal. Quint ...

 

[61] AE 1921 n. 86 = ILS 188. R. Zucca, Gli oppida e i populi della Sardinia, cit., 309; O. Licandro, La prefettura d'Egitto fra conservazione e innovazione istituzionale, in Studi per Giovanni Nicosia IV, Milano 2007, 426 ss.

 

[62] Sulle Civitates Barbariae rinvio in particolare a: A. Taramelli, Un omaggio delle Civitates Barbariae di Sardegna ad Augusto, Roma 1928; R. Zucca, Le Civitates Barbariae e l'occupazione militare della Sardegna:aspetti e confronti con l'Africa, in L’Africa romana. Atti del V Convegno di Studio, Sassari, 11- 13 dic. 1987, Sassari 1988, 349 ss.; Y. Le Bohec, La Sardaigne et l’armée romaine sous le Haut Empire, Sassari 1990, 30 ss.; M. Bonello Lai, Il territorio dei populi e delle civitates indigene in Sardegna, cit., 117 ss.; M. Mayer, Las civitates Barbariae: una prueba de la realidad de la organización territorial de Sardinia bajo Tiberio, in Naves plenis velis euntes (a cura di A. Mastino, P.G. Spanu, R. Zucca), Roma 2009, 43 ss.; A. Mastino-R. Zucca, Urbes et rura. Città e campagna nel territorio oristanese in età romana, cit., 456 ss.

 

[63] Sul praefectus cohortis et civitatium si vedano: J. Suolahti, The Junior Officers of the Roman Army in the Republican Period, Helsinki 1955, 366; M.G. Jarret, An Album of the Equestrians from North Africa in the Emperor’s Service, in Ephigraphische Studien 9 (1972), 192; B.E. Thomasson, Laterculi praesidum. Die Arbeit der J. 1971-1972, in Eranos 70 (1972), 72 ss.; P. Meloni, La Sardegna Romana, cit., 142.

 

[64] CIL XIV 2954 = ILS 2684. Sull’iscrizione si vedano: A. Taramelli, Un omaggio delle Civitates Barbariae di Sardegna ad Augusto, cit.; E. Pais, Storia della Sardegna e Corsica durante il dominio romano, cit., 14 s.; P. Meloni, La Sardegna Romana, cit., 142; J. Rowland, Two Sardinian notes, in Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik 30 (1978), 166 ss.; R. Zucca, Le Civitates Barbariae e l'occupazione militare della Sardegna:aspetti e confronti con l'Africa, cit., 349 ss.; Id., Gli oppida e i populi della Sardinia, in A. Mastino, Storia della Sardegna antica, cit., 308; M. Bonello Lai, Il territorio dei populi e delle civitates indigene in Sardegna, in La Tavola di Esterzili: il conflitto tra pastori e contadini nella Barbaria sarda, Atti convegno Esterzili 6 giugno 1992, cit., 166 ss.

 

[65] Sulla progressiva integrazione delle popolazioni dell’interno attraverso il servizio militare nella flotta e nelle coorti ausiliarie si veda Y. Le Bohec, La Sardaigne et l'année romaine sous le Haut-Empire, cit., 11 ss. il quale sottolinea, in ogni caso, la persistenza di una identità propria di tali civitates.

 

[66] Sulle accuse contro Scauro vedi anche Ascon. pro Scaur. 18 ss.

 

[67] Sul concetto di amicitia, pur se in via principale per l’età repubblicana, rimando al classico lavoro di J. Hellegouarc'h, Le vocabulaire latin des relations et des partis politiques sous la république, Paris 1963, 63 ss. Secondo il Frezza amicitia e societas sostanzialmente si equivalgono già nel III-II secolo a.C. pur se in caso di amicitia manca il foedus, P. Frezza, Le relazioni internazionali di Roma nel terzo e secondo secolo a.C. (a proposito di un libro recente), in Studia et documenta historiae et iuris 35 (1969), 341 ss. In materia Maria Rosa Cimma individua una distinzione risalente all’epoca repubblicana sulla distinzione tra societas e amicitia rinvio a M.R. Cimma, Reges soci atque amici Populi Romani, Milano 1976, 79 ss. Si veda, da ultimo, M.F. Cursi, Diritto internazionale ed espansionismo romano. ‘Amicitia’ e ‘societas’ nei rapporti tra Roma e gli altri popoli del Mediterraneo, in Index 41 (2013), 199 ss.

 

[68] Si veda Liv. 41.8.2: sed ea propter belli magnitudinem provincia consularis facta.

 

[69] Cic. Pro Scauro 45.

 

[70] L’argomentazione, infatti, va oltre gli aspetti giuridici o fattuali per giungere a facile scherno o ad approssimative ricostruzioni in ragione della stirpe: Cic. Pro Scauro 17: Cum dare nollet Aris, clam ex Sardinia est fugere conatus. Redimunt se ea parte corporis, propter quam maxime expetuntur; 4.6: ...qua re potest, quamuis salsa ista Sarda fuerit, ulla libidis aut amoris suspicio? 19.42: Fallacissimum genus esse Phoenicum omnia monumenta vetustatis atque omnes historiae nobis prodiderunt. Ab his orti Poeni multis Carthaginiensium rebellionibus, multis violatis fractisque foederibus nihil se degenerasse docuerunt. A Poenis admixto Afrorum genere Sardi non deducti in Sardiniam atque ibi constituti, sed amandati et repudiati coloni. Qua re cum integri nihil fuerit in hac gente piena, quam valde eam putamus tot transfusionibus coacuisse? Si veda C.M.A. Rinolfi, Юридические аспекты римской Сардинии в речи Цицерона “pro Scauro” (Aspetti giuridici della Sardegna romana nella pro Scauro di Cicerone), in Ius Antiquum - Drevnee Pravo 1.4 (1999), 70 s.

 

[71] Va rilevato che Cicerone, nel suo discorso, ricorda la presenza di un cittadino romano, suo amico, che si distingue e non esclude la possibilità che esistano viri boni ex Sardinia, Cic. Pro Scauro 43. Sul testo rinvio infra.

 

[72] Rinvio sul punto a E. Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il periodo romano II, cit., 68.

 

[73] Sull’articolata organizzazione territoriale della Sardegna si veda Plin. Nat. hist. 3.85: celeberrimi in ea populorum Ilienses, Balari, Corsi, oppidorum XVIII Sulcitani, Valentini, Neapolitani, Bitienses, Caralitani civium R. et Norenses, colonia autem una, quae vocatur Ad Turrem Libisonis. Su Plinio e le sue fonti rinvio al fondamentale F. Münzer, Beiträge zur Quellenkritik der Naturgeschichte des Plinius, Berlin 1897, nonché a W. Kroll, Plinius der Ältere, in Paulys Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft XXI.1, Stuttgart 1951, 425 ss. Le problematiche intorno alla descrizione pliniana, nonché, in particolare, circa il concetto di oppidorum XVIII Sulcitani, sono analizzate da: A. Taramelli, Cagliari romana, in Archivio Storico Sardo II (1906), 17 ss.; E. Pais, La ‘formula provinciae’ della Sardegna nel I secolo dell’impero secondo Plinio, in Ricerche storiche e geografiche sull’Italia antica, Torino 1908, 579 ss. (= Studi Storici 3 [1894]); A.E. Astin, The Status of Sardinia in the Second Century, in Latomus 18 (1959), 150 ss.; P. Meloni, La Sardegna romana, cit., 147 ss.; Id., La Sardegna romana. I centri abitati e l’organizzazione municipale, cit., 492 ss.; A. Mastino, Storia della Sardegna antica, cit., 341; O. Licandro, La prefettura d'Egitto fra conservazione e innovazione istituzionale, cit., 426 ss. Si veda, inoltre, sull’organizzazione municipale della Sardegna, G.I. Luzzatto, In tema di organizzazione municipale della Sardegna sotto il dominio romano, in Studi in onore di Giuseppe Grosso I, Torino 1968, 294 ss. Per una trattazione sistematica dei vari oppida sardi rinvio a: E. Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano, cit., 68 ss.; G.I. Luzzatto, Sul regime del suolo nelle province romane, in I diritti locali nelle province romane con particolare riguardo alle condizioni giuridiche del suolo, Roma 1974; G. Brizzi, Nascita di una provincia: Roma e la Sardegna, cit., 81 ss.; P. Meloni, La Sardegna romana, cit., 133 ss.; A. Mastino, La Sardegna Romana, cit., 39 ss.; S. Angiolillo, Sardegna, in Le grandi isole del Mediterraneo occidentale: Sicilia, Sardinia, Corsica, Roma 2005, 207 ss.; P. Floris, A. Ibba, R. Zucca, Provincia Sardinia et Corsica, in Le tribù romane. Atti della XVI e Rencontre sur l’épigraphie (a cura di M. Silvestrini), Bari 2009, 313 ss.

 

[74] G.I. Luzzatto, In tema di organizzazione municipale della Sardegna sotto il dominio romano, cit., 299.

 

[75] Cic. Pro Balbo 24: Nam stipendiarios ex Africa, Sicilia, Sardinia, ceteris provinciis multos civitate donatos videmus; 41: Quod si Afris, si Sardis, si Hispanis agris stipendioque multatis. Si veda anche Livio 41.17.1-2. Sul concetto di stipendiarii e la relativa imposizione fiscale rimando, tra i tanti, in particolare a: F. Di Renzo, Il sistema tributario romano, Napoli 1950; G.I. Luzzatto, La riscossione tributaria in Roma e l’ipotesi della proprietà-sovranità, in Atti del congresso internazionale di diritto romano e di storia del diritto IV (a cura di G. Moschetti), Milano 1953, 94; Id., Sul regime del suolo nelle provincie romane. Spunti critici e problematica, cit., 9 ss.; F. Grelle, Stipendium vel tributum. L’imposizione fondiaria nelle dottrine giuridiche del II e III secolo, Napoli 1963, 16 ss.; P.A. Brunt, The ‘Fiscus’ and its Development, in JRS 56 (1966), 75 ss.; S.A.B. Meira, Direito tributário romano, in Romanitas 10 (1970), 279 ss.; Id., Direito tributário romano. Continuaçao, in Romanitas 11 (1972), 308 ss.; E. Lo Cascio, La struttura fiscale dell’impero romano, in L’impero romano e le strutture economiche e sociali delle province (a cura di M. Crawford), Como 1986, 34; C. Nicolet, La pensée économique des Romains. République et Haut-Empire, in Id., Rendre à César. Économie et société dans la Rome antique, Paris 1988, 202; E. Hermon, Forme de domination et formes d’administration provinciale dans l’empire romain républicain, in Pouvoir et imperium (IIIe av.J.-C. Ier ap.J.-C.), Napoli 1996, 18; L. Gagliardi, Mobilità e integrazione delle persone nei centri cittadini romani. Aspetti giuridici. I La classificazione degli incolae, Milano 2006, 227 ss.; C. Soraci, Riflessioni storico-comparative sul termine stipendiarius, in Strumenti e tecniche della riscossione dei tributi nel mondo antico. Atti del convegno nazionale Firenze 6-7 dicembre 2007, Padova 2014, 43 ss.

 

[76] R. Zucca, Gli oppida e i populi della Sardinia, in Storia della Sardegna antica (a cura di A. Mastino), cit., 211.

 

[77] Cfr. E. Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il periodo romano II, cit., 11 ss.; A. Mastino, Roma in Sardegna: l’età repubblicana, cit., 117.

 

[78] Sull’individuazione di queste civitates si veda: G. Brizzi, Nascita di una provincia: Roma e la Sardegna, cit., 80 s.; P. Meloni, La Sardegna romana, cit., 315 ed R. Zucca, Navibus longis ad Carales subductis, cit., 15, per il quale, in accordo con il Meloni, gli unici indizi forniti da Livio porterebbero «all’entroterra di Caralis, dunque al fertile Campidano, presumibilmente all’ager Caralitanus, nel cui ambito, comunque, documenti epigrafici imperiali parrebbero serbare memoria di populi indigeni».

 

[79] Vedi anche Livio 23.40.8: ad sociorum populi Romani agrum populandum profectus Caralis perventurus erat.

 

[80] In materia rinvio a: Th. Mommsen, Römisches Staatsrecht III.1, Leipzig 1887, 651; P.C. Sands, The Client Princes of the Roman Empire under the Republic, Cambridge 1908, 40 ss.; E. Badian, Foreign Clientelae (264-70 B.C.), Oxford 1958, 12; F. De Martino, Storia della costituzione romana II, 2a ed., Napoli 1973, 34; A. Valvo, Formula amicorum, commercium amicitiae, φιλίας κoινωνια, in Serta antiqua et mediaevalia IV. Linguaggio e terminologia diplomatica dall’antico oriente all’impero bizantino (a cura di M.G. Angeli Bertinelli, L. Piccirilli), Roma 2001, 135 ss.; M.F. Cursi, Diritto internazionale ed espansionismo romano. ‘Amicitia’ e ‘societas’ nei rapporti tra Roma e gli altri popoli del Mediterraneo, cit., 199 ss. Per la concezione ‘societaria’ della civitas si veda G. Lobrano, Res publica res populi. La legge e la limitazione del potere, Torino 1996, 113 ss.; Id., La Respublica romana, municipale-federativa e tribunizia: modello costituzionale attuale, in Diritto @ Storia 3 (2004), http://www.dirittoestoria.it/3/Memorie/Organizzare-ordinamento/Lobrano-Res-publica-Romana-modello-costituzionale-attuale.htm; per gli aspetti privatistici della societas, ma riscontrabili sul connesso piano dello ius publicum, si veda in particolare P. Onida, Specificità della causa del contratto di societas e aspetti essenziali della sua rilevanza esterna, in Diritto @ Storia 10 (2011-2012), http://www.dirittoestoria.it/10/contributi/Onida-Specificita-causa-contratto-societas-rilevanza-esterna.htm.

 

[81] M.F. Cursi, Diritto internazionale ed espansionismo romano. ‘Amicitia’ e ‘societas’ nei rapporti tra Roma e gli altri popoli del Mediterraneo, cit., 199.

 

[82] Vedi supra n. 38.

 

[83] In tal senso G. Brizzi, Nascita di una provincia: Roma e la Sardegna, cit., 80 s., per il quale Livio con il termine civitas intende riferirsi a ‘cantoni indigeni filo-romani’ piuttosto che a civitates alleate formalmente a Roma.

 

[84] Si veda, sul punto, la ricostruzione di R. Zucca, Navibus longis ad Carales subductis, cit., 14 s. n. 24 che individua le urbes sociae in alcune città dell’Oristanese. Vedi anche A. Mastino-R. Zucca, Urbes et rura. Città e campagna nel territorio oristanese in età romana, cit., 453 s., dove sempre Zucca sostiene che «la localizzazione degli eventi del 177 e la successiva ripresa nel 176 delle ostilità impone di ritenere che Gracco non riportasse l’esercito a Caralis, dove era con grandissima probabilità sbarcato, bensì in urbes prossime ai confini degli Ilienses. Ne deduciamo che le urbes sociae dovrebbero identificarsi con alcune città dell’Oristanese, indubbiamente anche con quelle (o con alcune di quelle) che inviarono la legatio a Roma per scongiurare aiuti militari». Cfr. P. Meloni, La Sardegna romana, cit., 79 ss.

 

[85] Sulla tabula, dall’aspetto di carta geografica della Sardinia contenente un index rerum prospere gestarum con la relazione sommaria delle operazioni militari svolte, si veda F. Galli, L’iscrizione trionfale di T. Sempronio Gracco (Liv. XLI. 28), in Annali dell'istituto universitario orientale (filol) 9-10 (1987-88), 135 ss.

 

[86] Il testo è quello dell’edizione curata da W. Weissenborn-H.J. Müller, Titi Livi ab urbe condita libri IX, Berlin 1909 (rist. 1962), 60.

 

[87] L’inserimento è del Sigonius, accolto nell’edizione di W. Weissenborn-H. J. Müller, Titi Livi ab urbe condita libri IX, cit., 60 e P. Jal, Tite-Live Histoire Romaine XXXI, Paris 1971, 42 n. 16, in cui si propone la seguente traduzione: «Sa mission ayant rencontré le plus grand succès et <les alliés> ayant été libérés».

 

[88] Il Brizzi individua, sulla base della localizzazione dei Balari nella Gallura e degli Ilienses nell’area del Goceano-Marghine, le zone pacatae della Sardegna. Si veda G. Brizzi, Nascita di una provincia: Roma e la Sardegna, cit., 69 ss.

 

[89] Secondo R. Zucca, Gli oppida e i populi della Sardinia, cit., 308: «L’ipotesi di comunità genericamente favorevoli a Roma non sembrerebbe, infatti, soddisfare l’intelligibilità del testo, che, invece, risulterebbe assai perspicuo ove si intendesse con stipendiarii veteres i Sardi delle comunità indigene e delle città ribellatesi a Roma, mentre con urbes sociae le città che avevano sottoscritto un foedus con Roma. D’altro canto la stipula di foedera con alcune città parrebbe una costante della più antica politica provinciale di Roma».

 

[90] Sulle difficoltà interpretative, specialmente riferite alla ricostruzione dell’antica religio sarda, si veda A. Leroi-Gourhan, Les religions de la préhistoire. Paléolithique, Paris 1964 (trad. it. Le religioni della preistoria. Paleolitico, Milano 1993, 82 s.). Sulla interpretazione in chiave archeologica delle fonti letterarie sulla Sardegna rinvio in particolare a: C. Albizzati, Sardus Pater, in Il Convegno archeologico in Sardegna. Giugno 1926, Reggio Emilia 1927, 103 ss.; A. Garcia y Bellido, Los iberos en Cerdeña según los textos clásicos y la arqueología, in Emerita 3 (1935), 225 ss.; A. Momigliano, Due punti di storia romana arcaica. II: La lotta per la Sardegna tra Punici, Greci e Romani, in Studia et documenta historiae et iuris 2 (1936), 373 ss. (ora in Quarto contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, cit., 349 ss.); P. Meloni, Gli Iolei e il mito di Iolao in Sardegna, in Studi Sardi 6 (1944), 43 ss.; J. Bérard, La colonisation grecque de l'Italie méridionale et de la Sicile dans l'antiquité. L'histoire et la légende, Paris 1957 (trad. it. La Magna Grecia. Storia delle colonie greche dell'Italia meridionale, Torino 1963); S.F. Bondì, Osservazioni sulle fonti classiche per la colonizzazione della Sardegna, in Saggi Fenici 1 (1975), 49 ss.; A. Mastino, La voce degli antichi, in Nur. La misteriosa civiltà dei Sardi (a cura di D. Sanna), Milano 1980, 261 ss.; F. Nicosia, La Sardegna nel mondo classico, Ichnussa. La Sardegna dalle origini all'età classica,(a cura di G. Pugliese Carratelli), Milano 1981, 421 s.; L. Breglia Pulci Doria, La Sardegna arcaica tra tradizioni euboiche ed attiche, in Nouvelle Contribution à l'étude de la société et de la colonisation eubéennes. Cahiers du Centre Jean Bérard, Napoli 1981, 61 ss.; C. Tronchetti, I Greci e la Sardegna, in Dialoghi di archeologia 3 (1985), 17 ss.; Id., I rapporti fra il mondo greco e la Sardegna: note sulle fonti, in Egitto e Vicino Oriente 9 (1986), 117 ss.; Id., I Sardi. Traffici, relazioni, ideologie nella Sardegna arcaica, Milano 1988; R. Zucca (a cura di), Logos perì tes Sardous. Le fonti classiche e la Sardegna, Atti del Convegno di Studi - Lanusei 29 dicembre I 998, Roma 2004; I. Didu, I Greci e la Sardegna. Il mito e la storia, Cagliari 2003.

 

[91] E. Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano II, cit., 73. Vedi anche P. Meloni, La Sardegna romana, cit., 94 ss.

 

[92] La notizia riferita da P. Martini, Compendio della storia di Sardegna, Cagliari 1855, 21, è chiaramente destituita di fondamento in quanto si basava sulle pergamene d’Arborea dichiarate false dalla commissione nominata dalla Regia Accademia delle Scienze di Berlino, con perizia sottoscritta da Theodor Mommsen. Sulla vicenda del giudizio sulle Carte d'Arborea si vedano: E. Pais, Nota a proposito delle Carte di Arborea, in Silloge epigrafica Olbiense, Sassari 1895, 104; F. Alziator, Storia della letteratura di Sardegna, Cagliari 1954, 366 ss.; R. Laconi, Le false Carte d'Arborea o del carattere rivendicativo della storiografia sarda, in U. Cardia (a cura di ), La Sardegna di ieri e di oggi. Scritti e discorsi sulla Sardegna (1945-1967),  Cagliari 1988, 55 ss.; A. Mastino, P. Ruggieri, I falsi epigrafici romani delle Carte d'Arborea, in L. Marroccu (a cura di), Le Carte d’Arborea. Falsi e Falsari nella Sardegna del XIX secolo, Cagliari 1997, 221 ss.; R. ZUCCA, Le scoperte archeologiche e le Carte d'Arborea, in Le Carte d’Arborea. Falsi e Falsari nella Sardegna del XIX secolo, loc. cit., 227 ss.;

 

[93] I. Didu, La cronologia della moneta di M. Azio Balbo, in Atti del centro di studi e documentazione sull’Italia Romana VI (1974-1975), 107 ss.

 

[94] A. Mastino, Roma in Sardegna: l’età repubblicana, cit., 105.

 

[95] A. Mastino, Saggio introduttivo, cit., 24 s., 51, 73; Id., Roma in Sardegna: l’età repubblicana, cit., 102 ss.

 

[96] Secondo la ricostruzione pliniana (Plin. Nat. hist. 3.85, vedi supra n. 72) Carales risulta essere civitas di cittadini romani, ma non si sa con certezza se questo status derivi o meno da una concessione operata dallo stesso Cesare, del quale si sa che ha multato Sulcis (Bell. Afr. 98.1, vedi supra n. 59), ma nulla di più. Sulle ipotesi di concessione della cittadinanza ai caralitani si veda E. Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano I, cit., 24 s.

 

[97] Cicerone ricorda, inoltre, rapporti amichevoli fra Sardi e Romani per la positiva esperienza di suo fratello Quinto pretore nell’Isola, Cic. Pro Scauro 39: non sum aut tam inhumanus aut tam alienus a Sardis, praesertim cum frater meus nuper ab his decesserit, cum rei frumentariae Cn. Pompeii iussu praefuisset qui et illis pro sua fide et humanitate consuluit et eis vicissim percarus et iucundus fuit. Si veda, sul punto, E. Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano I, cit., 201.

 

[98] Per l’uso del verbo donare rinvio a Bannier., v. dono, in Thesaurus Linguae Latinae V.1, fasc. X doneque-duco, coll. 2004 ss.

 

[99] CIL III.5232; XI.85.

 

[100] CIL II.159; III.6785.

 

[101] CIL I.298.

 

[102] CIL III.195; Diplomi mil. I-XI, XIII-XXIV, XXVI, XXVII. XXIX-XXXIX, XLII-LI, LIV, LV.

 

[103] Vedi ad esempio Diplomi mil. LVI-LXI, LXII, LXIV-LXXI, LXXIII, LXXIV, LXXVI, LXXVII, LXXXII, LXXXVII, XC, XCI, XCIV.

 

[104] Sui modi di concessione della cittadinanza in epoca repubblicana si veda A. Muroni, Civitas Romana: emersione di una categoria nel diritto e nella politica tra Regnum e Res publica, in Diritto @ Storia 11 (2013), http://www.dirittoestoria.it/11/note&rassegne/Muroni-Civitas-Romana-categoria-tra-regnum-res-publica.htm. 

 

[105] Ae. Forcellini, Totius latinitatis Lexicon (consilio et cura J. Facciolati) IV, Patavii 1805, v. virtus, 524 s.

 

[106] E. Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano II, cit., 71 ss.

 

[107] Sulla diversa condizione delle città italiche e la «nouvelle conception de la citoyenneté qui se mettait en place» in seguito alla guerra sociale si veda il recente lavoro di J.-M. David, Rome et l’Italie de la guerre sociale à la mort de César: une nouvelle citoyenneté. État de la recherche, in Pallas 96 (2014), 35 ss., http://pallas.revues.org/1157#quotation.

 

[108] Exuper 39-41: Nam fugientes eius copias ac se implicantes festinatione formidinis ita prostravit, ut maiore numero privatus in Sardiniam confugeret; ut impedito commeatu, populum Romanum fatigaret inopia, ac suas vires armis, copiisque et omni instrumento reficeret. Atque ibi cum Triario propraetore, variis proeliis gravibusque conflixit. Nam sollertissime tutando provinciam, effecit ut Lepidi consilia vana forent. Undique enim prohibitus et munitionibus a civitatium expugnatione depulsus nequivit cogitata perficere.

 

[109] P. Ruggeri, Africa ipsa parens illa Sardiniae: studi di storia antica e di epigrafia, cit., 52 ss.

 

[110] Per fonti e bibliografia si veda A. Mastino, Roma in Sardegna: l’età repubblicana, cit., 102: «Intanto in Sardegna Triario premiava i Sardi che lo avevano aiutato con ampie concessioni di cittadinanza: da questo ceppo sembrano derivare in parte i Valerii sardi». Vedi anche R. Zucca, Gli oppida e i populi della Sardinia, ibid., 260.

 

[111] A. Mastino, Saggio introduttivo, cit., 51 nn. 145 ss.; Id., La Gallura: l'età punica e romana: percorso storico e archeologico, in La Gallura, una regione diversa in Sardegna: cultura e civiltà del popolo gallurese (a cura di S. Brandanu), San Teodoro 2001, 84 s. Per l’onomastica di un peregrino cui è stata concessa la cittadinanza a titolo individuale si veda G. Alföldy, Notes sur la relation entre le droit de cité et la nomenclature dans l'Empire romain, in Latomus 25 (1966), 37 ss.

 

[112] Sugli itinerari seguiti da Pompeo rinvio ad A. Mastino, Roma in Sardegna: l’età repubblicana, cit., 102 ss.

 

[113] Cic. Pro Balb. 19: Nascitur, iudices, causa Corneli ex ea lege quam L. Gellius Cn. Cornelius ex senatus sententia tulerunt; qua lege videmus <rite> esse sanctum ut cives Romani sint ii quos Cn. Pompeius de consili sententia singillatim civitate donaverit. Donatum esse L. Cornelium praesens Pompeius dicit, indicant publicae tabulae. Accusator fatetur, sed negat ex foederato populo quemquam potuisse, nisi is populus fundus factus esset, in hanc civitatem venire.

 

[114] Su tale lex rinvio a C.G. Paulus, Das römische Bürgerrecht als begehrtes Privileg: Cicero verteidigt Aulus Licinius Archias und Cornelius Balbus, in Große Prozesse der römischen Antike, München 1997, 108 ss.

 

[115] Decisamente isolata appare ormai la posizione di contrasto di E. Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano II, cit., 71 n. 136: «Io penso che parole finali ignoscent alii viri boni ex Sardinia (che comprendono il concetto che sarebbe espresso dal denique omnes proposto) escludono tale correzione. Reputo invece che Cicerone nominava una gente Sarda. Delecones può essere cognome, ma anche nome di formazione non latina. I Delecones potrebbero ad es. paragonarsi con la gentilitas Desoncorum ex gente Zoelarum ricorati in tabula di hospitium et clientela della Tarraconense. (CIL II 2633). Tenendo poi conto dell’epigrafe relativa ai Detelii di Bosa (Notizie Scavi 1888, p. 563 = Ihm, add. ad CIL IX, in Ephem. Ep. VIII, p. 56, n. 227) può ad es. correggersi Detelii Omnes. Non intendo già proporre tale emendazione come buona e sicura; ma la porgo come esempio dei molti modi con cui il testo di Cicerone può essere interpretato e come protesta contro quei moderni editori di Cicerone che, sia pure valorosi come A.C. Clark (ed. di Oxford), sostituiscono addirittura denique omnes al d…ones o al delecones del palimpsesto Ambrosiano come se codesta correzione fosse sicura. Le moderne edizioni «critiche» sono piene di tali arbitri. Colgo poi l’occasione di notare che il testo incerto di Cicerone ha dato origine al falsario delle «carte di Arborea» di inventare quel Deletone, autore sardo di un ritmo, che forma la delizia di tutti gli sciocchi, che citano ancora codesti versi e che pur credono al preteso Ialeto inventato del pari dagli stessi falsari.

 

[116] E. Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano II, cit., 74.

 

[117] Cic. pro Scauro 43-44.

 

[118] Interessante, sul punto, le osservazioni circa il permanere alla conquista romana di magistrati di derivazione punica, si veda P. Meloni, La Sardegna romana. I centri abitati e l’organizzazione municipale, cit., 498.

 

[119] E. Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano II, cit., 72 s.; P. Meloni, La Sardegna romana. I centri abitati e l’organizzazione municipale, cit., 320 ss.

 

[120] Si veda, in particolare M.P. Baccari, Cittadini popoli e comunione nella legislazione dei secoli IV-VI, Torino 1996, 54 s. la quale ben evidenzia come la civitas romana possa «essere acquistata da ogni uomo, senza differenze etniche o religiose» poiché «la parola civitas indica ... l’essere parte, volontariamente, di quella concreta “società di diritto” che è la civitas».

 

[121] Sul punto e, nello specifico, per il concetto di civitas augescens rimando, per tutti, a P. Catalano, Diritto e persone. Studi su origine e attualità del sistema romano, Torino 1990, XIV s.; M.P. Baccari, Il concetto giuridico di civitas augescens: origine e continuità, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 61 (1995), 759 ss.; Ead., Cittadini popoli e comunione nella legislazione dei secoli IV-VI, cit., 47 ss.

 

[122] Si veda, per tutti, F. Sini, Religione e sistema giuridico in Roma repubblicana, in Diritto @ Storia 3 (2004), http://www.dirittoestoria.it/3/Memorie/Organizzare-ordinamento/Sini-Religione-e-sistema-giuridico.htm: «la religione politeista romana, nell’intero arco del suo sviluppo storico, appare fortemente caratterizzata dalla costante preoccupazione di integrare l’“alieno” (umano o divino): dalle divinità dei vicini alle divinità dei nemici, in cerchi concentrici sempre più larghi, che potenzialmente abbracciavano l'intero spazio terrestre e, quindi, tutto il genere umano»; dello stesso A. rinvio anche a Dai peregrina sacra ai pravae et externae religiones dei baccanali, alcune riflessioni su ‘alieni’ e sistema giuridico-religioso Romano, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 60 (1994) [= Studi in memoria di Gabrio Lombardi I, Roma 1996 (ripubblicato ora in La condition des “autres” dans les systèmes juridiques de la Méditerranée, sous la direction de F. Castro et P. Catalano, Paris 2001, 59 ss.], 49 ss.; Impero Romano e religioni straniere: riflessioni su universalismo e tolleranza nella religione politeista romana, in Sandalion 21-22 (1998-1999), 57 ss.; Sua cuique civitati religio. Religione e diritto pubblico in Roma antica, Torino 2001, 1 ss.; Dai documenti dei sacerdoti romani: dinamiche dell’universalismo nella religione e del diritto pubblico di Roma, in Diritto @ Storia 2 (2003), http://www.dirittoestoria.it/tradizione2/Sini-Dai-Documenti.htm; Diritto e documenti sacerdotali romani: verso una palingenesi, in Diritto @ Storia 4 (2005), http://www.dirittoestoria.it/4/Tradizione-Romana/Sini-Diritto-documenti-sacerdotali-palingenesi.htm; Diritto e Pax deorum in Roma arcaica, in Diritto @ Storia 5 (2006), http://www.dirittoestoria.it/5/Memorie/Sini-Diritto-pax-deorum.htm.